Salvatore Tornatore

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Altari neoclassici a Palermo: lettura iconografica tra teologia e arte

DOI: 10.7431/RIV06082012

Con l’avvento del Neoclassicismo in Sicilia si assiste nelle chiese di Palermo a un rinnovamento degli altari maggiori (e di molti altri arredi sacri quali candelieri, pulpiti, amboni, sedi del celebrante) che sostituiscono quelli barocchi e rococò, caratterizzati da marmi mischi, gradini e specchi, statue di angeli ed elementi decorativi rocaille1. Tale operazione trova giustificazioni non solo estetiche ma anche liturgiche poiché l’altare rappresenta il Signore Gesù: «Sull’ara viene perpetuato nel mistero, lungo il corso dei secoli, il sacrificio della croce, fino alla venuta di Cristo. A quella mensa si riuniscono i figli della Chiesa, per rendere grazie a Dio e ricevere il corpo e sangue del Suo Figlio»2.«Gli antichi Padri della Chiesa, meditando la Parola di Dio, non esitarono ad affermare che Cristo era stato vittima, sacerdote ed altare del suo stesso sacrificio. Infatti nell’epistola agli Ebrei Egli viene presentato come Sommo Sacerdote ed insieme come Altare vivo del Tempio celeste»3

Dall’ultimo quarto del Settecento si assiste in area siciliana, e in particolare palermitana, a un periodo di intense sperimentazioni culturali grazie agli studi antiquari del principe di Torremuzza, Lancillotto Castelli e di monsignor Alfonso Airoldi, e alla presenza di molti viaggiatori e intellettuali stranieri, venuti nell’isola per ammirare le antichità classiche4. Se a guidare il passaggio dal tardo barocco al neoclassicismo furono Nicolò Palma (1694-1779)5 e Andrea Gigante (1731-1787)6, protagonista indiscusso della cultura architettonica neoclassica siciliana fu il palermitano Giuseppe Venanzio Marvuglia (1729-1814)7. Della sua scuola fecero parte Carlo Chenchi (1740-1815), architetto delle Antichità di Sicilia e Ingegnere della Real Corte8, definito « uno dei grandi artefici dell’introduzione nell’architettura siciliana delle forme neoclassiche»9, ed Emmanuele Cardona (1750-1836)10, ideatori di imponenti e ricchi altari per importanti chiese palermitane.

Nelle arti decorative siciliane soltanto negli anni Ottanta del XVIII secolo cominciano ad apparire manufatti realizzati in maniera più esplicita secondo il gusto neoclassico, caratterizzati da una felice sintesi di elementi nuovi come l’uso della greca, della linea retta, delle scanalature e dei baccelli, con motivi che avevano avuto grande successo negli anni precedenti presso la committenza ecclesiastica e laica, i festoni, le ghirlande di fiori, le foglie ventagliate. Le forme neoclassiche prendono il sopravvento a partire dal nono decennio e per tutto il XIX secolo, come dimostrano molte suppellettili e arredi sacri11.

I più antichi altari palermitani risalenti agli ultimi anni del sesto e del settimo decennio del XVIII secolo, hanno ancora influenze di gusto tardobarocco come quello della chiesa di S. Giuseppe dei Teatini (1762-1765) (Fig. 1), con pietre dure, agate e diaspri, progettato dall’architetto Nicolò Anito12(1715-1809) e realizzato da Nicolò e Vincenzo Todaro13 e della chiesa di S. Ninfa dei Crociferi (1774) (Fig. 2), disegnato da Giuseppe Venanzio Marvuglia14. In essi sono presenti testine angeliche e decori fitomorfi che tendono ad accartocciarsi alla maniera rococò. Tale «intrusione fa parte di un fenomeno non raro della figuratività palermitana dell’ultimo Settecento, che molto spesso sa ritrovare mollezze tardo-barocche nel pieno algore del neoclassicismo»15.

Gli altari neoclassici delle chiese di Palermo ricoprono un arco temporale compreso tra il 1786 e il 1861. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di manufatti in marmi policromi, sollevati su gradini, collocati nel presbiterio e staccati completamente dalla parete, con decorazioni in legno intagliato e dorato o bronzo dorato. Si può affermare che Palermo sia stata il centro propulsore di una nuova tipologia di altare, aggiornata alle istanze neoclassiche, e che da qui si sia diffusa nel resto della Sicilia occidentale, attraverso l’opera di maestranze specializzate.

L’altare neoclassico presenta una tipologia ben definita nelle sue parti: i gradini, di solito in numero di tre o cinque, cioè uno formato dalla predella e due o quattro sottostanti, la mensa16, sorretta da colonnine o da angeli, alternati ad anfore entro nicchie, i corni dell’epistola a destra e del vangelo a sinistra17 , con i simboli degli Evangelisti, il tabernacolo18 architettonico con colonnine, sportello e cupola, su cui si innalza il Crocifisso, la predella o gradino maggiore19, dove sono inserite scene bibliche a bassorilievo, l’attico su cui sta il completo di candelieri e vasi portafiori con la croce al centro. Non possono mancare simboli eucaristici come calici con l’ostia, spighe di grano e grappoli di uva.

La maggior parte degli altari presenta numerose scene a rilievo tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento che fanno riferimento al culto eucaristico e sono frutto di un preciso programma iconografico e iconologico dettato dall’architetto o dalla committenza, di solito i procuratori o i rettori delle chiese e delle confraternite. Tali decori sono collocati nella predella ai lati del tabernacolo e sono in collegamento con quest’ultimo e con il paliotto, posto sotto la mensa. Sono stati, così, individuati due assi tematici: uno verticale, cristologico (o neotestamentario), l’altro orizzontale, biblico (o veterotestamentario). Un elemento non solo ornamentale su cui bisogna soffermarsi è l’urna. Dalla fine del Settecento in poi «nella parte inferiore viene realizzata l’urna della deposizione, come se dovesse contenere il corpo di Cristo deposto dalla croce»20. Si crea, allora, un collegamento (l’asse cristologico appunto) tra il Crocifisso posto in alto, sopra la cupola del tabernacolo, il tabernacolo stesso, sede della SS. Eucarestia, e l’urna del seppellimento collocata sotto la mensa, in riferimento al Santo Sepolcro. Dunque, si configura una triplice rappresentazione di Cristo: la crocifissione, attraverso il Crocifisso che sovrasta l’altare e l’assemblea, quasi a ricordare il serpente di bronzo innalzato nel deserto da Mosè; l’Eucarestia, attraverso le particole consacrate all’interno della pisside nel tabernacolo, che durante il rito della consacrazione nella celebrazione eucaristica, per mezzo della transustanziazione, sono divenute Vero Corpo e Sangue di Cristo; il seppellimento del corpo nell’urna, poi sostituito dalle reliquie dei Santi. Infatti, ogni altare deve avere una cavità nella quale vengono deposti tre grani di incenso, le reliquie (ma non di beati), di cui almeno una di un martire, ed una pergamena firmata dal vescovo e sigillata, nella quale si attesta la consacrazione dell’altare21. La scelta di collocare reliquie nella parte inferiore ha un richiamo biblico: «vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della Parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa» (Apocalisse 6,9). Dal V secolo in poi sono attestati altari a reliquiario aperto che lasciano intravedere le ossa dei martiri, come nella chiesa di sant’Alessandro a Roma22. Sant’Ambrogio precisa che «Cristo sopra l’altare, perché ha subito la passione per tutti, i martiri sotto, perché sono stati redenti dalla sua passione»23.

L’asse orizzontale mostra alcuni episodi tratti soprattutto dall’Antico Testamento come: il serpente di bronzo (Numeri 21, 1-8)24 (Fig. 3), la raccolta della manna (Esodo 16, 1-16)25 (Fig. 4), il miracolo dell’acqua dalla roccia (Esodo 17, 3-7)26 il trasporto dell’uva di Canaan (Numeri 13, 23)27, il trasporto dell’arca santa a Gerusalemme (2 Samuele, 6; 1 Cronache, 15)28 , il sacrificio di Melchisedec (Genesi 14, 18-20)29 (Fig. 5), il sacrificio di Isacco (Genesi 22, 1-13)30 (Fig. 6), il miracolo del profeta Elia (1 Re 19, 4-6)31 (Fig. 7), l’offerta dei pani sacri a Davide da parte di Achimelech (1 Samuele 21, 7)32. Il grande Prefazio del Pontificale romano ricollega l’altare cristiano a tutti gli altari ebraici: dall’altare di Mosè a quello di Giacobbe, a quello di Abramo, meglio ancora, lo ricollega a tutti gli altari dell’umanità ab origine mundi, dall’altare di Melchisedec a quello di Abele33.

Al Nuovo Testamento rimandano la cena in Emmaus (Luca 24, 13-35)34 (Fig. 8), di solito posta sotto la mensa, l’agnello con il libro dei sette sigilli (Esodo 12, 5; 29, 38-39; Isaia 53, 7-12; Giovanni 1, 29; Apocalisse 5, 1-5)35(Figg. 910), sullo sportello del tabernacolo e il Battesimo di Cristo36 (Matteo 3, 13-17; Marco 1, 9-11; Luca 3, 21-22) nelle specchiature della predella (Fig. 11).

Gli altari censiti presentano due tipologie di tabernacolo: a tempietto circolare, circondato da colonne e spesso isolato e staccato dalla predella, come quello, nel caso più antico fin qui ritrovato, dell’altare della chiesa di S. Antonio abate (1789)37 (Fig. 12); a prospetto architettonico con piatte lesene e frontone, uniformato con la predella, come nell’altare maggiore della chiesa di S. Giuseppe dei Teatini (1765)38 (Fig. 13).

