Tiziana Crivello

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La devozione per la “Madonna Bambina” nella ceroplastica siciliana

DOI: 10.7431/RIV02072010

La devozione nei confronti della Maria Bambina nasce dall’uso di rappresentare Gesù, in primo luogo, e poi anche Maria come fanciulli. La prima raffigurazione di Maria Bambina in cera si deve a suor  Isabella Chiara Fornari, superiora delle Francescane di Todi vissuta nella prima metà del Settecento1. Il simulacro, realizzato dalla suora francescana nel 1738 fu portato da monsignor Alberico Simonetta a Milano e dopo vari spostamenti giunse nell’ospedale Ciceri in cui operavano le suore della Carità e dove, dopo un miracolo2, trovò ampia diffusione in primo luogo, nei conventi delle suore di Maria Bambina di Brescia e Milano, ma successivamente estendendosi in tutta Italia. La presenza di tali opere nelle case dei privati era legata all’uso di regalarle alle spose o alle puerpere,  come augurio per la presenza nelle composizioni di mughetti e abiti bianchi che richiamavano quei lieti eventi3.

La diffusione della devozione nei confronti di Maria Bambina nasce ad uso interno dei conventi, come forma spontanea di espressione delle suore, che modellano in cera i simulacri e ne fanno doni. Chiuse all’interno dei conventi queste donne sono solite dedicarsi a varie attività artistiche: il ricamo soprattutto, ma anche la ceroplastica e la smaltoplastica e, come nota Maria Concetta Di Natale, sono da «ricordare uno stuolo di figure femminili cadute nell’oblio dell’anonimato, come le suore di diversi monasteri siciliani, molte benedettine, tra cui emergono quelle di Alcamo la cui produzione si protrasse nel tempo giungendo quasi ai nostri giorni»4.

Tunc vere monachi sunt, cioè in quel momento sono veramente monaci, così recita il capitolo quarantotto della Regola Benedettina5. Secondo questa prescrizione il lavoro non è fine a se stesso, ma spiega come la vita benedettina sia un giusto equilibrio tra Opus Dei, lectio, lavoro. Si ritrovano così lo svolgersi di varie attività manuali, che sono insieme espressione di fede ed avvicinamento a Dio. Uno stuolo di artiste ignote si nasconde così dentro i chiostri come modellatrici in cera e non solo come ricamatrici. Le suore benedettine, e diverse di altri ordini religiosi abbracciano l’idea del lavoro manuale come espressione di redenzione e atto di fede, come ad esempio le carmelitane e le orsoline. All’interno dei monasteri il lavoro manuale è parte integrante della vita delle suore, questa attività è il supremo atto di fede finalizzato anche all’elevazione dell’anima del fedele che ammira le opere prodotte nel convento. Poche sono tuttavia le notizie documentarie, e solo recentemente si sono intrapresi studi per fare chiarezza sul lavoro svolto da queste figure di artiste, dimenticate6.

L’uso di rappresentare la Madonna Bambina in cera nasce, quindi, intorno al XVIII secolo soprattutto all’interno dei conventi, come in Sicilia quelli di Alcamo ed Erice, ma anche presso i maestri cirari come quelli a Palermo di via Bambinai. La cera è un materiale che si adatta bene a tale tipologia di opere, perché ben si confà a modellare il volto e le mani paffute di un neonato. Ampia fortuna gode questo tipo di rappresentazione nell’isola dove i cirari si specializzano soprattutto in due varianti iconografiche: quella in cui il simulacro, generalmente di piccole dimensioni, è collocato entro una culla o comunque si trova disteso su strutture che la simulano, costituite da cuscini riccamente ricamati, la seconda in cui la Madonna è in piedi o poggiata su un tronetto ed indossa ricche vesti. Nel primo caso la scultura ha il solo capo in cera mentre il resto del corpo, chiuso entro port-enfant, è costituito da una imbottitura; nel secondo l’opera è costituita dalla testa e dagli arti in cera mentre il resto del corpo è formato da un’impalcatura in legno. Le due tipologie si ritrovano presso collezioni private e enti religiosi, custodite entro scarabattole, teche o campane di vetro atte a preservare i delicati manufatti dall’usura del tempo. All’interno delle teche, poi, si osservano spesso, a completare la composizione, fiori, piccoli animali o altri elementi aggiunti anche dalla devozione dei fedeli.

