Benedetta Montevecchi

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Il tabernacolo di Bonconte da Camerino*

DOI: 10.7431/RIV02042010

Nell’inventario della Cattedrale di Camerino, stilato nel 17261, si legge una descrizione dell’antica chiesa, anteriore alla distruzione causata dal terremoto del 1799. La terza cappella a cornu Evangelii era dedicata al SS. Sacramento: aveva un altare in stucco dorato con le statue dei Santi protettori Venanzio e Ansovino e una nicchia con l’immagine della Madonna col Bambino; sulla mensa, vi era il gradino con al centro il ciborio per la custodia dell’Eucarestia e sopra “…un Tabernacolo alto palmi***di rame indorato, e lastre d’argento con porticine e colonnette, con diverse statuette dorate che sostengono cornucopie coll’arme d’avanti del SS.mo Sagramento con lettere attorno di bellissima fattura”. Il grande tabernacolo è ancora citato nelle Aggiunte manoscritte apposte da Amico Ricci alla sua copia delle Memorie storiche delle Arti e degli Artisti della Marca di Ancona 2, dove troviamo la seguente notazione: “Il Sig. Giuseppe Ranaldi di S.Severino mi scrive da Bologna, colla data del 19 maggio 1836: ho veduto il Ciborio di bronzo dorato che si trova nella Cattedrale di Camerino. In esso sono profusi tutti gli ordini di architettura e nella base vi lessi: == A BONUS DE COMIS ARGENTI BONI DE CAMERINO DEO GRATIAS FACIEBAT ANNO 1554 ==”3. Pochi anni dopo, nel 1842, il tabernacolo veniva venduto dai Canonici del Capitolo per 80 scudi4.

Per più di un secolo si perdono così le tracce dell’opera che ricompare in una non meglio specificata ‘collezione privata’ di Roma, in occasione della mostra Argenti Italiani dal XVI al XVIII secolo tenutasi nel 1959 a Milano, presso il Museo Poldi Pezzoli5. Nella breve scheda illustrativa del catalogo si riporta per esteso l’iscrizione che corre intorno ai quattro lati della base del tabernacolo: “DEO MAXIMO DICATUM BONUS COMES q. ARGENTI Dc BONIS COMITIBUS DA [sic] CAMERINO DEO GRATIAS FACIEBAT ANNO D.M.I. MDLIIII”6, e l’autore viene identificato nell’argentiere di Camerino “Conte Argenti”. Nel commento si rileva la “libera interpretazione di motivi bramanteschi…e la predilezione per le forme eleganti, esili, allungate del manierismo di corrente non michelangiolesca”. Il nome dell’orafo e fonditore Conte Argenti risultava già incluso nel lessico biografico di U.Thieme e F.Becker  del 19027 e sarebbe poi comparso anche nel repertorio di Costantino G.Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d’Italia del 19698.

Il tabernacolo veniva ancora dimenticato per decenni, fino a ricomparire, di recente, sul mercato antiquario milanese9, suscitando notevole interesse anche a Camerino. Nel giro di poche settimane, infatti, il giornale locale “Appennino Camerte” ha pubblicato al riguardo due articoli il secondo dei quali, a firma di Corrado Zucconi e intitolato: Quel ciborio non era sconosciuto, ripercorre la storia dell’opera e ricorda uno scritto dello storico Giacomo Boccanera del 196610 dove compariva l’esatta ricostruzione del nome dell’orafo, nome peraltro facilmente deducibile dall’attenta lettura dell’iscrizione: “Bonus Comes q. Argenti de Bonis Comitibus de Camerino”, ovvero ‘Bonconte del fu Argento de’ Bonconti da Camerino’. Va peraltro precisato che l’errata lettura del nome era stata avvalorata dalla trascrizione dei documenti citati dall’Aleandri (1902)11, relativi al pagamento, in data 29 maggio e 5 giugno1557, appunto ad un ‘Maestro Conte Argenti orefice’ per avere intagliato nel bosso la matrice dell’ornato per il frontespizio degli Statuti della città, e in data 21 maggio 1558, ad un altro pagamento a ‘M° Conte Argenti da Camerino’, per la “fattura e ricamatura” dell’immagine di  san Venanzio e dell’arme del Comune su un drappo di velluto cremisi donato alla chiesa del Santo patrono.

Il nome ‘Conte Argenti’ ripreso dalle fonti bibliografiche del Novecento, deriva dall’abbreviazione dell’appellativo Bonconte in Conte, mentre il patronimico ‘Argenti’, ancorché preceduto dal q. (=quondam), ovvero ‘del fu Argento (o Argenzio), è stato considerato il cognome, che, pure, compare chiaramente nell’iscrizione, a seguito del nome: d(e) Bonis Comitibus, ovvero de’Bonconti12.