Nel primo caso emerge per maestosità il tabernacolo dell’altare maggiore della chiesa di S. Maria degli Angeli39 (1815 circa) (Fig. 14), caratterizzato da una serie di statuine in legno dorato a tutto tondo che si affacciano dal cornicione superiore, nel secondo caso l’esempio indiscusso è quello dell’altare maggiore della chiesa di S. Ignazio all’Olivella dei PP. Filippini (1786-1792)40, trattandosi non di una semplice facciata, ma di una piccola chiesa a pianta centrale, quasi un modellino in miniatura. Il modello del tempietto circolare ebbe una grande diffusione nei secoli precedenti, come dimostra il tabernacolo del Santissimo Sacramento nella Basilica di S. Pietro a Roma, realizzato in bronzo dorato da Gian Lorenzo Bernini nel 167441, prendendo a modello il tempietto bramantesco di San Pietro in Montorio, e il grandioso tabernacolo per la cappella del Sacramento della Cattedrale di Camerino, firmato e datato nel 1554 da Bonconte Bonconti42. Lo sportello del tabernacolo veniva impreziosito da immagini simboliche come l’usuale Agnus Dei, l’Agnello mistico seduto sul libro dei sette sigilli43, il cui esempio più interessante è quello dell’altare della cappella dei SS. Pietro e Agata (1828) della Cattedrale di Palermo (Fig. 15)44, e il calice con l’ostia, nell’altare maggiore della chiesa di S. Francesco Saverio (fine XVIII secolo) (Fig. 16)45 e nell’altare della cappella della Madonna del Carmelo (fine XVIII-inizi XIX secolo) della chiesa del Carmine Maggiore46.

La maggior parte degli altari presenta sotto la mensa, all’interno di uno spazio poco profondo, un’urna in marmo dalle svariate forme che conteneva le reliquie dei Santi della cui valenza teologica si è già discusso prima. Questo elemento è molto diffuso negli altari romani del Settecento. Un interessante altare maggiore, la cui mensa è interamente costituita da una grande urna decorata da scanalature e ghirlande, è quello della chiesa di S. Maria del Priorato, progettato da Giovan Battista Piranesi nel 1764 e realizzato da Tommaso Righi47. Il paliotto presenta un’apertura circolare con un grata che permetteva la visione delle reliquie poste all’interno. Una collocazione simile si ritrova a Palermo nell’altare maggiore della chiesa di S. Orsola (fine XVIII-inizi XIX secolo)48, dove al centro del paliotto si vede una piccola cavità rettangolare, ma priva di grata, dove erano custodite le reliquie. Tra gli esempi palermitani più interessanti, l’urna dell’altare della cappella dei SS. Pietro ed Agata nella Cattedrale, costituita da un sarcofago con zampe leonine, l’urna dell’altare maggiore della chiesa di S. Maria degli Angeli dal sapore antiquariale e l’urna dell’altare maggiore della Basilica di S. Francesco d’Assisi (Fig. 17), inaugurato l’8 novembre del 180049. Da segnalare gli altari gemelli delle cappelle laterali della chiesa di S. Antonio abate (Fig. 18), con deliziose urne sollevate su un gradino e affiancate da vasotti da cui fuoriescono fiamme, incorniciate da colonnine con scanalature dorate.

Al posto dell’urna si può trovare un pannello, formante il paliotto, al centro del quale è inserita una scena o un elemento simbolico a bassorilievo, in legno o bronzo dorato, tratto da episodi dell’Antico o del Nuovo Testamento50. La Cena in Emmaus si trova nell’altare maggiore della chiesa del Carmine (1783-1802) (fig. 8) e di S. Ignazio martire all’Olivella; il Sacrificio di Isacco nell’altare maggiore dell’Oratorio di S. Giuseppe dei Falegnami (1805-1807) (Fig. 19), l’Agnus Dei sul libro dei sette sigilli nell’altare maggiore della chiesa di S. Francesco Saverio (fine XVIII-inizi XIX secolo) (fig. 10), in quello della chiesa di S. Agostino (1790 circa) e nell’altare maggiore della chiesa di S. Giuseppe dei Teatini, ma qui è adagiato su una collinetta di pietre a simboleggiare il monte Calvario (Fig. 20); il Miracolo dell’acqua dalla roccia nell’altare maggiore della chiesa di S. Antonio da Padova (1861) e in quello dell’Oratorio di S. Maria di Gesù (XIX secolo).

La mensa è sorretta, di solito, da volute, da colonnine o da angeli scolpiti a tutto tondo e a figura intera, che fungono da cariatidi51, come nell’altare maggiore della chiesa di S. Antonio da Padova52, mente gli angeli dell’altare maggiore della chiesa di S. Maria della Pietà (fine XVIII-inizi XIX secolo) sono inginocchiati (Figg. 2122). Gli stessi si ritrovano in altri arredi sacri, come nel tabernacolo della chiesa Madre di Maria SS. Annunziata di Mezzojuso (Pa), in legno intagliato e dorato, di scultore siciliano dei primi decenni del XIX secolo53, o gli angeli tedofori in legno policromo e argento, datati 1840, del Santuario dell’Annunziata di Trapani54. Queste figure angeliche richiamano anche i geni classici alati che negli stessi anni vengono realizzati dallo scultore neoclassico Valerio Villareale55. In ambito meridionale sono molti i confronti che possono essere effettuati soprattutto nell’ambito delle arti decorative dal XVII al XIX secolo e in particolare nell’argenteria sacra: i candelieri d’argento di manifattura napoletana della prima metà dell’800 di collezione privata56, il reliquiario della Sacra Spina della chiesa di S. Michele di Sciacca, eseguito da Orazio Mercurio (1819)57, e la teca eucaristica della chiesa Madre di Erice di argentiere trapanese del primo quarto del XIX secolo58.

Negli spazi laterali che affiancano la mensa, in cornu Epistolae e in cornu Evangelii, ma anche accanto al pannello centrale del paliotto, vengono di solito inserite le figure dei quattro evangelisti, Matteo, Marco, Luca e Giovanni, insieme ai rispettivi simboli iconografici, come nell’altare maggiore della chiesa del Carmine (Fig. 23) oppure i soli simboli, come nell’altare della cappella dei SS. Pietro e Agata della Cattedrale (Fig. 24). Si ritrovano anche i santi Pietro e Paolo nell’altare maggiore della chiesa di S. Giorgio in Kemonia59 (1837) (Figg. 2526), Mosè, Aronne e i sacerdoti del Tempio di Gerusalemme nell’altare maggiore della chiesa di S. Maria degli Angeli, della chiesa di S. Antonio abate (Fig. 27) e dell’Oratorio di S. Giuseppe dei Falegnami (Fig. 28).

Nella realizzazione di un altare partecipano numerose maestranze, dall’architetto che si occupa della fase progettuale, e che predispone il disegno generale, sotto forma di stampa, di modello pittorico o ligneo, si passa ai marmorari che sono incaricati di lavorare le lastre di marmo (secatura e allustratura) e di collocarle nel luogo stabilito, secondo la forma del progetto. In questa fase vengono affiancati dai muratori che preparano la base dell’altare, sempre sollevato su gradini, con pietre, calce, gesso, ferro e pece. Una volta formata la struttura, come uno scheletro, questa veniva ricoperta dalle lastre di marmo e i falegnami intagliavano le figure a rilievo insieme alle relative cornici. In seguito, le parti lignee venivano dorate da maestri indoratori. I materiali da utilizzare, come i marmi policromi, sono specificati negli atti di commissione e si segnalano: brulè di Francia, pietra di Gallo, rosso della Piana, rosso di S. Martino, rosso di Taormina, verde di Calabria, libeccio di Custonaci, giallo di Castronovo, giallo broccatello di Siena, giallo di Segesta, diaspro fiorito di Giuliana, smaltini di calcara, nero portoro, oficalce verde ligure, cotognino di Sagana, breccia di Seravezza, broccatello di Spagna60. Alla fine ricompare l’architetto, incaricato di redigere una relazione conclusiva con lo scopo di attestare che le misure e le forme descritte nel progetto siano state realmente eseguite alla perfezione dalle maestranze. Tra i maggiori architetti documentati che progettarono altari per le chiese palermitane e del circondario si segnalano: il citato Giuseppe Venanzio Marvuglia, autore dell’altare maggiore della chiesa di S. Ignazio all’Olivella61 (Fig. 29) e della Cappella della Real Casina di caccia di Ficuzza (1807)62; Emmanuele Cardona63, progettista degli altari della chiesa di S. Matteo (1798-99)64 (Fig. 30) e della chiesa del Gesù (1819-1822), quest’ultimo insieme a Vincenzo Fiorelli65, realizzato dai maestri Todaro, i fratelli Nicolò e Federico e il loro padre Vincenzo, per la cifra di 550 onze66, distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale67; Carlo Chenchi68, ideatore dell’altare maggiore della chiesa di S. Antonio Abate69 (fig. 12);

Nicolò Peralta (seconda metà XVIII sec.-1822)70, autore dell’altare maggiore dell’Oratorio del SS. Rosario in S. Cita71 (1798-1801) (Fig. 31), Giovanni Rossi72, ideatore dell’altare maggiore, oggi perduto, della chiesa del monastero di S. Giovanni all’Origlione (1798)73. Questi architetti sono esponenti della cultura neoclassica palermitana che si diffonde, tra la fine del XVIII secolo e la prima metà del XIX secolo, in gran parte della Sicilia occidentale attraverso l’opera dei marmorari che da Palermo vengono chiamati in molti centri minori. Spesso questi maestri facevano parte di una stessa famiglia e seguivano le commissioni dei grandi architetti. Tra le botteghe documentate le più importanti furono i Todaro74, i Boatta75, i Mosca76 e i Durante77.

