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“Cammini” mariani per i tesori di Sicilia – Parte II
DOI: 10.7431/RIV02012010
Continuando a ripercorrere i “cammini” mariani in Sicilia indicati da Ottavio Caietano, alla ricerca di tesori raccolti nei secoli per devozione, si giunge all’immagine di Santa Maria del Soccorso in S. Agostino a Palermo1. Il padre gesuita del venerato simulacro narra che nel 1306 «un Padre Teologo, e eccellente predicatore chiamato Nicolò Bruno Priore del Convento di Sant’Agostino in Palermo, essendo tormentato da gravissimi dolori spesse volte si raccomandava ad una Immagine della Santissima Vergine… e la pregava che in quel disperato male la soccorresse. Una notte si compiacque la Madre della Pietà comparire in sogno all’afflitto Priore e rendendogli la sanità, così gl’impose… voglio che insegni li fedeli che invochino me per l’innanzi, in questa medesima Immagine, sotto il nome del Soccorso»2. L’opera, una tela su tavola, viene tradizionalmente riferita a pittore siculo-bizantino del XIII secolo (Fig. 1)3. La Madonna del Soccorso era la patrona degli Agostiniani e il Mongitore narra che «in ossequio della Madonna del Soccorso in questa cappella fu prima del 1484 fondata una Confraternita, che dal generale dell’Ordine… fu aggregata all’Arciconfraternita della Madonna della Consolazione di Bologna»4. La Confraternita si riuniva in una cappella sul lato sinistro della Chiesa di Sant’Agostino prima della famiglia Maida, poi dei Bellavisi, quindi passata ai Landolina. Il Caietano ricorda tra i miracoli della Vergine quello con cui scacciò il Diavolo con la mazza liberando un bambino, «il che fu cagione poi che i devoti dipingessero nella detta Imagine dalla parte sinistra il Demonio e dalla destra il fanciullo appresso le falde del vestimento della Gloriosa Santa Maria del Soccorso»5. Dovrebbe trattarsi per tradizione di un affresco di artista siciliano del XIV secolo, che fu posto accanto all’altra immagine della venerata Madonna, e restaurato nel 1992, risultando tuttavia privo dei citati attributi iconografici, compresa la mazza, tanto da far sospettare che non possa trattarsi dell’originaria Madonna della Mazza6, così come viene tramandata nell’immagine del Caietano (Fig. 2). Questi così significativamente commenta l’episodio: «Temere non può chi sotto la difesa della Torre di David si ricovera»7, facendo riferimento ad uno dei diversi attributi mariani tratti dal Cantico dei Cantici (4, 4). Ricorda ancora il miracolo della cintura, avvenuto nel 1504, con cui la Madonna del Soccorso cinse una giovane inferma guarendola insieme ad un padre agostiniano malato che la sciolse. Così conclude la narrazione del miracolo: «O meravigliosi incontri di varie vie, ma ad accertato termine indirizzati dalla divina previdenza. Renderono tutti alla Regina del cielo quelle grazie, quali seppero maggiori, si cantò il Te Deum laudamus, si convocarono i fedeli a suono di campane, e la cintola si conservò, e pur hoggidì si conserva nel detto convento di S. Agostino»8. Il Mongitore nel suo Palermo divoto di Maria Vergine annota come i Padri Agostiniani, non volendo che la cintura fosse custodita nella Cattedrale «per non restarne privi, l’occultarono, rimanendo per molto tempo come sepolta. Ma uno di loro cui doleva non poco che quella rimanesse nascosta senza il dovuto onore, celatamente la estrasse e seco la trasferì a Venezia, dove la fe’ incastrare in una nobilisima Croce di cristallo, e poscia la ritornò al suo Convento di Palermo. Dubitando però alcuni che il Religioso non fosse stato fedele in tal maneggio, volle la Santissima Vergine dissipare ogni sospetto con operare per mezzo di essa evidentissimi miracoli, giovando il suo salutifero tocco ad ogni sorta di infermi»9. La croce reliquiaria di cristallo di rocca è ancora oggi custodita dai Padri del Convento di Sant’Agostino e reca al centro due smalti dipinti raffiguranti uno la Madonna della mazza con il Bambino attaccato alla sua veste, la madre che prega e il diavolo che fugge e reca la data 1606 e l’altro proprio il miracolo della cintura (Fig. 3)10. Uno scritto datato 1711, conservato pure nella croce e ritrovato dal Padre Biagio Ministeri agostiniano nel 1992, attesta, facendo riferimento a manoscritti del 1504, il miracolo del 1307 e che l’argento della cintura venne trasformato in croce nel 160611. La croce di cristallo di rocca nella montatura d’argento presenta il marchio degli orafi e argentieri della città di Palermo con le ali rivolte verso l’alto e le iniziali del console seguite dalle due ultime cifre della data MGC50, Michele Gulotta, 1750, e quelle dell’argentiere palermitano che la realizzò F.L.P., Francesco Lo Piccolo12. L’opera risulta, dunque, montata in argento da maestri palermitani ad una data successiva, 1750, anche se la croce poteva essere anteriore, del 1606, d’importazione veneta e non di produzione siciliana13. Il cristallo di rocca veniva tuttavia lavorato anche in Sicilia come testimoniano notizie documentarie relative all’orafo Pietro Rossitto14 (testamento del 1573) e all’argentiere Michele Ricca15. È noto, peraltro, che il cristallo di rocca venisse lavorato in diversi centri dell’area mediterranea e soprattutto in Lombardia, non a caso è documentata la presenza e l’attività di orafi milanesi in Sicilia, come Marzio Cazzola, abile proprio nella lavorazione del cristallo di rocca e presente nel capoluogo dell’isola nella prima metà del XVII secolo, al quale sono state attribuite, sulla base di riferimenti documentari le due croci reliquiarie della chiesa del Gesù di Casa Professa, quella di San Francesco Saverio (Fig. 4) in rame dorato, cristallo di rocca e corallo e l’altra della Santa Croce (Fig. 5) in rame dorato, smalto e cristallo di rocca donate da Caterina Papè-Vignola e databili negli anni 1619-1624, alla cui realizzazione collaborarono l’argentiere e il corallaro trapanesi Andrea De Oliveri e Thomas Pompeiano16.