Nonostante le imprecisioni sul nome, i documenti sopra citati sono di estremo interesse per delineare la poliedrica figura di Bonconte Bonconti, orafo, fonditore, intagliatore di matrici xilografiche e perfino ricamatore. Purtroppo non è stato possibile, finora, rintracciare il drappo ricamato con l’immagine di san Venanzio e l’arme della Comunità di Camerino per il quale l’artista doveva avere fornito non solo il disegno, ma che doveva essere stato da lui stesso ricamato, essendo stato pagato per la “fattura e ricamatura”. Peraltro, come si sa, nei secoli passati il ricamo era ampiamente praticato da abilissimi ricamatori, mentre la realizzazione del pregiato filo d’oro veniva effettuata all’interno delle botteghe orafe, attrezzate per tirare l’oro in sottilissime lamine.

Esistono, invece, le antiche copie degli Statuti di Camerino13 il cui frontespizio è decorato con una elaborata cornice disegnata dal pittore camerinese Camillo Bagazzotti e incisa, come accennato, da Buonconte che fornisce qui un egregio saggio delle sue capacità di incisore in legno. Una maestria, questa, derivatagli, naturalmente dalla sua principale attività di orafo, testimoniata dal grandioso tabernacolo per la cappella del Sacramento della Cattedrale di Camerino, firmato e datato nel 1554.

Non si ha notizia, finora, di documenti relativi a questo eccezionale lavoro che dovette impegnare a lungo l’artefice e i suoi probabili collaboratori, né se ne conosce la committenza dal momento che l’iscrizione dedicatoria riporta solo il nome di Bonconte, la data e le scritte devozionali: “Deo Maximo dicatum”  e “Deo gratias”.

Il tabernacolo è un’opera di straordinaria complessità strutturale e decorativa che si eleva, su ordini sovrapposti, fino ad un’altezza di 125 centimetri (Fig. 1). La struttura posa su un basamento quadrangolare sostenuto da quattro fantastici ippocampi dalle ali spiegate e dalla lunga coda anguiforme terminante in una testa di cane a fauci spalancate (Fig. 2). Il basamento è delimitato, in basso, da una fascia su cui è incisa la scritta dedicatoria sopra citata, con la firma dell’autore e la data. Al centro dei lati con le invocazioni a Dio sono poste placchette ovali raffiguranti  il calice con l’ostia, cioè l’emblema eucaristico, al centro dei lati con il nome dell’orafo e la data vi è uno scudo araldico, sormontato da un cimiero piumato, con un leone rampante sostenente un piccolo ovale tra le zampe, una sorta di castone vuoto forse in origine contenente un emblema14; ai lati del cimiero sono leggibili le iniziali B e C (Fig. 3).

Oltre la fascia con l’iscrizione, si imposta il basamento quadrangolare del tabernacolo, delimitato da cornici modanate, con ovoli, perle e dentelli, rivestito da una lamina d’argento sulla quale risalta un magnifico fregio intagliato e dorato, con due diversi motivi decorativi di gusto classico: busti femminili e infantili desinenti in volute vegetali con festoni e drappi svolazzanti, sui due lati con le invocazioni a Dio; putti sorreggenti festoni di frutta, con piccoli mascheroni pendenti, sui due lati recanti la firma e la data; agli angoli, torna il simbolo dell’Eucarestia, con il calice e l’ostia. Al centro di tre fregi è posta una formella tonda racchiusa in una cornice modanata; il quarto reca una borchia, con cornicetta modanata e perlinata, alla quale è fissato un piccolo rilievo raffigurante un personaggio in vesti classiche, identificabile, forse, nel Redentore.

Sopra il basamento si imposta il primo ordine dell’elaborata costruzione, ovvero un tempietto quadrangolare, con un portale su ogni lato, poggiante su uno zoccolo di tre gradini delimitati da piedistalli angolari sormontati da quattro angeli: due, con corazza e spade sguainate (Fig. 4) e due, con lunghe vesti, privi dell’oggetto che in origine sorreggevano (forse le cornucopie dell’inventario settecentesco?). I piedistalli, ispirati ad un’ara classica, con aquile e putti agli angoli, recano festoni di frutta sostenuti da mascheroni e teste di ariete, nell’ansa dei quali risaltano, in argento, decori a forma di farfalla con le sigle BO e CO, anch’esse verosimilmente relative al nome dell’autore, Bonconte (Fig. 5).

Intorno alla base del tempietto, sono disposti 24 medaglioni, rotondi e ovali, in lamina d’argento, con iscrizioni sbalzate allusive al mistero eucaristico15. Le scritte sono circondate da cornicette modanate (una con dentelli), arricchite da volute, testine angeliche, piccoli mascheroni, teste di cane a fauci spalancate (simili a quelle che concludono la coda degli ippocampi), fantastiche figurine alate desinenti in una voluta vegetale (simili a quelle che ornano il fregio del basamento).

