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L’Antinoo Albani di Pietro Paolo Spagna – Un inedito objet d’art nel solco dei Valadier
DOI: 10.7431/RIV23082021
Lo studio dell’oreficeria e dell’argenteria romana, ma anche dell’intaglio di pietre dure e preziose, si fonda, come è noto, sul testo di Costantino Bulgari1, frutto di decenni di meticolosissimo lavoro negli archivi romani ma anche presso la sede dell’Università e Nobil Collegio degli Orefici, Gioiellieri e Argentieri dell’Alma Città di Roma e grazie ad attente ricognizioni in centinaia di chiese, palazzi e collezioni private. A questo monumentale lavoro si è aggiunto nel 1987 il determinante volume di aggiornamento, anch’esso realizzato in decenni di studio da parte di Anna Bulgari Calissoni2. Da questi testi è partita una serie di approfondimenti su specifici autori, a firma di altrettanti importanti studiosi come, ad esempio, la recente pubblicazione del volume Antonio Arrighi. A silversmith and bronze founder in Baroque Rome di Jennifer Montagu3, la quale più volte nel corso della sua carriera si è dedicata ad approfondire specifici aspetti della produzione dell’argenteria romana così come a Alvar González-Palacios e Roberto Valeriani si deve il trentennale lavoro di ricerca sulla produzione della famiglia Valadier. A tal riguardo si è recentemente aggiunta la puntuale e approfondita analisi da parte di Teresa L.M. Vale della cospicua mole di disegni della bottega dei Valadier conservata presso il noto antiquario romano Alberto Di Castro4 mentre a Francesco Leone si deve l’analisi di una raccolta similare di opere grafiche presso la Biblioteca Civica di Faenza5 e, nuovamente ad Alvar González-Palacios una terza serie di disegni conservati presso il Museo Napoleonico in Roma6.
È grazie a tutto ciò che decine di altri studiosi possono con maggior agio, in base all’identificazione dei bolli camerali e dei marchi degli argentieri, aggiungere nuovi tasselli alla conoscenza della produzione romana di oreficerie e argenti. Chi scrive ha potuto, ad esempio, assegnare alla produzione di Pietro Paolo Spagna il Reliquario del Velo della Santa Vergine7 (Fig. 1) conservato presso il Museo Liberiano della basilica papale di Santa Maria Maggiore a Roma e precedentemente attribuito a Giuseppe Valadier, grazie all’identificazione del marco del maestro rintracciato sulle lamine d’argento in occasione del restauro realizzato nel 19998. Negli studi sull’oreficeria e l’argenteria romana tuttavia deve sempre essere presente la consapevolezza che la sola identificazione di un punzone o di un disegno sono spesso dati insufficienti per una corretta attribuzione dell’opera. Il prezioso lavoro di Anna Calissoni Bulgari, già decenni or sono, ha messo in evidenza un fattore poco rilevato ma determinante per la datazione e l’identificazione della paternità di un manufatto: in molti casiil punzone di un maestro, dopo la sua morte, venne utilizzato per decenni all’interno della bottega condotta dalla vedova o dai figli ed in alcuni casi dai nipoti. Ne sono esempi significativi, tra i molti possibili, il caso di Giovanni Antonio Andronico Teoli che nel 1729 ottenne la conferma della patente del padre Francesco I e che dal 1734 utilizzò un bollo9 caratterizzato da uno scudetto con le tre lettere alfabetiche CAT nella parte inferiore e nella parte superiore una piccola croce che parte dalla lettera A. Alla morte del maestro nel 1760, il suo bollo venne utilizzato dal figlio secondogenito Benedetto, patentato nel 1762 e deceduto nel 1787. Sempre lo stesso punzone del nonno verrà ancora utilizzato da Stefano, figlio di Benedetto, almeno fino al 181110. Per più di settanta anni, quindi, le opere prodotte da questa dinastia di argentieri mostrano lo stesso marchio; è solo grazie alla presenza dei bolli camerali, ove leggibili, che si può riconoscere e attribuire il manufatto ai singoli artefici. Ancor più articolata la situazione dell’uso dei punzoni nel caso di Francesco II Teoli, primogenito di Giovanni Antonio Andronico, che otterrà la patente nel 1759 ed eserciterà la sua attività nella bottega del suocero, Bernardino Birelli11 e alla morte di questo nel 1767, ne adotterà il punzone raffigurante il Leone di san Marco12 in uso dal 1734 fino alla morte nel 1782. Il marco verrà quindi utilizzato dalla vedova, Agata Birelli, ancora per quattro anni, fino al 1786. Anche in questo caso il punzone restò in uso per cinquanta anni13, assumendo pertanto il valore di un riferimento di garanzia della produzione di una specifica bottega più che di un singolo artefice e ponendosi, quindi, come dato non sufficiente per attribuire in via definita un manufatto ad un singolo autore. Illuminante sul modo di operare all’interno delle botteghe romane è un saggio di Jennifer Montagu The Practice of Roman Baroque Silver Sculpture nel quale si evidenzia la necessità di come gli studi vadano il più possibile ampliati con indagini archivistiche, analisi stilistiche accanto e dati di tecnologia.
Il caso dell’attività dei Valadier e del celebre opificio impiantato da Luigi in via del Babuino, del quale si tratterà meglio in seguito, presenta risvolti in parte simili agli esempi citati, ma con esiti del tutto particolari ad iniziare dall’attenzione che i singoli artefici dedicarono nell’utilizzo di punzoni caratterizzanti ogni singolo artefice. Inoltre, grazie alla mole di dati archivistici rintracciati e rigorosamente analizzati, ma anche alla ricchissima documentazione grafica tra disegni, chine, progetti e alle rare attestazioni di alcuni “fogli da spolvero”– come quelli associati da T. L. M. Vale per la realizzazione del già citato suddetto Reliquario del Velo della Santa Vergine14 –, è stato possibile ricostruire, ed accrescere vieppiù con nuovi dati, la conoscenza di una ricchissima produzione di opere basata non soltanto sulla presenza dei punzoni rintracciati sulle lamine. Ne emerge l’attività di una dinastia di artefici che iniziò nel terzo decennio del XVIII secolo e che non si interruppe con la conclusione dell’attività dell’architetto Giuseppe Valadier, ma che si protrasse sino al settimo decennio del XIX secolo nella figura di Pietro Paolo Spagna. La figura di quest’ultimo, ancora poco indagata dagli studi, dovrebbe essere infatti meglio considerata non quale semplice erede ed epigono nella direzione dell’opificio dei Valadier, quanto piuttosto quale attento e valido prosecutore del celebre atelier grazie a decine di creazioni in metalli preziosi, bronzi, pietre dure e marmi. Un artefice in equilibrio tra tradizione e innovazione nella creazione di opere commissionate da quattro differenti pontefici romani (Pio VII, Pio VIII, Gregorio XVI e Pio IX), da alti prelati della curia papale, dall’aristocrazia romana e internazionale, residente nella Città Eterna, in visita diplomatica o durante il Grand Tour.