Il Caietano ricorda poi che a Palermo «vicino alla Chiesa di Santa Maria della Catena ve n’è un’altra dedicata alla medesima, sotto il nome di Porto Salvo, così detta, perché ella liberò da gravissima tempesta l’armata di Sicilia, e salva la ricondusse al porto» nel 152417. Il Mongitore ricorda il miracolo dopo il quale venne fatta dipingere l’immagine della Madonna con il Bambino, entrambi con il globo terrestre in mano18, così come la si vede nell’incisione di Giovanni Federico Greuter del volume del Caietano (Fig. 6). L’opera su ardesia del XVI secolo è ancora nella Chiesa entro una cornice dorata e protetta da vetro19.
A proposito di Santa Maria della Catena alla Marina di Palermo, già detta S. Maria del Porto, il Caietano scrive che «per le catene sciolte dalla Vergine ai rei mutò il suo nome antico nel nuovo», rifacendosi al miracolo della liberazione dalle catene di tre condannati all’impiccagione che a Lei si erano rivolti, come recita l’iscrizione riportata dal Caietano sotto alla sua immagine illustrata dall’incisione di Greuter (Fig. 7)20. L’affresco del XIV secolo è ancora oggi nella nuova chiesa21.
Il Caietano ricorda poi Nostra Signora della Grazia in Sant’Agata la Guilla, poiché per tradizione quivi era una Villa di Sant’Agata, dove «un huomo malvagio… acceso di rabbia infernale, percosse con pugnale l’Imagine, e con sacrilega mano la ferì nel sacro volto del Figliuolo e della Madre, i quali subito, ricevuto il colpo, si mutarono in viso, e di coloriti a vermiglio, che erano, divennero pallidi». Lo scellerato venne impiccato ad una pietra del muro di fronte la Chiesa che sporse improvvisamente «loquacissimo testimonio, che predica lo sdegno del Signore Dio contro a quelli che osano oltraggiarlo nella Madre»22. L’affresco della Madonna della Grazia, del XV secolo, è stato staccato, riportato su tela e collocato in una cappella dedicata alla Vergine, dove la Madonna è raffigurata nell’atto di allattare il Bambino (Fig. 8) similmente all’incisione di Greuter (Fig. 9)23.
Il Caietano passa poi a ricordare la Santa Maria de’ Miracoli in Siracusa: «dove nella città di Siracusa è la strada nominata da’ paesani la Cordaria, fra la piazza delli Spagnoli e quella della Loggia fu eretto un Tempio alla Nostra Signora sotto il nome de’ Miracoli in memoria delle Grazie che ella fece al Popolo Siracusano nel tempo di quella crudele pestilenza, di cui fu oppresa la città nel 1500. Imperciochè nella predetta strada nel muro di fuori d’un granaio era dipinta una Imagine della Santissima Vergine, alla quale si condusse un pover’huomo gravemente preso dal veleno del male, e con acceso affetto se le raccomandò, e immantinente si riconobbe sano», così avvenne per molti altri tanto da venir chiamata Salus Infirmorum 24. Così nella nuova «Chiesa fu portata una Imagine della Vergine che abbraccia in seno il caro pegno, e prese il nome di S. Maria delli Miracoli, la cui festa si celebra con gran frequenza di fedeli alli 18 di Maggio, rimanendo quella, che fece il primo miracolo nella parete di fuori sotto in picciol tetto honorevolmente adorno»25. Oggi non vi è più traccia dell’affresco, di cui rimane l’immagine nel volume del Caietano (Fig. 10) entro l’edicola sulla facciata della Chiesa di Santa Maria dei Miracoli è una Madonna con il Bambino in terracotta invetriata, mentre sull’altare maggiore, entro una nicchia mosaicata, è un mezzo busto in gesso raffigurante la Madonna con il Bambino26.
Il Caietano passa poi in provincia di Messina a narrare le vicende legate alla devozione della Madonna di Loreto di Raccuia (1500), la cui Chiesa venne costruita in seguito all’apparizione di Giovannello Giambruno, governatore di quel paese, dopo la morte, ad un amico cui indicò il luogo per essa prescelto, dove era sepolta una croce, nonché quello dove erano suoi 100 scudi. Nella Chiesa «posero un quadro di pittura che rappresenta la Madre di Dio che tiene il Fanciullo in braccia, e che siede sopra la santa Casa di Loreto portata da Angioli nell’aria»27. L’opera del XVI secolo è andata perduta, rimane a significativa testimonianza l’incisione verosimilmente di Giuseppe Lentini del volume del Caietano (Fig. 11)28. L’iconografia della Madonna di Loreto si rifà alla leggenda nata in Italia nel XV secolo, che vuole che la casa di Nazaret di Maria e Giuseppe venisse portata in volo dagli angeli nel 1291, quando i Saraceni cacciarono dalla Terra Santa i Cristiani a Loreto nelle Marche. Furono proprio i Gesuiti dopo la Controriforma a promuovere la devozione e i pellegrinaggi al Santuario della Madonna di Loreto.