Un caso a parte è rappresentato dal marmoraro palermitano Filippo Cinistri o Pinistri, definito nei documenti «lavoratore di pietre forti», che tra il 1798 e il 1799 realizzò l’altare maggiore della chiesa di S. Matteo78 (fig. 30). Il Pinistri era, alla fine del XVIII secolo, il maggior esperto di pietre dure, come conferma il Diario di Leòn Dufourny, dove viene citato, con la qualifica di marmista della Cattedrale, per la sua competenza in tema di agate antiche lavorate79. A lui infatti si deve la realizzazione dell’altare maggiore della Cattedrale di Palermo nel 1793-94, commissionato dall’arcivescovo Francesco Fernando Sanseverino, dove utilizzò diaspri, agate, lapislazzuli e legni impietriti80, mentre per i gradini si utilizzò granito d’Egitto81.

Tra gli scultori in legno, impegnati nelle decorazioni degli altari, come bassorilievi, cornici e angeli, o addirittura esecutori di interi altari in legno, si segnalano: Filippo Quattrocchi (Gangi, 1738-Palermo 1818)82, «uno dei più noti interpreti della scultura lignea monumentale della seconda metà del Settecento»83, artefice delle testine angeliche, dei tre bassorilievi della mensa e della predella e dei perduti quattro angeli-telamoni che reggevano la mensa dell’altare maggiore della chiesa di S. Matteo al Cassaro; Girolamo Bagnasco (1759-1832)84, noto per le numerose committenze ecclesiastiche e confraternali di Palermo e della Sicilia occidentale, che nel 1815 esegue le decorazioni dell’altare della Cappella nella Real Casina di Ficuzza85 e successivamente quelle dell’altare maggiore della chiesa di S. Maria degli Angeli86;

Salvatore Bagnasco (1804-1842)87 che nel 1828 realizza le statuette delle Virtù (ancora esistenti) per l’altare maggiore della chiesa di S. Francesco di Paola88. Egli è un altro esponente della famiglia di scultori in legno il cui rappresentante più importante fu Girolamo, prima citato. Salvatore era figlio di Rosario (1774 ca-post 1837), «buono scultore in legno di ornamenti e anche di figura»89; Giosuè Alessi che, tra il 1828 e il 1829, intaglia venti candelieri, capitelli e altre decorazioni per l’altare maggiore della chiesa di S. Francesco di Paola90; Vincenzo Genovese91, che esegue nel 1861 le decorazioni dell’altare maggiore della chiesa di S. Antonio da Padova92, già noto per molte statue lignee policrome diffuse in tutto il territorio palermitano93.

Uno dei migliori esempi della cultura neoclassica è l’altare maggiore chiesa di S. Maria degli Angeli (1815 circa), in marmi policromi e legno intagliato e dorato, realizzato da ignoti marmorari e da Girolamo Bagnasco (Fig. 32). La parte più interessante è l’urna, sotto la mensa, dal fronte timpanato e con i peducci a zampe leonine, che presenta un bassorilievo raffigurante il trasporto dell’arca santa a Gerusalemme (Fig. 33), episodio narrato nel capitolo 6 del secondo libro di Samuele. L’altare, definito «un lavoro squisito»94, è stato accostato alla maniera di Giuseppe Venanzio Marvuglia che, nel 1782, eseguì il restauro del soffitto ligneo95. La sua esecuzione potrebbe essere localizzata agli inizi del XIX secolo. Nell’insieme, l’altare, grazie alla qualità dei marmi policromi, alla raffinatezza degli intagli lignei, alle citazioni antiquarie e classiche dell’urna sotto la mensa, alla maestosità del tabernacolo, una vera e propria chiesa a pianta centrale in miniatura, quasi un modellino, rappresenta una mirabile sintesi di architettura, di scultura marmorea e di arte decorativa (Figg. 343536373839).

Tra gli altari meglio documentati, grazie alle inedite ricerche archivistiche qui per la prima volta pubblicate, c’è quello della chiesa di S. Francesco di Paola96 (Fig. 40), in marmi policromi, legno intagliato e dorato, di Giuseppe e Michele Messina (marmorari), Salvatore Bagnasco (scultore), Giosuè Alessi (intagliatore) e Ignazio Bondì (indoratore).

Nella parte inferiore, il paliotto accoglie, entro uno spazio poco profondo, un’urna in marmi policromi dalla forma trapezoidale, priva di decori. Ai lati, entro incavi rettangolari verticali, stanno due candelieri gemelli in legno dorato. La base circolare è sorretta da tre zampe equine, il fusto è caratterizzato da una serie di nodi decorati da larghe foglie disposte ora verso il basso, a ombrello, ora verso l’alto, a fontana, per concludersi con una coppa decorata da baccelli, da cui fuoriescono fiamme (Fig. 41). Nei corni, sia a destra che a sinistra, entro nicchie, sono collocati due vasi in marmo con coperchio, terminanti con una fiamma.

La parte superiore dell’altare presenta, al centro, un monumentale tabernacolo a forma di tempietto dalla base quadrata e con alto basamento (Fig. 42). Otto colonne in porfido, dai capitelli compositi in legno dorato, sorreggono una massiccia trabeazione con dentellatura e un frontone con un timpano triangolare. Lo sportello del tabernacolo è preceduto da tre gradini. La parte superiore di quest’ultimo presenta un tamburo su cui si innalza la cupola emisferica. Qui sono collocate quattro statuine in legno dorato (in origine dovevano essere sei)97, personificazioni delle Virtù: Fede, Speranza, Carità, Religione, Penitenza, Vigilanza (Fig. 43). Di queste soltanto due recano i simboli iconografici: la Carità, che tiene in mano lingue di fuoco (la fiamma che arde nella mano sta ad indicare che l’amore è offerto come un dono) e la Religione, che regge nella mano un piccolo edificio chiesastico98. Le statue sono opera dello scultore palermitano Salvatore Bagnasco (1804-1842)99, che le intagliò nel 1828, per la cifra di tre onze100. Questo artista fa parte della famiglia Bagnasco, scultori in legno, attiva dalla fine del XVIII secolo agli inizi del XX secolo, il cui capostipite fu Giovanni, ma l’esponente più noto fu il figlio Girolamo (1759-1832). La predella presenta, entro cornici lignee dorate rettangolari, due scene a bassorilievo in legno dorato purtroppo mutile: a sinistra del tabernacolo il trasporto dell’uva di Canaan (Fig. 44), a destra il sacrificio di Melchisedec o di Achimelec (Fig. 45). La prima scena, tratta dal Libro dei Numeri (13), dove viene narrato l’episodio dell’esplorazione della Terra promessa, rappresenta due uomini che portano a spalla una lunga trave su cui è poggiato un enorme grappolo di uva. Dopo molte traversie gli Israeliti dal Sinai giunsero all’oasi di Kades ove sostarono a lungo. Il Signore disse a Mosè: «Manda uomini a esplorare il paese di Canaan che sto per dare agli Israeliti». (13, 1-2). Gli esploratori, giunti sino alla valle di Escol, «tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono in due con una stanga […] Quel luogo fu chiamato valle di Escol a causa del grappolo d’uva che gli Israeliti vi tagliarono» (13, 23-24).La seconda scena presenta un sacerdote, forse Melchisedec (Genesi 14,18-20) o Achimelec (1Samuele 21,1-7), davanti ad un altare su cui è poggiato un piatto con dei pani che sembrano essere offerti dallo stesso sacerdote a un personaggio qui mancante e che doveva trovarsi di fronte, Abramo o Davide. Rimane una struttura architettonica con due colonne e un architrave che rappresenta il Tempio di Gerusalemme. Quindi i due bassorilievi tendono ad esaltare il sacrificio eucaristico di Cristo, nei segni del vino (l’uva di Canaan) e del pane (offerto dal sommo sacerdote). L’altare reca sulla parte laterale inferiore a sinistra la firma: MICHELE MESSINA FECE (Fig. 46). La famiglia Messina è documentata, tra il XVIII e il XIX secolo, e annovera tra gli esponenti ad oggi documentati Giuseppe, che dopo il 1798 realizza l’altare maggiore dell’Oratorio del SS. Rosario in S. Cita101, Salvatore e Nunzio, attivi nella chiesa del Gesù di Casa Professa a Palermo agli inizi del 1800102.

In realtà, le fonti archivistiche ci informano che l’altare fu eseguito, tra il 1828 e il 1829, in larga parte da Giuseppe, padre di Michele, mentre questi viene citato poche volte per aver prelevato o acquistato marmi tra il dicembre 1828 e il gennaio 1829: «tarì 18 a D. Michele Messina per essere andato a fatigare per la pietra della pradella a Passo di Oregone (Passo di Rigano a Palermo?)»103e ancora «onze uno e tarì 24 a D. Michele Messina scarpellino sono per sue fatiche per essere andato alla favarotta due volte per l’acquisto della Pietra della favarotta»104. Nell’aprile del 1830 risulta infine un pagamento di 4 onze a Giuseppe e a Michele «in prezzo delle loro fatiche per la formazione dell’attico sotto il cubulo del tabernacolo dell’altare maggiore»105. Si può solo ipotizzare che, a seguito della morte del padre, il figlio abbia firmato l’altare in qualità di erede e capo della bottega. La storia di questo altare inizia nel gennaio del 1828, quando vengono pagate quattro onze all’adornista Salvatore Ajello «per mastria per aver pittato il modello dell’altare che deve costruirsi nella nostra Chiesa» e due onze e dieci tarì a Giuseppe Messina «in conto della mastria del altaro come per mandato»106. Il Messina si occupò dell’acquisto dei marmi e della relativa secatura. In particolare, è interessante l’acquisto da parte del Messina di «un pezzo di Burlè per fatigare i cavallucci dei Palliotti»107 presso il marmoraro palermitano Mosca, esponente di un’altra famiglia di marmorari specializzata nella realizzazione di altari e pavimenti nelle chiese di Palermo, tra ‘700 e ‘800108, e di «marmo persichino per i moriglioni del tabernacolo»109 per la cifra di un’onza e 18 tarì, presso Giuseppe Durante, un altro esponente di una importante famiglia palermitana di marmorari.