Un esempio del primo genere iconografico è dato da una inedita scultura in cera di collezione privata palermitana (Fig. 1). Posta all’interno di una teca in legno, la Madonna Bambina è distesa su un cuscino ed ha il corpo rivestito da un port-enfant, sostituito recentemente a causa del logoramento di quello originario. Quest’ultimo la copre  interamente lasciandole scoperto solo il collo ed il volto. Proveniente dal convento catanese del SS. Sacramento si può datare ai primi anni del XIX secolo. L’opera è stata realizzata da un’artista raffinata che si sofferma sul particolare e dona al volto della Madonna una delicata serenità. Gli occhi, in vetro, sono aperti, mentre le labbra sono atteggiate ad un sorriso, i capelli sono delineati in piccole ciocche, elementi che servono a sottolineare lo stato di fanciulla della Madonna. La piccola scultura è corredata poi da orecchini di perle, mentre al collo si nota una collanina in grani di corallo con croce in avorio. Il corallo è quasi sempre presente nelle composizioni in cui Gesù è rappresentato fanciullo, come simbolo apotropaico che rimanda al suo sangue. Si ritrova il corallo in coprifascia, orecchini o collanine, spesso associato a sonaglini o campanelli, questi ultimi atti tradizionalmente ad allontanare gli spiriti maligni, diventando dono preferito per i neonati e pertanto associato alle rappresentazioni di Gesù e Maria bambini. Maria Concetta Di Natale a questo proposito scrive: “In virtù della trasposizione cristiana spesso il corallo, così a forma di rametto, viene raffigurato addosso al divino Bambino volendo qui significare premonitoriamente il suo destino di salvatore dell’umanità contro le forze malefiche del peccato e il suo sacrificio per una nuova vita”7. La Madonna Bambina di collezione privata ha poi sul capo una corona in rame dorato con pietre policrome, che ne sottolineano la regalità. Poggiato su di essa è un rosario in argento. Derivato dalla tradizione orientale, il rosario durante il medioevo diventa nell’immaginario cristiano una corona di rose per la Vergine. Così come per il corallo “questo fiore, espressione dell’amore pagano, diviene simbolo di quello sacro della Vergine nella tradizione cristiana”8.

Appartiene, invece, a maestranze legate alla Sicilia occidentale l’effigie della Madonna Bambina della chiesa di San Vito a Bisacquino9. La Madonna è qui poggiata su una culla settecentesca in legno dorato, il corpo è rivestito da un port-enfant che le lascia scoperto solo il volto di cera elegantemente dipinto. Al collo troviamo nuovamente una collanina in grani di corallo. Le culle di Maria Bambina sono spesso dei raffinati oggetti, dei piccoli capolavori finemente intagliati, scolpiti e talora dorati o dipinti, opere di abili maestri falegnami e talora anche abili scultori lignei.

Tra le varie tipologie ritrovate sul territorio siciliano, molto interessanti risultano un gruppo di opere che si possono definire Madonna Immacolata Bambina, che presentano la comune caratteristica degli attributi simbolici tipici di quest’iconografia, quali la mezza luna e la corona con le dodici stelle, con l’aggiunta in alcuni casi del monogramma mariano. Legata a questa iconografia è la miniatura del XV secolo dell’Antifonario A1 del Museo della Cattedrale di Pienza10. Fusco e Morello la definiscono “una immagine piuttosto insolita”11. Entro la lettera H del repositorio è sospesa la figura di Maria Bambina in fasce, sorretta da due cherubini. I lunghi capelli sono ornati da un sottile filo rosso e il capo cinto da un nimbo dorato, nella mano sinistra un cartiglio Ab <a> eterno ordinata sum (Pr 8,23) allude alla sua immunità dal peccato, che si esprime concentrando l’attenzione sulla sola figura della Vergine. Nelle opere che presentano la nascita della Madonna, la scena è invece divisa con San Gioacchino e Sant’Anna.