Ricorda poi la Madonna della Dachala di Catania (1500) (Fig. 12): «non molto lontana da un’antica porta della città… è situata la Chiesa della Santissima Vergine, sotto il nome della Madonna della Dachala, così detta, a mio credere, dalla voce Dhachala, che è parola arabica, e vuol dire entrata, come se si denotasse, che quella Chiesa è vicino alla porta della Città, o che la Santissima Vergine è la porta sicura, per la quale speriamo entrare nel Cielo»29. Il Caietano esprime così ancora una volta il simbolismo legato alla devozione mariana e nota che se «questa parola Dachala appresso i Catanesi significa refugio propriamente degli animali; cioè luogo nelle campagne, dove nelle tempeste quelli si ricoverano, significar si volesse che la Beatissima Vergine simile al suo Santissimo Figlio, del quale dice David homines, et iumenta salvabis, Domine, ella pure salva ogni sorte di gente tanto la giusta quanto la peccatrice, che s’era fatta similis iumentis insipientibus», proponendo così i più genuini sentimenti della fede cristiana30. Narra poi come la Madonna fece miracolosamente rientrare dalla schiavitù dei turchi il figlio di una donna di nome Benigna che a lei si rivolgeva. Questi giunse con il boccale e la tazza in mano e in abiti turchi poiché stava servendo il Pascià di Costantinopoli. Secondo Don Giovanni Lanzafame la tavola bizantineggiante, oggetto di venerazione dal XV secolo, si trova oggi sull’altare maggiore della Chiesa di San Camillo dei Crociferi, dove fu portata dopo il terremoto del 1693, mentre una copia seicentesca si trova nella sacrestia della Chiesa della Madonna di Lourdes di Catania31.
Il Caietano di Nostra Donna delle Tagliate di Salemi scrive: «Nell’anno 1500, fu fabbricata alla Santissima Vergine sotto il titolo della Nunziata vicino alla Città di Salemi una Chiesa, dove nella parete dipinto si riverisce cotal mistero, cioè la S. Vergine, l’Angelo, che la saluta, l’Eterno Padre e lo Spirito Santo, e questi due sotto l’usati simboli di Vecchio e di Colomba»32. Narra poi il miracolo occorso nel 1564 ad una puerpera che non aveva latte per allattare il suo neonato33. Rocco Pirro nella sua Sicilia Sacra del 1733, ritiene che questo non fosse il primo miracolo fatto dalla Madonna detta delle latomie, per le vicine cave, o della Pirrera34. La chiesa e l’affresco non sono più esistenti già dalla seconda metà del XVIII secolo35.
Rimane a ricordo di questa antica devozione, l’incisione di Giovanni Federico Greuter del prezioso volume del Caietano (Fig. 13).
A proposito della Santissima Vergine Imperlata di Palermo il Caietano scrive: «Nel Monasterio di sacre vergini chiamato insino a nostra età il Cancellere, percioché fu eretto da Matteo Vicecancelliere del Re Guglielmo, v’ha una Imagine della gloriosa Signora Nostra, che tiene in grembo il Santo Bambino dipinta a pittura greca, datagli dal medesimo Matteo. Adorna il capo della Madre e del Figliolo corona d’argento ricca di pietre pretiose, e di perle mai simili non vedute. L’argento arriva, quasi a cinque libre di peso, le perle al numero di mille, e cinquecento circa. Et in quella della Madre si vedono di più, sette pietre di color sardio, e fra le altre otto perle di maravigliosa grandezza, come altresì in quella del Fanciullo vi sono sedici gioie parimente di colore sardio, e sedici eccellentissime perle, che però con nome proprio del paese vien chiama questa effigie la Madonna Imperlata» (Fig. 14)36. Caietano narra poi del sacrilego furto di una perla, avvenuto nel 1512, sotto il viceregno di Ugone Moncada e il Regno di Ferdinando, quando l’immagine prese il nome di «S. Maria dell’Audienza per avere udito ed esaudito con tanta prontezza le preghiere della predetta peccatrice»37. L’icona della Madonna della perla, tavola del 1171 circa, si trova oggi, dopo il restauro, al Museo Diocesano di Palermo (Fig. 15)38. Vi è giunta a causa dei bombardamenti dell’ultima guerra che hanno distrutto la Chiesa del Monastero di Santa Maria de Latinis, del Cancelliere, ma ormai priva di tutte le sue preziose gemme e perle ricordate dalle fonti e verosimilmente anche di un ricco tesoro che si dovette raccogliere in secoli di devozione39. La tavola è stata identificata da Maria Andaloro con l’iconam magnam citata in un documento del 1171 «nel quale l’abbadessa Marotta riferisce come Matteo Ajello, vicecancelliere di re Guglielmo, abbia fondato il monastero femminile di Santa Maria de Latinis in Palermo, sottoponendolo all’ordine di San Benedetto, e come l’abbia dotato di un ricco appananggio di beni e di preziosi arredi liturgici»40. L’Andaloro nota affinità con la Theotokos del mosaico absidale del Duomo di Monreale e con la miniatura della Vergine con il Bambino del Sacramentario ms. 52 della Biblioteca Nazionale di Madrid, dovuto allo scrittorio messinese del tempo di Guglielmo II, mentre era Arcivescovo di Messina Riccardo Palmer41. La Madonna della perla, la Theotokos, è avvolta nel maphorion carmino scuro, che ne simboleggia l’umanità. Oggi rimane solo una delle tre stelle che simboleggiano la maternità virginale di Maria. L’Odigitria, mostra la via, indicando il Bambino che porta alla vita una cintura rossa filettata d’oro, simbolo della sua divinità, e tiene nella mano sinistra il rotolo del Vangelo e con la destra benedice. È la Madonna dunque ad invitare il fedele ad ascoltare il Logos di Gesù.
