Maria Concetta Di Natale

mariaconcetta.dinatale@unipa.it

Gli studi sulle arti decorative a Trapani dal XVII al XX secolo

DOI: 10.7431/RIV06062012

La particolare attenzione alle arti decorative attraverso i secoli, da parte degli studiosi trapanesi li differenzia da quelli delle altre città dell’isola, motivati dall’assoluta eccezionalità delle particolari lavorazioni artistiche in cui si sono sempre distinti i maestri locali e dalla consapevolezza della loro impor­tanza per la vita della città. L’arte del corallo prima e poi quelle dell’avorio, alabastro e materiali marini, compresa la realizzazione dei cammei, divengono, pertanto, i principali motivi di attenzione da parte degli studiosi, che talora, tuttavia, solo marginalmente lasciano spazio a notizie su orafi e argentieri.

Già nel XVII secolo Giovan Francesco Pugnatore nella sua Historia di Trapani si rende conto dell’importanza della pesca del coral­lo per l’economia trapanese 1.

L’Orlandini nel 1605 ricorda l’esistenza di ben 25 botteghe di corallari e precisa che le loro opere inviate “in lontani paesi” erano destinate a “gran principi” e costavano “grandissimo prezzo” 2.

Vincenzo Nobile dedica nel 1698 il suo Tesoro nascoso al simu­lacro della Madonna di Trapani del Santuario dell’Annunciata della città, vero tesoro per i trapanesi, notando che “coll’entrar di Maria entrarono tutti i beni nella città” tanto che “non viene in Trapani forestiero che non riporti seco alla patria qualche statuetta di coral­lo o di alabastro di Nostra Signora per provvedere alla devozione sua e dei paesani” 3. Egli precisa che “vi è perciò quivi un’honoratissima maestranza d’eccellentissimi scultori distribuiti in 40 e più officine, insigni nel lavor dell’arte loro, cioè di scarpellare coralli” 4. Il Nobile ha già chiaro il ruolo di fondamentale importanza svolto dagli scul­tori trapanesi e particolarmente di quelli che lavoravano il corallo, non solo dal punto di vista devozionale e artistico, ma anche econo­mico per la città. L’importanza della maestranza dei corallari non offusca, tuttavia, a Trapani quella di tutte le altre. Vincenzo Nobile, non tralascia di elencare numerose opere di oreficeria e argenteria offerte in dono alla Madonna dì Trapani, accompagnandole con i nomi degli illustri donatori 5.

Minuziosi elenchi di tali preziosi doni forniscono gli Inventori dei Beni mobili del Santuario dell’Annunziata di Trapani, annotati dai padri Carmelitani, importante fonte per la storia dell’argenteria e dell’oreficeria siciliana, che offrono la descrizione dell’opera, riportando solitamente anche il nome del donatore, talora il valore dell’oggetto, la qualità delle eventuali gemme, l’indicazione dei materiali e la citazione, sia pur rara, del maestro talora chiamato per la valutazione degli stessi, come l’argentiere di origini milanesi Gio­vanni Paolo Bescapei (Bescapè), ma quasi mai l’autore dell’opera 6.

Padre Benigno da Santa Caterina, Agostiniano Scalzo, vissuto negli anni 1743-1815, è ricordato nelle Biografie degli uomini illu­stri trapanesi di Giuseppe Maria Di Ferro nella “classe dei migliori letterati” 7. La sua opera manoscritta, conservata alla Biblioteca Fardelliana di Trapani è suddivisa in due parti, una dedicata a Trapani Profana e una a Trapani Sacra 8. Nel quindicesimo capitolo, intito­lato Delle Belle Arti di Trapani, una importante sezione è dedicata alla scultura, in cui sono inserite tutte le forme d’intaglio in cui era­no specializzati i maestri trapanesi: “vi sono in Trapani diverse scuo­le di scultura, nelle quali si lavora perfettamente non meno in gran­de, che in piccolo ogni sorta di pietre Ambra, in Corniola, in Agata, in Diaspro”, sottolineando che si tratta di un’ “arte meravigliosa che ha reso celebre la città di Trapani”. Si rende, pertanto, conto dell’im­portanza della lavorazione delle maestranze trapanesi per la città come già Vincenzo Nobile nel l698 9. A proposito delle “opere in avo­rio, nel cui lavorio tanto si sono distinti gli scultori trapanesi” ritie­ne si possa “asserire francamente, non esservi in Trapani Chiesa, che non conserva un suo Crocifisso in avorio, di buon gusto e forse più d’uno. Anzi aggiungiamo non osservi casa di riguardo, che nel capezzale del suo letto non tenga affisso il Crocifisso di avorio. Sic­come diverse statuette di Maria di Trapani, e di altri Santi, pongono in vendita gli scultori trapanesi, e di tal materiale costrutte”10. Significativa è poi la chiara dichiarazione dell’intento che lo spinge ad esaltare le glorie di Trapani: “Scrivere della propria città permet­te al buon cittadino di ricordarsi del suolo natio e degli antenati, lodandone le imprese” 11. Come aveva già fatto, ancora una volta, Vincenzo Nobile 12, Padre Benigno si dilunga sulle vicende storiche e leggendarie relative al simulacro della Madonna di Trapani, ne nar­ra i miracoli e riporta un minuzioso elenco di doni offerti come ex voto e dei relativi donatori 13. È il solo modo in cui si occupa dell’o­reficeria trapanese, mentre tra i doni di argenteria ricorda, sempre a proposito del Santuario dell’Annunziata, “la città di Trapani tutta d’argento d’onze 200”14, che specifica essere stata donata da Don Marcello Sieripepoli nel 1694 e definisce “opera molto esatta e deli­cata”15, senza curarsi di fornire informazioni sull’autore, proprio come aveva già fatto il Nobile16. Ricorda poi i “bacili reali d’argento indorati, che fanno equipaggio alla credenza”, donati alla Madonna di Trapani da Don Giovanni Aragona, duca di Terranova17. Si soffer­ma ancora sui “due gran doppieri di Argento di palmi 8 e mezzo”, precisando che furono donati alla Madonna di Trapani da “D. Gio­vanni d’Austria”18. Non rileva la data riportata nell’iscrizione dei can­delieri, il 1651, né fornisce altre informazioni da questa rilevabili19. Nello stesso Santuario ricorda pure la statua d’argento di Sant’Al­berto, specificando che ”dentro una nicchia, vi sta allungata la sta­tua in argento, dentro la quale si conserva il cranio e la testa del Santo involtata entro una mattola di cottone”20. Il Padre Agostiniano si sofferma più sulla reliquia che sull’opera, sul valore devozionale che ritiene chiaramente primario, senza dare alcuno spazio a quel­lo artistico ed alcuna informazione sull’autore dell’opera.

Giuseppe Maria Di Ferro, considerato “figura non soltanto di conoscitore, ma anche di erudito sensibile e pronto a recepire le teo­rie estetiche che circolavano in Europa e in Italia nei primi anni del secolo XIX”21, divide il suo studio Delle Belle Arti, edito nel 180722, nei tre tradizionali “discorsi”, analizzando “i principi”, “le cagioni dei progressi” e “la perfezione delle Belle Arti”, “secondo i più tradi­zionali principi della teoria classicista”23. Lo studio è destinato agli artisti trapanesi ritenendo che questi, poiché “non abbiano sovente l’aggio di erudirsi, perché essendo quasi sempre costretti ad opera­re, l’anima loro non ha il tempo di fermarsi sopra di se medesima; procurai di mettergli innanzi con poche Dissertazioni, tutto ciò, che essi non leggerebbero altrimenti. Io ho voluto ancora indicare con qualche attenzione i monumenti di Belle Arti che esistono in Trapa­ni, ed ho voluto intessere lievemente l’elogio di quei virtuosi, che hanno brillato in queste facoltà, a fine di accendere una certa glorio­sa emulazione, ed appalesare al tempo istesso i grati sentimenti del­la patria verso quegli uomini insigni che l’hanno decorata”24. Già l’architetto Giovan Biagio Amico, non a caso trapanese, aveva dedi­cato ai giovani che volevano intraprendere la sua stessa attività il suo trattato, L’Architetto pratico, edito a Palermo nel 1726, tenendo con­to della dignità da mantenere e delle scienze da conoscere, con la chiara indicazione del disegno: “Per essere un perfetto architetto ed essere tenuto in quel grado di dignità ed onore in cui sempre è sta­to appresso tutte le nazioni eziandio barbare bisogna che sia bene istruito nelle matematiche, ed in tutte le arti meccaniche, special­mente nella geometria, nel disegno, nell’aritmetica o abaco, nella prospettiva e nella cosmografia, né sia privo ed ignorante dell’astro­nomia e astrologia, della musica, della scienza e delle cose naturali, della medicina, dell’istoria e delle leggi che appartengono agli edi­fici”25.