Agli angoli del tempietto aderiscono piatte lesene percorse da minute e ornatissime grottesche d’argento con capitelli compositi sostenenti un architrave decorato da un motivo a greca con calici, al centro. Ai quattro lati sono collocate piccole porte, ornate da un intaglio a giorno d’argento, affiancate da colonnine scanalate sostenenti una fascia con iscrizioni evangeliche16. Davanti ad ogni porta è un protiro con colonne scanalate sostenenti il timpano (due a tutto sesto e due triangolari), con angeli che sorreggono gli emblemi della Passione e Dio Padre, emergente a mezza figura dalle nuvole, che indica le scritte sottostanti17. (Fig. 6). La meticolosa, quasi maniacale attenzione profusa dall’autore in ogni parte del tabernacolo è testimoniata dal decoro a minuscoli cassettoni, testine angeliche e calici con cui sono rifiniti i piccoli soffitti, differenti uno dall’altro,  antistanti le porticine. Sopra ciascuno dei quattro timpani si ergono tre angeli con emblemi della Passione (alcuni perduti) e il Crocifisso. Agli angoli del tempietto, su mensole sostenute da ornate volute concluse da una testina cherubica, sono posati calici dorati dai quali emerge un’ ostia d’argento con l’immagine del Cristo in pietà in rilievo. Uno dei lati del piccolo edificio è uno sportello, con cardini e serratura munita di chiave (Fig. 7).

Sopra tale struttura posa un secondo tempietto, a pianta circolare, ma con basamento  quadrangolare, definito da una fascia con due lati intagliati a giorno18, con borchie  dorate e d’argento, su un piccolo cornicione aggettante sostenuto da mensole con fogliami alternate a piccoli rosoni (Fig. 8). Agli angoli, sono  piedistalli decorati da minuti riquadri in argento con un mascherone tra volute vegetali, sui quali si ergono quattro microsculture a tutto tondo: una figura femminile inginocchiata su una base con testina angelica, identificabile nella Vergine Annunziata – cui è intitolata la Cattedrale – , un giovane santo con in mano un modellino di città, cioè San Venanzio, protettore di Camerino, un personaggio in abito sacerdotale, forse Sant’Ansovino o un profeta come pure il personaggio in vesti classiche, col manto gonfiato dal vento, che indica il libro aperto tra le mani. Sopra un basso stilobate, rivestito d’argento e ornato da metope con teste d’ariete,  si impostano dodici colonnine scanalate che circondano il tempietto la cui parete è pausata da lesene, alternate a nicchie con mensole sostenenti le dodici statuette degli Apostoli. I piccoli personaggi sono raffigurati in piedi, in pose variate, ciascuno identificabile dall’ oggetto in argento che teneva fra le mani. Alcuni di questi minutissimi dettagli sono andati persi: si conservano tuttora le chiavi nelle mani di san Pietro, la sega sorretta da Simone Zelota, il bastone da pellegrino di san Giacomo Maggiore, la squadra di san Tommaso (Fig. 9).

Le dodici colonnine sostengono un basamento rotondo sul quale posa una balaustra con quattro seggi su volute che accolgono gli Evangelisti, intenti a scrivere in un volume, accompagnati dalle proprie figure simboliche – l’aquila, il leone, il toro e l’angelo – in atto di porgere il calamaio (Fig. 10). All’interno della balaustra è impostato l’alto tamburo della cupola: l’inconsueta decorazione di questa parte dell’edificio consta di una serie di finestre, nelle quali minuziose incisioni riempite di smalto colorato simulano il disegno dei vetri, pausate da erme maschili, con teste alternativamente barbute e imberbi, e piedi collegati da una piatta lesena su cui risalta il fallo. Un dettaglio, questo, presente nell’iconografia classica19, ma quantomeno inusuale e inappropriato in un manufatto a destinazione sacra. Una destinazione ribadita peraltro dal susseguirsi di calici eucaristici, alternati a pinnacoli, disposti lungo il piccolo cornicione soprastante, oltre il quale si eleva la cupola, completamente ricoperta da bugne quadrangolari degradanti verso l’alto, culminate da rosoni e suddivise da borchie d’argento (Fig. 11). In alto è posta una lanterna con finestrelle allungate alternate a volute e sormontata dal cupolino la cui decorazione bugnata ripropone, in dimensioni minori, quella della cupola.

