Paola Venturelli

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La ‘Pace del Moderno’ del Museo Diocesano Francesco Gonzaga di Mantova

DOI: 10.7431/RIV06042012

Tra  suoi tesori, il Museo Diocesano Francesco Gonzaga di Mantova possiede anche una pace di notevole qualità e fattura (23.4×12.8)1 (Fig. 1).

E’ caratterizzata dalla rappresentazione, d’ argento fuso, in parte dorato, del Cristo morto sorretto dalla Vergine, san Giovanni e un angelo, che si staglia su una placchetta d’argento smaltata di blu, con rialzi d’oro. La scena è racchiusa in un’edicola con arco a tutto sesto, formata da un movimentato gioco di inserti in madreperla lavorata e niellati. Cammei bianchi sono collocati sulla mensola, sulle paraste, sulla trabeazione (impreziosita al centro da una gemma rossa) e nel timpano mistilineo, mentre un materiale rosato (corallo ?) campisce lo spazio tra l’arco a tutto sesto e la trabeazione2. La crocetta apicale e i peducci dorati non paiono pertinenti al prodotto originale, così come forse anche le alette messe a circondare il cammeo della cimasa, trasformandolo in un angioletto. Mancano inoltre parti del cornicione. Al tergo la pace è chiusa da una placca d’avorio (con ribattini a fiore e perni ad occhiello), in cui spicca la data ‘1513’; la presa sagomata (anch’essa non coerente) è d’argento, come pure d’argento è il listello che corre lungo i fianchi dell’anconetta.

L’avvio critico del complesso manufatto spetta a Luigi Bosio3. Oltre a recuperare la nota inventariale segnalata da Romolo Putelli4, contenuta in un elenco del 28 marzo 1554 steso per la consegna degli argenti alla sagrestia della Cattedrale di Mantova5, in cui si cita una «pace de radici di perle con una Pietà d’argento ligata in essa pace», e a precisare a riguardo del contesto storico che la data al tergo corrispondeva a un momento in cui reggeva la Chiesa mantovana il Cardinale Sigismondo Gonzaga6, nominato amministratore perpetuo il 9 febbraio 15117 lo studioso rilevava nell’insieme echi sia delle pale mantegnesche che della facciata albertiana del Sant’Andrea di Mantova. Segnalava poi che la parte figurata è da connettere a una placchetta assegnata al Moderno, misterioso e prolifico autore, la cui fortuna critica è stata inaugurata nel 1886 da Emile Molinier8, placchetta su cui si modellano peraltro numerose altre paci, di cronologia e qualità diverse, in un’ampia e prolungata diffusione9.

In seguito la critica si è concentrata sulla placchetta, nel tentativo di svelare l’identità dell’artista che si firma Moderno, all’interno di un dibattito attributivo non ancora giunto alla conclusione.

Due i candidati. L’orafo veronese Galeazzo Mondella10, (citato dal Vasari nell’edizione giuntina delle Vite, all’interno della biografia di Valerio Vicentino), al quale un’ antica scritta riferisce due disegni al Louvre con il Trionfo di Bacco e l’Ebbrezza di Sileno, il cui stile è comunque ben lontano da quello che emerge dalle placchette del Moderno11, e Cristoforo Foppa, detto il Caradosso (1452 ca.- 1526/’27), gloria della Milano al tempo di Ludovico il Moro, insieme a Leonardo e Cristoforo Solari, del quale non è purtroppo nota nessuna opera12.

La candidatura del primo appare peraltro da scartare. La presenza a Mantova, come in Lombardia, di Galeazzo Mondella non è infatti attestata e l’identificazione Moderno/ Mondella è stata avanzata sulla  base di una perduta pace in cui era la placchetta con la Madonna del latte tra i santi Antonio abate, Gerolamo e la Resurrezione di Cristo (che esiste in una versione applicata su lastra piatta con al verso l’iscrizione HOC OPVS MODERNI), corredata dall’iscrizione HOC. OPVS. MONDELA e dalla data 1490, anche equivocando sul fatto che si doveva trattare di una copia eseguita dal Mondella di un’opera del Moderno13.

Meglio puntare eventualmente quindi sul Caradosso, seguendo quanto sostenuto agli inizi del XX secolo da Francesco Malaguzzi Valeri14, poi da Ulrich Middeldorf15, e più recentemente da Giovanni, Agosti, Roberto Bartalini e da chi scrive16.

In attesa di scoperte archivistiche che possano dipanare la questione, rimane ad ogni modo il fatto che il Moderno, maestro dalle personalissime sperimentazioni formali, immediatamente recepite prima che altrove in Lombardia, dato che dal 1490 ai primi anni del XVI secolo (ante 1507), troviamo le sue placchette citate nei rilievi del Duomo di Como, a Bergamo nella Cappella Colleoni, a Pavia nella Certosa e in vari monumenti milanesi17, dovette dar corpo alla figurazione che distingue la pace mantovana nel contesto figurativo della Lombardia di Ludovico il Moro, sicuramente ante 1502, poiché la Pietà risulta citata dal bresciano Stefano Lamberti alla sommità della grande ancona voluta da Francesco Sanson per il San Francesco di Brescia, datata 150218.

Tra gli inventari

Per la storia dell’esemplare mantovano qualche dato giunge dai documenti.

Oltre alla già ricordata voce del 1544 segnalata da Putelli, infatti, l’anconetta è menzionata altre volte negli inventari della cattedrale, disponibili dall’ultimo ventennio del ‘400 e sino al 1814.

Parrebbe figurare per la prima volta in un elenco del 1529, relativo ai manufatti preziosi pertinenti alla «sagrestia della Madonna di voti»: vi troviamo «una pax» di «radice de perle» e «arzento, cum una Madonna», vocabolo quest’ultimo cancellato e sostituito con «Pietà». Risulta accompagnata da un’altra «pace de rame dorata cum la Madonna d’arzento quale sta quotidianamente sopra lo altar», che verrà peraltro rubata il 16 gennaio 1532, come precisa un’annotazione a margine della voce19.