I Valadier
L’attività di oreficeria e argenteria, ma anche di fusioni in bronzo e bronzo dorato, venne intrapresa a Roma dal francese Andrea Valadier – nato nel 1695 in Provenza – nel 1725 grazie all’ottenimento della patente e con l’utilizzo di un punzone caratterizzato da tre gigli di Francia ai quali successivamente aggiunse un A15; alla sua morte nel 1759 l’attività paterna venne continuata dal figlio primigenio Luigi fino al tragico decesso per suicidio nel 178516. Parallelamente il secondogenito Giovanni ottenne la patente nel 1763 e avviò una sua attività, sempre nel laboratorio paterno presso la chiesa di S. Luigi dei Francesi, che si protrasse fino alla morte nel 1805, utilizzando un proprio punzone con le iniziali – GV – sormontato da un giglio di Francia17. Nel 1772 Luigi trasferì la sua attività a Via del Babuino 89, che diverrà la sede storica della sua bottega ben presto trasformata nell’ “opificio Valadier” nel quale oltre a orafi, argentieri e fonditori di bronzi erano attivi decine di addetti impegnati nelle realizzazioni di objets d’art, come i celebri centritavola in bronzi dorati, pietre dure e marmi policromi. Nella sua notoria carriera, Luigi utilizzò due punzonature delle lamine in oro o argento: una caratterizzata da uno scudetto mistilineo simile a quello del padre, nel quale sono le iniziali del suo nome divise da un punto – L°V – assieme a tre gigli di Francia, due in alto e uno in basso; una seconda, un bollo a cartiglio, presenta la dicitura VALADIE’ ROMA su due righe sovrapposte18. Gli stessi punzoni furono utilizzati dal figlio Giuseppe che ereditò nel 1785 l’atelier del padre19. Questi proseguì l’attività del padre fino al 1817 in quanto, visti gli importanti progetti d’architettura che lo videro artefice di successo, le opere prodotte dall’”opificio Valadier” dal 1793 furono realizzate sotto la direzione dell’argentiere Antonio Ercole, patentato nel 1790 ed attivo sino alla morte nel 179820. L’atelier fu quindi diretto dal 1812 dall’argentiere Giuseppe III Spagna, figlio del maestro Paolo Spagna patentato dal 1772 e deceduto nel 178821.
Giuseppe III proseguì l’attività paterna patentandosi nel 1791, utilizzando sia il marco del padre sia un bollo a cartiglio con l’iscrizione GIUS•SPAGNA ROMA suddiviso in tre righe sovrapposte22. Tra le molte opere prodotte durante il sodalizio con Valadier, che nel 1817 sposò Margherita Spagna, sorella di Giuseppe, la più celebrata dai documenti e dalle cronache è il fonte battesimale della basilica papale di Santa Maria Maggiore23 (Fig. 2), iniziato nel 1826 e per il quale viene citato sia il nome di Valadier come ideatore dell’opera, al quale sono stati riferiti alcuni disegni, sia il nome di Giuseppe Spagna quale artefice dei bei bronzi dorati e delle figurazioni della Santissima Trinità e della statua del Battista (Fig. 3), su ideazione di Adamo Tadolini (1788-1868)24. Nel breve arco di tempo di quattro settimane dall’inaugurazione da parte di papa Leone XII, il 2 giugno del 1827, del fonte battesimale, e più precisamente il 30 giugno, Valadier vendette il suo “opificio” al cognato Giuseppe Spagna, che già dirigeva da quindici anni.
Gli Spagna
Il celeberrimo “opificio Valadier” sito in via del Babuino 89 passò quindi totalmente nelle mani di Giuseppe Spagna, il quale aveva al suo fianco, almeno dal 1815, il figlio Pietro Paolo patentato nel 1817. In tale data tuttavia il padre rinunciò alla patente nei confronti del figlio proseguendo a lavorare nell’atelier fino al 1827, anno nel quale morirono sia l’architetto Giuseppe Valadier sia il maestro argentiere25.
Pietro Paolo Spagna, ereditando l’attività, che proseguì per trentaquattro anni sino alla morte nel 1861, divenne uno dei protagonisti dell’arte suntuaria romana nella prima metà del XIX secolo, con opere realizzate senza soluzione di continuità della tradizionale attività dei Valadier grazie alle abili maestranze specializzate attive nell’opificio – suddiviso in ambienti per la fusione e la lavorazione di bronzi, anche di grandi dimensioni, per la creazione delle più minute realizzazioni in oro ed argento, ma anche per il taglio dei marmi e delle pietre dure –, ma anche grazie al preziosissimo materiale, già citato, costituito da disegni, progetti, schizzi e “spolveri” oltre che a centinaia di prototipi e modelli in cera, terracotta o gesso insieme a cavi e modelli in legno – conservati in alcune stanze dell’articolata struttura produttiva. La descrizione di questi preziosi manufatti di studio e di lavoro è attestata da un dettagliatissimo inventario redatto per volontà di Giuseppe Valadier nel 1810 dal titolo Registro generale di tutti li lavori ferri ordegni ed’altri generi necessari per le professioni di argentiere, doratore, e fonditore di qualunque genere varie pietre dure e tenere lavorate e grezze nel negozio del Signore Giuseppe Valadier nell’anno MDCCCX26. Nel lungo testo sono elencate, suddivise in singole stanze dell’opificio, sculture e busti, altorilievi e composizioni dai quali si potevano ricavare cere per nuove fusioni e ispirazioni per nuove creazioni. Pietro Paolo utilizzò tale materiale inizialmente per la realizzazione di opere di matrice neoclassica, nel solco delle ideazioni di Giuseppe Valadier, ma soprattutto, con il proseguire dei tempi, egli seppe rispondere con nuove creazioni alle richieste di un gusto “nuovo”, frutto di una società che vide nel breve arco di quattro decenni, la fine dell’esperienze giacobina, la Restaurazione e il ritorno all’ordine post napoleonico ma anche la Repubblica Romana del 1849 e la conseguente occupazione francese della città dal 1850 al 1866 e il ripristino del potere temporale della Chiesa con il pontificato di Pio IX Mastai-Ferretti. Come osservato da Roberto Valeriani «Pietro Paolo Spagna produsse una enorme quantità di argenti e bronzi di cui sarebbe arduo oltreché interminabile l’elenco» del quale «gli innumerevoli lavori rimasti confermano l’elegante eclettismo dell’artista a partire dalla Rosa d’oro (Fig. 4) del 1819 e dal reliquiario della Croce (Fig. 5) entrambe presso il Kaiserliche Schatzkammer di Vienna»27. Eclettismo che permette di assegnargli «alcuni dei disegni del fondo londinese in cui il gusto tutto romano per il classicismo si colora già di inflessioni neo rinascimentali e neo barocche»28 sebbene in molte opere, almeno fino agli ultimi anni Venti, si riscontrino ancora come determinati gli stilemi «caratterizzati da un certo gusto archeologico tipico del Neoclassico Impero»29.
Difficile datare con precisione la maggioranza delle opere prodotte visto che il marco utilizzato da Pietro Paolo, caratterizzato da una losanga schiacciata con le tre iniziali PPS e il numero 1 nella parte inferiore30, venne da lui utilizzato dal 1817 al 1861. A ciò non aiuta il bollo camerale impresso sulle lamine, che a Roma nel XVII e XVIII secolo veniva modificato a scadenza più o meno regolare ogni biennio, in quanto quello utilizzato nel periodo in esame, corrispondente al numero 17131, venne realizzato dopo la riforma voluta dal cardinal Bartolomeo Pacca (1756-1844), Camerlengo di Santa Romana Chiesa, e fu in vigore dal 1815 al 1870, allorquando venne abolito con l’annessione di Roma al Regno d’Italia32.