In cima al tabernacolo è posta una piccola scultura la quale, pure, costituisce un elemento inconsueto in questo contesto: si tratta, infatti, di una figura femminile alata in lunghe vesti, con in mano una palma e una corona, secondo l’iconografia classica della Vittoria, ma in piedi su una sfera, attributo che spetta, invece, alla Fortuna (Fig. 12). La statuetta, inoltre, presenta proporzioni tali da farla ritenere la probabile sostituzione di un originale andato perduto20. Peraltro, questo ulteriore inserimento classico rientra nella curiosa mescolanza stilistica e iconografica disseminata nella sorprendente decorazione del tabernacolo, in una sorta di ‘horror vacui’, che accomuna, nel sincretismo tipico della cultura figurativa di metà ‘500, motivi e decori profani con l’insistita reiterazione del tema eucaristico. La profusione decorativa del manufatto, tuttavia, lascia adito a qualche perplessità permettendo di ipotizzare probabili cambiamenti in corso d’opera oppure il reimpiego di elementi realizzati per lavori diversi. L’esame attento e ravvicinato di questo complesso monumento in miniatura ha consentito, inoltre, di apprezzare minuziose rifiniture, come i microscopici cassettoni, con testine angeliche e sirene, che completano le parti aggettanti dell’architettura, visibili solo a seguito dello smontaggio delle diverse parti in fase di restauro. Se questi minutissimi e preziosi dettagli fanno risaltare la straordinaria perizia di orafo dell’autore ancor più delle comunque notevoli doti di fonditore e di scultore, altrettanto può dirsi della preziosa decorazione incisa, ‘scoperta’ in seguito alla rimozione del tempietto dal basamento21 (Fig. 13). Questo presenta una superficie quadrangolare, dorata solo lungo i bordi, per una larghezza di 5/6 centimetri, cioè solo nelle parti che rimangono in vista, raccordandosi con i tre gradini sui quali si imposta il tempietto. Il piano presenta una elaborata decorazione, incisa con eleganti ramages, che interessa solo uno dei lati, interrompendosi verso il centro della superficie sulla quale si vedono anche delle tracce graffite che delineano una pianta diversa da quella dell’alzato poi effettivamente costruito. Dettagli, questi, che testimoniano di un progetto complesso e, come già accennato, verosimilmente cambiato in corso d’opera.

La complessità della struttura e l’incredibile ricchezza e varietà degli elementi decorativi denotano, peraltro, un impegnativo lavoro che dovette coinvolgere più di un artefice, ancorché sotto la direzione di Bonconte. E’ lui solo, come già ricordato, a incidere nome e data alla base del tabernacolo, apponendo anche quello che si direbbe il proprio stemma per la presenza delle iniziali B e C, mentre la sigla BO-CO torna nei piccoli fregi d’argento, a forma di farfalla, posti tra i festoni nei basamenti angolari del primo ordine. Manca, invece, qualsiasi riferimento ad una eventuale committenza religiosa o civile, il che fa supporre che il tabernacolo sia stato progettato e, forse, offerto dallo stesso artista alla Cattedrale camerte. Cosa sorprendente, tuttavia, per un’opera così impegnativa dal punto di vista formale, ma soprattutto per il suo particolare significato liturgico. Solo dopo il Concilio di Trento (1545-1563), infatti, vengono ribadite precise norme in merito al valore e alla morfologia del tabernacolo eucaristico, nonché alla sua posizione centrale sull’altare22. In realtà, già nel corso della seconda fase del Concilio (1551-1552), si erano tenute discussioni sui sacramenti e, in particolare nella XIII sessione (11 ottobre 1551), si era ribadita la presenza reale di Cristo nell’Eucarestia, la sua istituzione durante l’Ultima Cena e la dottrina della transustanziazione. Da subito venivano quindi confermate le pratiche del culto eucaristico, soprattutto l’adorazione e la festa del Corpus Domini: tali normative dovettero essere immediatamente recepite anche a Camerino se già nel 1554 il Capitolo della Cattedrale accoglieva il monumentale tabernacolo di Bonconte23.

Si è già accennato al fatto che non si conoscono, al momento, documenti riferibili a quest’opera, né si hanno notizie sull’artista, oltre alle poche sopra citate, e non risulta che a Camerino vi fosse una famiglia di nome Bonconti. Sappiamo, tuttavia, che in città l’arte dell’oreficeria era praticata da tempo e le fonti tramandano notizie di orafi attivi già nel corso del XV secolo come Gentiluccio da Camerino “fonditore di campane ed eccellente nel fare ornati a rilievo in metallo”24. Sono invece anonimi gli autori delle oreficerie tuttora conservate nel locale Museo Diocesano, databili tra l’inizio del Quattrocento e la metà del secolo seguente quando è attivo Maestro Tobia, presente a Roma al tempo di Benvenuto Cellini  che lo dice milanese, mentre notizie d’archivio lo definiscono ‘da Camerino’25. E’ interessante questo legame tra la cittadina marchigiana e la Lombardia: è noto, del resto, che, fin dalla prima metà del ‘500, sono attivi nelle Marche fonditori e orafi lombardi quali i Lombardi Solari che contribuiscono alla diffusione di uno stile composito che avrà le sue più eclatanti manifestazioni nelle opere della Basilica di Loreto e avvieranno la locale scuola di bronzisti detta “di Recanati”26. Si ricorda, in particolare, l’interpretazione data dalle maestranze lombarde alla cultura classica, esemplificata dal basamento bronzeo del cosiddetto Idolino di Pesaro (ca 1538), attribuito a Girolamo Lombardi27, riferimento per il revival classicheggiante dei primi decenni del Cinquecento in tutta la regione.