Il Caietano passa poi a narrare il ritrovamento della statuina di marmo bianco di Santa Maria della cava di Marsala (Fig. 16) emersa, dopo lunghi scavi nella roccia, entro un pozzo su indicazione della Vergine stessa al predicatore agostiniano Leonardo Xavino42. Ai Padri Agostiniani venne poi affidata la chiesa costruita dopo il ritrovamento dell’immagine. Il bombardamento del 1943 distrusse la chiesa e danneggiò la statuina, che oggi reca il capo della Vergine malamente incollato, come pure la sua mano che offre un piccolo pane al Bambino dal volto rifatto. L’opera è gelosamente custodita in una teca d’oro, mentre nella Chiesa sotterranea viene esposta una riproduzione fotografica dell’immagine43.
Il Caietano a proposito di Santa Maria La Nova di Palermo (1520) narra che prima della chiesa «v’era un albergo per peregrini» e una sera uno di loro per scaldarsi cercò di tagliare una tavola che stava su un pozzo, ma ciò gli fu impossibile «laonde nettata dal fango la tavola s’accorsero, che vi era dipinta l’immagine di Nostra Signora»44. Venne avvertito l’Arcivescovo e portata l’immagine in grande processione. La Chiesa dedicata a quella Madonna, prese il nome di Santa Maria La Nuova, quando un nunzio diede al Viceré Pignatelli una buona notizia sui movimenti dell’«Imperadore de’ Saraceni, nemici nostri capitalissimi» che «movea dall’Africa molta gente contro l’armata navale e terrestre esercito Christiano»45. L’opera raffigurante, secondo la descrizione del Caietano, «Nostra Signora, che tiene sedendo sul braccio destro il pargoletto Giesù, e che viene coronata da due leggiadri Angioletti» (Fig. 17)46, dovette andare perduta prima del 1770, quando fu probabilmente sostituita dalla tela, che recava questa data, opera di Antonio Sortine, raffigurante Santa Maria la Nuova con il Bambino fra Angeli, due dei quali recavano in mano una tavoletta, in basso era il viceré Pignatelli che riceve dal messaggero la buona nuova. Anche quest’opera è andata perduta, perché rubata in anni recenti (1987), ne rimane solo la documentazione fotografica47.
Il Caietano scrive poi a proposito di Santa Maria de Miracoli di Palermo (1543) che durante la festa di Santa Cristina «diede principio a grandi, e molti miracoli una Imagine della Beatissima Vergine, che in un muro sul piano della marina si trovava dipinta»48. Per la «divozione grandissima a questa sacra Imagine, la quale in processo di tempo illuminò ciechi, sanò stroppiati di piedi, e delle mani, diede la favella a muti, liberò diversi da infermità incurabili, e guidò altresì i naviganti, che ne’ pericoli delle tempeste se le raccomandavano di lontano, a sicuro porto», si costruì la Chiesa della “Madonna delli Miracoli” e «gittò la prima pietra del tempio Giovanni di Vega allora Viceré di questo Regno»49. L’affresco, raffigurante l’Incoronazione della Vergine con il Bambino, trasportato all’interno della Chiesa, che è riprodotto nel volume del Caietano da un’incisione di Giovanni Federico Greuter (Fig. 18), era andato perduto già al tempo del Mongitore che ricorda al suo posto una tavola50. Questa dovette essere nel XIX secolo sostituita da una tela raffigurante la Madonna dei Miracoli51.
II Caietano passa poi a ricordare la Santa Maria del Giardino nella terra di S. Angelo (1544) che fermò i Turchi di Ariadeno Barbarossa che, dopo aver conquistato l’isola di Lipari, si diresse verso la Sicilia «alla terra nominata di S. Angelo»52. «Era non molto lungi da quella un tempio sotto nome di S. Maria del Giardino, a cui fattisi vicini gl’inimici ecco che dall’Imagine di lei uscì un grandissimo lampo pieno di luce, che con forza divina sì fattamente abbagliò gli occhi di quelli, che tutti divenuti oltremodo timidi furono sforzati a tirarsi indietro»53. «Dopo indi a qualche tempo, percioché un vicino torrente danneggiava i luoghi circostanti della predetta Chiesa, il devoto popolo della terra di S. Angelo fabricò un’altra Chiesa di là dall’altra riva del fiume: ma rimase nel sito antico l’Imagine miracolosa, peroché essendo a fresco dipinta nel muro, non si potè per sua grandezza senza gran pericolo di sminuzzarla indi altrove trasportare»54. L’immagine venerata è una scultura marmorea della Madonna con il Bambino del XVI secolo, ed è l’unica ricordata dalle altre fonti a partire dal Pirri55. Oggi non è alcuna memoria di una Chiesa più antica di quella attualmente esistente. La stessa incisione del volume del Caietano parrebbe riprodurre una statua piuttosto che un affresco (Fig. 19)56.