Uno studio più dettagliato delle opere di questo artefice permetterebbe di ricostruire quindi un percorso professionale estremamente articolato ad iniziare da alcune creazioni meglio documentate come la già citata Rosa d’oro del 1819 – alta cm 60–, dono di papa Pio VII Chiaramonti (1800-1823) all’Imperatrice d’Austria Carolina Augusta, che presenta sia il punzone di Pietro Paolo sia il bollo a cartiglio del padre GIUS. SPAGNA ROMA caratterizzando, quindi, un momento iniziale di una attività apparentemente non ancora totalmente autonoma. L’opera, frutto di commissione papale e utilizzata quale dono prestigioso, presenta nella parte superiore il tradizionale ramo fiorito di rose magistralmente realizzato in sottili lamine d’oro incise a bulino, mentre nella parte inferiore si riscontra un’anforetta, a volume schiacciato su alto piede scanalato, decorata con bassorilievi a foglie d’acanto, ovuli, gusci e baccellature tra due anse sottili e molto accentuate, impreziosite da due ghirlande a giorno realizzate con un raffinato lavoro di piccole foglie e boccioli. Una sofisticata soluzione decorativa che permette di accostare quest’opera al bel Calice Naro (Fig. 6), anch’esso in oro, che presenta su più parti il marco di Pietro Paolo, conservato presso il Tesoro della basilica papale di Santa Maria Maggiore a Roma, realizzato in occasione del giubileo del 1825 per il cardinal Benedetto Naro, arciprete liberiano33.
Accanto a queste opere troviamo soluzioni dall’estremo nitore compositivo tutto neoclassico più vicine alla produzione di Giuseppe Valadier dell’inizio del XIX secolo, come i poco noti Acquamanile e bacile (Fig. 7) della cattedrale di Cesena34 che presentano lo stemma del vescovo Francesco Saverio Castiglione, eletto nel 1829 pontefice romano con il nome di Pio VIII (1829-1830). L’acquamanile ha forma ad anforetta slanciata su alto piede con semplici decorazioni a palmette e foglie d’acanto e sottili festoni che si dipartono da piccole borchie e nastri, oltre ad una sottile ansa impreziosita da una rosetta che, così come le decorazioni, rimandano alla Rosa d’oro di Vienna. Nello stesso anno, il papa dal breve pontificato di pochi mesi, donò sempre al duomo di Cesena un bel Calice di Pio VIII (Fig. 8) in oro in riparazione di un esemplare dello stesso prezioso materiale, sacrificato per le requisizioni connesse con il Trattato di Tolentino35, come riportato nell’iscrizione del sottopiede, assieme allo stemma del pontefice regnante, PIUS VI P.O.M. TEMPLO PRINCIPI CAESENAE CALICEM AUREUM DEDIT. PIUS VIII P.M. PRAEDATUM PEC SUA RENOVAVIT PONT. S. AN. I. La decorazione di estremo nitore è caratterizzata da ovali all’interno dei quali sono i simboli della passione di Cristo fra tralci di vite e, nel sottocoppa, fasci di grano tra rami di gigli, mentre in più punti sono presenti piccole testine di cherubini.
Ma è soprattutto «nelle opere profane [tra le quali eccelle] il completamento di un servizio da tavola eseguito dall’orafo francese Martin-Guillaume Biennais per Paolina Bonaparte, ampliato poi con altri pezzi di invenzione nei quali abbandonati i prototipi impero, che lo Spagna si rifà agli stili del secolo passato riprendendo addirittura motivi del servizio Borghese di Luigi Valadier»36.
Tra i possibili esempi di manufatti prodotti da Pietro Paolo Spagna entro il terzo decennio del secolo, e che tuttavia affondano le radici nel gusto tardo settecentesco della tradizionale produzione dell’opificio Valadier, si può annoverare un bel rilievo di Antinoo Albani (Fig. 9) in argento su fondo di porfido verde antico come emblematico dei numerosi objets d’art realizzati in marmi rari – alabastri, porfidi e diaspri – e preziose pietre dure – lapislazzuli, onici, e ametiste – montate assieme a metalli preziosi e bronzi dorati che tanto successo riscossero nella raffinata e colta clientela di Luigi e quindi di Giuseppe Valadier. L’opera, da poco passata in asta ed oggi in collezione privata, misura cm 22 x 29,5, ed è costituita da una cornice, decorata a foglie d’alloro dal preciso lavoro di rifinitura dei dettagli a bulino, che funge da contenitore di una sottile lastra in marmo serpentino adesa ad un foglio di lavagna (Fig. 10) quale supporto, mentre una lastra d’argento ricopre il retro ove insistono otto bulloncini dello stesso metallo. Sul fronte è la figura di profilo dell’Antinoo Albani realizzata in argento (Fig. 11) e quindi rifinita con un attento lavoro di bulino per la definizione dei più minuti dettagli sia dei capelli e della ghirlanda sia del ramo di fiori che regge nella mano sinistra. Il punzone di Pietro Paolo Spagna ed il camerale numero 171 in uso nel periodo37 sono impressi su ognuno dei tre elementi metallici che costituiscono l’opera: la cornice, la lastra di fondo e la figura di Antinoo (Fig. 12). Il soggetto raffigurato, derivato da un rilievo marmoreo fu un clamoroso caso di scoperta archeologica dei primi del Settecento che divenne ben presto, a Roma e nel resto d’Europa, l’emblema del gusto antiquario più sofisticato e dal quale scaturì una vera “febbre culturale”38. L’opera fu rinvenuta in scavi a Villa Adriana nel 1733 come attestato da Carlo Fea, ed entrò quindi nella collezione dell’«eminentissimo cardinale Alessandro Albani»39 per collocarla, assieme a decine di altre sculture romane, nella sua villa fuori-porta sulla Via Salaria realizzata su ideazione dell’architetto Carlo Marchionni, coadiuvato dal pittore Anton Raphael Mengs e da Johann Joachim Winckelmann40. Le numerosissime opere della collezione del prelato vennero disposte nelle sale della villa Albani e l’Antinoo, come ideato da Marchionni e attestato da un disegno dello stesso architetto, venne collocato sopra un camino, ove è ancora oggi posizionato, entro un’elaborata cornice in stucco dorato (Fig. 13).