Alcune pietre dure (listilli di granito rosso e pietra calcara per l’urna) furono acquistate per la cifra di cinque onze presso Nicolò Todaro110, uno degli autori dell’altare maggiore della chiesa di S. Giuseppe dei Teatini, esponente di una operosa famiglia di «petristi»111. Altri artigiani documentati furono Lorenzo Somma che, tra il 19 e il 31 maggio 1828, si occupò di “allustrare” i marmi per la cifra di due onze e 12 tarì e mastro Giuseppe Pellicano pirriatore «per dividere la pietra venuta da Portella di Mare per formare i scaloni dell’altare maggiore» (novembre 1828), il cui compenso fu di 28 tarì112. Dalla lettura dei documenti è possibile rintracciare, con certa approssimazione, anche i luoghi di provenienza dei marmi come Passo di Rigano a Palermo, la Favarotta, forse vicino Terrasini o Modica, e Portella di Mare nei pressi di Misilmeri, in provincia di Palermo. L’intagliatore Giosuè Alessi realizzò negli ultimi mesi del 1829, per la cifra di 25 onze e tre tarì, venti candelieri del gradino bastardo, otto capitelli per le colonne del tabernacolo, «una palma, corona e piomazzo dell’urna» e due candelabri, identificabili con quelli posti nelle nicchie ai lati dell’urna sotto la mensa113. Potrebbero essere suoi i sei candelabri in legno dorato dallo stile neoclassico ancora oggi collocati sull’altare e gli altri decori lignei, come le due scene dell’Antico Testamento nella predella. La doratura dell’altare, dei candelieri e altro ancora non specificato nei documenti venne eseguita da Ignazio Bondì per la cifra di venti onze114. Infine, l’argentiere Giacomo D’Angelo realizzò la cerniera del tabernacolo per la cifra di 11 onze115. Questo maestro è lo stesso che restaurò, nel 1846, la statua d’argento dell’Immacolata della Basilica di S. Francesco d’Assisi di Palermo, realizzando contestualmente il globo con i segni dello zodiaco ai piedi della Vergine e i quattro vasi d’argento del fercolo116. La presente ricerca ha lo scopo di riportare all’attenzione degli studiosi e dei fedeli uno specifico patrimonio artistico che è stato confinato nell’oblio, come conseguenza dei dettami post conciliari che hanno decretato l’adeguamento degli spazi liturgici imponendo una maggiore centralità della mensa rivolta al popolo. Lo stesso Messale Romano si mostra moderatamente sensibile verso i vecchi altari: «nelle chiese già costruite, quando il vecchio altare è collocato in modo da rendere difficile la partecipazione del popolo e non può essere rimosso senza danneggiare il valore artistico, si costruisca un altro altare fisso, realizzato con arte e debitamente dedicato. Soltanto sopra questo altare si compiano le sacre celebrazioni. Il vecchio altare non venga ornato con particolare cura per non sottrarre l’attenzione dei fedeli dal nuovo altare» (Ordinamento Generale del Messale Romano, 303). La perdita dell’originaria funzione degli altari maggiori disposti in fondo alla parete del presbiterio e la riforma liturgica del Concilio Vaticano II hanno perciò distolto l’attenzione dallo stato di conservazione degli altari stessi che vengono spesso utilizzati solo come supporti per scenografiche composizioni legate ai vari tempi liturgici e non come “mistero di presenza” e “opera dell’arte”117.