Il Caietano passa poi a narrare della Nostra Signora d’Alcamo, come venne miracolosamente ritrovata sotto una piccola “cuba” entro un bosco, «dipinta nel medesimo muro della volta», dopo che Essa stessa aveva avvertito della sua presenza delle donne che lavavano i panni nel torrente sottostante colpite con dei sassi che non facevano tuttavia male57. «Con licenza del Vescovo fu detto luogo intorno spianato, e fabricatovi una bella Chiesa sotto titolo della Madonna de’ Miracoli e fonte di Misericordia»58. L’affresco rinvenuto quindi nel 1547 è stato tuttavia ridipinto dopo il 1890, a causa di un incendio che l’aveva danneggiato, dal noto restauratore del periodo Luigi Pizzillo (Fig. 20), che operava secondo i dettami del restauro di ripristino in voga all’epoca, rifacendo, più che restaurando l’opera magari con l’intenzione di abbellirla59. Questa in anni recenti ha poi subito un ulteriore restauro, che ha cambiato ulteriormente l’aspetto dell’immagine anche rispetto a quella tramandata dal Pizzillo, senza peraltro recuperare niente dell’originale, ma ridipingendola totalmente ancora una volta con un intervento non solo di restauro antistorico e antiscientifico, ma anche anacronistico (Fig. 21)60. Più fedele all’originale si può dunque considerare l’incisione del Greuter nel volume del Caietano (Fig. 22). Nella sacrestia del Santuario si conserva il disegno monocromo su tela del pittore alcamese Sebastiano Bagolino, raffigurante il ritrovamento dell’affresco della Madonna dei Miracoli, restaurato nel 1947 (Fig. 23)61. Il tesoro raccolto attorno a quell’immagine mariana è stato trasferito nella Chiesa Madre di Alcamo ed è stato in parte esposto nel Museo parrocchiale62. Si tratta di monili donati come ex voto,opere di orafi siciliani della seconda metà del XVIII e del XIX secolo. Non vi è traccia dei gioielli più antichi.
Il Caietano tratta poi della Nostra Donna della Consolatione di Termini (1553) (Fig. 24): «Dimorava nella città di Termini nel luogo detto volgarmente le Botteghelle Cosmo d’Agra speziale d’officio, il quale per particolare devotione fece dipingere nel parete di fuori di sua bottega l’Imagine della Santissima Vergine, quasi che a lei raccomandar volesse le sue spetiarie, e medicine accendendole nei dì di festa, e in ciascun giorno di Sabato la lampada innanzi»63. Così una donna, a cui era nato un bambino che pareva non avesse ossa nelle gambe e che non poteva dunque stare in piedi, lo curava ungendolo con l’olio di quella lampada piuttosto che con le medicine. All’età di dodici anni il ragazzo fu miracolosamente guarito e l’immagine, nel 1591, staccata dal muro, fu portata in una Chiesa appositamente costruita e dedicata a «Nostra donna della Consolatione»64. L’affresco del XVI secolo è oggetto di devozione ancora nell’altare maggiore della sua Chiesa (Fig. 25)65.
II Caietano passa poi a narrare della Santa Maria della Grazia di Modica (1615) (Fig. 26): «Evvi un Monte lungo la città di Modica ove una mattina… di Maggio si trovò l’Imagine… della Gloriosa Madre di Dio, ivi portata, come corre fama, a comandamento della medesima, da qualche servo di Dio»66. Già su quella montagna erano stati notati accadimenti prodigiosi e tutti: vi accorsero «affine di venerare la nuova Imagine inviata loro, come piemente stimiamo, dal cielo» che, quando venne ritrovata, operò il primo miracolo ad una donna ridando la vita ad una sua bambina morta da tre ore cadendo per le scale67. Un altro miracolo “maggiore” fece la venerabile immagine salvando diverse persone travolte da un crollo di sassi accorse sul monte mentre era in preparazione il luogo per la costruzione della Chiesa68. L’immagine dipinta su ardesia è ancora oggi oggetto di venerazione sull’altare maggiore del Santuario della Madonna delle Grazie69.
Della Madonna della Nuntiata di Sortino (1558) (Fig. 27) il Caietano scrive: «Vicino al torrente nominato de’ giardini, presso la terra di Sortino, v’era una Chiesa in cui si serbava un tempo l’Imagine della Gloriosa Vergine Nuntiata dipinta in quadro sopra una tavola. E peroché, per l’antichità notabilmente s’andava discolorando, i Ministri della Chiesa ne fecero providamente dipingere una molto simile all’originale, quantunque alquanto più grande e, lasciando la nuova nella detta Chiesa, trasportarono l’antica dentro la terra nel tempio di Santo Nicolò»70. Per una tempesta crollò il muro della Chiesetta dove era stato collocato il dipinto che fu trasportato dalle acque fino a Siracusa e ritrovato da un uomo del luogo sposato con una donna di Sortino, che lo riconobbe. Questi avvertì gli abitanti di Sortino che celermente vennero a riprendersi la venerata tavola, mentre già i Siracusani li inseguivano perché «intendevano prendersi l’Imagine quasi a loro mandata dal cielo»71. Gli abitanti di Sortino in massa misero in salvo il quadro che venne riportato «nella sua Chiesa, la quale ristorata da poi, anzi ornata dalla liberalità del Marchese Signore di Sortino, e delle limosine d’altri divoti non cede in bellezza, e architettura ad altre della Sicilia»72. La tavola, ancora esistente, copia di una più antica, reca la data 1551 ed oggi è nella Chiesa Madre73. L’esistenza di una tavola più antica, del 1544 della Chiesa della Santissima Annunziata di Ispica, lascia spazio all’ipotesi che si tratti dell’opera originale che si andava rovinando, o comunque di una variante della stessa, entrambe tratte da un modello più antico74.