Nella sua Guida per gli stranieri in Trapani, edita nel 1825, destinata a “fornire, soprattutto ai viaggiatori uno strumento utile al fine di avere notizie precise sui luoghi da visitare”, il Di Ferro, speci­fica di non potere fare a meno “di far conoscere allo straniero che anche le arti meccaniche abbino quivi brillato in compagnia delle liberali”, dedicando un capitolo alle “Belle Arti” che significativa­mente inizia: “È conveniente che all’articolo delle scienze, succe­desse quello delle arti di piacere. Il loro vincolo è così stretto, che dove giunge il dominio della filosofia, fin là si può inoltrare lo sforzo di ogni arte d’immaginazione, di sentimento, e di gusto. Dipendono esse tutte da un medesimo principio, cioè dalla ragione ben coltiva­ta. Le prime, ossigeno le scienze, sono destinate ad illuminare il nostro spirito, e le belle arti a destare nel nostro cuore le più dilette­voli sensazioni”26. È pertanto la stessa “dipendenza” dalla “ragione” che consente di affiancare le “scienze” alle “arti”, che tuttavia rimangono su due piani diversi. Tra i settori dell’arte, non fa comun­que alcuna differenza. Continuando, il Di Ferro tratta, infatti, di orefi­ceria, anche se solo a proposito della lavorazione dei cammei: “Avan­zandosi gli artisti trapanesi nell’arte del disegno, fecero divenire la loro patria la sede delle più gaie e piccole sculture. V’impegnaron essi le sostanze animali, e riserbarono le vegetali, e le minerali per gran lavori. Abbracciando il gusto dei Gliptografi formarono i più ele­ganti camei per anelli, per bottoni, per monili. Tutti gli oggetti non belli, vengono ripudiati da questa scultura, come di non sua perti­nenza. Ogni rappresentazione che non fosse vezzosa, e leggiadra, si crede degradante questa per quanto piccola, altrettanto difficile imitazione della natura, o del bello ideale”27. Dopo essersi dilungato sui pittori e particolarmente su Giuseppe Errante, che considera “nato per la gloria pittorica di Trapani”, fa una citazione sull’oreficeria alla fine del capitolo: “sin dai tempi i più lontani, i Sovrani di Sicilia col­marono di esenzioni, e di privilegi il corpo di questi periti artefici in oro, ed in argento. I loro artifiziosi lavori, e l’arte perfino la più inge­gnosa di legare le gioie, vi sono state eseguite nella più elegante maniera”28. Di fondamentale interesse è poi la sua Biografia degli uomini illustri trapanesi, articolata in quattro volumi pubblicati tra il 1830 e il 185129 in cui più volte sottolinea l’importanza del dise­gno nella formazione dell’artista, considerandolo “momento espres­sivo di un’idea”30. Il Di Ferro, dunque, non fa differenza tra le varie arti analizzandole tutte alla stessa maniera proprio in virtù della importanza che avevano le arti decorative a Trapani e soprattutto i diversi modi di scolpire sui più vari materiali, senza tuttavia mostra­re attenzione alla maestranza degli orafi e argentieri.

Giuseppe Maria Fogalli, barone di Imbrici, vissuto a Trapani dal 1770 al 1848, nel suo manoscritto del 1840 circa, conservato nella Biblioteca del Museo Regionale Pepoli di Trapani, dal titolo Memorie biografiche de’ pittori ad olio, a colore, a disegno a mosaico, a paesaggi, a tempera, acquarella, a miniatura, indoro ecc. trapa­nesi; Memorie biografiche de’ Copisti o siano bassi pittori, e degli adornisti trapanesi; Memorie biografiche degli Scultori. Incisori, Intagliatori ecc. trapanesi, in quest’ultima parte inserisce alcune biografie di orafi e argentieri, considerandoli pertanto nella più ampia e articolata categoria degli scultori a Trapani, abili nella lavo­razione di materiali diversi, nonché nell’incisione di cammei31. Ricorda tra gli altri Vincenzo Bonajuto o Bonaggiuso che considera nato intorno al 1600 e definisce “celebre cesellatore in argento”, segnalando “tra le altre ben degne sue opere vestito con esattezza, e naturalezza, e ravvivata in argento la colossale statua di S. Alberto Abbate di Trapani carmelitano, la quale si conserva nella cappella a lui consacrata dentro la chiesa carmelitana dell’Annunziata detta del­la Madonna di Trapani fuori città”32. L’opera con il Fogalli è, dunque, per la prima volta citata a proposito del suo autore. Ricorda ancora Nicolò Buongiorno “orefice e gioielliere”, attivo nella seconda metà del XVIII secolo, di cui sottolinea che “volle esercitare l’arte di cesel­latore d’oro sotto la scorta dei precetti del disegno” e che “per dare piacere al pubblico, si vidde costretto aprir scuola di disegno e di cesellatura nella sua stessa bottega, dove accorsero molti giovani discenti”; Matteo e Bartolomeo Buzzo, vissuti tra la fine del XVIII e l’i­nizio del XIX secolo, “ambedue peritissimi e famosissimi gioiellieri, e cesellatori in oro ed argento, e perché ricchi si inoltrarono a mercan­tar tutta sorte di gioie, e di pietre preziose, ed elevar con meccanica pratica una quantità d’istrumenti”33. Informa inoltre che Bartolo­meo mantenne rapporti commerciali con Napoli, Livorno, Marsiglia, Gibilterra e Vienna per “gioie e petre dure”34. Ricorda ancora Carlo Carraffa “ottimo orefice, cesellatore e meccanico di vari strumenti”, attivo alla fine del XVIII secolo35; Giacomo Costadura, vissuto dal 1754 al 1823, che “si diede all’arte di orefice, di incisore, e cesellato­re di oro, argento e rame” e nota che “si ammirano ancora le prodi­giose sue opere in pissidi, calici, ostensori, portelli dì tabernacoli, candelieri, vasi, ninfe, bacili, piatti” e che “vestì d’argento la statua colossale di Sant’Alberto Abbate, trapanese carmelitano, appartente al ceto dei Pescatori, che si conserva nella chiesa della Madonna del­la Grazia” e il figlio Giuseppe nato nel 1788, che continuò l’arte paterna, commerciando con Palermo e Malta gioie e pietre preziose, e che “fu l’artefice delle due aureole e corone del quadro di Maria di Custonaci del Monte di San Giuliano”, nonché delle spighe e dello stellario di diamanti e brillanti, e che “fece importanti restauri e rive­stì d’argento la statua di San Vito del Monastero di San Michele di Mazara e gli angeli lignei, scolpiti dagli scultori trapanesi Alberto Aleo e Francesco Marino, posti ai lati del simulacro della Madonna di Trapani”36. Ricorda poi l’ingegnoso Antonio o Andrea Daidone, vissu­to nella seconda metà del XVIII secolo e definito per genialità “primo gioielliere e cesellatore”; Vincenzo Incaglia “grande orefice, gioiellie­re, incisore” di cui segnala la “grande pisside di argento indorato con diversi colori, con lavorio singolarissimo e da stile di Francia in que­sta chiesa dell’Addolorata” e la lavorazione delle spade, specificando che moriva a circa 64 anni nel 1822; Gioacchino Marino, nato il 9 maggio 1805, di cui scrive che “acquistò la meccanica di far argen­tiero, orefice, e gioielliere, lavorò la lignite” chiamata “lionite dal naturalista Plinio”, presentando collane, orecchini, anelli con tale materiale a Palermo all’esposizione organizzata dal Reale Istituto d’Incoraggiamento del 1856; segnala ancora l’attività della famiglia Parisi, Nicolò, figlio di Mario e il figlio Giovanni, vissuti nel XVIII seco­lo, che lasciarono suppellettili liturgiche per la chiesa del Monastero della Badia Grande; di Gaetano Parisi, nato nel 1793, cesellatore di cui ricorda numerose suppellettili liturgiche d’argento a Trapani ed Erice; e infine di Antonio Scalabrino, nato nel 1755 e morto nel 1833, gioielliere, orafo e cesella­tore37. Le citazioni biografiche riguardano dunque per la maggior parte orafi attivi in un periodo storico vicino a quello in cui vive il Fogalli, se non proprio i suoi contemporanei e si tratta di artisti comunque spesso pure adusi all’inci­sione su pietre dure, dalla attività pertanto affine ai numerosi scultori “in pic­colo e in tenero” famosi a Trapani e fuori della loro patria d’origine. Fonti da cui attinge e non dimentica di citare sono Padre Beni­gno da Santa Caterina e il Cav. Giuseppe Maria Di Ferro.