  1. M. C. RUGGIERI TRICOLI, Arte e decorazione degli altari delle Chiese di Sicilia, Palermo 1992; M. C. RUGGIERI TRICOLI, Il teatro e l’altare. Paliotti “d’architettura” in Sicilia, Palermo 1992. []
  2. Rito della dedicazione di un altare, Premesse, n. 155, Pontificale Romano. []
  3. Ordo dedicationis Ecclesiae et altaris, IV, 1, Città del Vaticano 1977; A. TESIO, Altare, in Enciclopedia Cattolica, vol. I, Firenze 1948, pp. 922-926; P. JOUNEL, Luoghi della celebrazione, in Nuovo Dizionario di Liturgia, a cura di D. Sartore e A. M. Triacca, Roma 1984, pp. 789-797; K. RICHTER, Comunità, spazio liturgico e altare, in L’altare: mistero di presenza, opera dell’arte, atti del II Convegno liturgico internazionale (Bose, 31 ottobre-2 novembre 2003), a cura di G. Boselli, Magnano 2005, pp. 183-198. []
  4. F. MUNTER, Viaggio in Sicilia, a cura di F. Peranni, presentazione di R. Giuffrida, Palermo 1990, vol. I, p. 19; E. SESSA, Ajroldi Alfonso, in L. SARULLO, Dizionario degli artisti siciliani, vol. I, Architettura, a cura di M. C. Ruggieri Tricoli, Palermo 1993, p. 3; H. TUZET, Viaggiatori stranieri in Sicilia nel XVIII secolo, Palermo 1988. []
  5. E. MAURO, Palma Nicolò, in L. SARULLO, Dizionario…, vol. I, 1993, pp. 342-344. []
  6. E. SESSA, Gigante Andrea in L. SARULLO, Dizionario…, vol. I, 1993, pp. 207-208. []
  7. Nel 1759 ritorna a Palermo da Roma e conquista la più esclusiva e colta committenza a partire da quella ecclesiastica come l’Ordine dei Filippini (E. MAURO, Marvuglia Venanzio Giuseppe, in L. SARULLO, Dizionario…, vol. I, 1993, pp. 290-293; M. GIUFFRÈ, La Sicilia verso i neostili e le ville dei principi di Belmonte a Palermo, in Dal tardobarocco ai neostili: il quadro europeo e le esperienze siciliane, atti della giornata di studio (Catania, 14 novembre 1997), a cura di G. Pagnano, Messina 2000, pp. 15-25; Palermo nell’età dei neoclassicismi. Disegni di architettura conservati negli archivi palermitani, a cura di M. Giuffrè e M. R. Nobile, Palermo 2000, pp. 104-110; E. DOTTO, La Libreria di San Martino delle Scale: ridisegno degli interventi di G.B. Amico, G. Maggiordomo, G.V. Marvuglia, Palermo 2001; P. PALAZZOTTO, La collezioni di disegni d’architettura dei Marvuglia nell’Archivio Palazzotto di Palermo. La formazione romana all’Accademia di San Luca (1747?-1759), in Ottant’anni di un Maestro. Omaggio a Ferdinando Bologna, a cura di F. Abbate, Napoli 2006, pp. 690-691; P. PALAZZOTTO, Marvuglia Giuseppe Venanzio, in Enciclopedia della Sicilia, a cura di C. Napoleone, Parma 2006, pp. 583-584). Per essi eseguì «il riammodernamento in senso tardo barocco con contrappunti neoclassici» della navata centrale e del presbiterio della chiesa di S. Ignazio martire all’Olivella (1760-primi anni del XIX secolo), il nuovo altare maggiore della stessa chiesa (1786-1792) e il vicino oratorio di S. Filippo Neri (1762-69), vero capolavoro classicista ((P. PALAZZOTTO, Marvuglia Giuseppe Venanzio, in Enciclopedia…, 2006, p. 583). []
  8. E. MAURO, Chenchi Carlo, in L. SARULLO, Dizionario…, vol. I, 1993, pp. 105-106; EADEM, Chenchi Carlo, in Enciclopedia …, 2006, p. 276. []
  9. M. MIRANDA, Per una storia dei siti borbonici in Sicilia, in “BCA Sicilia”, 1-2, 1988-1989, p. 80. []
  10. E. MAURO, Cardona Giovanni Emanuele, in L. SARULLO, Dizionario…, vol. I, 1993, pp. 87-88; M. C. RUGGIERI TRICOLI, Cultura dell’antico e prassi della “rimodernazione”: Emmanuele Cardona architetto dei Bianchi, in M. C. RUGGIERI TRICOLI, A. BADAMI, M. CARTA, L’architettura degli oratori: uno strumento ermeneutico per l’urbanistica palermitana, con ricerche archivistiche di B. De Marco Spata; presentazione di V. Cabianca, Palermo 1995, pp. 105-107. []
  11. M. ACCASCINA, Oreficeria diSicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974, pp. 417, 424-425; M. C. DI NATALE, La raccolta di argenteria sacra nel Museo Diocesano di Palermo, in Arti decorative nel Museo Diocesano di Palermo: dalla città al museo e dal museo alla città, a cura di M. C. Di Natale; fotografie E. Brai, Palermo 1999, pp. 119-120; G. INGAGLIO, scheda IV.42, in Veni creator Spiritus. Tertio millennio adveniente, capolavori siciliani d’arte sacra, catalogo della mostra (Agrigento, Chiesa di San Lorenzo, Purgatorio, 8 dicembre 2000-6 maggio 2001) a cura di G. Ingaglio, Agrigento 2001, pp. 141-142. []
  12. D. RUFFINO, Anito Nicolò, in L. SARULLO, Dizionario…, vol. I, 1993, pp. 23-24; EADEM, Anito Nicolò, in Enciclopedia…, 2006, p. 115. []
  13. Archivio di Stato di Palermo (da ora in poi ASP), Corporazioni religiose soppresse, Casa dei PP. Teatini in San Giuseppe, Libro Maggiore, Conti di abbellimento del Cappellone Maggiore della chiesa di San Giuseppe, v. 855, ff. 66, 68; G. PALERMO, Guida istruttiva per Palermo e i suoi dintorni, Palermo 1858, rist. anast. 1984, p. 473; M. C. DI NATALE, Conoscere Palermo, Palermo 1995, p. 66; M. C. RUGGIERI TRICOLI, Cultura dell’antico…, in M. C. RUGGIERI TRICOLI, A. BADAMI, M. CARTA, L’architettura…, 1995, p. 201, docc. nn. 59-60; C. DE SETA, M. A. SPADARO, S. TROISI, Palermo città d’arte. Guida ai monumenti di Palermo e Monreale, Palermo 2004, p. 185; A. CHIRCO, Palermo. La città ritrovata: itinerari entro le mura, Palermo 2005, p. 162; I. GUCCIONE, S. PIAZZA, Palermo: San Giuseppe dei Teatini, Palermo 2008. []
  14. A. GIULIANA ALAJMO, Architetti regi in Sicilia: la chiesa di Santa Ninfa detta dei Crociferi in Palermo, sede della Parrocchia di S. Croce con documenti inediti, Palermo 1964, p. 17; C. DE SETA, M. A. SPADARO, S. TROISI, Palermo città d’arte…, 2004, p. 196; A. CHIRCO, Palermo. La città…, 2005, p. 97. []
  15. D. MALIGNAGGI, Le arti figurative del Settecento in Sicilia, in La Sicilia nel Settecento, Messina 1984, p. 734. []
  16. P. SORCI, Per una teologia dell’altare, in Gli spazi della celebrazione rituale, a cura di S. Maggiani, Roma 2005, pp. 41-42. []
  17. A. TESIO, Altare, in Enciclopedia…, vol. I, 1948, pp. 922-926. []
  18. M. RIGHETTI, Manuale di Storia liturgica, vol. I, Milano 1964, pp. 546-553; G. GIRARDET, Tabernacolo, in Dizionario biblico, a cura di G. Miegge, Torino 1992, pp. 581-582; M. PIACENZA, La custodia dell’eucarestia: il tabernacolo e la sua storia, Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, Casamari 31 luglio 2004. []
  19. Si tratta delle parti ai lati del tabernacolo, dove sono, di solito, inserite le storie bibliche e i simboli eucaristici. Il termine predella qui utilizzato non va confuso con il medesimo nome con cui viene designato l’ultimo gradino dell’altare, quello su cui sta il sacerdote durante i riti. Alla fine del XVI secolo, per collegare il dossale dipinto con la mensa si costruì uno zoccolo o gradino, chiamato predella, al fine di porre la croce e due candelieri per la Messa: «fu proprio la predella il punto di partenza di quelle nuove superstrutture addossate all’altare a foggia di gradinata, le quali, si popolarono di candelieri, di vasi, di busti di Santi, e fecero somigliare l’altare ad una monumentale credenza» (M. RIGHETTI, Manuale di Storia…, vol. I, 1950, p. 514). []
  20. C. SCORDATO, San Giorgio in Kemonia, il programma iconografico, in A. DI BENNARDO, S. GRASSO, G. MENDOLA, C. SCORDATO, V. VIOLA, La Chiesa di San Giorgio in Kemonia. Contesti, cronache e committenza, Palermo 2009, pp. 134-135. []
  21. A. TESIO, Altare (Liturgia), in Enciclopedia…, vol. I, 1948, pp. 922-924. []
  22. T. VERDON, Le origini dell’altare barocco e la Contro-Riforma a Firenze, in Altari e committenza: episodi a Firenze nell’eta’ della Controriforma, a cura di C. De Benedictis, Firenze 1996, p. 20. []
  23. Ibidem. []
  24. A. G. LARRAYA, Serpente di bronzo, in Enciclopedia della Bibbia, vol. VI, Torino 1971, pp. 413-414; M. LURKER, Dizionario delle immagini e dei simboli biblici, ed it. a cura di G. Ravasi, Cinisello Balsamo 1990, p. 190. La scena è visibile nell’altare della cappella dei SS. Pietro e Agata della Cattedrale, nell’altare maggiore della chiesa di S. Maria degli Angeli, nell’altare maggiore della chiesa di S. Antonio da Padova, nell’altare maggiore della chiesa di S. Orsola. []
  25. V. GATTI, Manna, in Grande Enciclopedia illustrata della Bibbia, vol. 2, Casale Monferrato (AL) 1997, p. 310. Negli altari esaminati questa scena si ritrova nell’altare della cappella dei SS. Pietro e Agata della Cattedrale, nell’altare maggiore della chiesa di S. Maria degli Angeli, nell’altare della cappella dell’Immacolata della chiesa del Carmine Maggiore. []