Il legame con la Lombardia non sembra estraneo nemmeno a Bonconte, ancorché lui stesso si definisca ‘da Camerino’. Lo suggerisce la varietà di riferimenti culturali del tabernacolo, sostanzialmente lontano dalla contemporanea produzione orafa marchigiana dove un simile sfarzo ornamentale è riscontrabile in ben pochi oggetti, come il monumentale candelabro bronzeo già a Monteprandone (Firenze, Museo Nazionale del Bargello), sintesi complessa di elementi nordici e toscani28. Se riferimenti al manierismo toscano sono individuabili anche nel tabernacolo camerte, suggeriti dai pilastrini angolari del primo ordine che citano una classicheggiante base del Tribolo29, la stravagante profusione decorativa e la scelta di particolari stilemi, come le articolate e allungate morfologie delle microsculture30 (Fig. 14), nonché la monumentale struttura che sembra derivare dalle fantasiose architetture rinascimentali lombarde31, riconducono alla produzione orafa settentrionale quale si era andata configurando sin dalla seconda metà del Quattrocento. Si ricorda, in particolare, la grande Pace del Duomo di Vigevano32 (Fig. 15), complessa opera probabilmente tardo-quattrocentesca, rielaborata nei primi decenni del Cinquecento, che presenta notevoli affinità stilistiche con il tabernacolo di Bonconte. La Pace, ugualmente impostata su una base quadrangolare, sorretta da sfingi alate e ornata da piccoli busti classici e dalle armi del committente, Francesco II Sforza33, consta di una struttura architettonica classica sulla quale e intorno alla quale si stende una brulicante decorazione affidata a miscrosculture e decori in smalto, di gusto lombardo-veneto. Non vi sono riferimenti sicuri all’autore – Paola Venturelli ha accostato questa e altre opere alla bottega dei veneziani da Sesto34 – e non è mancata una improponibile attribuzione a Benvenuto Cellini da parte di autori locali 35. Forse proprio l’inattendibilità di questa ipotesi ha fatto sì che la critica recente non abbia ripreso una notizia d’archivio, purtroppo non più verificabile per la perdita del documento, relativa ad una descrizione della Pace del 1835 che riportava la presenza delle lettere “B C impresse nella lastra posteriore sotto il Salvatore resuscitato…ma corrose dallo stagno, di cui restevi tuttora l’impronta”36. Le lettere sono scomparse e l’indizio, forse perché accostato alla inattendibile paternità celliniana, è stato accantonato. Ma è forse possibile ipotizzare una diversa interpretazione delle due iniziali, assimilandole, invece, alle lettere B C che compaiono più volte nel tabernacolo di Bonconte. I dettagli stilistici e le caratteristiche tecniche tra la Pace di Vigevano e il ciborio di Camerino, come accennato,  sono notevoli e in qualche caso sorprendenti. Oltre alla simile concezione generale della microarchitettura ornata e scolpita, e al raffinato gioco pittorico affidato alle peculiarità cromatiche dei materiali, sono evidenti anche dettagli molto simili. Si considerino, per esempio, le affinità delle due basi costituite da strutture quadrangolari, con ornati incisi sul piano d’appoggio, ugualmente sostenute da fantastici esseri alati, con un decoro intagliato a giorno – geometrico e d’argento nella Pace, figurato e dorato nel ciborio – applicato su una lamina liscia. Le fantastiche figure antropo-vegetali del fregio del tabernacolo sono, peraltro, proposte anche nella Pace, nella fascia immediatamente sotto la Crocifissione, mentre l’intaglio a giorno compare, nel tabernacolo, sia nella greca terminale del primo ordine, sia nel basamento del soprastante tempietto a pianta centrale, sia nelle eleganti grate che ornano le quattro porticine. E simili sono anche, in entrambi i manufatti, le sottili lesene d’argento percorse da grottesche in lievissimo rilievo Si è già accennato anche alle somiglianze dei tanti personaggi, dal caratteristico modulo allungato e dalle posture faticosamente articolate, a cominciare dagli angeli reggi-cornucopia della Pace riproposti negli angeli agli angoli del ciborio, due armati di spada sguainata e due ora privi di attributi, ma forse in origine forniti anch’essi delle cornucopie di cui parla l’Inventario settecentesco della Cattedrale di Camerino37.

Non sono trascurabili poi le affinità tecniche quali le leggere lamine sbalzate e applicate alla superficie della Pace per formarne i decori o le laminette d’argento che, come minutissime maschere, sono applicate sul volto dei personaggi del tabernacolo. Simile è anche l’ingegnoso metodo di assemblaggio delle diverse e numerosissime componenti di entrambi gli oggetti, prevalentemente costituito da minute linguette trapassate da una bietta. Per quanto riguarda il tabernacolo, in particolare, non è forse da escludere l’assemblaggio includente anche parti o decori realizzati con una tecnica semi-seriale e impiegati a seconda della necessità e non solo per opere a destinazione sacra: questo spiegherebbe anche l’inusuale presenza di erme pagane intorno al cupolino terminale.