Nel panorama siciliano una fondamentale figura di studioso della seconda metà del XIX secolo che ebbe coscienza della egua­glianza tra le cosiddette arti maggiori e minori fu Gioacchino Di Marzo che, già nella sua giovanile opera Delle Belle Arti in Sicilia, edita a Palermo negli anni 1858-64, scrive: “Nell’ore­ficeria concorsero tutte le arti e vi si congiunsero: la pittura per gli smalti, l’intaglio pei nielli, e per coniare le monete e pei sugelli, la scultura pel rilievo, l’architettura per la forma dei reliquiari, degli ostensori, degli altari, degli scrigni”38. Il pensiero si fa poi più pro­fondo e maturo nell’altro fondamentale suo studio sui Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI, in due volumi, edito a Paler­mo negli anni 1880-1883, in cui dedica un intero capitolo all’Oreficeria in Sicilia dal XV al XVII secolo39 notando che: “Fu ed è e sarà sempre ad essa nemica la preziosità della materia facile a tentare l’umana cupidigia, e facile mezzo a soddisfare alle necessità, onde non furono mai rari esempi di lavoro di oreficeria d’oro e d’ar­gento miseramente disfatti per sopperire ai pubblici e privati bisogni”40. Lo stu­dioso nota poi che “ne men d’ogn’altra cagione all’annientamento delle più belle opere d’oreficeria concorse infine in ogni tempo la moda, questa regina dei capricci, la qual, rinnovando la vita dal cam­biar delle voglie e del gusto, trovò in quelle per la fragi­lità della materia il più age­vole campo del suo genio distruggitore, nulla nel suo furore rispettando, neppur le cose sante, e tutto mettendo a nuovo per l’antico amor di far meglio”; e con­clude; “Del che soprattutto dan prova i tesori delle principali chiese dell’isola, che, forniti di gran copia di antichi lavori insin dal regno dei Normanni e per tutto il felice corso de’ più bei tempi dell’arte siccome dagli antichi inventari, e da altri antichissimi documenti apparisce, raro è che oggi contengano ragguardevoli opere anteriori al seicento e al sette­cento, giacché, tranne sol poche tuttavia fin oggi esistenti, fu tutto il resto preda della sua moda non men che dell’ingordigia, del bisogno e dell’ignoranza”41. In queste frasi, se da un lato si lascia sfuggire un commento da uomo del suo tempo considerando alcuni periodi sto­rico-artistici più felici di altri per lo stile, dall’altro mostra la sua maturità di studioso nel citare fonti documentarie per attingere a notizie storiche di opere d’arte anche perdute nel tempo, secondo uno dei principi fondamentali della ricerca scientifica che va appli­cata indistintamente a tutte le arti. Non a caso lo studioso affronta la ricerca sui Gagini con piena coscienza che “la storia dell’arte non si abbia da scrivere se non con i suoi monumenti dinanzi agli occhi” e che “un’immensa ricchezza di memorie apprestan gli archivi, offrendo alla storia un campo finora inesplorato ed abbondantissi­mo”42. Mostra chiaramente di avere pienamente acquisito strumen­ti e metodi della ricerca scientifica, dall’indagine sul campo alla conoscenza diretta dell’opera d’arte, nonché dalla paziente e metico­losa disamina dei documenti d’archivio, che sa con magistrale padronanza applicare a tutti i campi dell’arte siciliana.

Lo studioso dedicando il capitolo dell’Oreficeria a Nibilio e Giuseppe Gagini traccia per la prima volta una vera e propria storia dell’oreficeria siciliana. Il Di Marzo, iniziatore della storia dell’arte siciliana, avvia pertanto il discorso sull’oreficeria notando come “in gran pregio e uso la si rinviene in Sicilia ne’ secoli. Del che si ha ragione dalle stesse condizioni dell’isola e soprattutto dal predomi­nio in essa tenuto dal clero e dall’aristocrazia feudale, per cui la reli­gione, il costume signorile e il lusso in sommo grado furono propizi a quest’arte, così feconda in Italia nelle opere, nella tecnica, nello sti­le, nell’invenzione”43. Con queste ultime parole lo studioso definisce le componenti principali delle opere d’arte in genere e di quelle di oreficeria in particolare, senza differenza.

Lo spazio che il Di Marzo riserva ai maestri trapanesi si limita, tuttavia, alla segnalazione del leggio in bronzo di Annibale Scudaniglio opera del 1582, già della Chiesa dell’Annunziata di Trapani e del­la “custodia d’argento in Monte San Giuliano”, dovuta a “Pietro Lazzara, ericino, cognato di Nibilio Gagini”, di cui rilascia un giudi­zio non del tutto lusinghiero: “A voler giudicare intanto del merito del detto artefice da quell’unica opera, che sen conosce in sua patria, valse egli non poco in vero per l’ingegnosa ed architettonica inven­zione, che riesce ad un bello ed elegante effetto del tutto, ma difettò altrettanto nell’esecuzion delle parti, mostrandosi perciò in essa non solo inferiore a Nibilio ed a’ precedenti maestri, ma bensì a’ più bra­vi argentieri posteriori”44.

Principale merito dell’infaticabile studioso, che torna a trattare di argenteria siciliana anche nel volume del 1899 sulla Pittura in Palermo nel Rinascimento45, è quello di avere studiato delle arti decorative tutte, non ultime oreficeria e argenteria, che al suo tem­po ancora faticosamente cercavano di affrancarsi dalla restrittiva definizione di “minori”, nell’ambito della congiuntura storica segna­ta dalla diffusione della conoscenza e della ricerca sulle arti applica­te nel XIX secolo, con lo stesso metodo scientifico con cui trattava tutte le altre arti, dalla pittura alla scultura, anche se non aveva supe­rato la generale predilezione per il periodo storico del classicismo rinascimentale dei secoli XV e XVI.

Agostino Gallo, nel suo manoscritto Incisori, scultori sicilia­ni…46, attingendo per gli artisti trapanesi alle biografie del Di Ferro, indaga anche i secoli XVII e XVIII, pur senza porgere particolare attenzione agli argentieri trapanesi.