Era dunque nella sagrestia di quella che più che una cappella è di fatto una chiesa distinta all’interno della cattedrale, detta ‘santa Maria dei voti’ e oggi ‘santuario della Beata Vergine Maria Incoronata’, cappella iniziata per volere di Ludovico Gonzaga, intorno al 1476 e finita nel 148220, che assume subito importante ruolo politico e religioso nella vita della corte gonzaghesca, ricevendo una particolare attenzione da parte del marchese Federico II21.

La pace con la «Pietà» e parti in madreperla è ad ogni modo attestata tra gli oggetti utilizzati per l’altare della «Madonna dei voti» sino all’inventario del I ottobre 1542, quando risulta invece tra «le robbe et paramenti» della sagrestia della catttedrale («Una Pace d’argento che ha dentro una Pietà de radici de perle, solea star all’altar della M.na»)22. Nelle diverse registrazioni inventariali tornano altre paci, eseguite anche con la madreperla, o impreziosite da perle e «prede» e dotate di immagine mariana23. Un esemplare con un Crocefisso tra i santi Pietro e Paolo si aggiunge peraltro a partire da un elenco, non datato, ma risalente alla seconda metà del XVI secolo, ospitante anche la descrizione particolareggiata di un oggetto che sembrerebbe coincidere con quello del Museo Diocesano. Nel tredicesimo armadio della sagrestia troviamo una «pace di radice di perle con un mezzo una pietà d’argento, et parte adorata con otto cameini di diverse teste, con un ramo e mezzo d’argento sopradorato, et corallo con quattro perle tonde»24. Per la prima volta si citano quindi gli otto cammei, si menziona un manico (presumibilmente a doppia voluta), d’argento dorato (non certo l’attuale), nonché del ‘corallo’ (il materiale al di sopra dell’arco ?) e quattro perle.

Scorrendo l’inventariazione dei manufatti contenuti negli armadi di sagrestia, risalente al 15 dicembre 1702, il quadro tuttavia si scompiglia. Infatti, se tra le opere della sezione «Argentaria», è presente una «pace rotta d’avolio guarnita d’argento e madre perla, con quattro perle fine e nel mezo nostro Signore morto», custodita in una «scatola di legno», pezzo che pare corrispondere all’oggetto menzionato nell’ ultimo inventario ricordato, salvo il dettaglio dell’avorio, in un successivo punto del documento, all’interno di un elenco di oggetti anch’esso datato 15 dicembre 1702, tra le opere custodite nell’armadio delle «Argenterie», vediamo menzionata una pace, riposta «in una scatola di legno, fatta a forma d’ancona con colone, piedestalli, et cornice di madre perla, et nel mezzo una figura del Redentor morto con quella della B. V. e san Giovanni d’argento, parte indorata. Sopra deta pace vi è un lavoriero adorato con quatro perle in parte rotta, et ha il manico coperto di radice di madre perle anco lui rotto». A questo esemplare, munito di un manico di madreperla, rotto, seguono due altre paci, una «d’argento con collonette sopradorata con la figura nel mezzo di un Redentore morto sostenuto da due angeli» (dunque un’altra Pietà), l’ altra «simile anticha d’argento con un crocefisso nel mezzo a rilievo», con iscrizione, cioè quella con le figure dei santi Pietro e Paolo attestata negli inventari del secondo ‘50025.

Esistevano allora due paci di madreperla con la Pietà, arricchite entrambe da quattro perle, una con inserti d’avorio ? Quale eventualmente delle due corrisponde a quella registrata nel 1529 ?  Perché, inoltre, il particolare delle perle risulta in precedenza solo nella descrizione delle pace con l’immagine della Madonna ? La Pietà d’argento dorato dell’attuale esemplare mantovano, potrebbe  aver sostituito una precedente immagine mariana ?

Poco chiarisce purtroppo il successivo inventario, riguardante gli oggetti nella «sagrestia grande» della cattedrale, redatto nel maggio 1813, che censisce nel «Primo Armario» una «pace con collone, piedestalli, e cornici di madre perla e nel mezzo la figura di Nostro Signore morto, della Beata Vergine San Giovanni tutto d’argento parte indorato, e con sopra un lavoro parte indorato, mancante d’uno scudetto di sopra l’architrave». Scomparse perle e cammei, si menziona invece un dettaglio parzialmente dorato (il decoro al culmine della cimasa con la crocetta apicale ?) e un perduto scudetto, che molto avrebbe potuto dirci sul possessore dell’ oggetto26.

L’’impaginazione e la madreperla

L’ impaginazione della pace che oggi vediamo è ad ogni modo modellata dalla concezione fortemente lombarda di architettura ornata e scolpita, con decorazioni che strutturano la materia e la modellano, in un orientamento generale che mira alle facciate della cappella Colleoni di Bergamo e della Certosa di Pavia27. Lombarde sono del resto pure sia la polimatericità sia l’abbinamento della madreperla con parti smaltate, in un procedere che richiama immediatamente la targa pendente al Museo Poldi Pezzoli di Milano e il medaglione della collezione Valencia de D. Juan di Madrid, opere sicuramente milanesi della fine del XV secolo28; nella pace del Diocesano tuttavia, diversamente da quanto succede nelle due opere appena citate, alla madreperla non è affidato l’elemento figurativo, quanto le parti strutturali dell’anconetta. Anche i motivi decorativi caratterizzanti la madreperla rientrano in un quadro lombardo. Il capitello che conclude  le due paraste appartiene infatti alla tipologia dei capitelli d’età sforzesca, tra l’ultimo quarto del ‘400 e il quarto decennio del ‘500, tra Lodi, Pavia, Milano, con volute ad esse riunite al centro delle fronti da un nastro con fiore29, mentre il motivo a intreccio sul basamento si connette alla serie dei cordoni annodati con terminazioni fogliacee ravvisabili su un gruppo di codici miniati per i Gonzaga30; quanto alle candelabre a disegno vegetale con  sviluppo verticale31, sorprende notare che paraste con similare motivo (una pianticella che esce da un vaso dalle sagome classicheggianti), munite di capitelli affini al nostri e interrotte da due medaglioni con busti di profilo, ornano il fol. 1v del terzo tomo dell’ Opera di Battista Mantovano (o Battista Spagnoli, 1447-1516), in tre tomi suddivisi in due volumi, datato 13 giugno 1513 che contiene versi encomiastici in onore di Andrea Mantegna (foll. CLXVIv-CLVIIr)32.