La Madonna Bambina in ceroplastica di Ciminna12 (Fig. 2) appartiene a questa tipologia e mostra il volto paffuto ed i capelli divisi in piccole ciocche dipinte, così come le sopracciglia. Appena accennato il sorriso nella bocca minuta, il simulacro ha il solo viso in cera, mentre il resto del corpo è chiuso entro port-enfant ricamato. Quest’ultimo, arricchito di passamaneria, mostra nei piedi un fiore da cui si dipartono due rami fioriti che racchiudono il monogramma mariano. La stilizzazione dei rami fioriti rimanda al gusto neoclassico e spinge ad una datazione intorno alla fine del XVIII secolo. Il simulacro è poi rivestito con una sontuosa veste, corredata di fascia alla vita e di mantello probabilmente posteriore. Al collo mostra una semplice collana con un campanellino, dono consueto per i neonati. La corona con dodici stelle posta dietro il capo rimanda all’iconografia dell’Immacolata, così come la nuvola con putti da cui si dipartono raggi dorati. Tale iconografia fu codificata da Francisco Pacheco Del Rio, che nel suo trattato El arte de la pintura del 1649 riprendendo l’immagine della Donna dell’Apocalisse  (12,1) scrive “vestita di sole, con la luna sotto i piedi e nel suo capo una corona di dodici stelle”13. Ancora all’iconografia dell’Immacolata rimanda  la preziosa Madonna Bambina del Museo A. Cordici di Erice14. La Madonna, dal delizioso viso in cera con capo coperto da cuffia, ha il port-enfant arricchito da merletti, perle e fiori in stoffa e in cera, ricami in fili d’oro e un cuore raggiato. Posta entro una neoclassica teca in legno, ha in basso la mezzaluna e dietro il capo l’aureola con le dodici stelle, ai suoi piedi ritroviamo anche il monogramma mariano sormontato da una coroncina. La composizione è completata da una ghirlanda fiorita e può attribuirsi a maestranze ericine della fine del XVIII inizi XIX secolo.

Una preziosa Madonna Bambina del Museo Diocesano di Monreale (Fig. 3) già facente parte della collezione Renda Pitti, è distesa entro una teca in legno dorato di stile tardo barocco15. Finemente delineati solo i tratti del volto ed i capelli, il port-enfant in lampasso cremisi la avvolge lasciandole scoperte appena le spalle. In corrispondenza dei piedi, ricamata con fili d’argento, si nota la mezza luna, mentre sul capo è una corona d’argento. Ornata di orecchini e collana, la Vergine appartiene al gruppo che rimanda all’iconografia dell’Immacolata. In questo caso il simulacro presenta dei simboli tratti dal mondo classico come le due cornucopie e la conchiglia sottostante, che richiamano culti pagani diffusi in Sicilia come quello di Cerere o di Venere, soppiantati dalla nuova devozione nei confronti della Madonna16. Questi elementi sono parte centrale di una ricca decorazione con coralli, perle, conchiglie e vetro policromo, che richiamano le realizzazioni polimateriche tipiche delle maestranze trapanesi17.