Il rilievo marmoreo, ancora mutilo delle dita della mano destra mentre la sinistra è fratturata al polso, è documentato nel 1736 grazie ad una incisione a stampa nel volume Collectanea antiquitatum Romanarum di Ridolfino Venuti con le tavole di Antonio Borioni41 (Fig. 14). Il marmo venne dunque successivamente restaurato con il completamento delle parti mancanti, così come la intera collezione del cardinal Alessandro Albani da parte di Bartolomeo Cavaceppi42. Il rilievo fu quindi pubblicato nel 1767 nel noto volume Monumenti antichi inediti spiegati ed illustrati di Winckelmann (Fig. 15), il quale considerava tale opera una delle massime espressioni del Bello di età Classica suscitando un enorme clamore attorno al ritratto del giovanetto. L’incisione a stampa di Antinoo è l’unica dell’intero volume ad essere firmata da Nicolas Mosmann per il disegno, e da Niccolò Mogalli per l’incisione. Una immagine, considerata l’importanza dell’opera, determinante per la pubblicazione del volume al punto da causarne il ritardo della stampa, come si evince da una lettera dello stesso Winckelmann datata al marzo 1767 “L’opera [intendendo il volume] non sarà terminata prima di aprile e uno dei motivi del ritardo è il bel busto di Antinoo nella villa del Cardinale che viene inciso tutto a bulino in base a un disegno che mi è costato sei zecchini ed è giunto appena oltre la metà”43. L’anno successivo – 1768 – Anton von Maron nel dipingere il celebre Ritratto di Johann Joachim Winckelmann (Weimar, Residenzschloß) (Fig. 16) raffigurò lo studioso in abito da camera e turbante intento a scrivere la descrizione dell’Antinoo Albani osservando la stampa appositamente realizzata per il suo volume44.
Il rilievo dell’Antinoo Albani era già stato raffigurato con altrettanto risalto alcuni anni prima – 1760-65 – da Pompeo Batoni nel Ritratto di gentiluomo (New York, Metropolitan Museum) (Fig. 17); nel dipinto, l’anonimo colto personaggio è nel suo studio nel gesto di mostrare il rilievo marmoreo del giovanetto greco appoggiato su un tavolo accanto ad una riproduzione dell’Athena di Velletri tra preziosi volumi ed un astrolabio. È probabilmente degli stessi anni l’incisione del profilo dell’Antinoo Albani in cristallo di rocca (Fig. 18), per soddisfare la richiesta di un Grand Tourist, ad opera di Giovanni Pichler, celebre incisore di pietre dure e cammei, in stretti rapporti di amicizia con Johann Wolfgang von Goethe e Bertel Thorvaldsen45. Ancora nel XIX secolo l’altorilievo marmoreo attirava una enorme curiosità al punto da venire immortalato in una foto all’albumina d’argento nel 1860 (circa) dallo scozzese Robert Turnbull Macpherson (Fig. 19) che venne riprodotta in centinaia di copie; entusiastico era il commento del rilievo da parte di Wolfgang Helbig – dal quale abbiano inoltre una dettagliata descrizione delle parti non originali – nella Führer durch die Öffentlichen Sammlungen Klassischer Altertümer in Rom (Guida alle collezioni pubbliche di antichità classiche a Roma) del 1891. L’autore nel descrivere l’opera riferisce infatti che del rilievo fu «restaurato il pollice, indice e medio della mano destra, quasi tutta la mano sinistra con la corona e la fascia più bassa del corpo coperta dalla veste. Poiché un nastro è sopravvissuto sopra il pezzo antico della mano, il restauratore sembra aver adeguatamente completato questa mano con una ghirlanda; ma questo è di scarso aiuto per la spiegazione, perché non sappiamo nemmeno se Antinoo fosse raffigurato da solo nel rilievo o raggruppato con una o più altre figure. Il rilievo è una delle migliori sculture sopravvissute di epoca adrianea e rivela in modo più significativo i pregi e i difetti della plastica dell’epoca. Le forme del corpo e il carattere spirituale che erano propri di Antinoo sono riprodotti in modo superbo. L’esecuzione è minuziosa ed elegante, ma priva di freschezza»46.
L’Antinoo Albani d’argento di Pietro Paolo Spagna, qui esaminato, quale riproduzione in scala di un vero oggetto di culto ben si inserisce tra le creazioni Valadier, per molta parte destinate ai Grand Tourists, per i quali venivano riprodotti in dimensioni minori i capolavori dell’età classica. Basti come esempio, tra i molti possibili, il caso dei bronzetti realizzati per re Gustavo III di Svezia tra il 1778 ed il 1784 da parte di Luigi Valadier, ancora oggi appartenenti alle Collezioni Reali e al Museo Nazionale di Stoccolma, raffiguranti, tra i numerosi casi possibili, lo Spinario, l’Ares Ludovisi, il Gladiatore Borghese o l’Amazzone ferita Mattei47. Non mancavano, inoltre, tra le creazioni Valadier, oltre a bassorilievi di gusto antiquario di piccole dimensioni a forma quadrata o ovale racchiusi da cornici, raffigurazioni di carattere religioso o ritratti papali. Ne abbiamo riscontro esaminando sia il già citato Registro Generale del 1810 che una seconda fonte di grande interesse: un volumetto di 180 pagine dal titolo Catalogo di diversi lavori, ed opere di varj generi del NEGOZIO VALADIER in Roma presso il teatro ALIBERTI divisi in premi da estrarsi per lotteria48. Si tratta di un lungo elenco di manufatti e incisioni – circa 30000 – messi in asta da Giuseppe Valadier nel gennaio 1792, al fine di risanare le casse dell’opificio il cui dissesto economico fu la causa del suicidio del padre Luigi. Numerosi gli esempi di bassorilievi in argento, in rame o bronzo dorato, con cornici sempre in metallo o in legno, tutti accompagnati dalle dimensioni, molti dei quali a carattere religioso. Ne troviamo venti in questo elenco di fine Settecento49 come «un bassorilievo di bronzo con patina color di rame rappresentante la fucina di Vulcano in forma ottagonale, con sua cornice riquadrata di legno intagliata e dorata a oro buono palmi 1,5 [cm 11,11]» oppure «un bassorilievo di bronzo con patina all’uso antico rappresentante una Venere sopra un mostro marino, con amorini in aria, con sua cornice di legno intagliata e dorata ad oro buono palmi 2,5×1,5 [cm 18,5×11] »; sono dodici di esemplari elencati nel Registro Generale50 come «una cornice quadrilunga di legno dorato con bassorilievo di una Venere di bronzo patinato [ma anche] una cornice simile più piccola con bassorilievo della Sacra Famiglia di bronzo patinato [e ancora] una cornice simile più piccola con bassorilievo di una Madonna». Altre creazioni sono caratterizzate da figure in metallo dorato o argento su fondi in altro materiale per esaltare la preziosità dell’opera come marmi colorati o pietre dure, specie il porfido o il lapislazzuli, ma anche marmo bianco o, in rari casi, il cristallo colorato come nei venti esemplari elencati nel Catalogo di diversi lavori51 «due bassorilievi di bronzo dorato cioè una figura delle danzatici prese dall’Ercolano con fondi di marmo bianco, e sue cornici di legno scorniciate, palmi 2,13×1,58 [cm 15,78×11,70]» oppure «una cornice ovata di bronzo dorato, e suo cappio sopra intagliata a più ordini d’intaglio, il suo campo è turchino con cristallo, sul quale vi è una testa in profilo di Galba d’argento, palmi 1,5 [cm 11,11) »; di minore entità il numero di manufatti di tale tipologia presenti nel Registro Generale del 1810 come «una cornice ovale di metallo cisellata con capio fondo di Cristallo [con] testa di Cesare in bassorilievo d’argento e la cornice dorata, e figura di metallo dorato»52.