E sempre a proposito di oggetti in madreperla, in direzione mantovana orienta pure la missiva inviata da Firenze il 22 gennaio 1505 da Aloisio Ciocca, in cui si riferisce alla marchesa Isabella d’Este dell’offerta di Gian Giacomo Caprotti, detto Salaì (1480 ca.- 1524), allievo prediletto di Leonardo da Vinci, di eseguire per lei qualche «cosa galante», cioè un «quadretto o altra cosa», menzionando di seguito di un «crucifixio con molte figurete de relevo tucto di matre di perle», offerto dal Ciocca alla sovrana, senza specificarne però l’autore33.

I cammei e qualche ipotesi per  la committenza

Qualcosa in più aggiungono i cammei, ricordati da Pierino Pelati che li definisce di corallo bianco e con “figurette d’angeli e testine romane”34, nonché da Luigi Bosio che descrive “quattro teste virili di sapore romano, due testine di putto, un cherubino e un genietto”35.

Diversamente da quanto sostenuto da Bosio, tuttavia, il cammeo (che parrebbe antico) sulla parasta di sinistra raffigura un busto femminile tunicato, con capelli raccolti sul capo e profilo verso destra36 (Fig. 2), che viene ad affrontarsi con quello (forse rinascimentale) al centro dell’altra parasta, distinto dal profilo di un giovane (Fig. 3). Il cammeo al centro del basamento presenta invece un guerriero con elmo, scudo e lancia, nell’iconografia di Marte (Fig. 4), con rinvio alla medaglia bronzea di Lucio Settimio Severo37 (Fig. 5), la stessa  cui si ispira Giulio Romano nella ‘Sala del Sole e della Luna’, all’interno dell’ ‘Appartamento delle Metamorfosi’, nel lato settentrionale di Palazzo Te, con calchi in stucco di marmi antichi e di creazioni giuliesche, dove spiccano griglie romboidali con raffigurazioni a bassissimo rilievo desunte in vario modo da opere dell’antichità, traendo ispirazione anche dalle monete38; nello stucco la medaglia è riprodotta in controparte, ad esclusione della testa, secondo un procedere tipico del Pippi all’interno del cantiere di Palazzo Te (Fig. 6). A destra e a sinistra del cammeo con Marte, figurano inoltre i busti di due imperatori, entrambi di profilo (quello sulla sinistra munito di corona d’ alloro tra i capelli e con folta barba)39, nel rispetto di una moda che alimenta partiti murari e opere del Rinascimento, anche mantovano40.

Dato che la presenza dei busti affrontati di due giovani connota oggetti nuziali tra XV e XVI secolo, quali cinture, libretti41, paci e piccole targhe42, si potrebbe a questo punto congetturare che l’esemplare mantovano sia stato commissionato in occasione di un matrimonio. La figura di Marte sarebbe perfettamente funzionale in tale contesto, non tanto in qualità di dio della guerra, quanto piuttosto della fertilità (da qui il suo aspetto femmineo)43. Altrettanto funzionali sarebbero le perle, dettaglio ricordato negli inventari, simbolicamente rinvianti alla triade donna/ castità/ nozze e immancabili protagoniste dei monili nuziali44, così come il rubino e le gemme rosse45.

Dietro la pace del Museo Diocesano di Mantova, potrebbe inoltre adombrarsi un committente dai forti interessi antiquari, forse possessore di cammei e gemme antiche, magari legato alla corte di Isabella d’Este e Federico II Gonzaga46.

Il testo costituisce la versione ampliata del paper (Arti del metallo e della glittica per i Gonzaga: aggiunte e correzioni) presentato al Convegno Collezionismo e antichità di preziosi: Mantova e Sabbioneta. Due Gonzaga a confronto, Sabbioneta – Mantova, 4-5 ottobre 2008, i cui atti non sono stati pubblicati. Desidero ringraziare vivamente Monsignor Roberto Brunelli,Direttore del Museo Diocesano Francesco Gonzaga di Mantova e il personale del Museo.

Le illustrazioni nn. 1-4 sono di Lucio Alberto Iasevoli.