Ascrivibile alla produzione catanese del XIX secolo è la statua di Madonna Bambina di Acireale18. Il simulacro ha la testa e gli arti di cera, mentre il corpo è realizzato in stoffa imbottita. La statua è poggiata su un tronetto in legno con il piede su un cuscino. La scultura è coperta da una veste in raso celeste con cintura e ricami dorati, mentre sulle spalle poggia un mantello cremisi, ricamato e ornato da passamaneria. Sul capo sono poste una corona in rame dorato ed un’altra con dodici stelle. Quest’ultima corona, la posizione delle braccia aperte e quella dei piedi riconducono nuovamente all’iconografia dell’Immacolata che con un piede calpesta il serpente simbolo del peccato e pone l’altro sulla falce lunare. Maria ha, inoltre, orecchini e collana in corallo. Tale comunione iconografica della Madonna Bambina e dell’Immacolata non è utilizzata solo nella ceroplastica, si ritrova ad esempio anche in pittura come nella Maria Bambina con i Santi Gioacchino e Anna di pittore novellesco del Monastero di Palma di Montechiaro19. Nel dipinto la Madonna Bambina è posta tra San Gioacchino e Sant’Anna e poggia i piedi sulla mezza luna e dal capo, coronato da un serto di rose, si dipartono raggi dorati. Nello stesso convento le benedettine ricamavano opere preziose per arricchire con il loro lavoro l’interno della chiesa. Tra le opere seriche ricordiamo un Paliotto con Maria Bambina della prima metà del XVIII secolo custodito all’interno Monastero di Palma di Montechiaro20. Il paliotto facente parte di un gruppo che si distingue per le stesse caratteristiche, presenta un tessuto rosso con ricami in fili policromi. L’iconografia della Madonna Bambina è particolare perchè è posta in piedi entro un cuore e dalle sue mani si dipartono fili alle cui estremità si trovano cuori alati, i cuori delle suore che a lei si affidano21.

Il monogramma di Maria è presente anche nell’inedita Madonna Bambina della chiesa di Santa Maria di Gesù di Corleone (Fig. 4). Posto all’interno di un’urna in legno, il simulacro ha il corpo chiuso entro port-enfant che scopre solo le spalle, il collo ed il volto, delicatamente definito e dipinto. Il capo è ricoperto da una cuffia. Ai lati della scultura sono posti due vasi in legno con fiori. La presenza dei fiori nella decorazione delle vesti o entro le scarabattole non è casuale, ma come nota Maurizio Vitella “fa riferimento ad un linguaggio simbolico, oggi forse incomprensibile, che interpreta i frutti della natura secondo ben specifici significati”22.

Interessante è l’opera del Monastero dell’Angelo Custode di Alcamo (Fig. 5), che trova riferimento in un manoscritto appartenuto al soppresso monastero del SS. Salvatore individuato da Roberto Calia, che chiarisce il ruolo della committenza, la tipologia  di opere preferite da quest’ultima e fornisce anche il nome di  qualche artista23. Ad esempio in un brano del manoscritto si legge “In questo monastero del  SS. Salvatore la lavorazione della cera e dello smalto, specialmente nel secolo XVIII, realizzò delle bellissime scaffarrate con bambinelli Gesù, la Madonna Bambina avvolta in fasce, l’Assunta, S. Giuseppe, decorate con ghirlande di fiori in smalto, tanto da esserne ordinate nel 1735 una per il re Carlo di Borbone di Napoli e una per l’Arcivescovo di Palermo, Matteo Basile, napoletano”24. All’ordine delle claustrali benedettine appartenevano ad Alcamo oltre il Monastero del SS. Salvatore o Badia Grande, quello di S. Francesco di Paola o Badia Nuova e l’altro dell’Angelo Custode (Riparate)25. In quest’ultimo monastero si trova una Madonna Bambina in cera che potrebbe corrispondere a quella descritta nel citato manoscritto: “Addì 6 maggio 1730 consegnato al Reclusorio Angelo Custode una Madonna bambina in cera avvolta in fasce tempestata di corallo e con trinetta in argento”26. Il manufatto presenta solo il volto ed il collo in cera, ha gli occhi in vetro e la caratteristica delle labbra socchiuse attraverso le quali si notano due denti. Elegante è il giro di roselline rosa in seta che chiudono la fasciatura in raso, arricchita da merletto bianco. L’opera è decorata con una fascia di tartaruga, una di fili di grani di corallo e dei volà di tulle. A questa fascia sono legati tre piccoli medaglioni reliquiari in argento, rappresentanti uno Santa Rosalia, uno San Francesco di Paola e l’altro contenente dei fili di capelli. In alto, al centro della fasciatura è ricamato il monogramma di Maria, sormontato da una corona. Secondo Roberto Calia un altro esemplare simile è presente nel monastero di S. Chiara di Alcamo. Il simulacro è posto su un cuscino ornato da merlettato entro una culla in legno intagliato e decorato di gusto barocco27. Lo stesso simulacro è citato da Vincenzo Regina, sacerdote studioso delle opere d’arte di Alcamo, che ricorda “una barocca culla in legno dorato con Maria Bambina sempre in cera” opera, non rintracciata, dei monasteri di clausura “ove le monache, da vere artiste, con materia povera come la carta ritagliata, la cartapesta, il gesso e talvolta il legno sapevano modellare opere di tale piacevole fattura da essere desiderate anche da sovrani”28.