Purtroppo l’impossibilità di confronti con altre opere di Bonconte non consente che ipotesi, ma le tangenze del tabernacolo di Camerino con la Pace di Vigevano sono molte, a parte la probabile presenza delle iniziali B C che attesterebbe una iniziale attività in  ambito lombardo-veneto, e la partecipazione a committenze prestigiose: nel caso della Pace, Bonconte potrebbe essere stato l’artefice incaricato di rielaborare un manufatto tardo-quattrocentesco, aggiungendovi la grande base realizzata ex-novo. Forse proprio le vicende politiche e la morte prematura del signore di Milano avrebbero motivato lo spostamento nelle Marche e a Camerino, dove Bonconte sceglie di risiedere attestando la  nuova cittadinanza nella firma che incide intorno al tabernacolo dove riprende forme e motivi già proposti in lavori precedenti. Non sembra, tuttavia, che un’opera tanto grandiosa e innovativa abbia avuto un adeguato apprezzamento, dal momento che Bonconte risulta ancora attivo a Camerino negli anni successivi ma, come sopra ricordato, in qualità di incisore per il frontespizio degli Statuti (1557) e come ricamatore (1558), ulteriore indizio, quest’ultimo, della sua probabile origine e formazione lombarda38.

* Per i cortesi suggerimenti e la gentile collaborazione nel corso di questo lavoro ringrazio: Giulia Anversa, Luciano Arcangeli, Antonella Capitanio, Pier Luigi Falaschi, Lorenzo Morigi, Nicoletta Sanna, Michele Subert.

Referenze fotografiche

Foto nn.1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12,14: Maria Pia Giarrè, Milano.

Foto n.13: Benedetta Montevecchi, Roma.

Foto n.15: per gentile concessione della Direzione del Museo del Tesoro della Cattedrale di Vigevano.