Non mancano accenni ai maestri trapanesi nelle guide di Giu­seppe Polizzi che scrive dei Monumenti di antichità e d’arte nel 187547 e nella Breve Guida Artistica di Trapani del 1883 di Fortu­nato Mondello48. Il Canonico, ancora una volta, nel porre l’attenzio­ne alla devozione nei confronti della Madonna di Trapani trova spun­to per citare opere di argenteria e oreficeria rendendosi conto della loro importanza per la storia dell’arte trapanese. Nella premessa al suo testo dal titolo La Madonna di Trapani. Memorie Patrio-storico-artistiche stampato a Palermo nel 187849, indirizzata “a chi leg­ge”, scrive: “Queste memorie che ora si presentano al pubblico, con­siderate dal lato patriottico, mi pare (e spero di non ingannarmi) che si abbiano una grande importanza nei fasti di Trapani. Sotto il con­cetto religioso, a dir vero, non ci danno se non che l’illustrazione cronologica, storica ed artistica de’ rapporti tra la Madonna e il nostro Paese. Avrebbero meritato senza dubbio un’altra penna che non fosse la mia; ma nutro fiducia che il soggetto si raccomanderà da sé, specialmente ai miei cittadini, se ancora del tutto non è spen­ta in loro la fede e la gloria degli avi”. Il Canonico Mondello, pertan­to, sottolinea piuttosto le sue finalità patriottiche che quelle religio­se, con meditato atto di modestia nei confronti del suo primario ruo­lo, quello di prelato. Lo studioso, “appassionato cultore delle cose patrie”, come, peraltro, viene definito nella prefazione ad una ristampa parziale del suo testo del 1935, al tempo esaurito, dal Vicario Generale dei Carmelitani50, dedica il quarto capitolo ai “Doni preziosi offerti all’immagine di Maria”, specificando che: “La fama a cui pervenne il simulacro di Maria di Trapani occupò moltissimi scrittori, da’ quali si ricavano tuttavia delle minute notizie intorno a’ miracoli operati da Dio per intercessione di sua Madre. In alcuni di essi si fa eziandio parola de’ preziosissimi doni, offertili da’ devoti, fedele monumento di perpetua riconoscenza”51. Il Mondello specifi­ca che le sue fonti per l’argomento sono due “cataloghi inediti del convento”, di cui non riporta le date, “quello edito del Nobile, nel Tesoro nascoso, del 169852, e il catalogo del “Cav. Giuseppe Poliz­zi”, che ritiene essere “il più completo” e che, quando scrive il Mondello, nel 1878, era in corso di pubblicazione e vide la stampa nel 188053. Il Polizzi, erudito locale, appassionato archeologo e diretto­re della Biblioteca Fardelliana, for­nisce anche indicazioni biografi­che sulle più importanti figure dei donatori, che il canonico Mondello precisa di non ripetere, anche per­ché già talora indicati tra i perso­naggi illustri che andarono a visita­re il simulacro della Madonna di Trapani, che lo stesso tratta in un capitolo dal titolo “visitatori del simulacro di Maria”54.

Passando al XX secolo si ricor­da il De Felice, appassionato can­tore dei cammei trapanesi: “nell’ovale di pochi centimetri di pur­pureo corallo o conchiglia sorrido­no testine di donna, cantano leg­gende e miti, si aprono lieti pae­saggi”55.

Mario Serraino che, nel suo volume Trapani nella vita civile e religiosa del 1968, a proposito delle “Maestranze e Capitoli”, trat­ta anche dell’ “arte degli orefici” riferendo dei “capitoli della mae­stranza approvati in data 11-4-l6l2”, riportati dal “notaro Fran­cesco Gioemi”, precisando che “i suddetti capitoli furono aggiornati nel 1756 (atto 7 marzo – not. Gaspare Fiorentino), nel 1761 e infine nel 1792 (atto 3 dicembre – not. Gaspare Fiorentino)56. Poi nel trattare di “scultori, pittori, orafi e fonditori”, dopo un chiaro privi­legio per scultori e pittori, individua alcuni orafi del XVII e XVIII seco­lo, attraverso documenti d’archivio57. Mario Serraino, in seguito, nel suo testo Trapani invittissima e fedelissima del 1985, dedica un unico capitolo ai corallari, argen­tieri e vasari58. A proposito degli argentieri nota che “I maestri trapanesi appresero l’arte dagli ebrei, si servirono del corallo quale com­plemento del metallo prezioso, subirono l’influenza della scuola italiana e ne imitarono il virtuosismo, ebbero il loro marchio”. Lo studioso riporta diversi nomi di argentieri trapanesi e ritiene che il loro “periodo felice… ebbe inizio nel secolo XVII e si protrasse per tutto il XVIII secolo”59.

Fu Maria Accascina che, par­tendo dalla lezione di Adolfo Ven­turi, con il quale aveva fatto la tesi di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna dell’Università di Roma, dallo stu­dio  dell’oreficeria  medievale, ampliò i suoi orizzonti affrontando la ricerca sulle arti decorative in genere e sull’argenteria in partico­lare, soprattutto in Sicilia, spazian­do nei più diversi settori artistici dal periodo medievale, al moder­no, al contemporaneo e non trala­sciando aree diverse dell’isola60. La sua metodologia di studio era basata, come elemento primario e indispensabile, sulla ricerca sul campo, sempre memore dell’inse­gnamento venturiano di “vedere e rivedere”.

Nel 1962 la studiosa affrontava sulla rivista “Antichità viva” l’ar­gomento dei Marchi dell’argenteria siciliana, sottolineando come: “per offrire agli studiosi e agli antiquari questa facile chiave per iden­tificare opere preziose, le difficoltà sono moltissime e a quelle ben note e comuni a tutti gli storici dell’arte italiana nella ricerca di tavole e tele inedite, si aggiungono, per gli studiosi di argenteria, le diffi­coltà dovute alla preziosità della stessa materia – al di fuori della qualità stilistica – che esige una particolare custodia”61. Sulla stessa rivista nel 1966 scriveva Palinodia sull’arte trapanese del corallo, argomento che aveva già affrontato nel 1936 sul “Giornale di Sicilia”, toccando questo fondamentale tema dell’arte trapanese. La studiosa aveva ormai chiara comprensione delle tecniche realizzative comuni alle opere d’arte decorative siciliane diverse, come si rileva dalle seguenti affermazioni: “La coralleria alla fine del Cinquecento e nei primi decenni del Seicento doveva gareggiare e forse sostituirsi alla oreficeria di cui ereditava tecniche e modi, impiegandoli però con intelligente riguardo alle diverse materie: duttile la lamina di rame dorato, duro, ma vivido di colore il corallo”. Continua: “Di un’altra tecnica particolarmente in uso nell’oreficeria palermitana seppero trarre profitto gli orafi trapanesi. Tutta l’opera, ostensorio o calice veniva eseguita non più con una lamina d’argento o d’oro sbalzata e cesellata, ma con un intreccio elegantissimo di fregi smaltati, con risultati eccezionali”62. Nel 1966, commemorando Gioacchino Di Marzo presso la Società Siciliana di Storia Patria di Palermo notava come “Dall’oblio il Di Marzo cercò anche di salvare con documenti e notizie i più importanti orefici e argentieri (…) ed ha indicato anche l’importanza delle miniature splendido contributo alla pittura e alla cultura dei secoli e di cui finalmente Angela Daneu Lattanzi ha potuto pubblicare gli esemplari più celebri, lei felice anche per la splendida pubblicazione sui coralli mentre io invece continuo a gira­re per paesi e paeselli e su a Vienna e su a Londra, e a raccogliere marchi e fotografie per una storia dell’oreficeria di Sicilia di cui pro­prio il Di Marzo mi ha messo nel cuore l’ansia di conoscere e far conoscere”63. Non si può non sottolineare l’importanza di questa dichiarazione di legame di continuità di ricerche tra i due grandi stu­diosi, e non certo casualmente sull’Accascina dovette cadere la scel­ta per la commemorazione del Di Marzo.