Sempre Mons. Regina nel Libro VI dei conti della stessa Badia Grande rileva “Addì 29 dicembre 1735 consegnata all’Arcivescovo di Palermo Matteo Basile una scaffarrata in legno di cipresso intagliata da frà Giuseppe d’Alcamo con la Madonna Bambina in fasce di raso bianco e ricoperta di corallo con fiori in smalto, onze 2”29.

Alcamo, quindi, appare come centro di produzione di opere in cera realizzate dalle monache claustrali. Tra le suore citate nel ricordato manoscritto individuato da Calia operanti nel XVIII secolo sono “Suor Vita Giusti (figlia di un noto bamminaro palermitano), Suor Maria Stabile, Suor Emanuela Vitale, Suor Emilia Dolce, Suor Antonina Lucchese, Suor Cecilia Sorrentino”; e si precisa inoltre che “L’attività lavorativa nella seconda metà dell’800 venne continuata da Suor Felicina, Suor Crocifissa e suor Scolastica del monastero Badia Nuova; e più tardi, anche nel monastero delle Vergini Clarisse di Santa Chiara, da Suor Chiara Giglio e da Suor Francesca Lo Monaco, ma il vero splendore quest’arte l’ebbe con suor Vita Giusti nel Monastero del SS. Salvatore”30.

Nel Museo Diocesano di Monreale sono conservate altre quattro inedite Madonne Bambine, le prime tre già facenti parte della collezione Renda Pitti, l’ultima invece proveniente dal Convento dei Gesuiti della chiesa del Sacro Cuore di Monreale. Le opere se pur prive delle teche che le contenevano e dei gioielli che le arricchivano appaiono comunque interessanti. Le quattro sculture presentano il volto e le spalle in cera ed il corpo chiuso entro port-enfant, che in tre casi è corredato di mantello. Due di queste hanno una veste simile in seta dipinta che alla vita presenta una fascia, in un caso fili di vetro trasparente e nell’altro merletto con tre fili di perle, entrambe da datare al XIX secolo. La prima si caratterizza per il monogramma di Maria sormontato da corona incorniciata da una ghirlanda con fiori, ripetuta sul petto (Fig. 6). Nel mantello ed ai piedi sono decori con rose, tipico simbolo mariano e ricami con stelle. Il port-enfant è rifinito da un merletto in fili d’argento. Il volto, dalla bocca minuta è seriamente atteggiato, differenziandosi per questo particolare dagli altri manufatti presi in esame, che in genere presentano il viso sorridente tipico dei neonati. L’altra Madonna si distingue per la colomba dello Spirito santo dipinta sul petto (Fig. 7), e reca gigli e  rose dipinte sul mantello che non casualmente sono tipici attributi mariani. Scrive in proposito Maria Concetta Di Natale: “Come nei dipinti, nei codici miniati, nelle argenterie e in altre espressioni di arte decorativa, così anche in opere di oreficeria si trovano fiori dal linguaggio simbolico […] La rosa, che in tutte le sue gradazioni di colore da fiore dedicato a Venere diviene simbolo di Maria, la rosa di Sharon del biblico Cantico dei Cantici, la rosa mistica del Paradiso dantesco”31. Di gusto neoclassico è l’altra inedita Madonna Bambina sempre del Museo Diocesano di Monreale (Fig. 8), dall’ampio mantello con ricami in fili d’oro, fiori stilizzati con spighe e motivi alla greca nel bordo. Il viso delicatamente definito nei particolari è contornato dai capelli divisi in ciocche. Probabilmente da datare alla fine del XVIII secolo è l’ultima Madonna Bambina di questo gruppo (Fig. 9). Chiusa in un port-enfant di colore salmone con sei giri di corallo separati da merletti, mentre le spalle sono avvolte da un merletto arricchito da una spilla sul petto. Il capo è leggermente reclinato su una spalla, la minuta bocca socchiusa lascia intravedere i denti, gli occhi sono spalancati e il capo è coperto da una cuffia di tulle.