Il Caietano narra poi della Beatissima Vergine di Raccuia (1573): «Quel Tempio dedicato circa l’anno 1400, alla Signora Nostra della Nuntiata nella terra di Raccuia, che oggidì vien servito, e officiato da’ Frati Minori di S. Francesco, era prima sotto il governo d’alcune divote persone e pie, che avendovi a fianco fabricate comode camerette, ricevevano in quelle or ammalati or pellegrini. I medesimi, intorno all’anno 1500, sapendosi nel contorno, essere arrivato alle marine vicine un navilio sul quale si portava bella statua di marmo della Santissima Vergine, l’ottennero a proprie spese… Dicesi, che, mentre ella alla predetta Chiesa era condotta concesse molte grazie miracolosamente a suoi devoti»75. Essendo un giorno nel 1573, comparsa questa statua cosparsa di sudore, venne promesso da un devoto di chiamare lì i Francescani e costruirvi convento e Chiesa, e la fece ornare con una corona con pietre preziose76. Il gruppo marmoreo composto dall’Angelo e dalla Vergine è stato trasferito dalla chiesa dell’Annunziata nella Chiesa di Santa Maria di Gesù77. Gioacchino Di Marzo nella sua opera sui Gagini e la scultura in Sicilia riporta il documento di commissione a Giovan Battista Mazzolo nel 1531 di un gruppo marmoreo raffigurante l’Annunciazione con il leggio, il Padre Eterno e lo Spirito Santo78. Se si tratta, come è verosimile, della stessa opera, sono sopravvissute solo le due statue della Madonna e dell’Angelo Annunciante79. Non si ha più nessuna notizia della preziosa corona d’oro e gemme ricordata dal Caietano. La stampa del libro del Caietano, incisa da Giuseppe Lentini, di cui reca la firma (]osephi Lentini scul), presenta lo stemma della famiglia Branciforte, Signori del Borgo di Raccuja dal 1552 (Fig. 28).
A proposito di Nostra Signora di Capo d’Orlando (Fig. 29) (1598) il Caietano scrive: «Soprastava un colle nelle spiagge orientali del mar Tirreno in Sicilia al promontorio anticamente detto Agathirsum hoggidì da’ paesani Capo d’Orlando, ove è collocata una torre di guardia. Quivi… l’anno 1598, Santo Conone natio della terra di Naso, indi poco distante apparve a guardiani di quella torre… Il quale havendo velocissimamente circondato, a guisa di baleno, la torre, ripose presso quella una statuetta della Santissima Vergine di maravigliosa bellezza, spirante maestà certamente più che umana, e subito si tolse lor di vista»80. Portata a Naso la statuina venne ospitata nella casa di Antonio Picciolo a cui fece guarire il figlio gravemente malato. Commenta significativamente Caietano: «il padre conobbe, qual altro Abinadab, avere ricevuto in casa sua l’Arca di vera salute»81. Il riferimento alle Sacre Scritture è un’altra delle costanti evidenziabili nello scritto del Caietano e negli altri dell’epoca ricordati. Terremoti successi a Naso dimostravano che la Vergine voleva tornare a Capo d’Orlando e lo stesso San Cono in una nuova apparizione lasciò tre pietre «quasi con esse volesse disignare il luogo del tempio, dove conservar si dovesse la Santa Imagine»82. Il Conte Signore del luogo la fece costruire e qui venne portata la statua con l’usuale «solenne pompa», «intervenedovi l’autorità dell’Arcivescovo di Messina», «Arciprete, Clero e Popolo tutto»83. Il Caietano conclude il suo racconto esclamando: «L’altezza dell’effigie… non è se non di un palmo, la materia, o sia di cera, o di altra mistura, conoscere non si può. Sol tanto vi dico, che a tutti pare essere lavoro di mano Angelica, e di vero per gratia della Santissima Vergine mandata a noi dal cielo»84. La piccola statuina, che è stata rubata, doveva verosimilmente essere di alabastro, come quella della ricordata Madonna della Cava di Marsala. Sull’altare maggiore del Santuario di Maria Santissima di Capo d’Orlando è una moderna copia in gesso85.
Della Nostra Signora di Piedi Grotta di Palermo (1569) il Caietano scrive: «Alla parte sinsistra del seno, che fa il mare alla marina della Città di Palermo, v’è una grotta, dove si vede un’immagine della Santissima Vergine lacrimosa e piena d’angoscia che tiene in grembo il Santo suo Figliolo tutto piagato, in quella guisa, che si crede, lei averlo preso nelle braccia, quando fu nel monte Calvario deposto dalla Croce»86. Il Giovedì Santo del 1564 alcuni fanciulli videro l’immagine della Madonna sudare e lacrimare e fece numerosi miracoli. Venne allora costruita una Chiesa davanti alla grotta dal nome di «Nostra Signora di pie di Grotta» «si coprirono li lati della caverna con argento, vi si erse un ricco altare, e il tetto fu leggiadramente dipinto e guarnito con stelle dorate»87. L’immagine dipinta su lastra di ardesia, dopo i bombardamenti dell’ultima guerra, che tuttavia avevano salvato il campanile della chiesa e la grotta, andò perduta per l’ulteriore intervento distruttore dell’uomo e così tutti gli ornamenti d’argento88. Rimane a testimonianza e ricordo l’incisione di Giovanni Federico Greuter del volume del Caietano (Fig. 30).