  1. Per la Pace, sorta di tabernacolo in miniatura che fino alla riforma della liturgia degli anni Sessanta del secolo scorso il sacerdote era solito porgere ai fedeli al termine delle messi solenni, o agli sposi durante la cerimonia nuziale per il ‘bacio di pace’, cfr. Giuseppe Bergamini, Instrumentum Pacis, in Ori e tesori d’Europa, Atti del Convengo a cura di Giuseppe Bergamini e Paolo Goi, Udine 3-5 dicembre 1991, Udine 1992, pp. 85-108. []
  2. La parte in smalto non è di eccelsa fattura e contrasta con la qualità del resto dell’opera; erroneamente parlano di ‘di rame smaltato’ Marco Collareta, in Maestri della scultura in legno nel Ducato degli Sforza, a cura di Giovanni Romano e Claudio Salsi, catalogo della mostra, Milano 2005-2006, Cinisello Balsamo 2005, n. II.21, p. 156; e Davide Gasparotto, in Bonacolsi l’antico. Uno scultore nella Mantova di Andrea Mantegna e di Isabella d’Este, a cura di Filippo Trevisani e Davide Gasparotto, Mantova 2008-2009, Milano 2008, n. VIII.10, p. 284. Mancano analisi sui materiali costituenti i cammei; a partire da Pierino Pelati, La cattedrale di Mantova, Mantova 1953, p. 66, sono definiti di «corallo bianco». Nuovi dati emergeranno dal restauro della pace (in corso mentre scrivo), effettuato da Lucia Miazzo, sotto la direzione della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Mantova (i risultati saranno presentati nella scheda destinata al catalogo della mostra Restituzioni 2013. Tesori d’arte restaurati. XVI edizione, Napoli, Museo di Capodimonte e Palazzo Zevallos Stigliano, 22 marzo- 9 luglio 2013). []
  3. Luigi Bosio, in Tesori d’arte nella terra dei Gonzaga, catalogo della mostra Mantova 1974, Milano 1974, n. 116, pp. 95-96; in precedenza la pace mantovana è menzionata da Guglielmo Matthiae, Inventario degli oggetti d’arte d’Italia. 6. Provincia di Mantova, Roma 1935, p. 37; Romolo Putelli, Vita, storia ed arte mantovana nel Cinquecento, I Inventario di arredi sacri; II Prime visite pastorali, Mantova 1934-1935, II, p. 50; Pierino Pelati, La cattedrale cit, p. 66. []
  4. Romolo Putelli, Vita, storia cit. 1934-1935, II, p. 50. []
  5. La pace giunge al Museo Diocesano Francesco Gonzaga nel 1983 (rimando alla scheda in Paola Venturelli, Ori e Avori. Museo Diocesano Francesco Gonzaga, in corso di pubblicazione). []
  6. Per il cardinale Sigismondo Gonzaga (1469-1525), secondo figlio di Federico e Margherita di Baviera (nonché nipote del collezionista Francesco Gonzaga), fatto cardinale nel 1505 da Giulio II e a sua volta collezionista, cfr.: Clifford M. Brown, Cardinal Sigismondo Gonzaga (1469-1525). An overlooked name in the annals of collectors of Antiquies, in «Xenia», 21, 1991, pp. 47-58; Clifford M. Brown, The Farnese Family and the Barbara Gonzaga Collection of Antique Cameos”, in «Journal of History of Collections», VI, 1994, pp.145-151; Raffaele Tamalio, Gonzaga Sigismondo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LVII, Roma 2001, pp. 854-857; David S. Chambers, The enigmatic eminence of cardinal Sigismondo Gonzaga, pp. 330-354 in «Renaissance Studies», vol. 16, n. 3, September 2002, pp. 330-354; Guido Rebecchini, Some aspects of cardinal Sigismondo Gonzaga’s Collections, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», LXVI, 2003, pp. 289-296. []
  7. Travisando Bosio, Sigismondo Gonzaga è dichiarato il committente della pace da Gianfranco Ferlisi, in A Casa di Andrea Mantegna. Cultura artistica a Mantova nel Quattrocento, a cura di Rodolfo Signorini con la collaborazione di Daniela Sogliani, catalogo della mostra Mantova 2006, Cinisello Balsamo 2006, n. 114, p. 472 (la scheda è riproposta in La scultura al tempo di Andrea Mantegna, a cura di Vittorio Sgarbi, catalogo della mostra, Mantova 2006-2007, Milano 2006, p. 172); da Francesco Rossi, in Placchette e rilievi di bronzo nell’età del Mantegna, a cura di Francesco Rossi, catalogo della mostra, Mantova 2006-2007, Milano 2006, n. II.4, p. 56; e da Chiara Pisani, Sulle tracce di Mantegna: una proposta di indagine, in Placchette e rilievi di bronzo cit. 2006, pp. 28, 29. []
  8. Emile Molinier, Le bronzes de la Renaissance. Les plaquettes. Catalogue raisonné, I, Paris 1886, pp. 112-156. []
  9. Una carrellata è in Giuseppe Bergamini, Instrumentum Pacis cit.1992, figg. 19-26 (XVI-XVII secc.) e pp. 90-91 (tutte le placchette sono della variante senza l’angioletto e con la croce sullo sfondo. Francesco Rossi rilevava infatti l’esistenza di tre varianti principali: a) con il piccolo putto a sinistra, come nella pace mantovana; b) senza putto a sinistra; c) senza putto, con la croce e con il Cristo dentro il sarcofago e non fuori; cfr. Francesco Rossi, Placchette. Sec. XV-XIX, Musei civici di Brescia. Cataloghi, I, Vicenza 1974, pp. 39- 40). Segnalo inoltre la bella pace in argento fuso, cesellato e inciso, con punzone SF sotto un W (12×10), conservata nel Tesoro della cattedrale di Traù, attestata nel 1517 (versione priva dell’enfasi della placchetta del Moderno e del tipo senza il putto che si affaccia sotto il braccio del Cristo, con la croce nel fondo), cfr. Nevenka Bezić- Božanić, in Tesori della Croazia restaurati da Venetian Heritage inc., a cura di Joŝko Belamarić, catalogo della mostra Venezia 2001, Venezia 2001, n. 55, pp. 140-141). []