Si distinguono, poi, due sculture presenti in Istituti religiosi di Palermo rappresentanti la Madonna Bambina in piedi ricoperta da lunghe vesti, poste entro scarabattole. Particolarmente interessante è il simulacro di Maria Bambina, datato dall’Azzarello alla seconda metà del XIX secolo32, ma forse da anticipare all’inizio dello stesso secolo. Maria, in piedi, è collocata entro una teca di vetro ed è ricoperta da una lunga veste ricamata stretta alla vita da una fascia, mentre sulle spalle è poggiato un manto ricamato in oro e argento che ripropone lo stesso disegno della veste. Il simulacro è arricchito da orecchini di perle e da una semplice corona. La Madonna ha il volto, le mani ed i piedi in cera, le ciocche dei capelli sono definite con delicatezza, gli occhi sono di vetro e la piccola bocca è atteggiata ad un sorriso. L’elegante gesto delle mani e l’espressione del volto, denotano un artista sensibile, attento ai particolari.

Si trova all’interno di una scarabattola di legno anche l’altra Madonna Bambina, sempre di Istituto Religioso di Palermo33. Anche quest’opera è in piedi ma indossa un semplice abito bianco ricamato, forse posteriore. Datata dall’Azzarello alla fine del XIX secolo la piccola scultura è corredata di collana e orecchini con perle e coronata.

Presenta una tipologia differente da quelle sino ad ora trattate la Madonna Bambina entro scarabattola di Istituto Religioso di Palermo34. L’opera propone una variante del tema perché presenta una Vergine non più dal volto paffuto e dai capelli ricciuti tipici di un neonato, ma le fattezze di una fanciulla in atteggiamento di preghiera. Il volto è leggermente reclinato, le mani sono giunte e reggono un rosario e dei fiori. Ricoperta del suo manto azzurro, ha la testa e gli arti in cera, il capo coronato ed ai piedi due piccoli vasi con fiori, mentre il corpo è costituito da un’impalcatura lignea. Nel XVIII secolo i cirari avevano iniziato a realizzare delle opere in cui solo le parti esterne erano realizzate in cera, mentre la struttura interna era sostenuta da un supporto in legno o in ferro. Questa tecnica mista deriva dall’uso dei maestri trapanesi che nella realizzazione dei pastori del presepe usavano diversi materiali come legno, tela e colla35. A causa della fragilità della materia e anche per lo spostamento frequente di tali oggetti, i cirari realizzavano i simulacri secondo quella che viene denominata la tecnica delle “cere rivestite”. Tecnica, quest’ultima, che si diffonde soprattutto quando nel Settecento il diritto canonico prevede l’uso di rivestire i corpi dei martiri, posti entro urne di vetro, con abiti sontuosi, mentre il teschio, le mani ed i piedi venivano modellati secondo le varie sembianze con cera.