E finalmente nel 1974 Maria Accascina poté pubblicare a Paler­mo, con l’editore Flaccovio, il tanto desiderato volume sull’Oreficeria di Sicilia64, testo che rimane ancora oggi fondamentale per gli studi sull’argenteria dell’isola e che è stato il punto di partenza imprescindibile per tutti quelli successivi del settore. Nella premes­sa al volume l’Accascina scriveva: “L’oreficeria è stata sempre per me un aspetto, il più interessante dell’artigianato: inteso come vita stes­sa di un popolo che si fa nell’operare. Essa stringe compromessi con tutte le altre forme dell’arte; l’orefice stesso, per vivere, stringe com­promessi con tutti: entra nella corte reale, nei palazzi, nei castelli dei potenti, riceve nelle sue mani tanto oro e tante gemme quante ne basterebbero, e certo lo pensa, a sfamare villaggi interi, firma i con­tratti con la croce perché pur essendo un raffinato nel gusto e nella tecnica è un analfabeta; uscito dal palazzo, compiuta l’opera fa ritor­no fra gli umili e spesso tra i compagni di stenti e di miserie”65. Scrive ancora: “L’identificazione dei marchi dei vari consolati mi permetteva di cominciare a dividere in vari gruppi le tante opere” e con­tinua “le iniziali dei consoli e spesso degli orefici con l’aiuto dei manoscritti inediti e dei documenti si trasformavano in nomi e i nomi si riunivano in famiglie e le famiglie si localizzavano in botte­ghe e le date precisavano i tempi”. Così, commenta “dall’ombra dell’inedito apparivano i volti degli orefici, degli argentieri e le loro voci si facevano sempre più chiare, la vita sempre più legata alla realtà storica della loro città. Impossibile parlare di un’oreficeria o argen­teria siciliana, bisognava seguire i vari percorsi dei vari consolati tut­ti quanti ben caratterizzati; si venivano a creare isole culturali den­tro l’isola e la costanza e la tenacia dell’attività di questi artigiani e artisti appariva legata sempre agli eventi stessi della loro città in una connessione strettissima con la realtà alla quale erano stati uniti e della quale erano espressione immediata e felice”66. Così, attraverso il metodo di studio scientifico di Maria Accascina, l’arte dell’orefice­ria, dell’argenteria, quell’arte infelicemente definita “minore”, diviene storia dell’arte.

Nel capitolo dedicato all’argenteria trapanese del Sei e Settecento l’Accascina ne ricostruisce la storia e i percorsi stilistici, individuan­do personalità artistiche e analizzando opere67. Nota che “a poco a poco l’argenteria andò acquistando interesse e valore e da umile ancella, come era stata nel ‘500 rispetto alla coralleria, diviene pro­tagonista di opere di eccezionale pregio68. La studiosa fa ancora chia­rezza sullo stretto rapporto tra l’arte del corallo e dell’argenteria tra­panese. Scrive inoltre: “Già nel quarto decennio del Seicento comin­ciano ad apparire opere con date e marchi con lo stemma di Trapani (…). In un gruppo di opere pare di scorgere un immediato aggiornamento da parte degli argentieri che le hanno eseguite in quel gusto floreale che già dominava nella Spagna come nell’In­ghilterra e a Palermo e a Messina”69. Viene così segnalato il circuito culturale che lega i maestri trapanesi a quelli delle altre importanti città dell’isola, quali Palermo e Messina. Ancora nota: “L’opera più importante è un paliotto d’argento nel quale si ripete più volte il marchio di Trapani e lo stemma di Monsignor Graffeo (Mazara-Cattedrale). Nel compromesso venuto di moda con l’architettura, compromesso ampiamente seguito specialmente per paliotti d’alta­re anche ricamati in corallo con inserimento in lamina d’argento  – ma a Trapani anche per oggetti vari eseguiti a corallo: capezzali, qua­dretti, acquasantiere – merita un rilievo questo paliotto nel quale l’argentiere riesce a tradurre nella lamina d’argento tanto la durez­za degli elementi architettonici, colonne, pilastri etc., quanto la deli­cata grazia di minuti fregi che ne ornano tutto il prospetto”. Dopo aver sottolineato, quindi, gli stretti rapporti e gli inevitabili inter­scambi tra i diversi settori artistici, continua: “In questo clima si può intendere quale entusiastico consenso dovette avere il calice d’oro con la firma di Pietro Juvara e dei figli Eutichio e Sebastiano, segui­to probabilmente tra il 1675 e il 1680 nel più raffinato manierismo celliniano e l’ostensorio con la base datata 1682, probabilmente ope­ra di Gregorio Juvara (tesoro dell’Annunziata a Trapani, Museo Nazionale Trapani). Le opere proposero esempi indimenticabili per gli orefici locali ai quali parve che la materia preziosissima dell’oro non potesse essere trattata se non in quel modo, con quella pazien­te cesellatura, con quel rilievo incessante di piccoli fregi, piccole volute, piccole figure in modo da determinare una doppia superficie scabra in cui lo scintillio della luce si accresce a dismisura. E infatti nel 700, quando già a Messina per l’intervento di Filippo Juvara e dei maestri ritornati da Parigi questa tecnica veniva superata per ottenere nuovi effetti di dinamica della forma nello spazio e di coerenza tra architettura e decorazione, a Trapani si continuò con fedeltà assoluta a questa tecnica”70. L’argenteria trapanese viene finalmente studiata in tutti i suoi aspetti da quelli storico-artistici a quelli delle tecniche realizzative e inserita nella più ampia circolazio­ne culturale, di cui attivamente partecipa.

Nel suo fondamentale volume sui Marchi delle argenterie e oreficerie siciliane, edito nel 1976 dalla Banca Sicula di Trapani, Maria Accascina, pionieristica studiosa di arti decorative, dedica un capito­lo alla maestranza degli argentieri e orafi di Trapani in cui ne ricostruisce le fondamentali tappe storiche. Pur segnalando la presenza dell’ars aurificorum nella processione del cero del 1304, precisa che nel 1555 aveva assegnato uno degli ultimi posti dopo i corallai, e che poi fino all’inizio del XVII secolo faceva parte della potentissima ars corallariorum71. La studiosa ha ben chiara la primaria importanza della maestranza dei corallari trapanesi e sottolinea la separazione avvenuta da parte degli argentieri da questa l’11 aprile l612, quando viene approvato il loro statuto e la concessione nel 1621 del gruppo statuario del Commiato di Cristo e della Madonna, ut dicitur della Licentia, che faceva parte dei gruppi dei Misteri del­la Passione di Cristo, della Confraternita del Sangue preziosissimo di Cristo, che aveva nella processione del Venerdì Santo il primo posto72. Dopo la sommossa e la conseguente repressione del 1673 è nel XVIII secolo che il consolato degli argentieri e orefici di Trapani acquista maggiore dignità e la studiosa nota che “intere famiglie di orafi lavorarono per i potenti ordini religiosi per arricchire le chiese di Trapani, di Mazara, di Marsala, e se ne ha riprova nel cospicuo numero rimasto, nonostante doni forzati e spoliazioni antiche e recentissime, di oggetti marchiati con lo stemma di Trapani in qua­si tutti i centri del trapanese”73. L’Accascina descrive la bullatura in uso dopo il l612 con il marchio ove era rappresentato lo stemma di Trapani: “tre archi di un ponte sormontato da cinque torri (torre Pali, torre Vecchia, torre di Porta Oscura, torre del Castello a mare, torre del Castello a terra), delle quali la più alta è sormontata da una falce indicante la forma del porto e infine da una corona. Tutt’intorno, in caratteri romani, vi è l’iscrizione: Drepanum Urbs Invictissima. Ma nella bulla di garanzia per le argenterie lo stemma viene semplificato e rappresenta soltanto la falce sormontata da corona e, sotto, le lettere D.U.I”74. Chiarisce che solo nella seconda metà del XVII secolo le argenterie presentano tre marchi: “lo stemma di Tra­pani, le iniziali del nome e del cognome del console, le iniziali del nome e del cognome dell’argentiere che ha eseguito l’opera” e che solo “nell’ultimo trentennio appare la data, espressa però soltanto con i due ultimi numeri dell’anno e nello stesso pontillo con le let­tere iniziali del nome e cognome del console”. Specifica poi che nel XVIII secolo la marchiatura “non è sempre costante” e che “quando non vi è la data non sempre appare la lettera C per distinguere le ini­ziali del console da quelle dell’argentiere” e ancora che nel XIX seco­lo la bulla di garanzia “presenta lo stemma nella sua forma comple­ta, cioè con due archi, cinque torri e una corona”, mentre “in un altro marchio sono le lettere iniziali del console e i due ultimi nume­ri dell’anno, e in un altro le iniziali del nome e cognome dell’argen­tiere”75. Dopo il primo ventennio del XIX secolo precisa che ”la bul­la di garanzia ritorna ad essere: la falce, corona a cinque palle e D.U.I; ritornano le iniziali del console seguite dalla lettera C senza data e le iniziali dell’argentiere”76. La studiosa conclude notando come sia “assai complessa la marchiatura intorno al 1824: bulla di garanzia, iniziali del nome e cognome dell’orefice, data per intero e iniziali del console con lettera C in un contorno ellittico”77. Di fon­damentale importanza è poi il ricco repertorio di marchi rilevati su opere di argenterie trapanesi che l’Accascina pubblica e i numerosi nomi di consoli e argentieri di cui scioglie le sigle78.