  1. Camerino, Archivio Capitolare, D.XVII,5. Cfr. M.SANTONI, Degli atti e del culto di S.Ansovino, Camerino 1883, nota 112, pp. 51-70 (in part., p.64).; S. CORRADINI, Gli inventari, strumenti per avvicinarci al nostro passato, Doc.I, pp.71-83 (in part., p.77), in Storie da un Archivio: frequentazioni, vicende e ricerche negli archivi camerinesi, Atti della conferenza, Camerino 2006. []
  2. Macerata 1834, II, p.66 (volume presso la Biblioteca di Macerata). []
  3. Come già notato da V.E. ALEANDRI (La Stampa degli Statuti di Camerino e il tipografo Antonio Gioioso, Camerino 1902, pp.30-31) la scritta venne letta male dal Ranaldi ed è riportata, ugualmente errata, dal Santoni, op.cit., p.64. Sulla trascrizione sbagliata presente nelle Aggiunte di Amico Ricci di cui esiste copia anche nella Biblioteca Comunale di Camerino (Carte Feliciangeli, D 32 a), torna anche G. BOCCANERA, L’arte della stampa a Camerino, estr. da “Studi della Biblioteca comunale a sui Tipografi di Macerata”, Macerata 1966, pp.237-247, nota 11. []
  4. ALEANDRI, op.cit., p.30, nota 1. []
  5. Museo Poldi Pezzoli,Argenti italiani dal XVI al XVIII secolo, catalogo, Milano 1959, p.15, tav.VIII. []
  6. “DA CAMERINO…”  è un errore per “DE CAMERINO…”. []
  7. V.E. ALEANDRI, voce Argenti, Conte, in: U.THIEME -F.BECKER, Allgemeines Kunstler Lexikon…, vol.II.,Leipzig 1908 , p.92. []
  8. Parte terza. Marche-Romagna, Roma 1969, p.51. []
  9. L’opera appartiene agli antiquari Alberto e Michele Subert che l’hanno presentata alla III edizione di “Collezioni d’arte-Antica, Moderna e Antiquariato”, Milano, Palazzo della Permanente, 5-9 maggio 2010. []
  10. G.BOCCANERA, L’arte della stampa a Camerino, Macerata 1966, pp. 240-241, nota 11. []
  11. ALEANDRI, op.cit, pp.30-31. []
  12. Non risulta un casato di questo nome a Camerino, nel corso del XVI secolo; esiste invece, il cognome Argenti (forse derivato dal citato patronimico), appartenente a Venanzio Argenti, canonico della Cattedrale nei primi decenni del XVII secolo, autore dell’opera Raccolto Historico Della Origine, Antichità e Nobiltà di Camerino, Camerino, Biblioteca Valentiniana, ms.n.13. []
  13. Si cita, per esempio, la copia custodita presso la Biblioteca Valentiniana di Camerino dove è anche conservato un esemplare degli Statuti stampato interamente su pergamena, con il frontespizio miniato dal pittore camerinese Ottavio Puccisanti; cfr. BOCCANERA, op.cit., p. 241 e P.L. FALASCHI, Biblioteca comunale Valentiniana di Camerino, in Collectio Thesauri. Dalle Marche tesori nascosti di un collezionismo illustre, a cura di M.Mei, vol. I, tomo I, Firenze 2004, pp.619-621. []
  14. Lo stemma non compare nelle raccolte araldiche consultate presso la Biblioteca Valentiniana di Camerino. []
  15. Le iscrizioni (in origine 24, ma una mancante ed una rifatta) sono incise in lettere capitali su laminette d’argento; ogni scritta, lascia intravedere, sotto le cornici, altre parole frammentarie, il che fa supporre che le incisioni siano state realizzate su lamine di maggiori dimensioni e poi ritagliate, frazionando alcune frasi, andate perse. I testi sono tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento e dalla Patristica: “Deus tuus ignis consumens est” (Deuteronomio, 4, 24-27); “Offertis super altare meum panem pollutum” (Malachia, cap.I);”Qui edunt me adhuc exur” e “Qui bibunt me adhuc scitient” (Ecclesiasticus, ora Siracide, XXIV); “Gustate et videte quotiamo suavis est …” (Salmi, 33,9); “Immola Deo sacrifitium laudis” (Salmi, 49, 14-23); “Escam dedit timentibus se” (Salmi, 110, 5-10); “Memoriam fecit mirabilium suorum” (Salmo 110); “Verumtamen ecce manus tradentis me mecum est in mensa” (Luca, 22, 21-31); “Qui manducat me vivit propter me” (Giovanni, VI, 59); “Probet autem seipsum homo” (1 Paolo ai Corinzi 11, 28-34); “Omnem eundem cibum spiritalem manducaverunt” (S.Agostino, De utilitate credendi ad Honoratum liber unus); “O sacrum convivium in quo Christus sumitur” (S.Tommaso d’Aquino, testo incluso nella liturgia della festa del Corpus Domini); “Pastor bonus animam suam dat pro ovibus suis” (Giovanni, 10,10-15); “Qui manducat me et ipse vivit propter me” (Giovanni, 6,58); “Tu es sacerdos in Aeternum secundum ordinem Melchisedech” (Salmi, 109,4); “Dispono vobis, sicut disposti mihi Pater meus, regnum” (Luca, 22,29-30); “Venite, commedie panem meum”(Proverbi,9,5); “Parasti in conspectu meo mensam” (Salmi, 23,5); “Empti estis pretio magno” (Paolo I, Corinzi, 6,20); “Bibebant autem de spiritali, conseguente eos, petra” (Paolo II, Corinzi,10-4); “Omne sacrificium igne consumetur” (Levitico, 6,23-30); “Bibit et vinum quod mis vobis” (Proverbi, 9,5). Tutte le scritte, come quelle presenti in altre parti del tabernacolo, sono imprecise: se ne dà qui la trascrizione letterale. []
  16. Caro mea vere est cibus Ioan V” (Giovanni, VI,55); “Oblatus est quia ipse volvit Isai IIII” (Isaia, 53,7); “Ego sum panis vivus qvi de coelus descendi Ioan VI” (Giovanni, 6,51); “Sanguis meus vere est potus Ioan VI” (Giovanni, VI,56-57). []
  17. Obtulit semetipsum immaculatum Deo” (Paolo, Lettera agli Ebrei, 9,14); “Qui manducat meam carnem in me manent, et ego in illo” (Giovanni, VI,56-57); “Cristus unam pro peccatis offerens ostiam” (Ebrei, 10,12); “Qui manducat hunc panem vivet in aeternum” (Giovanni, VI,56-59). []
  18. Una parte del decoro, dal disegno più semplificato, è verosimilmente un antico restauro; in vari punti del tabernacolo, peraltro, si notano piccole mancanze e rifacimenti. []