  26. B. UBACH, Refidim, in Enciclopedia…, vol. V, 1971, pp. 1214-1215. Questo racconto si ritrova in un bassorilievo della predella dell’altare maggiore della chiesa di S. Antonio da Padova e nel paliotto dell’altare maggiore dell’Oratorio di S. Maria di Gesù. []
  27. Israele e la Chiesa: i due esploratori della Terra promessa. Per una teologia cristiana dell’ebraismo, relazione di Bruno Forte (4 novembre 2004) al convegno “La Chiesa Cattolica e l’Ebraismo dal Vaticano II ad oggi” (19 ottobre 2004-25 gennaio 2005), Roma Pontificia Università Gregoriana. Questo episodio si trova in due bassorilievi collocati nelle specchiature della predella negli altari maggiori dell’Oratorio di S. Giuseppe dei Falegnami e della chiesa di S. Francesco di Paola. []
  28. La scena si ritrova negli altari maggiori della Chiesa di S. Maria degli Angeli e dell’Oratorio di S. Giuseppe dei Falegnami di Palermo. []
  29. G. GIRARDET, Melchisedec, in Dizionario…, 1992, p. 388. La scena si ritrova nei bassorilievi dell’altare maggiore e dell’altare della cappella della Madonna del Carmelo nella chiesa del Carmine Maggiore. []
  30. R. W. L. MOBERLY, The Bible, Theology and Faith: a study of Abraham and Jesus, Cambridge 2000, pp. 71-72. L’immagine del Sacrificio di Isacco è presente nell’altare maggiore della chiesa del Carmine, dell’Oratorio di S. Caterina d’Alessandria, dell’Oratorio del SS. Rosario in S. Domenico, dell’Oratorio di S. Giuseppe dei Falegnami, della chiesa di S. Giorgio in Kemonia e della chiesa di S. Orsola. []
  31. G. BOUCHARD, Elia, in Dizionario…, 1992, p. 200. Il racconto del miracolo del profeta Elia è rappresentato nell’altare maggiore della chiesa del Carmine e della chiesa di S. Orsola. []
  32. J. A. G. LARRAYA, Ahimelek, in Enciclopedia…, vol. I, 1969, pp. 238-239. Si può vedere nell’altare maggiore dell’Oratorio di S. Caterina d’Alessandria. []
  33. J. HANI, Il simbolismo del tempio cristiano, Roma 1996, pp. 115-133. []
  34. R. RIESNER, Emmaus, in Grande Enciclopedia…, vol. 1, 1997, pp. 479-480. L’episodio è presente nell’altare maggiore della chiesa di S. Ignazio all’Olivella e della chiesa del Carmine Maggiore. []
  35. M. LURKER, Dizionario…, 1990, pp. 6-8; E. BIANCHI, L’Apocalisse di Giovanni. Commento esegetico spirituale, 2000; M. ADINOLFI, Apocalisse. Testo, simboli e visioni, Milano 2001; U. VANNI, L’Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia, Bologna 1998; M. C. DI NATALE, Agnus Dei, in Gesù: il corpo, il volto nell’arte, catalogo della mostra (Caserta, Scuderie Juvarriane della Reggia, 1 aprile-1 agosto 2010), a cura di T. Verdon, Milano 2010, pp. 155-160. L’immagine dell’agnello mistico compare in monili d’oro del XVII secolo nel Tesoro della Madonna di Trapani del santuario dell’Annunziata, oggi al Museo Regionale Pepoli (M. C. DI NATALE, schede I,3, I,4, I,5, in Il tesoro nascosto: Gioie e argenti per la Madonna di Trapani, a cura di M. C. Di Natale e V. Abbate, Palermo 1995, pp. 99-102). Nelle opere qui esaminate ritroviamo l’Agnus Dei nell’altare maggiore della chiesa di S. Giuseppe dei Teatini, nell’altare maggiore della chiesa di S. Matteo, nell’altare della cappella dei SS. Pietro e Agata della Cattedrale, nell’altare maggiore della chiesa di S. Francesco Saverio, nell’altare maggiore dell’Oratorio di S. Giuseppe dei Falegnami. []
  36. L’episodio evangelico è visibile sulla predella dell’altare maggiore della chiesa di S. Giorgio in Kemonia (oggi parrocchia di S. Giuseppe Cafasso). []
  37. A. GIULIANA ALAJMO, Architetti regi e la loro sconosciuta opera nella parrocchia di Sant’Antonio Abate in Palermo, Palermo 1955, pp. 6, 15; A. CHIRCO, Palermo…, 2005, p. 167. []
  38. G. PALERMO, Guida…, 1858, p. 473; M. C. DI NATALE, Conoscere…, 1995, p. 66; M. C. RUGGIERI TRICOLI, Cultura dell’antico…, in M. C. RUGGIERI TRICOLI, A. BADAMI, M. CARTA, L’architettura…, 1995, p. 201, docc. nn. 59-60; C. DE SETA, M. A. SPADARO, S. TROISI, Palermo città d’arte…, 2004, p. 185; A. CHIRCO, Palermo. La città…, 2005, p. 162; I. GUCCIONE, S. PIAZZA, Palermo: San Giuseppe…, 2008. []
  39. P. LIPANI, La Gancia: Chiesa Santa Maria degli Angeli a Palermo, con nota introduttiva di M. C. Di Natale; fotografie V. Brai, Palermo 1990, p. 15. []
  40. G. PALERMO, Guida…, 1858, p. 134; A. GIULIANA ALAJMO, La Chiesa di Santa Ninfa detta dei Crociferi…, 1964, p. 17; D. GARSTANG, Giacomo Serpotta…, 1990, p. 237; E. MAURO, Marvuglia Venanzio Giuseppe, in L. SARULLO, Dizionario…, vol. I, 1993, p. 292; M. C. DI NATALE, Conoscere…, 1995, p. 104; N. DONATO, Sant’Ignazio…, in E. SESSA, Le Chiese…, 1995, p. 229; M. C. RUGGIERI TRICOLI, Cultura dell’antico…, in M. C. RUGGIERI TRICOLI, A. BADAMI, M. CARTA, L’architettura…, 1995, p. 153; Palermo nell’età dei neoclassicismi…, 2000, p. 106; P. PALAZZOTTO, La collezioni di disegni d’architettura…, in Ottant’anni di un Maestro…, 2006, p. 691. []
  41. Guida alla Basilica di San Pietro, Roma 1995, p. 21. []
  42. B. MONTEVECCHI, Il tabernacolo di Bonconte da Camerino, in “OADI Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, anno 1, n. 2 dicembre 2010, pp. 80-91. []
  43. M. C. DI NATALE, Agnus Dei, in Gesù…, Milano 2010, pp. 155-160. []
  44. G. PALERMO, Guida…, 1858, p. 580; E. PERRICONE, La Cappella di S. Pietro e di S. Agata esistente nella Cattedrale di Palermo: studi di mons. can. Enrico Perricone pubblicati per l’inaugurazione della stessa cappella riccamente decorata dal compianto mons. can. Pietro Boccone, Palermo 1916, p. 40; L. BICA, Cappelle ed altari della Cattedrale di Palermo, Palermo 1983, pp. 37-38; La Cattedrale di Palermo (1170-1946), a cura di A. Zanca con appendici di M. Giuffrè e R. La Duca, Palermo 1989, p. 321; R. SANTORO, La Cattedrale di Palermo, Palermo 2000, p. 102; A. CHIRCO, Palermo…, 2005, p. 44. []
  45. A. MANGANARO, La chiesa di S. Francesco Saverio in Palermo ed il suo architetto: con 55 documenti inediti, Palermo 1940, p. 41; M. C. DI NATALE, Conoscere…, 1995, p. 77; M. VITELLA, Le opere d’arte della chiesa di San Francesco Saverio, in V. VIOLA, M. VITELLA, C. SCORDATO, F. M. STABILE, La Chiesa di San Francesco Saverio. Arte Storia Teologia, a cura di C. Scordato, premessa di M. C. Di Natale, San Martino delle Scale 1999, p. 57; N. Alfano, P. Palermo, G. Montana, C. Scordato, La Chiesa di San Francesco Saverio: dalla fabbrica alla suppellettile, S. Martino delle Scale 2003, pp. 40-41; C. DE SETA, M. A. SPADARO, S. TROISI, Palermo città d’arte…, 2004, p. 155; A. CHIRCO, Palermo. La città…, 2005, p. 338. []
  46. C. NICOTRA, Il Carmelo palermitano tradizione e storia, Palermo 1960, p. 93. []
  47. R. BERNABEI, Chiese di Roma, Roma 2007, pp. 290-291. Molti altari seicenteschi della Basilica di S. Pietro a Roma presentano sotto la mensa aperture circolari, fornite di artistiche grate in bronzo dorato, che permettevano la visione e l’adorazione delle reliquie dei Santi titolari delle cappelle (S. Gregorio Nazianzeno, i santi Processo e Martiniano, S. Petronilla, S. Leone Magno, S. Giuseppe, ma con le reliquie dei santi Simone e Giuda Taddeo) (Guida alla Basilica…, 1995, pp. 23, 31, 33, 36, 38). Altro esempio è l’altare papale della Basilica di S. Maria Maggiore progettato da Ferdinando Fuga alla metà del ‘700, la cui mensa, sorretta da quattro angeli in bronzo dorato di Filippo Tofani su modello di Pietro Bracci (R. BERNABEI, Chiese…, 2007, pp. 220-229), è costituita da una grande urna in porfido con zampe leonine e decorazioni fitomorfe in bronzo dorato, e nella stessa basilica, l’altare della Cappella Paolina (R. BERNABEI, Chiese…, 2007, p. 227). Un’altra grande urna si ritrova nell’altare maggiore della chiesa di S. Marcello al Corso, nella chiesa di S. Girolamo degli Illirici, nella chiesa di Sant’Eustachio, sempre a Roma (R. BERNABEI, Chiese…, 2007, pp. 72, 33, 133). []
  48. G. PALERMO, Guida…, 1858, p. 434; A. CHIRCO, Palermo…, 2005, p. 100. []
  49. F. ROTOLO, Abside centrale della Basilica di S. Francesco d’Assisi in Palermo: vicende storiche, in “Archivio Storico Siciliano”, serie III, vol. XVI, 1967, p. 161; M. C. RUGGIERI TRICOLI, Cultura dell’antico…, in M. C. RUGGIERI TRICOLI, A. BADAMI, M. CARTA,L’architettura…, 1995, p. 155; P. F. ROTOLO, La Basilica di San Francesco d’Assisi e le sue cappelle. Un monumento unico della Palermo medievale, cura redazionale C. Miceli, fotografie E. Brai e G. Ventura, Palermo 2010, p. 389. []