La studiosa precisa che nel pubblicare “le immagini visive dei marchi con l’indicazione dell’opera e il luogo, con raggiunta di riproduzioni fotografiche che dichiarano anche le qualità artistiche, con tutte le notizie sulla vita e le leggi dei vari consolati e le mutazio­ni nel tempo della bulla di garanzia, si è inteso offrire non soltanto la certezza della legalità della materia preziosa, ma la garanzia di una sicilianità troppo spesso negata specialmente per opere eccellenti. Si è inteso presentare uno strumento di lavoro che può penetrare ovunque: nei musei, negli istituti d’arte, nelle diocesi, nei conventi, nelle case, per far riconoscere le opere come siciliane e rilevarne epoca e valore e farle immettere nel patrimonio artistico che deve essere di tutti e per tutti; può raggiungere argenterie disperse e apo­lidi e far dare una città, un nome a questi artigiani e artisti siciliani che hanno saputo continuare per secoli, nonostante le violenze dell’uomo e della natura, una tradizione magnifica”79.

Nel 1979 la pubblicazione delle ricerche d’archivio di Geneviéve Bresc Bautier s’inserisce nel filone degli studi locali proseguendo e progredendo nella ricostruzione storica per il periodo 1388-1460 e per l’area della Sicilia occidentale, con privilegio per Palermo e Trapani80.

In tempi più recenti proseguono gli studi sull’argenteria e orefi­ceria siciliana e una serie di mostre, organizzate dalla Presidenza della Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Palermo e dall’Asses­sorato ai Beni Culturali Ambientali e P I. della Regione Siciliana, tra cui quella del 1986 sull’Arte del corallo in Sicilia81 e l’altra del 1989 su Ori e argenti di Sicilia82, si tengono proprio nei locali del Museo Regionale Popoli di Trapani, il Museo delle arti decorative per eccellenza in Sicilia, allo­ra diretto da Vincenzo Abbate.

Ad Annamaria Precopi Lombardo si devono in occasione della Mostra del 1989 aggiornati studi e ulteriori progressi attraverso “documenti inediti e poco noti degli argentieri e orafi trapanesi”83, e a Lina Novara le schede del catalogo delle più importanti opere tra­panesi esposte, di cui chiarisce i marchi individuando artefici e con­soli e precisando date”84. Nello stesso catalogo Daniela Ruffino com­pone l’indice degli argentieri e orafi di Trapani basandosi sugli studi di Maria Accascina, Annamaria Precopi Lombardo e Lina Novara85.

In occasione della Mostra del 1989 Silvano Barraja conduce le sue ricerche sulla Maestranza degli orafi e argentieri di Palermo, dalla quale e possibile ricavare notizie e informazioni utili anche per le altre maestranze dell’isola86.

Interessanti avanzamenti e puntuali notazioni sugli argentieri trapanesi offre ancora il volume di Annamaria Precopi Lombardo e Lina Novara sugli argenti dei Misteri di Trapani del 199287.

Nel 1993 nella monografia dedicata al Tesoro dei Vescovi nel Museo Diocesano di Mazara del Vallo, Patrizia Allegra scheda tutte le suppellettili liturgiche d’argento della Cattedrale, che erano state oggetto della sua tesi di laurea, con significativi apporti nella rico­struzione di importanti botteghe di argentieri trapanesi, come quel­la dei Lotta88. Nello stesso volume, Maurizio Vitella oltre alle schede delle opere provenienti dalla Diocesi, redige un elenco dei consoli trapanesi, raccogliendo i risultati degli studi fino a quella data89. Il catalogo rispecchia l’esposizione museale che per ogni vetrina illu­stra in appositi pannelli la storia dei vescovi committenti, accompa­gnata dai loro stemmi, insieme a quella degli orafi e argentieri tra­panesi di cui raccoglie le opere, accompagnata dai loro marchi”90.

La Mostra Il Tesoro Nascosto Gioie e Argenti per la Madonna di Trapani, organizzata da Vincenzo Abbate, nel 1995, al Museo Pepoli, che ancora dirigeva, parafrasando nel titolo il Tesoro Nascoso, fondamentale testo di Vincenzo Nobile, che significativamente si riferiva al venerato simulacro, simbolo della città, piuttosto che ai doni ad esso offerti cui allude quello del catalogo, attraverso l’analisi di fonti manoscritte e a stampa, e manufatti, editi e inediti, con il contributo di studiosi specialisti del settore, da un lato ricostruisce il favoloso tesoro raccoltosi attraverso i secoli e riunisce tutte le opere ancora superstiti, dall’altro ritesse la fitta trama di aspetti diversi che compongono la storia delle arti decorative trapanesi91.