  10. L’identificazione con il Mondella spetta a Wilhelm Bode (Funde, in «Kunstchronik», XV, 1903-1904, col. 269), ipotesi pienamente accettata da John Pope Hennessy , Renaissance Bronzes from the Samuel H. Kress Collection. Reliefs, Plaquettes, Statuettes, Utensilis and Mortars, London 1965, p. 42) e quindi da Douglas Lewis, The Medallic Oeuvre of ‘Moderno’: His Development at Mantua in the Circle of ‘Antico’, in Italian Medals , a cura di J. Graham Pollard «Studies in the History of Art», 21, 1987, pp. 77-97; Douglas Lewis, The Plaquettes of Moderno anf His Followers, in Italian Plaquettes , a cura di Alison Luchs, «Studies in the History of Art», 22, 1989, pp. 105-142; concorda con Douglas Lewis, Clifford Malcom Brown, The Archival Scholarship of Antonino Bertolotti. A Cautionary Tale: the Galeazzo Mondella (Moderno) Model for a Diamond “Saint George” Brooch, in «Artibus et Historiae», XVIII, 35, 1997, pp. 65-71; il Moderno è identificato in Galeazzo Mondella anche dagli autori del recente catalogo Placchette e rilievi cit. 2006 (pp. 43-44, p. 50, 56-57) e da Gianfranco Ferlisi (cfr. alla nota 7); cfr. Davide Gasparotto, Antico e Moderno, in Bonacolsi l’antico cit., pp. 89-97. []
  11. Giorgio Vasari, Le Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, Introduzione di Maurizio Marini, Roma 2003, p. 833. La biografia di Galeazzo Mondella con quella del fratello, il pittore Girolamo, è stata ricostruita da Luciano Rognini, Galeazzo e Girolamo Mondella, artisti del Rinascimento, in «Atti e Memorie della Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona», serie 6, vol. 25, 1975, pp. 95-119 (Galeazzo è documentato a Verona tra 1516 e 1517 quando risulta eletto nel Consiglio Comunale; è in vita nel 1527 e detto quondam il 5 maggio 1528). Per i disegni, cfr. Giovanni Agosti, Disegni del Rinascimento in Valpadana, Firenze 2001, p. 34. []
  12. Per il Caradosso (orafo, plasticatore, smaltista, intagliatore di gemme e antiquario), trasferitosi a Roma intorno al 1507, in contatto con Isabella d’Este almeno al 1501 (quando Isabella gli si rivolge per legare alcune gioie) e sino al 1524, cfr. Clifford M. Brown, Sally Hickson, Caradosso Foppa (1452 ca.- 1526/27), in «in Arte Lombarda», 119, 1997, pp. 9-39 (con bibliografia precedente); Venturelli, Gioielli e oggetti preziosi nell’Inventario Stivini. Alcune note, in «Quaderni di Palazzo Te», 6, 1999, pp. 75-80; Paola Venturelli, Leonardo da Vinci e le arti preziose. Milano tra XV e XVI secolo, Venezia 2002, pp. 145-157; Paola Venturelli, Esmailée à la façon de Milan. Smalti nel Ducato di Milano da Bernabò Visconti a Ludovico il Moro, Venezia 2008, pp. 97-104. []
  13. La placchetta diffonde infatti un’opera- prototipo; si veda Nicole Dacos, Le rôle  des plaquettes dans la diffusion de gemmes antiques: Le cas de la collection Médicis, in Italian Plaquettes cit. 1989, pp. 71-89; Francesco Caglioti, Davide Gasparotto, Lorenzo Giberti, il ‘Sigillo di Nerone’ e le origini della placchetta ‘antiquaria’, in «Prospettiva», 85, 1997 pp. 2-38. []
  14. Francesco Malaguzzi Valeri, La corte di Ludovico il Moro, vol. III, Milano 1917, p. 335: nella placchetta del Moderno raffigurante San Sebastiano, egli notava sul basamento di sinistra la statua equestre romana detta del ‘Regisole’ di Pavia, nota quasi soltanto nella regione lombarda; la stessa statua verrà fissata da Leonardo da Vinci in un minuscolo frammento a penna (Windsor, RL, 12345r) estratto da un foglio (CA, f. 339r, ex147r-b) che contiene il famoso ricordo su quest’opera bronzea del I sec. d. C., eretta sulla piazza del Duomo pavese e distrutta nel 1796, vista dal Vinci il 21 giugno 1490 con Francesco di Giorgio Martini (ma forse già sin dagli anni 1487-88); dal 1493 inserita nel sigillo della città di Pavia, l’immagine del ‘Regisole’ fu riprodotta di frequente in Lombardia (cfr. Paola Venturelli, Cellini, gli orefici milanesi a Roma, Caradosso e Leonardo, in Leonardo da Vinci cit. 2002, Cap. VI, pp. 150-151). []
  15. Ulrich Middeldorf notava in alcune placchette del Moderno affinità con il classicismo milanese e uno stile parallelo a quello di Cesare da Sesto, che anticiperebbe il Bambaia (Ulrich Middeldorf, Oswald Goetz, Medals and Plaquettes from the Sigmund Morgenroth Collection, Chicago 1944, p. 34, nn. 233-234). []
  16. Giovanni Agosti, Bambaia e il classicismo lombardo, Torino 1990, pp. 98, 131-132; Roberto Bartalini, Le occasioni del Sodoma. Dalla Milano del Sodoma alla Roma di Raffaello, Roma 1996, pp. 93-94; Paola Venturelli, Leonardo cit. 2002, pp. 150-151, e note 29-30, pp. 155-156. []
  17. Per la ripresa delle placchette (anche quelle del Moderno) nei monumenti lombardi, si veda Richard Schofield, Avoiding Rome: an Introduction to Lombard Sculptors and the Antique, in «Arte Lombarda», 100, 1992, pp. 29-44; Richard Schofield, Amadeo’s System, in Giovanni Antonio Amadeo. Scultura e architettura del suo tempo, a cura Janice Shell, Liana Castelfranchi Vegas, Milano 1993, pp. 125-156. A riguardo delle placchette del Moderno, Ernst Kris segnalava inoltre che la Sacra conversazione del Moderno figura in un cristallo a Londra (Victoria & Albert Museum, Salting Bequest, n. 1859), quella con il Cristo deposto nell’avello si ripropone in un intaglio d’agata a Monaco (Münzkabinett), il san Girolamo nell’orto figura in due pietre dure intagliate, una a Monaco (Münzkabinett) e l’altra all’ Hermitage di San Pietroburgo, e un onice a Windsor propone quanto nella placchetta con Lucrezia (Erns Kris, Meister und Meiserwerke der Steinschneidekunst in der Italienischen Renaissance, Wien 1929, nn. 120, 121, 122, 125, 129, 131, pp. 29-30, 42, 159; cfr. Paola Venturelli, Cammei e pietre dure milanesi per le corti d’Europa (secc. XV-XVII), in corso di pubblicazione per Bulzoni, Cap. I); è possibile che l’intaglio in diaspro con la Pietà all’Hermitage (Douglas Lewis, The metallic Oeuvre of ‘Moderno’ cit., nota 8, p. 93) possa essere l’originale da cui derivano i rilievi in metallo (Davide Gasparotto, in Bonacolsi l’antico cit., p. 284): ma si tratta di un’opera di non eccelsa qualità. []