Non mancano, inoltre, sebbene in numero esiguo, opere in altri materiali come «un bassorilievo di avorio ovale, rappresentante Diana ed Endimione, con sua cornice di bronzo dorato ed attaccaglia simile» o «un bassorilievo di avorio ovale, rappresentante la testa di Tiberio», oppure «un bassorilievo in pasta a guisa di porfido rosso di un Centauro, preso da gemma antica, con sua cornice di bronzo dorato, e sua attaccaglia simile» accanto a «un bassorilievo tondo d’alabastro rappresentante una Livia sopra a fondo d’alabastro color di ametista, con cornice di bronzo dorato»53.
Nel Registro Generale troviamo inoltre un piccolo ma significativo gruppo di cammei come ad esempio «Una cornice ovata con cameo di Rosso antico di un Centauro» oppure «Una cornice tonda di metallo dorato con cameo di una Vestale» ed ancora «Una cornice ovale di metallo dorato con cameo d’avorio di un Cesare»54.
Tornando all’Antinoo Albani di Pietro Paolo Spagna, non si rintraccia menzione di raffigurazioni del giovanetto nel Catalogo di diversi lavori, sebben non sia da escludere la realizzazione di manufatti di tale soggetto all’interno dell’opificio Valadier prima della data 1792, vista la notorietà del bassorilievo marmoreo e l’uso di realizzare opere in scala in metallo o metallo prezioso da sculture famose. Viceversa, nel Registro generale di tutti li lavori ferri ordegni ed’altri generi necessari per le professioni per ben nove volte viene citato Antinoo in riferimento a dieci diversi manufatti che lo raffigurano. In quattro casi si fa riferimento al «L’Antino del Moseo al naturale» e all’«Antino di Campidoglio», dei quali nel primo si precisa, tra parentesi, il materiale – gesso – intendendo che tale specifica va estesa a tutto il gruppo, mentre nel caso del «Busto dell’Antino di Firenze» si cita espressamente che si tratta di un «modello di legno»55. Ben più rilevanti altri quattro esempi con l’indicazione dei materiali con i quali le opere elencate furono realizzate che, così come i precedenti, sono tutte da riferirsi a modelli per fusioni di metalli come una «Figura di Cera d’Antino», un «Bustino d’Antino sotto forma di Bacco (bassorilievo di gesso)» e ancora «Bustino d’Antino (n. 2 modelli di legno)»56. Di assoluta importanza ai fini di questo studio sono due attestazioni, sempre del Registro generale, nelle quali si potrebbero riconoscere i prototipi per le fusioni di raffigurazione del giovanetto greco, infatti, nella precisa descrizione dei locali ove erano conservate centinaia di opere, e più precisamente nella «Facciata / della parte dell’ingresso / Attacati al Muro sonovi li Seguenti / Bassorilievi di Gesso» è elencato per primo il «Bassorilievo quadrilungo di Villa Albani» così anche un secondo esemplare, sempre tra le opere affisse ai muri è annoverato un «Ovale Grande, L’Antino di Villa Albani»57. È da questi modelli inventariati nel 1810 per volontà di Giuseppe Valadier e più in particolare dal primo esemplare che probabilmente si ricavarono le cere per fusioni in scala del celebre rilievo marmoreo. Ne abbiamo una possibile conferma in due esemplari dell’Antinoo Albani apparsi in asta negli scorsi anni. Si tratta, nel primo caso, di una versione in bronzo dorato racchiusa in una cornice dello stesso materiale58 mentre nel secondo caso, già in collezione Bulgari (Fig. 20)59, si tratta di un esemplare in argento, sul quale sono presenti i punzoni di Pietro Paolo Spagna, ed il camerale racchiuso in una cornice in bronzo dorato. È quindi a questi due esempi, caratterizzati da una attenta fusione e un altrettanto preciso lavoro di bulino per le rifiniture che si può aggiunge il terzo esemplare, qui in esame, in argento su marmo serpentino antico. I tre manufatti presentano dimensioni pressoché identiche sia per il profilo quadrilungo sia per quanto riguarda la figura di Antinoo – cm 17 x 14.5 – al punto da poter affermare che siano ricavati da una unica matrice sebbene, nel caso in esame, questa sia stata utilizzata per realizzare la sola figura del giovanetto. In quest’ultimo caso, grazie all’osservazione del retro durante le operazioni di restauro, è stato possibile evidenziare che la figura in argento fu realizzata con la tecnica a cera persa indiretta con un unico getto di colata (Fig. 21), di notevole spessore e peso, il che motiva il perfetto stato di conservazione dei volumi del rilievo privo di deformazioni e ammaccature. Inoltre, il taglio netto lungo il profilo della figura permette di attestare che la cera per la fusione fu ricavata da una matrice di dimensioni maggiori, comprendente una lastra di fondo, come nelle versioni in bronzo e Bulgari, in questo caso appositamente tagliata sui bordi.
Tale esemplare dell’Antinoo Albani, in argento e marmo serpentino antico, attesta quindi appieno come le opere prodotte dal terzo decennio del XIX secolo da Pietro Paolo Spagna, quando ereditò dal padre l’opificio in via del Babuino 89 che era stato dello zio Giuseppe Valadier, siano da considerarsi senza soluzione di continuità il risultato di creazioni nel solco di Luigi Valadier.
Un atelier che vide in Pietro Paolo “la terza generazione” di maestri argentieri e imprenditori attenti a soddisfare, sempre al passo con i tempi, le richieste di una sofisticata clientela grazie a creazioni che inizialmente, con Luigi Valadier, mostrano gli esiti più alti del rococò romano modulato su stilemi francesi, quindi con Giuseppe, attestano il più puro linguaggio neoclassico dalle linee sobrie ed essenziali e infine, con Pietro Paolo, illustrano lo sfaccettato ecclettismo del ritorno all’Ancien Régime. Un artefice, quest’ultimo, che da attento protagonista del suo mondo sperimentò, inoltre, nuove strade60 con opere quali, il già citato, Reliquiario della Croce dono di papa Pio VII all’imperatore Francesco I d’Austria, realizzato tra il 1817 – anno della patente di argentiere – e il 1824 – anno di morte del pontefice –. Un manufatto nel quale ad alcune parti in argento dorato vennero accostati elementi nel lucido e freddo acciaio specchiante, seguendo la coeva moda inglese o tedesca dell’uso di nuovi metalli in oreficeria e argenteria, così come alcuni anni più tardi farà Alessandro Castellani, membro della celebre famiglia di orafi romani, con le prime creazioni italiane con l’alluminio61, da poco “scoperto” e di gran moda nella Parigi imperiale di Napoleone III.