Accostabile a questa tipologia è, infine, la Madonna Bambina del Museo A. Cordici di Erice36 (Fig. 10). L’opera è tipica espressione della produzione conventuale ericina come scrive Maurizio Vitella “elementi floreali in pasta d’amido dipinti con tinte pastello, strutture architettoniche con arcate ad ogive o con baldacchini, foderati in seta sovrastanti culle o piccoli divani sono componenti caratteristiche della manifattura ericina”37. Tutti questi elementi sono riscontrabili nella struttura architettonica con archi a sesto acuto sotto i quali è posta la piccola Madonna. Le colonnine binate sono rivestite di seta ricamata con oro filato e pailletes, in cui predominano il bianco e l’oro. Bianchi sono anche i fiori, posti entro minuscoli vasi, realizzati in stoffa e pasta d’amido che impreziosiscono la composizione. Particolarmente curata la piccola scultura è coperta da una veste in seta ricamata con fili d’oro e da un velo, mentre ai suoi piedi una piccola fruttiera contiene frutti in pasta d’amido. Tipicamente neogotica la composizione è probabilmente proveniente dal monastero di Santa Teresa, dove le suore carmelitane confezionavano manufatti rappresentanti Gesù Bambino, la Madonna ed i Santi per il culto privato. Dopo la soppressione dell’ordine religioso, le suore si spostarono nell’orfanotrofio San Carlo dove lavorarono sino ai primi trent’anni del Novecento.