  18. Roberto Bartalini, Le occasioni del Sodoma cit. 1996. Dunque è da respingere l’ipotesi che il Cristo sia ispirato dal Lacoonte, come sostiene Douglas Lewis, datando quindi la placchetta a dopo il 1506 anno della scoperta della celeberrima scultura (Douglas Lewis, The Plaquettes cit. 1989, pp. 105-142; l’autore ritiene la placchetta del 1508- 1513). La figura di Cristo, con gli arti inferiori curiosamente troncati, l’enfasi conferita alla muscolatura mi pare piuttosto registrare un’eco del Torso del Belvedere, sulla fine del XV secolo nella collezione dell’artista lombardo d’origine comasca Andrea Bregno (nato nel 1418 e morto a Roma il 1503), il più importante scultore in marmo attivo nell’Urbe nella seconda metà del ‘400, un’ opera identificata nel Rinascimento con Ercole (figura legata particolarmente ai Gonzaga), rappresentata in un’incisione con entrambe le gambe da Giovanni Antonio da Brescia, prolifico divulgatore a stampa delle invenzioni mantegnesche (cfr. Paola Venturelli, Smaltisti milanesi intorno al 1500: fonti iconografiche . L’ “antico”, Mantegna e gli altri (tra Lombardia e Roma), in Mantegna e Roma. L’artista davanti all’antico, a cura di Teresa Calvano, Claudia Cieri Via, Leandro Ventura, Atti del Convegno, Roma 2007, Roma 2010, pp. 496-498) ; sembra registrare una citazione dal Torso del Belvedere anche il marmo con il Filottete dolente (secondo decennio del XVI sec.), al Museo del Palazzo Ducale di Mantova, rilievo riferito a Tullio Lombardo, o a Gianmaria Mosca detto il Padovano (cfr. Massimo Rodella in Bonacolsi l’antico cit., n. VI.18, p. 248, con bibliografia precedente), cha ha alle spalle una serie di gemme incise, prodotte tra il III e il tardo I sec., con il motivo dell’eroe che fa aria al piede ferito con una grande ala di volatile (una gemma con tale soggetto era nel 1498 nella mani del gioielliere veneziano al servizio dei Gonzaga Zoan Andrea del Fiore, presumibilmente la stessa citata nella lettera scritta da Venezia nel 1498 dal segretario del marchese di Mantova Tolomeo Spagnolo, che informava Isabella d’Este dell’ “optimo intaglio”, rappresentante un «nudo che cum una ala si fa vento a una gamba ligata» (cfr. Clifford. M. Brown, Per dare qualche splendore a la gloriosa cità di Mantua. Documents for the Antiquarian Collection of Isabella d’Este, Roma 2002, n. 9, f, pp. 129-130; Clifford. M. Brown, Isabella d’Este in the Ducal Palace in Mantua. An overview of her rooms in the Castle di san Giorgio and the Corte Vechia, Roma 2005, pp. 121-43, 222). []
  19. Archivio Storico Diocesano di Mantova (d’ora in poi ASDMn), Cattedrale, b. 556, fasc. 7 (carte non numerate). []
  20. Si veda Roberto Brunelli, in Diocesi di Mantova, Varese 1986, pp. 80-81; Roberto Brunelli, La cattedrale di Mantova, Mantova 2009, pp. 65-72. []
  21. Molly Bourne, Federico II Gonzaga The Soldier-Prince as Patron, Roma, 2008, pp. 65-99 (a seguito della vittoria riportata dal marchese Francesco al comando della Lega veneziana contro il re di Francia Carlo VIII, a Fornovo sul Taro, il 6 luglio 1495, le due più significative committenza che risultarono sono la chiesa di santa Maria della Vittoria con la pala di Mantegna e il programma scultoreo di Pietro Lombardo per la cappella di santa Maria dei voti in Cattedrale; entrambi i progetti erano dedicati alla Vergine, alla quale il marchese attribuiva la sua vittoria; la seconda impresa  si protrarrà sino al 1515; nei documenti Gonzaga la cappella (detta «la capella nostra»), mostrata orgogliosamente a visitatori di rango è usata per recitare speciali messe per la salute del marchese; l’altare della cappella era esattamente dove oggi  troviamo la cappella dell’Incoronata, eretta nel tardo ‘500). []
  22. ASDMn, Cattedrale, b. 556, fasc. 8 (alla data); nell’inventario del 7 febbraio 1544, tra le «Cose d’argento per ornar l’altar» della Madonna «dei voti», la voce che descrive «Una Pace d’Argento dorata con una Pietà de radice di perle», reca al di sopra due tratti obliqui di cancellazione (ASDMn, Cattedrale, b. 556, fasc. 10, alla data). Se la numerazione non è precisata, si intende che le carte non risultano numerate. []
  23. ASCMn, Cattedrale, b. 556, fasc. 1, settembre 1480 («pax d’argento una granda e dui picoli», una «fornita cum perle e prede»); ASCMn, Cattedrale, b. 70, elenco del giugno 1505, con la registrazione dei «doni» all’altare della Madonna dei Voti, c. 6v («Una pace de rechalco adorata  cum la Madona in mezo d’argento anielato», «per tener fora per ornamento continuo de lo altare»); ASCMn, Cattedrale, b. 556, fasc. 4, 7 ottobre 1511 (una «paxeta di rechalcho dorata cum la Madonna de smalto. Sta continuo di fora»; seguono gli oggetti nella sagrestia della ‘Madonna dei voti’, tra cui una «pax dargento cum la Madonnaa de madre de perla»); ASCMn, Cattedrale, b. 556, fasc. 5, 2 ottobre 1513, c. 5r (una «paxeta de rechalcho dorata con la Madonna de arzento niellata»); ASCMn, Cattedrale, b. 556, fasc. 6, inventario datato 1523 («Cose de arzento per hornar la Madonna»: una «pax de arzento dorato» con «una Madonna de radice de perle», una pace di rame dorata con la «Madona dentro de