  1. G. F. PUGNATORE, Historia di Trapani, ms. del XVII secolo, custodito presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani, ai segni ms 257, ff. 403-404; cfr. ed. a cura di S. Costanza, Trapani 1984. []
  2. L. ORLANDINI, Trapani in una brieve descrittione tratta fuori dal compen­dio di cinque antiche Città di Sicilia insieme con un cantico spirituale della Regina del cielo, Palermo 1605, p. 16. Cfr. pure V. Abbate, Le vie del corallo: maestranze, committenti e cultura artistica in Sicilia tra il Sei e il Settecento, in L’Arte del corallo in Sicilia, catalogo della Mostra a cura di C. Maltese e M. C. Di Natale, Palermo 1986, p. 51. []
  3. V. NOBILE, Il Tesoro nascoso riscoperto a‘ tempi nostri dalla consecrata penna di D. Vincenzo Nobile Trapanese, cioè le gratie, glorie e eccellen­ze dei Religiosissimo Santuario di Nostra Signora di Trapani, ignorate  fin’hora da tutti, all’orbe battezzato fedelmente si palesano, Palermo 1698, pp. 159, 580-581. []
  4. Ibidem. []
  5. Ibidem. Per i doni di oreficeria e argenteria offerti al simulacro della Madonna di Trapani cfr. Il tesoro nascosto. Gioie e argenti per la Madonna di Trapani, catalogo della Mostra a cura di M. C. Di Natale e V. Abbate, Palermo 1995, passim. []
  6. Inventari, in Il Tesoro nascosto…, 1995, passim. []
  7. G. M. DI FERRO, Biografie degli uomini illustri trapanesi dall’epoca nor­manna sino al corrente secolo, 4 voll., Trapani 1830-50, rist. an. 1973, p. 19. []
  8. PADRE BENIGNO DA SANTA CATERINA, Trapani nello stato presente profana e sacra opera divisa in due parti del P. Benigno da S. Caterina Agostiniano Scalzo intitolata alla Vergine di Trapani, parte I, Trapani Profana, ms. del 1810, custodito presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani ai segni 199, f. 190. []
  9. V. NOBILE, Il Tesoro nascoso…, 1698. []
  10. PADRE BENIGNO DA SANTA CATERINA, Trapani nello stato presente…, parte I, Trapani Profana, ms. del 1810, custodito presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani ai segni 199, f. 190. []
  11. Ibidem. []
  12. V. NOBILE, II Tesoro nascoso…, 1698, p. 856. []
  13. PADRE BENIGNO DA SANTA CATERINA, Trapani nello stato presente…, parte II, Trapani Sacra, ms. del 1812, custodito presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani, ai segni 200, f. 254. Per i doni in oro e argento offerti alla Madonna di Trapani cfr. Il tesoro nascosto…, 1995, passim. []
  14. PADRE BENIGNO DA SANTA CATERINA, Trapani nello stato presente…, parte II, Trapani Sacra, ms. del 1812, custodito presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani ai segni 200, f. 254. []
  15. PADRE BENIGNO DA SANTA CATERINA, Trapani nello stato presente…, parte I, Trapani Profana, ms. del 1810, custodito presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani ai segni 199, f. 191. []
  16. V. NOBILE, Il Tesoro nascoso…, 1698, p. 856. Per l’opera cfr. G. Bongiovanni, scheda n. II, 20, in II tesoro nascosto…, 1995, p. 215. []
  17. PADRE BENIGNO DA SANTA CATERINA. Trapani nello stato presente …. parte II, Trapani Sacra, ms. del 1812, custodito presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani ai segni 200, f. 254. Per gli autori delle opere cfr. V Sola, scheda n. I,17, in Wunderkammer siciliana, catalogo della Mostra a cura di V. Abbate, Palermo 2001, p. 109 e V. Sola, scheda n. II, 2, in Il tesoro nascosto…, 1995, p. 186. []
  18. PADRE BENIGNO DA SANTA CATERINA, Trapani nello stato presente …, parte II, Trapani Sacra, ms. del 1812, custodito presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani ai segni 200,  f. 254. []
  19. Per gli autori delle opere cfr. M. Vitella, scheda n. II, 15, in Il tesoro nasco­sto…. 1995, p. 208. []
  20. PADRE BENIGNO DA SANTA CATERINA, Trapani nello stato presente…, parte I, Trapani Profana, ms. del 1810, f. 191 e parte II, Trapani Sacra, ms. del 1812, f. 77, custoditi presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani ai segni 199 e 200.  Per l’opera cfr. A. M. Precopi Lombardo. Tra artigianato ed arte: la scultura del trapanese nel XVII secolo, in Miscellanea Pepoli. Ricerche sulla cultura artistica a Trapani e nel suo territorio. Trapani 1997, pp. 83-113. []
  21. S. LA BARBERA, La produzione dei maestri corollari nella letteratura arti­stica trapanese, in Materiali preziosi dalla  terra e dal mare nell’arte tra­panese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo, catalogo del­la Mostra a cura di M. C. Di Natale, Palermo 2003, pp. 66-67, Cfr. pure S. LA BARBERA, Giuseppe Maria Di Ferro teorico e storico dell’arte, in Miscella­nea Pepoli…, 1997, pp. 147-166 e S. La Barbera, Le arti decorative nelle fonti e nella letteratura artistica siciliana, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della Mostra a cura di M. C. Di Natale, Milano 2001, pp. 720-729. []
  22. G. M. DI FERRO, Delle Belle Arti, dissertazioni del Cavaliere Di Ferro, e Ferro accademico Arcade, 2 voll., Palermo 1807-1808. []
  23. S. LA BARBERA, La produzione dei maestri…, in Materiali preziosi…, 2003, p. 67. []
  24. G. M. DI FERRO, Delle Belle Arti…, 1807-1808. []
  25. G. B. AMICO, L’Architetto prattico, Palermo 1726, vol. I, pp. 69-70. Cfr. pure M. C. Di Natale, Il simbolismo nella decorazione architettonica nel Trattato dell’Amico e nelle arti decorative, in Giovanni Biagio Amico 1684-1754. teologo, architetto, trattatista, Atti delle giornate di studio, (Trapani, 8-10 marzo 1985), Roma 1987, pp. 93-104. []
  26. G. M. DI FERRO, Guida per gli stranieri in Trapani, Trapani 1825, rist. an. 1977, pp. 209 e 220. []
  27. G.M. DI FERRO, Guida…, 1825, rist. an. 1977, p. 213. Sull’interesse del Di Ferro per la produzione trapanese di arte applicata si veda anche S. La Barbera, Figure e temi del collezionismo trapanese nelle pagine della letteratura artistica dell’Ottocento, in Abitare l’arte in Sicilia. Esperienze in età moderna e contemporanea, a cura di M.C. Di Natale – P. Palazzotto, Palermo 2012, p. 104. []
  28. G. M. DI FERRO, Guida…, 1825, rist. an. 1977, p. 220. []
  29. G. M. DI FERRO. Biografia degli uomini illustri…, 1830-1851. []
  30. S. LA BARBERA, La produzione dei maestri…, in Materiali preziosi…, 2003, p. 67. Cfr. pure S. La Barbera, Giuseppe Maria Di Ferro…, in Miscel­lanea Pepoli…, 1997. []
  31. G. M. FOGALLI, Memorie biografiche de’ pittori ad olio, a colore, a disegno a mosaico, a paesaggi, a tempera, acquarella, a miniatura, indoro ecc. trapanesi; Memorie biografiche  de’ Copisti o siano bassi pittori, e degli adornisti trapanesi: Memorie biografiche degli Scultori, Incisori, Inta­gliatori ecc. trapanesi, ms. del 1840 circa, custodito presso la Biblioteca del Museo Regionale Pepoli di Trapani, f. 659. []
  32. Ibidem. []
  33. G. M. FOGALLI, Memorie biografiche de’ pittori..., ms. del 1840 circa, f. 660. []
  34. Ibidem. []
  35. G. M. FOGALLI, Memorie biografiche de’ pittori..., ms. del 1840 circa, f. 662. []
  36. G. M. FOGALLI, Memorie biografiche de’ pittori…, ms. del 1840 circa, f. 665. Per gli angeli tedofori cfr. M. VITELLA, scheda n. III, 3, in Il tesoro nascosto…, 1995, pp. 246-247. []
  37. G.M. FOGALLI, Memorie biografiche de’ pittori…, ms. del 1840 circa, ff. 665-714. []