A questo punto finisce la narrazione del Caietano e le successive immagini oggetto di devozione in Sicilia vengono aggiunte a cura di Tommaso Tamburini. Questi inizia con Santa Maria del Litterio di Messina così scrivendo: «Nella Chiesa Messinese corre tradizione, che il glorioso Dottore delle genti S. Paolo, quando fu in Sicilia, una delle tre volte che accenna S. Giovanni Crisostomo… nella città di Messina seminasse la dottrina del S. Evangelio»89. «Soggionge la predetta tradizione» che avendo i Messinesi udito che la Madonna «ancor vivea in Gerusalemme, e era come maestra di tutti i Fedeli, e protettrice della Chiesa, trattarono con S. Paolo, che non potendo tutti andare a riverirla di presenza, le si destinassero alcuni Ambasciatori, che egli stesso guidasse e introducesse alla Vergine… i quali con riverente confessione di debita soggettione l’adorassero… e la Città ponessero sotto la protettione di lei». Così avvenne e «ottennero molto cara riposta dalla Benegnissima… e scrivendo Ella di proprio pugno, ricevette sotto la sua protettione, e ciò per sempre, il popolo Messinese»90. La Madonna è raffigurata nell’atto di proteggere la città in un paliotto d’argento del Museo Regionale di Messina, opera di argentiere messinese del 1715 (Fig. 31)91. Sulla veridicità di tale tradizione il padre Gesuita saggiamente commenta: «Io per me non so a che fine si debba niuno riscaldare, per oppugnare una opinione divota, e pia, quae potest prodesse et non obesse, e della cui contradittione non può ridondare utile positivo a niuno, non levandosi per essa a niuno niente del suo. Mi rallegro dunque» e conclude, «or facciamo ritorno all’Imagine… Ella, come si tiene per la medesima tradizione, fu dipinta da San Luca, è opera Antiochena e si chiama Santa Maria del Litterio, voce antica del paese e cioè della Lettera… e ha questa iscrizione in lingua greca Mater Dei velox ad audiendum, la Madre di Dio pronta ad udire, cioè ad esaudire i preghi di chi a lei devotamente si raccomanda»92. Le iscrizioni non vengono riportate nell’incisione del Greuter (Fig. 32). L’icona bizantina per la quale l’orafo fiorentino Innocenzo Mangani realizzò nel 1668 una manta d’oro che Gregorio Juvara ornò di gioielli con smalti e gemme (Fig. 33)93, si trovava nell’altare maggiore del Duomo quando venne distrutta dai bombardamenti dell’ultima guerra94. L’opera è stata sostituita da una copia di Adolfo Romano (1894-1972) che viene per la festività ricoperta ancora oggi dalla sua manta aurea originale del Mangani, anche se molti dei monili, donati nel tempo come ex-voto dai fedeli, sono stati staccati e conservati a parte95. Tra i monili realizzati appositamente da Gregorio Juvara o tra quelli preesistenti e riadattati dallo stesso per la nuova manta del Mangani sono anche due catene caratterizzate una da una serie di castoni singoli di smeraldi e l’altra ornata da doppi castoni di rubini che ornano la veste della Madonna e del Bambino (Fig. 34)96. Si tratta di una tipologia di catena tardo seicentesca molto diffusa in Sicilia. Tra i preziosi monili che sono ancora sulla manta è un grosso anello caratterizzato da una gemma rossa, inserito entro una croce di diamanti, contornata da più giri delle stesse preziosissime pietre, posto al culmine del capo della Madonna al di sotto della corona (Fig. 35)97. Dovrebbe trattarsi del gioiello descritto in un inventario del 1740 come «un anello con 158 diamanti con armi della città in mezzo una granata sotto la croce et un rubino e … tra la corona»98. Uno scudo crociato caratterizza lo stemma di Messina, che viene riproposto nel marchio degli orafi e argentieri della città dello stretto con ai lati le iniziali MS, Messanensis Senatus99. Presenta una profusione di diamanti il medaglione aureo della Madonna della Lettera oggi facente parte ormai del Tesoro della Cattedrale di Messina con iscrizione relativa alla Vergine e raffinati decori nel verso, opera di orafo messinese del XVII secolo, forse proprio lo stesso Gregorio Juvara, che ripropone la manta di Innocenzo Mangani anche negli elementi decorativi (Fig. 36)100. La preziosa corona che orna la manta della Madonna della Lettera reca diversi monili raffiguranti volatili caratterizzati dal piumaggio con i tipici smalti siciliani che lasciano spazio alle screziature auree e da una gemma centrale. Al centro della corona è un’aquila con il piumaggio in smalto nero con screziature auree e gemma centrale e ai lati due fenici smaltate di bianco dalle stesse caratteristiche poste sopra le fiamme da cui risorgono e ornate dalla gemma rossa centrale e da altre più piccole nelle ali e nella coda (Fig. 37)101. Nell’inventario del 1740 del Tesoro della Madonna della Lettera di Messina viene in proposito annotato: «nella corona di Nostra Signora… ci è una fenice con una granata in petto con undeci robbini al collo et ali di detta fenice… dati dalla Duchessa della Montagna… nell’ultimi due mezzi gigli vi sono due fenici ad un’ala»102. Nell’inventario viene specificato che «la corona d’oro di Nostra Signora quale è fatta prima di detta manta», confermando l’ipotesi che i monili diversi fissati ad ornamento nella manta potessero essere anche anteriori alla sua realizzazione da parte del Mangani nel 1668, trattandosi dunque di doni anteriori alla Madonna della Lettera, e proprio in