arzento»; ASCMn, Cattedrale, b. 556, fasc. 8, inventario iniziato il 17 aprile 1537, relativo a oggetti «ritrovati nella sacrastia Pichola» (un pace «de Argento con una Madona de radice de perle con molte pietre et perle intorno», una «pace de radice de perle con una Pietà nel mezzo de argento»); ASCMn, Cattedrale, b. 556, fasc.9, inventario «dela sacrestia della Madonna de s. Pietro», datato 18 gennaio 1538 («Cose de arzento per ornar la Madonna»: una «pace de arzento dorata cum una pietà de radice de perle»; ASCMn, Cattedrale,b. 431, inventario iniziato il 2 novembre 1583 e proseguito per tutto il mese, c. 35r («Una Pace d’argento che dentro la Madonna di radici di Perle con pietre et perle atorno/ Una Pace de radici di perle co’ una pietà d’argento ligata in essa Pace/ Una Pace d’Argento co’ un Crocefisso di rilievo in meggio, alle bande san Pietro et san Pavolo, co’ litere a piedi»; ASCMn, Cattedrale, b. 556, fasc. 17, inventario senza data, ma da ritenersi secentesco, della «sacrestia» di san Pietro («Una pace de perla et un’altra de argento col Crocefisso»). []
  24. ASCMn, Cattedrale, b. 556, fasc. 18, c. 18r (è preceduta da una «pace d’argento smaltato di nero con uno Crocefisso nel mezzo con le figure di S Pietro, e Paulo Apostolo», corredata da iscrizioni): ringrazio Licia Mari e Roberta per la datazione dell’inventario; vedi anche l’elenco del 1583 citano nella nota precedente; le due paci figurano con identica descrizione anche in una nota degli argenti collocati nel sesto armadio della sagrestia di san Pietro, datata 30 luglio 1639  (ASCMn, Cattedrale, b. 556, fasc. 20); vedi anche in ASCMn, Cattedrale, b. 556, fasc. 13, «Inventario delle robbe che sono nelli armarij della Sacrestia insieme con le robbe della sacrestia della Madona», datato 1602 (una «pace di perla, et un’altra d’argento col Crocefisso»). []
  25. ASCMn, Cattedrale, n. 556, fasc. 22, Inventario della sagrestia della Cattedrale, 15 dicembre 1702 (cc. 24 e sgg.: «Argenteria»), citazioni a c. 24v e a c. 54v. []
  26. ASCMn, Cattedrale, b. 1648, fasc. 9, inventario della sagrestia  della Cattedrale, maggio 1813: nel «Primo Armario» della «sagrestia grande»: una «pace collone, piedestalli, e cornici di madre perla e nel mezzo la figura di Nostro Signore morto, della Beata vergine San Giovanni tutto d’argento in parte indorato, e con sopra un lavoro pure indorato, mancante d’uno scudetto di sopra l’architrave»; la medesima voce si ripresenta nell’inventario dell’anno successivo (ASCMn, Cattedrale, b. 556, fasc. 23, Inventario del 1814). []
  27. Giovanni  Agosti, Scrittori che parlano di artisti, tra Quattro e Cinquecento in Lombardia, in Quattro pezzi lombardi (per Maria Teresa Binaghi), Brescia 1998, p. 75. []
  28. Paola Venturelli, Paxeta, maestà agnus dei, libretti. La targa pendente del Museo Poldi Pezzoli di Milano, in Gioielli in Italia. Sacro e profano dall’antichità ai nostri giorni, Atti del Convegno, Valenza 7-8 ottobre, a cura di Lia Lenti, Dora Liscia Bemporad, Venezia 2001 (ora in Paola Venturelli, Leonardo da Vinci cit. 2002, pp. 171-190; Paola Venturelli, Smalto, oro e preziosi. Oreficerie e arti suntuarie nel Ducato di Milano tra Visconti e Sforza, Venezia 2003, pp.195-197; Paola Venturelli, in Oro dai Visconti agli Sforza. Smalti e oreficeria nel Ducato di Milano, catalogo della mostra a cura di Paola Venturelli, Milano 2011-2012, Cinisello Balsamo 2001, n. 34, pp. 184-186; n. 37, pp. 192-193. []
  29. Luisa Giordano, Tipologia dei capitelli dell’età sforzesca: prima ricognizione, in La scultura decorativa del primo Rinascimento, Atti del Convegno, Pavia 1980, Roma 1983, pp. 176-206; questo tipo di capitello caratterizza oggetti d’oreficeria milanesi tardo quattrocenteschi, cfr. Paola Venturelli, Il tabernacolo Pallavicino. Considerazioni sulle botteghe orafe del Quattrocento  tra Lodi e Milano, in L’oro e la Porpora. Carlo Pallavicino, un vescovo la sua città. Lodi 1456-1497, a cura di Mario Marubbi, catalogo della mostra, Lodi 1998, Cinisello Balsamo 1998, pp. 85-96; Paola Venturelli, Leonardo da Vinci cit., pp. 46-49; Paola Venturelli, in Oro dai Visconti agli Sforza cit., n. 41, pp.200-202. []
  30. Vedi Silvia Fumian, in Andrea Mantegna e i Gonzaga. Rinascimento nel castello di san Giorgio, a cura di Filippo Trevisani, catalogo della mostra Mantova 2006-2007, Milano 2006, p. 210. []
  31. Cfr. Noris Zuccoli, Forme della decorazione architettonica a Mantova nell’età di Andrea Mantegna, in A casa di Andrea Mantegna cit., pp. 59-69 (specialmente pp. 66-67 e fig. 9, p. 67). []
  32. Vedi Rodolfo Signorini, in A casa di Andrea Mantegna cit., n. 99, pp. 451-453, ill. a p. 452. []
  33. Luca Beltrami 1919, pp. 96-97; Paola Venturelli, Leonardo da Vinci cit., pp. 23- 24 e nota 60, p. 54 (per ‘galanterie’ si intendono piccoli oggetti preziosi; lo stesso; con tutta probabilità Salaì intagliava pietre dure: nell’inventario dei suoi beni, steso il 21 aprile 1525, dopo la sua morte, oltre a trovare elencate un discreto numero di pietre preziose, incluso agate e calcedoni intagliati, si cita quale creditore un certo «Magistro Ambrogio Zenaro», dimorante in quel tempo a Milano, menzionato per alcune «prede quale heba a fare cum il prefato Salaì»). []
  34. Pierino Pelati, La cattedrale cit., p. 66. []
  35. Luigi Bosio, in Tesori d’arte cit., pp. 95-96 (così anche nelle schede redatte da Gianfranco Ferlisi, cfr. nota 7). []