- C. Bulgari, Argentieri Gemmari e Orafi di Roma, Roma 1959. [↩]
- A. Calissoni Bulgari, Maestri argentieri gemmari e orafi di Roma, Roma 1987. [↩]
- J. Montagu, Antonio Arrighi. A silversmith and bronze founder in Baroque Rome, Todi 2009. [↩]
- The Art of the Valadiers, a cura di T. L. M. Vale, Torino 2017. [↩]
- F. Leone, Una Raccolta di Disegni Diversi. L’Album Valadier della Pinacoteca Comunale di Faenza. Il catalogo dei disegni, in Valadier. Splendore nella Roma del Settecento, a cura di G. Leardi, Milano 2019, pp. 69-183. [↩]
- I Valadier. L’Album di disegni del Museo Napoleonico, a cura di A. González-Palacios, Roma 2015. A queste raccolte si deve aggiungere un ulteriore gruppo di disegni già di proprietà della Artemis Fine Arts di Londra e presentato nell’esposizione dal titolo Valadier. Three generations of Roman goldsmiths; an exhibition of drawings and works of art, Londra 1991. [↩]
- S. Guido, L’ultimo Valadier: il fonte battesimale della Basilica di Santa Maria Maggiore e annotazioni sulla «Custodia della Sacra Culla», in “OADI – Rivista dell’Osservatorio delle Arti Decorative in Italia”, 21, 2020, pp.139-158. http://oadiriv.unipa.it/?page_id=3845 [↩]
- Per una migliore esamina di tale opera, grazie a raffronti con altre opere dello stesso autore, per ragioni di brevità, si rimanda a un apposito scritto in corso di stampa. [↩]
- A. Calissoni Bulgari, Maestri …,1987, p. 413; punzone numero 1018. [↩]
- Idem, p. 413-414. [↩]
- Idem, p. 101; punzone numero 277. [↩]
- Idem, p. 413; punzone numero 1017 e 1017a. [↩]
- J. Montagu, The Practice of Roman Baroque Silver Sculpture, in “The Silver Society Journal”, 12, 2000, pp. 18-25. [↩]
- The Art of …, 2017, p. 258-261. [↩]
- A. Calissoni Bulgari, Maestri …,1987, p. 413. [↩]
- La bibliografia sull’attività dei Valadier è particolarmente estesa. Per ragioni di brevità i dati qui espressi sono desunti da A. Bulgari Calissoni, Maestri …, 1987, pp. 427-429. [↩]
- Giovanni registra un suo marco caratterizzato dalle iniziali GV sormontato da un giglio di Francia noto in due varianti, classificate con i numeri 1053 e 1054. I figli proseguirono l’attività paterna; è noto il marco depositato dal primigenio, Filippo, attivo dal 1804 alla rinuncia nel 1814. A. Calissoni Bulgari, Maestri …,1987, pp. 428-429. [↩]
- A. Calissoni Bulgari, Maestri …,1987, p. 428. [↩]
- Circa Giuseppe Valadier continuatore della produzione paterna si rimanda a J. Winter, Giuseppe Valadier, nota biografica, in L’Oro di Valadier. Un genio nella Roma del Settecento, catalogo della mostra a cura di A. Gonzales-Palacios, Roma 1997, 243-245. [↩]
- Giuseppe Valadier già nel 1721 pagò 21 scudi per la patente di Ercole; C. Bulgari, Argentieri …, 1959, I, p. 421. [↩]
- Circa la figura di Paolo Spagna e alla sua attività di successo si rimanda a A. Calissoni Bulgari, Maestri …,1987, p. 400. [↩]
- A. Calissoni Bulgari, Maestri …,1987, pp. 400-401. Il punzone paterno è numerato 984; quello in uso inizialmente da Giuseppe è 982 mentre il bollo a cartiglio è numerato 982b. La studiosa ha identificato inoltre altri due punzoni numerandoli 983 e 983b. [↩]
- S. Guido, L’ultimo Valadier …, 2020, pp.139-158 http://oadiriv.unipa.it/?page_id=3845 [↩]
- A. Nibby, Roma nell’anno MDCCCXXXVIII, 4 voll., Roma 1838-1841, p. 988. [↩]
- R. Valeriani, “Gli Spagna. La fine della bottega”, in L’oro di Valadier. Un genio nella Roma del Settecento, catalogo della mostra a cura di A. González-Palacios, Roma 1997, pp.246-250, in particolare p. 248. [↩]
- Il testo integrale è recentemente pubblicato da parte in The Art of …, Torino 2017, pp. 125-253; il titolo originale presenta delle abbreviazioni che della trascrizione qui presentata sono state sciolte. [↩]
- R. Valeriani, “Gli Spagna …, 1997, p. 248. L’opera è parte delle collezioni del Kunsthistorisches Museum Vienna, Tesoro secolare. [↩]
- Ibidem; in particolare ci si riferisce al gruppo di disegni esposti a Londra nel 1991; vedi nota 6. [↩]
- F. Faranda, Argentieri e argenteria sacra in Romagna dal medioevo al XVIII secolo, Rimini 1990, p. 134. [↩]
- A. Calissoni Bulgari, Maestri …,1987, p. 401. [↩]
- A. Calissoni Bulgari, Maestri …,1987, p. 57. Il marco presenta l’immagine delle chiavi decussate sormontate della tiara a sostituire, dopo secoli di utilizzo, la tradizionale immagine dell’ombrellino. [↩]
- V. Argentieri …, 1987, p. 57. [↩]
- M. Andaloro, Calice, Scheda 205, in Tesori d’arte sacra di Roma e del Lazio dal Medioevo all’Ottocento, Catalogo della mostra a cura di M. Andaloro, Roma 1975, p. 91, tav. C; S. Guido, L’ultimo Valadier…, 2020, pp.139-158. [↩]
- F. Faranda, Argentieri …, 1990, p. 240, scheda 215. [↩]
- Idem, pp. 134-135; p. 240, scheda 216. [↩]
- R. Valeriani, “Gli Spagna…, 1997, p. 248. [↩]
- Vedi nota 33. [↩]
- F. Haskell – N. Penny, Taste and the Antique: The Lure of the Classical Sculpture 1500-1900, New-haven-Londra, 1994, p. 170-172, no. 76; si veda inoltre: Antinoo. Il fascino della bellezza, catalogo della mostra a cura di M. Sapelli Ragni, Milano 2012. [↩]
- C. Fea, Miscellanea filologica critica e antiquaria, stamperia Pagliarini, Roma 1790, I, p. 143 n. 51. [↩]
- L. Gallo, Collezionare ed esporre l’Antico a Roma nel Settecento. Un caso: la villa di Alessandro Albani sulla via Salaria, in Possedimenti. Trafugamenti e falsi di antichità a Paestum, catalogo della mostra a cura di G. Zuchtriegel, Napoli 2016, pp. 17-23. [↩]
- R. Venuti, Collectanea antiquitatum Romanarum: quas centum tabulis aeneis incisas et a Rodulphino Venuti Academico Etrusco Cortonensi notis illustratas exhibet Antonius Borioni, S.l., 1736. [↩]
- L. Gallo, Collezionare …, 2016, pp. 17-23. [↩]
- J.J. Winckelmann (1717-1768) Monumenti antichi inediti. Storia di un’opera illustrata, catalogo della mostra a cura di S. Ferrari e N. Ossanna Cavadini, Milano 2017, pp. 64-66. [↩]
- È da segnale che dieci anni più tardi – 1778 – su ideazione di Anton Raphael Mengs ed in base ad un disegno del cognato von Maron, Luigi Valadier fuse in bronzo il busto ritratto di Winckelmann. La fusione fu possibile grazie al modello in cera realizzato da Friedrich Döll; R. SPLITTER, Busto ritratto di Johann Joachim Winckelmann, scheda 51, in Valadier. Splendore …, 2019, pp. 312-313. [↩]
- M. Toscano, Pichler, in “Dizionario Biografico degli Italiani”, 83, Roma 2015, pp. 244-247. [↩]
- W. Helbig, Führer durch die Öffentlichen Sammlungen Klassischer Altertümer in Rom, Lipsia 1891, pp. 42-43. https://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/helbig1891bd2/0012/scroll [↩]
- C. Teolato, La bottega di Luigi Valadier: le fusioni in bronzo, in Valadier, Splendore …, 2019 pp. 47-59; 314-328. [↩]
- Catalogo di diversi lavori, ed opere di varj generi del NEGOZIO VALADIER in Roma presso il teatro ALIBERTI divisi in premi da estrarsi per lotteria, I Lazzarini, Roma 1792.
http://iconos-biasa.librari.beniculturali.it/RariRoma/Libri/RRD543.pdf [↩]
- Catalogo di diversi lavori…, 1792, s.n.p.