  19. Il riferimento è alla figura mitologica di Priapo, la divinità apotropaica venerata come principio di fecondità e fertilità la cui immagine era spesso posta a protezione di orti e giardini. []
  20. E’ l’ipotesi formulata da Lorenzo Morigi che ha effettuato l’intervento di restauro tra maggio e luglio 2010: la statuetta terminale sarebbe di altra fattura, rispetto al tabernacolo, e databile al XIX secolo. []
  21. La decorazione è tipo logicamente e tecnicamente affine a quella realizzata nella copertura di epistolario, opera di oreficeria milanese di primo ‘500, conservata presso il Museo del Tesoro del Duomo di Vigevano; cfr.N.Sanna, Coperta di epistolario, in Splendori di corte. Gli Sforza, il Rinascimento, la città, catalogo della mostra (Vigevano, ottobre 2009-gennaio 2010), Milano 2009, pp.170-171. []
  22. Già nel corso del Quattrocento i papi, Niccolò V e Pio II in particolare, avevano mostrato una particolare devozione al Santissimo Sacramento, anche per contrastare l’espansione dell’eresia hussita (L.von Pastor, Storia dei Papi dalla fine del Medioevo, Roma 1944-1961, III, p.77). Ne era derivata una nuova importanza data alla presenza e al decoro del tabernacolo per la conservazione delle specie eucaristiche: si vedano, in proposito, i maestosi tempietti marmorei a pianta centrale creati in Toscana durante la seconda metà del ‘400. Nella prima metà del Cinquecento l’uso del tabernacolo eucaristico fisso al centro dell’altare sarebbe stato ribadito dal vescovo di Verona Matteo Giberti (1524-1543), normativa confermata poi al Concilio di Trento. []
  23. Sulla precoce adesione dell’ambiente ecclesiastico marchigiano alle normative conciliari potrebbe avere influito il fatto che nel 1546 Angelo Massarelli, originario di San Severino, era stato nominato segretario del Concilio di Trento del quale avrebbe steso gli Atti, pubblicati nel 1564. []
  24. La notizia compare nel periodico “Ricoglitore italiano e straniero”, II, II, 1835, p.369. []
  25. M.SANTONI, Maestro Tobia da Camerino orafo ed emulo di Benvenuto Cellini (1530-50), Camerino 1888. []
  26. Sulle vicende della famiglia Lombardi, attiva dapprima a Venezia, quindi a Ferrara e poi nelle Marche, cfr. M.Giannatiempo Lopez, I bronzi lauretani in età sistina, Cinisello Balsamo (MI) 1996, pp.19-29. []
  27. C.FRULLI, Girolamo Lombardo (attr.), La base dell’Idolino, in Urbino e le Marche prima e dopo Raffaello, catalogo della mostra, a cura di M.G.Ciardi Duprè Dal Poggetto e P.Dal Poggetto, Firenze 1983, pp.406-408. []
  28. A.CAPITANIO, Oreficerie rinascimentali nel gusto del collezionismo ottocentesco: due testimonianze di una stessa bottega nel Museo Nazionale del Bargello di Firenze e nel Victoria and Albert Museum di Londra, in Ori e Tesori d’Europa, Atti del Convegno di Studio (Udine 1991), Udine 1992, pp.263-268. []
  29. Sull’opera, oggi al Bargello, cfr. A. VENTURI, Storia dell’arte italiana, X, La scultura del Cinquecento, I, Milano 1935, p.212, fig.157. []
  30. Si vedano, per un confronto, le deformazioni morfologiche dei fratelli Da Gonzate, scultori e orafi, autori della croce d’argento della Cattedrale di Busseto  del 1524 (cfr. A. VENTURI, op. cit.., pp.608-610) oppure le espressive statuette della bottega dei fratelli Mantegazza (cfr.P. VENTURELLI, Oreficeria e arti preziose da Ludovico Sforza a Francesco II Sforza, in M.T.FLORIO-V.TERRAROLI(a cura di), Lombardia rinascimentale. Arte e architettura, Milano 2003, pp.221-227. []
  31. Ci si riferisce, in particolare, alle complesse e ornatissime facciate di monumenti quali la Cappella Colleoni a Bregamo o la Certosa di Pavia, ma anche alle fantasiose elaborazioni grafiche di artisti come il Bambaia (1483-1548), del quale si ricorda il disegno di camino, oggi all’Albertina di Vienna, pubblicato in A. VENTURI, op.cit., p.672, fig.530. []
  32. Sulla Pace, segnalatami da Michele Subert, che ringrazio, cfr. F. MALAGUZZI VALERI, La corte di Ludovico il Moro. Gli artisti lombardi, III, Milano 1917, p.347; Il Museo del Tesoro del Duomo di Vigevano: le argenterie, a cura di N.Sanna Nai e E.Cappellini, Vigevano 1997; R. SACCHI, Il Disegno incompiuto. La politica artistica di Francesco II Sforza e di Massimiliano Stampa, 2 voll., collana “Il Filarete. Facoltà di Lettere e Filosofia Università di Milano””, 220, Milano 2005, vol I, pp.173-187; R. SACCHI, Francesco II Sforza e il Duomo di Vigevano, in Splendori di corte…, cit., pp.58-65 (in part. pp.63-64); N. SANNA, Pace, ibidem, pp.182-183. []
  33. Sulle vicende della committenza, cfr. R. SACCHI, Il Disegno incompiuto…, cit., pp.173-187. []
  34. P. VENTURELLI, Leonardo da Vinci e le arti preziose, Venezia 2002, pp.48-49; Ead., Esmaillée à la façon de Milan. Smalti nel Ducato di Milano da Bernabò Visconti a Ludovico il Moro, Venezia 2008, p.183, nota 52. []
  35. SANNA NAI-CAPPELLINI, in Il Museo…, cit., p.58. []
  36. SANNA NAI-CAPPELLINI, in Il Museo…, cit., p.68, nota 8. []
  37. Cfr. nota 1. []
  38. Sulla tradizione dei ricamatori milanesi, attivi tra la fine del Quattrocento e il secolo successivo, cfr. M.T.Binaghi Olivari, I ricamatori milanesi tra Rinascimento e Barocco, in I tessili nell’età di Carlo Bascapè vescovo di Novara (1593-1615), catalogo della mostra a cura di P.Venturoli, Novara 1994, pp.97-123; M.Rizzini, I paramenti di Francesco II per la Cattedrale di Vigevano, in Splendori di corte…, cit., pp. 66-73 . []