  36. La dama ha un’acconciatura che pare ricondurre alle soluzioni in voga nel II sec. d. C., con le trecce che si attorcigliano attorno al capo formando una sorta di ciambella (Klaus Fittschen, Die Bildnistynpen der Faustina Minor und die ‘Fecunditas Augustae’, Gottingen 1982, pp. 44 e sgg.). Sembra di non potere riconoscere il profilo dell’imperatrice nota come Faustina maggiore (105-141 d. C.), consorte di Antonino Pio (138-161 d. C.) né quello della figlia Faustina minore, sposa di Marco Aurelio (fino al ‘500 inoltrato la distinzione tra il ritratto di Faustina maggiore e quello della figlia non è però percepita in modo preciso), il primo caratterizzato da una particolare capigliatura formata da una sequenza di bande piatte e ondulate che incorniciano il volto e da un’ elaborata disposizione delle trecce dipartenti dalla nuca e risalenti verso l’alto, formando un voluminoso chignon sul capo (per il ben noto episodio riguardante la scultura che Andrea Mantegna nel 1506 è costretto a cedere a Isabella d’Este la “cara Faustina de marmo anticha”, come la definisce Mantegna stesso, non dichiarando di quale delle due omonime auguste si trattasse, cfr. Clifford M. Brown, Isabella d’Este e il mondo greco romano, in Isabella d’Este. La primadonna del Rinascimento, a cura di Daniele Bini, 2001, p. 123; per la scultura a Mantova raffigurante Faustina maggiore, cfr. Federico Rausa, Mantova, Mantegna e l’antichità classica, in A casa di Andrea Mantegna cit., pp. 186-188; e scheda n. 73, p. 416; per alcune varianti nell’ acconciatura di questo personaggio, che presenta come nel cammeo della Pace mantovana un filo di perle tra i capelli, cfr. il busto di Faustina maggiore del Louvre, eseguito dall’Antico o dalla sua bottega, ante 1528, o tra 1528 e 1539, destinato all’arredo della Sala di Troia di Palazzo Ducale, cfr. Betrand Jestaz, in La Celeste Galeria. Le raccolte, a cura di Raffaella Morselli, catalogo della mostra Mantova 2002, Milano 2002, n. 137, pp. 353-354; Marc Bormand, in Bonacolsi l’Antico cit. n. VII.6, pp. 266, 268 (forse Isabella voleva riflettersi nell’effige della giovane; vedi anche l’ «anello del corniola con una Faustina da sigillare, col fondo d’oro», riposto in uno degli armadi delle Grotta, in corte vecchia; cfr. Daniela Ferrari, Le collezioni Gonzaga. L’inventario dei beni del 1540-1542, Cinisello Balsamo 2003, n. 7093, p. 338). []
  37. Francesco Gnecchi, I medaglioni romani, descritti e illustrati, II, Milano,1912, tav. 93, n. 5. []
  38. Cfr. Francesca Vinti, Giulio Romano pittore e l’antico, Firenze  1995, pp. 100-107 (in part. pp.104-105, figg. 119-120). []
  39. Settimio Severo ? []
  40. Gli otto medaglioni dipinti da Andrea Mantegna nella Camera Picta del castello di San Giorgio, con i ritratti dei primi imperatori romani, da Giulio Cesare ad Ottone, costituiscono fra le prime serie di ritratti imperiali presenti nei luoghi gonzaghesch; la celebrazione del duca Federico II è esplicitata nelle camere del palazzo suburbano costruito e decorato tra 1506 e 1512 (dove erano i Trionfi di Cesare del Mantegna, ora ad Hampton Court), attraverso la ripresa della serie classica degli Imperatori (cfr. Claudia Cieri Via, Collezionismo e decorazione alla corte dei Gonzaga, in La corte di Mantova nell’età di Andrea Mantegna 1450-1550, a cura di Cesare Mozzarelli, Robert Oresko, Leandro Ventura, atti del convegno Londra- Mantova 1992, Roma 1997, pp. 393- 401; Molly Bourne Federico II Gonzaga cit., pp. 183-222). []
  41. Vedi Paola Venturelli, Gioielli e gioiellieri milanesi. Storia, arte, moda (1450-1630), Cinisello Balsamo 1996,pp. 141-144, 183-190; Paola Venturelli, in Oro dai Visconti agli Sforza cit. n. 32, pp. 178-180, n. 36, pp. 190-191. []
  42. Paola Venturelli, Maestà, in «Achademia Leonardi Vinci», X, 1997, pp. 2002-2004; Paola Venturelli, Glossario e documenti per la gioielleria milanese (1459-1631), Firenze 1999, pp. 90-91. []
  43. Cfr. Alessandro Pagliero, Dal simbolo al tempio, 2002, p. 71, 2002). []
  44. Le perle appartengono a Venere (concepita dal cielo, nata dal mare e dalla conchiglia) come a Maria (conchiglia che dal cielo ha concepito la perla Cristo), cfr. Paola Venturelli, Leonardo da Vinci, cit., pp. 165-170 (con bibliografia di riferimento). []
  45. Paola Venturelli, Gioielli e gioiellieri cit. pp.141-145. []
  46. La presenza nel cammeo della lancia trattenuta in mano da Marte potrebbe magari allora rinviare alla lancia usata da Longino per colpire il costato di Cristo, traendone del sangue le cui particole si venerano a Mantova; la lancia (di san Giorgio) figura nella Pala della Vittoria di Andrea Mantegna ora al Louvre con allusione a Francesco Gonzaga, il quale durante la battaglia di Fornovo (6 luglio 1495) si era buttato nella mischia con grande coraggio, uscendone con la lancia spezzata, lancia da lui poi inviata in regalo alla moglie Isabella; Francesco si propone come il novello Cesare che allontana e sconfigge il nemico gallico (cfr. Ugo Bazzotti, La chiesa di santa Maria della Vittoria e la pala di Andrea Mantegna, in A casa di Andrea Mantegna, cit., pp. 201-219 (a p. 203, si riporta la lettera redatta il 17 luglio 1495 dal protonotario Sigismondo Gonzaga, indirizzata a Francesco Gonzaga, in cui si afferma: “la lanza de Longino, che cossì como quello fu  causa de sparger sangue per la rentione humana,  cossì questo è stato causa de la salute et liberazione de tuta Italia; che veramente quando me ricordo che la V. Ex. Cum la persona sua sola  e pochi de soi hanno questa gloria de havere liberata questa povera Italia da obsidione de barbari”). []