(Qui l’elenco dei manufatti con il numero progressivo del testo)
16 – bassorilievo di bronzo dorato rappresentante il presepe di NS in forma ovale con cornice di ebano … con sua attaccaglia ornata di bronzo dorato…palmi 2,25 x 2,25 [cm 16,67×16,67]
43 – un bassorilievo di bronzo rappresentante l’adorazione del S. Bambino con patina color di bronzo con sua cornice di legno scorniciata e dorata ad oro buono palmi 1,5 x 1,13 [11,11×8,37]
46 – un bassorilievo rappresentante l’assunzione di Maria SS.ma bronzo dorato in tondo, con sua cornice di legno scorniciata e intagliata palmi 1,5 [11,11] – un bassorilievo di bronzo dorato rappresentante la SS.ma trinità tondo, con sua cornice di legno scorniciata e intagliata palmi 1,5 [11,11]
50 – un bassorilievo di bronzo con patina color di rame rappresentante la fucina di Vulcano in forma ottagonale, con sua cornice riquadrata di legno intagliata e dorata a oro buono palmi 1,5 [11,11]
70 – una cornice di bronzo dorato, modello di Salvator Rosa … sopra il quale vi è in bassorilievo dorato ad uso di Francia un Tritone con sua conchiglia, e suo cappio sopra la cornice di bronzo pur dorato palmi 1,25 [9,26]
10019 – un bassorilievo di bronzo con patina all’uso antico rappresentante una Venere sopra un mostro marino, con amorini in aria, con sua cornice di legno intagliata e dorata ad oro buono palmi 2,5×1,5 [18,5×11,1]
10031 – un bassorilievo di bronzo dorato rappresentante la Madonna e l’S. Bambino con angeli, color di rame, e sua cornice di legno e dorata ad oro buono palmi 2,25×1,75
10043 – un bassorilievo di bronzo con patina color di rame rappresentante il martirio di S.Andrea copiato dall’originale a fresco del Domenichino con molte figure, e sua cornice di legno intagliata dorata ad oro buono intagliata palmi 2×1,66
10054 – un bassorilievo di bronzo con patina color di rame rappresentante la Madonna, Bambino e S. Giovanni con sua cornice di legno intagliata dorata ad oro buono intagliata palmi 1,13
10057 – due bassorilievi di bronzo con patina all’uso antico tondi, con cornici simili tutte lavorate, rappresentante varii putti copiati dal Vaso del Fiamingo di diametro palmi 0,75
10061 – un bassorilievo di bronzo con patina color di rame rappresentante la Madonna, Bambino, S. Giuseppe e S. Giovanni con sua cornice di legno intagliata dorata ad oro buono intagliata palmi 1,5×1,33
10071 – un bassorilievo di argento ovale rappresentante Ercole che rende Alcestide ad Admeto, con sua cornice di legno intagliata dorata ad oro buono alta palmi 1
10072 – un bassorilievo di argento ovale, copiato da una pittura dell’Ercolano creduta, rappresentante l’educazione di Nettuno, con cornice di legno intagliata dorata ad oro buono alta palmi 1
10112 – un bassorilievo di argento rappresentante S. Francesco Saverio, con cornice ovata di bronzo dorato, e sua attaccaglia simile
10113 – un bassorilievo di argento rappresentante S. Francesco Borgia, con cornice ovata di bronzo dorato, e sua attaccaglia simile
20030 – un bassorilievo di bronzo tondo con patina color di rame copiato dal Presepe di Angelo de Rossi con sua cornice di legno quadrata, scorniciata, intagliata dorata ad oro buono longo palmi 2,5
20062 – un bassorilievo di bronzo con patina color di rame rappresentante la Madonna, Bambino, S. Giuseppe e S. Giovanni con sua cornice di legno intagliata dorata ad oro buono intagliata palmi 1,5×1,33
20137 – un bassorilievo di argento rappresentante S. Ignazio, a mezza figura ovale, con sua cornice di bronzo dorato. [↩]
- Registro Generale
pag. 152 – Una cornice quadra di legno dorato con bassorilievo tondo del presepio di metallo patinato
Una cornice simile più piccola con bassorilievo ottangolo di metallo patinato
Una cornice quadrilunga di legno dorato con bassorilievo di una Venere di bronzo patinato
Una cornice simile più piccola con bassorilievo della Sacra Famiglia di bronzo patinato
Una cornice simile più piccola con bassorilievo di una Madonna
pag. 156 – due cornici di legno dorato con bassorilievi tondi di rame dorato
due cornici quadre più piccole di legno dorato con bassorilievi d’argento di varie figure
pag. 157 – una cornice quadrilunga di legno dorato con bassorilievo del presepio di metallo dorato
una cornice più piccola di legno dorato con bassorilievo della sacra Famiglia di bronzo patinato
pag. 158 – una cornice di legno dorato quadra con bassorilievo della sacra Famiglia di metallo patinato
una cornice di legno dorato con bassorilievo del martirio di S. Andrea di bronzo patinata. [↩]
- Catalogo di diversi lavori…, 1792, s.n.p.:
7 – due bassorilievi di bronzo dorato cioè una figura delle danzatici prese dall’Ercolano con fondi di marmo bianco, e sue cornici di legno scorniciate, palmi 2,13×1,58 [cm15,78×11,70]
19 – due bassorilievi rappresentanti due altre delle suddette figure nel medesimo modo
97 – una cornice ovata di bronzo dorato, e suo cappio sopra intagliata a più ordini d’intaglio, il suo campo è turchino con cristallo, sul quale vi è una testa in profilo di Galba d’argento, palmi 1,5 [cm11,11]
10026 – un bassorilievo di bronzo dorato con fondo di porfido rosso in tondo rappresentante un centauro con altra figura copiata dalle pitture d’Ercolano, e sua cornice di legno intagliata e dorata ad oro buono palmi 1,75 [cm12,9]
10027 – un bassorilievo di bronzo dorato con fondo di porfido rosso, come sopra, rappresentante altro centauro pur dalle pitture d’Ercolano, con cornice di legno indorata come sopra
10028 – un bassorilievo di bronzo dorato con fondo di porfido rosso, come sopra, rappresentante due figure danzanti pur d’Ercolano, con cornice di legno indorata e della stessa misura
10035 – un bassorilievo di bronzo dorato con fondo di porfido rosso rappresentante una delle Danzanti d’Ercolano, con cornice di legno dorata ad oro buono intagliata palmi 1,75 [cm 2,9]
10093 – un bassorilievo di argento rappresentante la musa Melpomene dell’Ercolano, con fondo di marmo nero, e sua cornice di legno intagliata dorata alta palmi 1,25
10123 – una cornice ovale di bronzo dorato con suo cappio simile, con fondo turchino e suo cristallo, sul quale vi è una testa in bassorilievo di argento di Tiberio Imperatore alta in tutto palmi 0,5