  50. Raramente sono state riscontrate figure di Santi, come nell’altare d’argento della cappella di S. Rosalia nella Cattedrale di Palermo, di ignoto argentiere palermitano del 1803 (La Cattedrale di Palermo…, 1989, p. 317; M. C. DI NATALE, Santa Rosalia nelle arti decorative, introduzione di A. Buttitta con contributi di P. Collura e M. C. Ruggieri Tricoli, Palermo 1991, p. 32; M. C. DI NATALE, S. Rosaliae patriae servatrici, con contributi di M. Vitella, fotografie di E. Brai, Palermo 1994, p. 75) e nell’altare maggiore della chiesa di S. Rosalia a Bivona (Ag), di Pietro Sciurba da Palazzo Adriano (1901) (S. TORNATORE, Il culto di S. Rosalia a Bivona. La chiesa e il fercolo, Bivona 2009, p. 19), dove la Santa è rappresentata nell’atto di scolpire l’iscrizione della Quisquina. []
  51. Il motivo degli angeli-telamoni si ritrova in opere dei secoli precedenti in altre aree del continente come nel Tabernacolo della cappella Sistina della Basilica di S. Maria Maggiore in Roma, opera di G. B. Ricci e S. Torregiani (XVI secolo) (R. BERNABEI, Chiese…, 2007, p. 228), nell’altare della cappella di S. Camillo de Lellis nella chiesa di S. Maria Maddalena a Roma (prima metà XVIII secolo) di F. Giardoni e V. Consalvi (EADEM, pp. 49-50), nell’altare maggiore della chiesa della Certosa di S. Martino di Napoli (prima metà XVIII secolo) su progetto di Francesco Solimena (G. A. GALANTE, Le chiese di Napoli. Guida sacra alla città, la storia, le opere d’arte e i monumenti, Mugano di Napoli 2007, p. 60). []
  52. A. CUCCIA, La Chiesa del convento di Sant’Antonio da Padova di Palermo, contributi di F. Brugnò, M. Girgenti, F. P. Massara, S. Riccobono, A. M. Schmidt, M. A. Spadaro, G. Travagliato, G. Verde, M. Vitella, Palermo 2002, p. 47; C. DE SETA, M. A. SPADARO, S. TROISI, Palermo città d’arte…, 2004, p. 135; A. CHIRCO, Palermo. La città…, 2006, p. 88. []
  53. A. ZAMBITO, scheda II.6, in Mirabile artificio 2: lungo le vie del legno, del marmo e dello stucco. Scultori e modellatori in Sicilia dal XV al XIX secolo, a cura di M. Guttilla, Palermo 2010, p. 134. []
  54. M. VITELLA, scheda III,3 in Il Tesoro nascosto…, 1995, pp. 246-247. []
  55. D. MALIGNAGGI, Valerio Villareale, catalogo a cura di D. Favatella, Palermo 1976, p. 62. []
  56. Tre secoli di argenti napoletani, catalogo a cura di C. Catello, fotografie di M. Jodice, Napoli 1988, pp. 70, 173-175. []
  57. G. INGAGLIO, scheda III.26, in Veni Creator…, 2001, pp. 94-95. []
  58. R. VADALÀ, Gusto eclettico e contaminazioni. Le suppellettili del duomo di Erice al tempo dei neostili, in Il Duomo di Erice tra Gotico e Neogotico, atti della giornata di studi (Erice, 16 dicembre 2006) a cura di M. Vitella, Erice 2008, p. 59. []
  59. ASP, Spasimo, vol. 38, ff. 105-113: Relazione preventiva per la formazione di un altare maggiore di marmo per la V.le Chiesa de RR. PP. Benedettini Bianchi; A. DI BENNARDO, S. GRASSO, G. MENDOLA, C. SCORDATO, V. VIOLA, La Chiesa di San Giorgio in Kemonia. Contesti, cronache e committenza, Palermo 2009, pp. 58, 184-185. []
  60. S. PIAZZA, I marmi mischi delle chiese di Palermo, Palermo 1992; G. MONTANA, V. GAGLIARDO, I marmi e i diaspri del Barocco siciliano, Palermo 1998. []
  61. Cfr. nota 51. []
  62. G. FATTA, T. CAMPISI, La costruzione della Real Casina di Ficuzza, in Il Barocco e la regione corleonese, atti della Giornata di studio (Chiusa Sclafani, 5 ottobre 1997), a cura di A. G. Marchese, introduzione di M. Giuffrè, premessa di G. Governali, Palermo 1999, pp. 170-171. []
  63. E. MAURO, Cardona Giovanni Emanuele, in L. SARULLO, Dizionario…, vol. I, 1993, pp. 87-88. []
  64. ASP, Notai, Agatone Maria Serio, vol. 18011, ff. 83-86, vol. 33931 ff. 399, 409-410, 621-622; G. PALERMO, Guida…, 1858, p. 111; G. DADDI, S. Matteo vecchio e nuovo: le due chiese (1088-1633) e l’Unione dei Miseremini, Palermo 1916, p. 129; E. MAURO, Cardona Giovanni Emanuele, in L. SARULLO, Dizionario…, vol. I, 1993, pp. 87-88; M. C. DI NATALE, Conoscere…, 1995, p. 69; F. MIRABELLA, La chiesa di San Matteo al Cassaro, premessa di M. C. Di Natale, fotografie di E. Brai, Palermo 1995 p. 30; M. C. RUGGIERI TRICOLI, Cultura dell’antico…, in M. C. RUGGIERI TRICOLI, A. BADAMI, M. CARTA, L’architettura…, 1995, pp. 156-162. []
  65. E. MAURO, Fiorelli Vincenzo, in L. SARULLO, Dizionario…, vol. I, 1993, p. 180; M. C. RUGGIERI TRICOLI, Costruire Gerusalemme: il complesso gesuitico della Casa Professa di Palermo dalla storia al museo, presentazione di T. Romano, interventi di A. Gaeta, M. D. Vacirca, R. M. Zito, rilievi di G. Acciaro, fotografie di E. Brai, Milano 2001, p. 161. []
  66. M. C. RUGGIERI TRICOLI, Costruire Gerusalemme…, 2001, pp. 161-162. []
  67. Nel progetto si vede che al centro del paliotto era prevista la scena del Sacrificio di Isacco mentre il tabernacolo era un tempietto circolare completamente libero e isolato dalla predella, ma circondato da colonne che sostenevano un baldacchino su cui stavano quattro angeli reggi corona. Sull’altare stavano sei candelieri e quattro vasi in legno indorati, nel 1822, da mastro Girolamo Fernandez per la cifra di 100 onze (M. C. RUGGIERI TRICOLI, Cultura dell’antico …, in M. C. RUGGIERI TRICOLI, A. BADAMI, M. CARTA, L’architettura…, 1995, p. 211, doc. n. 165). L’altare, restaurato nel 1903 dallo scultore Salvatore Orlando, sotto la direzione dell’architetto Giuseppe Patricolo, fu danneggiato dai bombardamenti del 9 maggio 1943 e sostituito con un nuovo altare progettato da Francesco Valenti, ancora oggi in situ (M. C. RUGGIERI TRICOLI, Costruire Gerusalemme…, 2001, pp. 170-171). []
  68. E. MAURO, Chenchi Carlo, in L. SARULLO, Dizionario…, vol. I, 1993, pp. 105-106; E. MAURO, Chenchi Carlo, in Enciclopedia …, 2006, p. 276. []
  69. A. GIULIANA ALAJMO, Architetti regi…, 1955, pp. 6, 15; A. CHIRCO, Palermo…, 2005, p. 167. []
  70. E. MAURO, Peralta Nicolò, in L. SARULLO, Dizionario…, vol. I, 1993, p. 353. []
  71. Fu realizzato a partire dal 1798 dai marmorari Giuseppe Messina e Gioacchino Buatta per la cifra di 163 onze. Tra il 1800 e il 1801 venne perfezionato da Carlo Chenchi con la collaborazione del marmoraro Ignazio Vitaliano, cui fu corrisposto un compenso di onze 2.11. Il Chenchi proprio in quegli anni figurava tra i congiunti della Compagnia del SS. Rosario (G. PECORARO, P. PALAZZOTTO, C. SCORDATO, Oratorio del Rosario in Santa Cita, Palermo 1999, p. 32). []
  72. M. C. RUGGIERI TRICOLI, Cultura dell’antico …, in M. C. RUGGIERI TRICOLI, A. BADAMI, M. CARTA, L’architettura…, 1995, pp. 152-153. []
  73. Questo venne eseguito nel 1797-98 da mastro Vincenzo Todaro, «operaio di pietre forti» per la cifra di 124 onze. Ancora, furono pagate 46 onze per lo scultore che realizzò le decorazioni in marmo, 4.11 onze a mastro Francesco Genova per lavori di intagli lignei e 30 onze per l’indoratore, forse Francesco Bevilacqua, per un totale di 200 onze (M. C. RUGGIERI TRICOLI, Cultura dell’antico …, in M. C. RUGGIERI TRICOLI, A. BADAMI, M. CARTA, L’architettura…, 1995, pp. 149-154, 200-201). Bevilacqua è lo stesso che eseguì le dorature dell’altare maggiore della Cappella dei Falegnami presso l’ex convento teatino, oggi sede della Facoltà di Giurisprudenza (P. PALAZZOTTO, Palermo. Guida…, 2004 pp. 107-108). L’altare doveva essere eseguito con marmi in parte di risulta provenienti dalla chiesa dell’Olivella dei padri Filippini, rifatta dall’architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia (N. DONATO, Sant’Ignazio…, in E. SESSA, Le Chiese…, 1995, p. 229). []
  74. Il capostipite dei Todaro fu Nicolò affiancato dai figli Salvatore e Vincenzo. Da Vincenzo nacquero Federico e Nicolò (o Nicola), anch’essi marmorari. Nicolò e il figlio Vincenzo eseguirono nel 1795 l’altare maggiore della chiesa di S. Giuseppe dei Teatini a Palermo (M. C. RUGGIERI TRICOLI, Cultura dell’antico …, in M. C. RUGGIERI TRICOLI, A. BADAMI, M. CARTA, L’architettura…, 1995, pp. 201-202 doc. n. 59). Vincenzo, insieme al fratello Salvatore, è l’autore, tra il 1786 e il 1792, dell’altare maggiore della chiesa di S. Ignazio all’Olivella. Ancora Vincenzo realizzò nel 1797-98 l’altare maggiore della chiesa del monastero di S. Giovanni all’Origlione di Palermo per la cifra di 124 onze (M. C. RUGGIERI TRICOLI, Cultura dell’antico …, in M. C. RUGGIERI TRICOLI, A. BADAMI, M. CARTA, L’architettura…, 1995, pp. 200-201 doc. n. 50). I fratelli Nicolò e Federico e il loro padre Vincenzo, realizzarono, tra il 1819 e il 1822, l’altare maggiore della chiesa del Gesù a Casa Professa, per la cifra di 550 onze (M. C. RUGGIERI TRICOLI, Costruire Gerusalemme…, 2001, pp. 161-162). I Todaro furono «capaci di far combaciare in giochi caleidoscopici le venature del marmo» (M. C. RUGGIERI TRICOLI, Costruire Gerusalemme…, 2001, p. 162; M. C. RUGGIERI TRICOLI, B. DE MARCO SPATA, Todaro, in L. SARULLO, Dizionario degli artisti siciliani, IV vol., Arti applicate, a cura di M. C. Di Natale, in c.d.s.), e abili ad unire «le cosciature macchia con macchia, di maniera che non appariscano le suddette cosciature» ((M. C. RUGGIERI TRICOLI, Cultura dell’antico …, in M. C. RUGGIERI TRICOLI, A. BADAMI, M. CARTA, L’architettura…, 1995, p. 201, doc. n. 59. []