  1. S. OCCHI, Memorie della vita e delle virtù di suor Isabella Fornari, Venezia 1768. []
  2. A. MASCOTTI – U. VANNI – M. ERBETTA – G. GHARIB, Maria Bambina: Storia e riflessioni tecnologiche di una devozione,prefazione del cardinale Anastasio A. Ballestrero,  presentazione di Angelamaria Campanile, Brescia 1986. []
  3. L. DE VENUTO- B. ANDRIANO CESTARI, Santi sotto campana e devozione, Bari 1995, pp. 49-50. []
  4. M.C. DI NATALE, ‘Rosalia Novelli’, ‘Anna Fortino’, in Siciliane. Dizionario biografico, a cura di M. Fiume, Siracusa 2006 (ad voces). []
  5. Cfr. A. LIPARI, Il lavoro nel chiostro: contesto ed emergenze, in L’Eredità di Angelo Sinisio. L’Abbazia di San Martino delle Scale dal XIV al XX secolo, a cura di M. C. Di Natale – F. Messina Cicchetti, Palermo 1997, pp.19-22. []
  6. V. REGINA, Monasteri femminili con chiese e opere d’arte in provincia di Trapani, Alcamo 2000. []
  7. M.C. DI NATALE, Gioielli di Sicilia, Palermo 2000, II ed. 2008, p. 13. []
  8. M.C. DI NATALE, Scheda I.43, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della mostra a cura di M. C. Di Natale, Milano 1989, pp. 106-107. []
  9. R.F. MARGIOTTA, Tesori d’arte a Bisacquino, “Quaderni di Museologia e Storia del Collezionismo” n.6 della collana di studi diretta da M.C. Di Natale, premessa M. C. Di Natale, Palermo 2008, p. 22. []
  10. R. FUSCO, G. MORELLO, Il tema dell’Immacolata Concezione nella miniatura, in Una donna vestita di Sole. L’Immacolata Concezione nelle opere di grandi maestri, catalogo della mostra a cura di G. Morello – V. Francia – R. Fusco, Milano 2005, pp. 41-51. []
  11. R. FUSCO, G. MORELLO, Il tema.., in Una donna.., 2005, p. 45. []
  12. R. CEDRINI, Il sapere vissuto, in Arte popolare in Sicilia, le tecniche, i temi, i simboli, catalogo della mostra a cura di G. D’Agostino, Palermo 1991, p. 178. []
  13. Sull’iconografia dell’Immacolata in Sicilia cfr. Bella come la luna, pura come il sole. L’Immacolata nell’arte in Sicilia, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, M. Vitella – Bagheria (PA) 2004. []
  14. Cfr. Il Museo Antonio Cordici di Erice, a cura di  A. Burdua, Paceco 2004, p. 63. []
  15. N. A. LO BUE, Scheda I 8, in Gloria Patri. L’Arte come linguaggio del sacro, catalogo della mostra a cura di G. Mendola, Palermo 2001, p. 61. Sulla collezione Renda Pitti cfr. L. Sciortino, Salvatore Renda Pitti collezionista, in Sicilia: Centro di studi sulla Civiltà Artistica nell’Italia Meridionale “Giovanni Previstali”, a cura di G. Barbera – M. C. Di Natale, in corso di stampa. Per la segnalazione delle Madonne Bambine di Monreale si ringrazia la Dottoressa Lisa Sciortino, Vice direttore del Museo Diocesano di Monreale. []
  16. Cfr. M. C. DI NATALE, Coll’entrare di Maria entrarono tutti i beni  in città, in Il Tesoro Nascosto. Ori e Argenti per la Madonna di Trapani, catalogo della mostra a cura di M. C. Di Natale – V. Abbate, Palermo 1995,pp. 11-15; M.C. DI NATALE, I monili della Madonna della Visitazione di Enna, nota introduttiva di T. Pugliatti, con contributo di S. Barraja, appendice documentaria di R. Lombardo e O. Trovato, Enna 1996. []
  17. Cfr. Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo, catalogo della mostra a cura di M. C. Di Natale, Palermo 2003, passim. []
  18. Basilica Collegiata di San Sebastiano. Acireale. Arte e devozione, a cura di  A. Fichera, T. Catania, Bagheria (PA) 2001, p. 52 Fig. 50. []
  19. M. GUTTILLA, La collezione dei dipinti. Ambiti culturali e stato conservativo, in Arte e spiritualità nella terra di Tomasi di Lampedusa. Il Monastero Benedettino del Rosario di Palma di Montechiaro, catalogo della mostra a cura di M. C. Di Natale, F. Messina Cicchetti, San Martino delle Scale 1999, pp. 112-148. []
  20. M. VITELLA, Tradizione manuale e continuità iconografica. La collezione tessile del Monastero di Palma di Montechiaro, in Arte e spiritualità…, 1999, pp. 178-198. []
  21. Del gruppo fa parte anche il Paliotto con Gesù Bambino che tiene i cuori e il Paliotto con Maria che tiene i cuori. Ibidem. []
  22. M. VITELLA, Gloria in excelsis Deo. La tradizione ceroplastica natalizia di Erice, Alcamo, Trapani e Salemi, Alcamo 2005, p. 12. []
  23. Cfr. R. CALIA, Ceroplastica e smaltoplastica in Alcamo, Alcamo 1989. []
  24. S. MONTELEONE, Diario, ms. del sec. XVIII, presso gli eredi di F. M. Mirabella; cfr. R. CALIA, Ceroplastica…, 1989, p.43. []
  25. Su questo monastero cfr. C. CATALDO, Le Riparate. Il Reclusorio dell’Angelo custode di Alcamo nella storia del costume in Sicilia, Alcamo 1998. []
  26. R. CALIA, Ceroplastica…, 1989, p. 45. []
  27. R. CALIA, Ceroplastica…, 1989, p. 62. []
  28. V. REGINA, Alcamo. Storia, arte e tradizione, vol. II, Palermo 1980, p. 60. []
  29. V. REGINA, Monasteri.., 2000, p. 32. []
  30. R. CALIA, Ceroplastica…, 1989, pp. 43- 48. []
  31. M. C. DI NATALE, Gioielli…, 2000, II ed. 2008, p. 188. []
  32. F. AZZARELLO, L’Arte della ceroplastica in Sicilia. Nella tradizione della provincia di Palermo. Presentazione e saggio introduttivo di C. Caldarella, Palermo 1987, p. 54 tav. 20. []
  33. F. AZZARELLO, L’Arte della ceroplastica.., 1987, p. 67. []
  34. F. AZZARELLO, L’Arte della ceroplastica.., 1987, p. 58. []
  35. C. CALDARELLA, L’arte della ceroplastica in Sicilia, in F. Azzarello, L’arte della ceroplastica…, 1987, pp. 11-17. []
  36. V. SCUDERI, I. COLOMBA, D. MALIGNAGGI, Nuova sistemazione del Museo Corici di Erice, in «Musei e Gallerie d’Italia» n. 57, settembre – dicembre 1975, p. 18; V. REGINA, Monasteri…, 2000, p. 174 – Fig. XXV; Il Museo A. Cordici di Erice, a cura di A. Burdua, Paceco 2004, p. 62. []
  37. M. VITELLA, Gloria in excelsis Deo…, 2005, p. 13. []