10123 – una cornice ovale di bronzo dorato con suo cappio simile, con fondo turchino e suo cristallo, e testa sopra in argento di Ottone Imperatore riportata, alta in tutto palmi 0,5
10124 – una cornice ovale di bronzo dorato con sua attaccaglia simile, e testa nel mezzo in bassorilievo dell’apollo di Belvedere il tutto dorato ad uso di Francia, con fondo turchino e suo cristallo, alta in tutto palmi 0,66
20019 – due bassorilievi di bronzo dorato copiati dalle danzatici delle pitture dell’Ercolano con fondi di marmo bianco, e lor cornici di legno intagliata e dorata ad oro buono palmi 2,13×1,58
20020 – due bassorilievi di bronzo dorato con fondi di marmo bianco di due delle suddette danzatici con cornice simile e misura uguale
20021 – due bassorilievi di bronzo dorato con fondi di marmo bianco di due delle suddette danzatici con cornice simile e misura uguale
20022 – due bassorilievi di bronzo dorato con fondi di marmo bianco di due altre danzatici con cornice simile e misura uguale
20036 – un bassorilievo in oro rappresentante la Crocefissione di Gesù con cornice di bronzo dorata ad uso di Francia e fondi di lapislazzuli e suo cappietto sopra
20056 – un bassorilievo preso dall’antico con n. 6 figure dorate all’uso di Francia con fondo di marmo bianco, con sua cornice di legno intagliata dorata ad oro buono longo palmi 2
20072 – una miniatura sopra un ovato di lapislazzuli rappresentante l’Ascensione di NS con cornice di bronzo dorato, e sua attaccaglia simile
20074 – una cornice di bronzo scorniciata, intagliata, dorata, con fondo turchino, con cristallo, sul quale una Venere in bronzo dorata in bassorilievo, sopra la cornice il cappio pur dorato, alta in tutto palmi 1,25
20118 – due bassorilievi tondi di bronzo dorato ad uso di Francia rappresentanti due centauri delle pitture dell’Ercolano con fondi di marmo bianco, e sue cornici di bronzo dorato, e attaccaglie simili, di diametro palmi 0,75
20134 – una miniatura a olio sopra il fondo di diaspro sanguigno rappresentante la decollazione di S. Giovanni, con cornice di bronzo dorato, e sua attaccaglia simile. [↩]
- Registro Generale…, 1810,
pag. 152 – Una cornice quadra di legno dorato con bassorilievo tondo del presepio di metallo patinato
Una cornice simile più piccola con bassorilievo ottangolo di metallo patinato
Una cornice quadrilunga di legno dorato con bassorilievo di una Venere di bronzo patinato
Una cornice simile più piccola con bassorilievo della Sacra Famiglia di bronzo patinato
Una cornice simile più piccola con bassorilievo di una Madonna
pag. 156 – due cornici di legno dorato con bassorilievi tondi di rame dorato
due cornici quadre più piccole di legno dorato con bassorilievi d’argento di varie figure
pag. 157 – una cornice quadrilunga di legno dorato con bassorilievo del presepio di metallo dorato
una cornice più piccola di legno dorato con bassorilievo della sacra Famiglia di bronzo patinato
pag. 158 – una cornice di legno dorato quadra con bassorilievo della sacra Famiglia di metallo patinato
una cornice di legno dorato con bassorilievo del martirio di S. Andrea di bronzo patinata (sembra la stessa del n. 10043 Lotteria). [↩]
- Catalogo di diversi lavori…, 1792, s.n.p.:
155 un bassorilievo in pasta a guisa di porfido rosso di un Centauro, preso da gemma antica, con sua cornice di bronzo dorato, e sua attaccaglia simile
162 un bassorilievo tondo d’alabastro rappresentante una Livia sopra a fondo d’alabastro color di ametista, con cornice di bronzo dorato, e sua attaccaglia
182 un bassorilievo in pietra bianca, sopra al fondo nero rappresentante la SM di Papa Urbano VIII, con sua cornice di bronzo dorato, e sua attaccaglia
20135 una miniatura a olio rappresentante il martirio di S. Agata, con cornice di bronzo dorato, e sua attaccaglia simile
20137 un bassorilievo di avorio ovale, rappresentante Diana ed Endimione, con sua cornice di bronzo dorato ed attaccaglia simile
20166 un bassorilievo di avorio ovale, rappresentante la testa di Tiberio, con sua cornice di bronzo dorato ed attaccaglia simile. [↩]
- Registro generale…, 1810, p. 57 – Una cornice di metallo dorato con cappio ovale con retratto di Pio VI in cameo fondo rosso e testa bianca; Una cornice ovale di metallo dorato con cameo d’avorio di un Cesare; Una cornice ovata di metallo dorato con cameo fondo nero testa bianca di Urbano VIII (sembra la stessa del n. 182 Lotteria); Una cornice ovata con cameo di Rosso antico di un Centauro.
Pag. 58 – una cornicetta ovata con retratto di Pio VI in smalto, di metallo dorato; Una cornice tonda di metallo dorato con cameo di una Vestale.
pag. 126 – una cornice di rame dorata grande con vari riporti d’argento con bassorilievo di una Madonna fondo di pietra nera figura di marmo. [↩]
- Registro generale…, 1810, p.292 – (gesso) L’Antino del Moseo al naturale; Antino di Campidoglio; Antino del Moseo grande; Antino del Moseo più piccolo; p. 307 – Busto dell’Antino di Firenze (modello di legno). [↩]
- Registro generale…, 1810, p. 2 – Figura di Cera d’Antino; p. 302 – Bustino d’Antino sotto forma di Bacco (bassorilievo di gesso); p 304 – Bustino d’Antino (n. 2 modelli di legno). [↩]
- Registro generale…, 1810, p. 301: Detto Ovale Grande, l’Antino di Villa Albani (bassorilievo di gesso); p. 293 (gesso) Bassorilievo quadrilungo di Villa Albani. [↩]
- Il rilievo è passato in asta a Parigi, Sotheby’s, il 18 Ottobre 2006, Lotto 103. Foto in https://www.sothebys.com/en/auctions/ecatalogue/2006/important-furniture-works-of-art-and-interiors-views-pf6009/lot.103.html. [↩]
- Il rilevo è passato in asta Londra presso Sotheby’s, il 10 Novembre 2015, lotto 9. [↩]
- R. Valeriani, Neoclassicismo, in E. Colle – A. Griseri – R. Valeriani, Bronzi decorativi in Italia. Bronzisti e fonditori italiani dal Seicento all’Ottocento, Milano 2001, pp. 175-211, particolare p. 206, nota 71 a p. 211. [↩]
- S. Guido, Un tagliacarte di Alessandro Castellani su disegno di Michelangelo Caetani e l’utilizzo in oreficeria di un nuovo prezioso metallo: l’alluminio, in “OADI. Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, 20, Palermo 2019, pp. 111-134. http://oadiriv.unipa.it/?page_id=3635. [↩]