  75. Dei Boatta (o nelle varianti Buatta e Boatti) sono noti Gioacchino, che esegue dopo il 1798 l’altare maggiore dell’Oratorio del SS. Rosario in S. Cita, e Nicolò (il padre), che nel 1742 riceve un pagamento di 3 onze per avere fatto il colonnato dell’altare maggiore della chiesa di Sant’Oliva di Alcamo (T. PAPA, La chiesa di S. Oliva in Alcamo, Trapani 1964, p. 46; G. PECORARO, P. PALAZZOTTO, C. SCORDATO, Oratorio del Rosario in Santa Cita, Palermo 1999, p. 32). []
  76. La famiglia Mosca è operante a Palermo tra il XVII e il XIX secolo con vari esponenti che operarono nella chiesa del Gesù di Palermo (M. C. RUGGIERI TRICOLI, Costruire Gerusalemme…, 2001, pp. 149-150, note 1156, 1166), tra cui Girolamo, Giuseppe, Ignazio, Leonardo, Matteo, Paolino e Vincenzo, quest’ultimo autore, nel 1831, dell’altare maggiore, in stile neoclassico, della chiesa del monastero di S. Spirito di Agrigento (M. LA MONICA, Le opere scultoree e pittoriche nella chiesa di Santo Spirito, in M. LA MONICA, La Chiesa di Santo Spirito in Agrigento. Stucchi di Serpotta e illusionismo pittorico-architettonico, contributi di S. Alfano, A. Chiazza, S. Sanzo, Palermo 2009, p. 98). []
  77. Della famiglia Durante l’esponente più noto fu Giosuè (1760-1814), le cui opere maggiori furono: l’altare maggiore della Cappella della Real Casina di Ficuzza (1807) (G. FATTA, T. CAMPISI, La costruzione…, in Il Barocco…, 1999, pp. 197-198) e l’altare maggiore della Cappella dei Falegnami di Palermo (1805-1807) (P. PALAZZOTTO, Palermo. Guida…, 2004, pp. 54, 107-108; A. CHIRCO, Palermo. La città…, 2005, p. 100). []
  78. G. DADDI, S. Matteo vecchio e nuovo…, 1916, p. 219; E. MAURO, Cardona Giovanni Emanuele, in L. SARULLO, Dizionario…, vol. I, 1993, pp. 87-88; F. MIRABELLA, La Chiesa di San Matteo…, 1995, p. 30; M. C. RUGGIERI TRICOLI, Cultura dell’antico , in M. C. RUGGIERI TRICOLI, A. BADAMI, M. CARTA, L’architettura…, 1995, pp. 156-162. []
  79. M. C. RUGGIERI TRICOLI, Cultura dell’antico …, in M. C. RUGGIERI TRICOLI, A. BADAMI, M. CARTA, L’architettura…, 1995, p. 159. []
  80. N. BASILE, La Cattedrale di Palermo: l’opera di Ferdinando Fuga e la verità sulla distruzione della tribuna di Antonello Gagini, Palermo 1926, p. 68; F. CALAMIA, A. CATALANO, La Cattedrale di Palermo: otto secoli di vicende architettoniche, Palermo 1981, p. 130; M. C. RUGGIERI TRICOLI, Cultura dell’antico …, in M. C. RUGGIERI TRICOLI, A. BADAMI, M. CARTA, L’architettura…, 1995, p. 159; A. CHIRCO, Palermo. La città…, 2005, p. 45. []
  81. G. PALERMO, Guida…, 1858, p. 642. []
  82. A. CUCCIA, Quattrocchi Filippo, in Enciclopedia…, 2006, p. 811. []
  83. Filippo Quattrocchi Gangitanus Sculptor: il “senso barocco” del movimento, a cura di S. Farinella, 2004; S. ANSELMO, Pietro Bencivinni “magister civitatis Politii” e la scultura lignea nelle Madonie, premessa M. C. Di Natale; introduzione R. Casciaro, Bagheria 2009, pp. 138-156. []
  84. V. SCAVONE, Bagnasco Girolamo, in L. SARULLO, Dizionario…, vol. III, 1994, pp. 14-15; A. CUCCIA, Bagnasco Girolamo, in Enciclopedia…, 2006, pp. 138-139. []
  85. I bassorilievi in legno raffigurano i discepoli di Emmaus e due statuette rappresentano la Fede e la Speranza. []
  86. A. CUCCIA, Bagnasco Girolamo, in Enciclopedia…, 2006, pp. 138-139. []
  87. A. CALLARI, Bagnasco Salvatore, in L. SARULLO, Dizionario…, vol. III, 1994, p. 16; P. PALAZZOTTO, Andrea Onufrio. Declinazioni neogotiche in arredi siciliani in osso di fine Ottocento, in Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo, catalogo della mostra a cura di M. C. Di Natale, Trapani 2003, p. 352. []
  88. ASP, Corporazioni Religiose Soppresse, Convento di S. Francesco di Paola e di S. Oliva, vol. 645, ff. 35, 37. []
  89. A. GALLO, Parte seconda delle notizie di pittori e mosaicisti siciliani ed esteri che operarono in Sicilia (Ms. XV.H.19), a cura di A. Mazzè, Palermo 2005, f. 1869; P. PALAZZOTTO, Andrea Onufrio…, in Materiali preziosi…, 2003, p. 352. []
  90. ASP, Corporazioni Religiose Soppresse, Convento di S. Francesco di Paola e di S. Oliva, vol. 645, ff. 44, 59. []
  91. A. CUCCIA, Genovese Vincenzo, in Enciclopedia…, 2006, p. 441. []
  92. A. CUCCIA, La Chiesa del convento di Sant’Antonio da Padova di Palermo, contributi di F. Brugnò, M. Girgenti, F. P. Massara, S. Riccobono, A. M. Schmidt, M. A. Spadaro, G. Travagliato, G. Verde, M. Vitella, Palermo 2002, p. 132. []
  93. La statua del Cuore Immacolato di Maria nella Parrocchia omonima a Misilmeri, la Madonna della Mercede e l’Ecce Homo nella Chiesa di Santa Maria di Loreto di Petralia Soprana, le statue dei Santi Crispino e Crispiniano nella Parrocchia di San Vito e Francesco di Monreale. []
  94. P. A. GIOIA, La chiesa ed il convento di S. Maria degli Angioli: la Gancia, Palermo 1920, p. 15. []
  95. G. B. COMANDÈ, La chiesa di Santa Maria degli Angeli detta della Gancia in Palermo, Palermo 1942, pp. 39, 81 doc. XXII; P. LIPANI, La Gancia: Chiesa Santa Maria degli Angeli a Palermo, nota introduttiva di M. C. Di Natale, fotografie di V. Brai, Palermo 1990, p. 15. []
  96. G. PALERMO, Guida…, 1858, p. 711; G. M. ROBERTI, Santa Oliva ovvero la chiesa e il convento di S. Francesco di Paola in Palermo, Palermo 1905; A. BELLANTONIO, La provincia napoletana dei Minimi, Roma 1964, p. 221; C. DE SETA, M. A. SPADARO, S. TROISI, Palermo città d’arte…, 2004, p. 153; A. CHIRCO, Palermo. La città…, 2005, pp. 220-221. []
  97. A. BELLANTONIO, La provincia napoletana…, 1964, p. 221. []
  98. C. RIPA, Iconologia, edizione pratica a cura di P. Buscaroli, prefazione di M. Praz, Milano 1992, ad voces. []
  99. A. CALLARI, Bagnasco Salvatore, in L. SARULLO, Dizionario…, vol. III, 1994, p. 16; P. PALAZZOTTO, Andrea Onufrio…, in Materiali preziosi…, 2003, p. 352. []
  100. ASP, Corporazioni Religiose soppresse, Convento di S. Francesco di Paola e di S. Oliva, vol. 645, ff. 35, 37. []
  101. P. PALAZZOTTO, Palermo. Guida…, 2004, p. 240. []
  102. M. C. RUGGIERI TRICOLI, Costruire Gerusalemme…, 2001, p. 253 nota 1239. []
  103. ASP, Corporazioni Religiose soppresse, Convento di S. Francesco di Paola e di S. Oliva, vol. 645, f. 44. []
  104. ASP, Corporazioni Religiose soppresse, Convento di S. Francesco di Paola e di S. Oliva, vol. 645, f. 49. []
  105. ASP, Corporazioni Religiose soppresse, Convento di S. Francesco di Paola e di S. Oliva, vol. 645, f. 63. []
  106. ASP, Corporazioni Religiose soppresse, Convento di S. Francesco di Paola e di S. Oliva, vol. 645, f. 29. []
  107. ASP, Corporazioni Religiose soppresse, Convento di S. Francesco di Paola e di S. Oliva, vol. 645, f. 34. []
  108. M. C. RUGGIERI TRICOLI, Costruire Gerusalemme…, 2001, pp. 149-150. []
  109. ASP, Corporazioni Religiose soppresse, Convento di S. Francesco di Paola e di S. Oliva, vol. 645, f. 37. []
  110. ASP, Corporazioni Religiose soppresse, Convento di S. Francesco di Paola e di S. Oliva, vol. 645, ff. 32, 33, 34, 36, 37. []
  111. M. C. RUGGIERI TRICOLI, Costruire Gerusalemme…, 2001, p. 162. []
  112. ASP, Corporazioni Religiose soppresse, Convento di S. Francesco di Paola e di S. Oliva, vol. 645, ff. 34,35, 38, 39. []
  113. ASP, Corporazioni Religiose soppresse, Convento di S. Francesco di Paola e di S. Oliva, vol. 645, ff. 44, 59. []
  114. ASP, Corporazioni Religiose soppresse, Convento di S. Francesco di Paola e di S. Oliva, vol. 645, ff. 49-50. []
  115. ASP, Corporazioni Religiose soppresse, Convento di S. Francesco di Paola e di S. Oliva, vol. 645, f. 49. []
  116. F. ROTOLO, La Basilica di San Francesco d’Assisi in Palermo, Palermo 1952, pp. 136-138; M. C. DI NATALE, scheda V,5, in Le Confraternite dell’Arcidiocesi di Palermo. Storia e Arte, a cura di M. C. Di Natale, fotografie di E. Brai, Palermo 1993, p. 232. []
  117. L’altare: mistero di presenza…, 2005. []