  38. G. DI MARZO,  Delle Belle Arti in Sicilia, 4 voll., Palermo 1858-64, I, 1858, pp. 344-345. Cfr. pure M.C. DI NATALE, Momenti di riflessione sull’orefice­ria siciliana, in S. BARRAJA, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo, Milano 1996, pp. 9-18 e M.C. DI NATALE, Gioacchino Di Marzo e le arti decorative in Sicilia, in Gioacchino Di Marzo e la critica d’arte dell’Otto­cento in Italia, Atti del convegno a cura di S. La Barbera, Palermo 2003, pp. 157-167. []
  39. G. DI MARZO, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI. Memorie storiche e documenti. 2 voll., Palermo 1880-1883. []
  40. G. DI MARZO, I Gagini…, I,1880, p. 602. Cfr. pure M. C. Di Natale, Momenti di riflessione…, in S. Barraja, I Marchi…, 1996, pp. 9-18. []
  41. G. DI MARZO, I Gagini…, 1880-1883, p. 600 del vol. III della rist. del 1980. []
  42. G. DI MARZO, I Gagini…, 1880-1883, pp. 602-603 del vol. III della rist. del 1980. []
  43. G. DI MARZO, I Gagini..., 1880-1883, p. 600 del vol. III della rist. del 1980. []
  44. G. DI MARZO, I Gagini…, 1880-1883, pp. 661-662 del vol. III della rist. del 1980. []
  45. G. DI MARZO, La pittura in Palermo nel Rinascimento, Palermo 1899. Cfr. pure M. C. Di Natale, Momenti di riflessione…, in S. Barraja, I marchi…,1996, pp. 9-18. []
  46. A. GALLO, Incisori, scultori siciliani diligentemente raccolti da A. Gallo, ms. del XIX secolo della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, ai segni XV H 15. Per Agostino Gallo cfr. I manoscritti di Agostino Gallo, a cura di C. Pastena, vol. IV; Autobiografia (ms. XV H. 20.1), trascrizione, saggio introduttivo e note a cura di A. Mazzé, Sicilia Biblioteche, 48/4, Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, Palermo 2002; I manoscritti di Agostino Gallo, a cura di C. Pastena, vol. V, Parte prima delle notizie di pittori e musaicisti siciliani ed esteri che operarono in Sicilia (ms. XV: II. 18), tra­scrizione e note di M. M. Milazzo e G. Sinagra, Sicilia Biblioteche, 48/5, Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, Palermo 2003. []
  47. G. POLIZZI, I Monumenti di antichità e d’arte. Trapani 1875. []
  48. F. MONDELLO, Breve Guida Artistica di Trapani, Trapani 1883. []
  49. F. MONDELLO, La Madonna di Trapani. Memorie Patrio-storico-artisticbe, Palermo 1878. []
  50. La Madonna di Trapani. Memorie Patrio-storico-artistiche, estratto dal libro del Can. P. Fortunato Mondello, Trapani 1935. []
  51. F. MONDELLO, La Madonna di Trapani…, 1878, pp. 98-109. []
  52. V. NOBILE, Il Tesoro Nascoso… 1698. []
  53. G. POLIZZI, Ricordi trapanesi, Trapani 1880, p. 78. []
  54. F. MONDELLO, La Madonna di Trapani…, 1878, p. 78. []
  55. F. DE FELICE, Arte del trapanese. Pittura e Arti minori, Palermo 1936, p. 25. Cfr. pure S. M. BRIGUCCIA, Il cammeo conchigliare di Trapani, in “Trapani”, Rassegna mensile della Provincia, a. II. n. 11,15 novembre 1957, p. 26. Per la lavorazione dei cammei a Trapani cfr. pure M. C. DI NATALE, Gli epigoni dell’arte trapanese del corallo, in Gioielli in Italia. Temi e problemi del gioiello italiano dal XIX al XX secolo, a cura di L. Lenti e D. Liscia Bemporad, Venezia 1996; M. C. DI NATALE, I cammei in corallo del Museo Pepoli, in Miscellanea Pepoli…, 1997, pp. 269-278; R. VADALÀ, I gioielli siciliani dell’Ottocento nelle fonti coeve trapanesi, in Gioacchino Di Marzo…, 2003, pp. 280-291; R. VADALÀ, Gioielli siciliani tra mito e natura, in Materiali preziosi…. 2003, pp. 309-333. []
  56. M. SERRAINO, Trapani nella vita civile e religiosa, Trapani 1968, pp. 70-71. []
  57. M. SERRAINO, Trapani nella vita…. 1968, pp. 147-149. []
  58. M. SERRAINO, Trapani invittissima e fedelissima, Trapani 1985, pp. 79-86. []
  59. M. SERRAINO, Trapani invittissima…, 1985, pp. 83-84. []
  60. Cfr. M. C. DI NATALE, Maria Accascina storica dell’arte. Il metodo i risulta­ti, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza sici­liana a confronto con il dibattito nazionale, Atti del Convegno Internazio­nale di studi in onore di Maria Accascina, a cura di M. C. Di Natale, Palermo 2007, pp. 27-50. []
  61. M. ACCASCINA, Marchi dell’argenteria siciliana, in “Antichità viva”, a. I, n. 6, luglio-agosto 1962. []
  62. M. ACCASCINA, Palinodia sull’arte trapanese del corallo, in ”Antichità viva”, a. V, n. 3,1966, Cfr. pure M. Accascina, Arte del trapanese, in “Giornale di Sicilia”, 19 dicembre 1936. Cfr. la raccolta di articoli Maria Accascina e il Giornale di Sicilia 1934-1937. Cultura tra critica e cronaca, vol. I, a cura di M. C. Di Natale, Caltanissetta 2006. []
  63. M. ACCASCINA, Commemorazione di Gioacchino Di Marzo, relazione tenu­ta presso la Società siciliana di Storia Patria di Palermo nel 1966, conserva­ta tra le carte di Maria Accascina della Biblioteca centrale della Regione sici­liana, cassetta 117, raccoglitore 6. Cfr. pure M. C. Di Natale, Maria Accascina storica dell’arte.., in Storia, critica e tutela…, 2007, pp. 27-50. []
  64. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia dall’XI al XIX secolo, Palermo 1974. []
  65. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. VII. []
  66. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. X. []
  67. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia…, 1974, pp. 288-306. []
  68. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 291. []
  69. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 288. []
  70. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia…, 1974, pp. 289-291. []
  71. M. ACCASCINA, Marchi delle argenterie e oreficerie siciliane, Trapani-Busto Arsizio 1976, pp. 187-224. []
  72. Ibidem. []
  73. Ibidem. []
  74. Ibidem. []
  75. Ibidem. []
  76. Ibidem. []
  77. Ibidem. []
  78. Ibidem. []
  79. Ibidem. []
  80. G. BRESC BAUTIER, Artistes, patriciens et confreries. Production et consummation de l’ouvre d’art a Palerme et en Sicile occidentale (1348-1460), Roma 1979. []
  81. L’Arte del corallo in Sicilia, catalogo della Mostra a cura di C. Maltese e M. C. Di Natale, (Trapani, Museo Regionale Pepoli, 1 Marzo-1 Giugno 1986),  Palermo 1986. []
  82. Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della Mostra a cura di M. C. Di Natale, (Trapani, Museo Regionale Pepoli, 1 Luglio-30  Ottobre 1989), Milano 1989. []
  83. A. M. PRECOPI LOMBARDO, Documenti inediti e poco noti degli argentieri e orafi trapanesi, in Ori e argenti…, 1989, pp. 378-388. []
  84. L. NOVARA, scheda n. II, 172, in Ori e argenti…, 1989, pp. 304-307 e pas­sim. []
  85. D. RUFFINO, Indice degli orafi e argentieri di Trapani, in Ori e argenti…, 1989,  pp. 410-411. []
  86. S. BARRAJA, La maestranza degli orafi e argentieri di Palermo, in Ori e argenti…, 1989, pp. 363-377. Cfr. pure S. Barraja, I marchi…, saggio introduttivo di M. C. Di Natale, Milano 1996. []
  87. A. M. PRECOPI LOMBARDO, L. Novara, Argenti in processione. I Misteri di Trapani, prefazione di M. C. Di Natale, Palermo 1992. []
  88. M. C. DI NATALE, Il Tesoro dei Vescovi nel Museo Diocesano di Mazara del Vallo, catalogo delle opere del Tesoro di P. Allegra e della Diocesi di M. Vitella, Marsala 1993. []
  89. Ibidem. []
  90. L’allestimento del Museo è stato realizzalo dall’architetto Filippo Terranova, i criteri museologici per l’esposizione sono stati forniti da Maria Concetta Di Natale, cui si devono pure i testi dei pannelli fotografici di Enzo Brai. []
  91. Il Tesoro nascosto…, 1995. []