tali gioielli potè intervenire l’orafo messinese Gregorio Juvara adattandoli sulla nuova manta103. Questa tipologia di monili trova in Sicilia il più elitario raffronto nel raffinato pellicano del Tesoro della Madonna della Visitazione di Enna, opera di orafo palermitano della metà del XVII secolo della scuola dei Montalbano104. Tra i più significativi doni alla Madonna della Lettera di Messina si ricorda anche la «gioia di smeraldi» donata nel 1695 dalla viceregina Duchessa di Uzeda, che nell’inventario del 1740 viene così ricordata: «una rama grande di diamanti e smeraldi, numero trecento diamanti e novantacinque smeraldi… data dalla viceregina Ussetta» (Fig. 38)105. La stessa donava un’analogo fiore tutto di smeraldi alla Madonna di Trapani nel 1696106. Orafi palermitani del XVIII secolo prediligevano questa tipologia di monili che si riscontra anche riproposto in una fibula del Tesoro della Cattedrale di Palermo107. Tra le nobildonne che offrirono preziosi monili come ex-voto alla Madonna della Lettera si ricorda pure Geronima Di Giovanni, moglie di Francesco V Ventimiglia, che nel 1714 donava «una pettiglia d’oro con 722 diamanti per essere apposta sulla manta d’oro… come ex-voto per la guarigione del figlio Domenico» (Fig. 39)108. La devozione nei confronti della Madonna della Lettera è presente anche a Palermo. Nella Chiesa della Madonna della Lettera nella borgata dell’Acquasanta è oggetto di devozione una tavola tardo seicentesca, già della famiglia Geraci, coperta da una manta d’argento, che, come numerose altre, si ispira a quella del Mangani della Cattedrale di Messina, dovuta ad argentiere palermitano del 1721, come si può precisare grazie al marchio del console di quell’anno Giacinto Omodei109. Nell’aureola della Vergine è la scritta latina, Regina Coeli letare Alleluia, e greca «Madre di Dio Colei che ascolta ed esaudisce subito». L’opera è inserita in una cappella a marmi mischi, di fattura tipicamente palermitana, le cui figurazioni inneggiano alle usuali tematiche mariane. Si tratta del nucleo iniziale della cappella fatta erigere nel 1700 dalla Marchesa di Geraci, Anna Arduino Ventimiglia, non a caso di origini messinesi110.
A Messina è poi ricordata dal Tamburini Nostra Donna del Pileri (1400): «Quanto si compiaccia la Santissima Vergine di questa Imagine, in verità bellisima, del Pileri, che intorno l’anno del Signore 1400 si trovò dipinta in un pilastro, dal quale acquistò cotal nome, mentre per riparare le mura della città di Messina vicine al Palazzo Reale, si dirupava un muro, che impediva la nuova fabrica, agevolmente si può conoscere da molti miracoli fatti per quella»111. Si ricorda quello di calmare una tempesta apparendo «oltremodo bella, vestita di candidissimi vestimenti», alla monaca basiliana Suor Nicoletta Agnes, che si trovava in una nave Gerosolimitana, partita da Rodi occupata dai Turchi. La suora si fermò pertanto nel «Monasterio di S. Maria dell’Alto, le cui monache vestono di bianco»112. L’affresco sul pilastro, come quello della Madonna del Pilar di Saragozza, dipinto su una colonna di diaspro, venne trasportato nella Chiesa di San Carlo nel 1694, che crollò per il terremoto del 1783113. L’immagine rimane riprodotta nell’Iconologia del Samperi114 e nel libro del Caietano, incisa da Giovanni Federico Greuter (Fig. 40). Gli stretti legami tra la Sicilia e la Spagna non erano solo politici e culturali, ma anche religiosi, come dimostra la diffusione di iconografìe e devozioni di matrice iberica nell’isola. La Madonna del Pilar deve il nome alla miracolosa apparizione dell’immagine sopra un alto pilastro, a San Giacomo Maggiore. Nel suo Santuario di Saragozza in Aragona si è raccolto attraverso i secoli un eccezionale tesoro di monili donati come ex-voto, analogamente a quanto è avvenuto in Sicilia per numerosi simulacri mariani, oggetto di particolare devozione, come quello della Madonna di Trapani.
Il Tamburini, poi, a proposito di Santa Maria della Grotta nel Colleggio di Palermo della Compagnia di Giesù (Fig. 41) scrive: «Hebbe il Colleggio di Palermo questa Sacra Imagine quando nell’anno 1552, l’invitto Imperatore Carlo V col consentimento del Sommo Pontefice gli diede l’Abbatia di detta S. Maria della Grotta. Ella è opera antichissima e la dipintura è alla greca. Sta collocata nell’altar maggiore della Chiesa di detto Collegio con ricchi guarnimenti di varietà di pietre mischie e di marmi assai leggiadramente ornata»115. La tavola dalla chiesa di Santa Maria della Grotta passò alla Casa Professa e poi all’altare maggiore della Chiesa del Collegio Nuovo sul Cassaro fino al 1805, quando venne distrutta da un incendio116.
L’ultima immagine trattata nel volume è quella della Santa Maria del Ponte di Caltagirone (1572) di cui il Tamburini scrive: «Sotto le mura della città di Caltagirone, ove anticamente era un ponte, sta situata una chiesa, perciò chiamata Santa Maria del Ponte… Nel medesimo luogo vi era una limpida, e chiara fontana, dentro le cui acque si compiacque farsi vedere la Gran Madre di Dio e fu appunto nel giorno decimo quarto di Agosto, quando si celebra la sua Gloriosa Assuntione. Era vestita di ammanto azzurro ricamato di stelle e avea coverta di candido velo la testa. Ad altri era concesso di vederla ad altri si negava cotanto favore», «venne colà un dipintore, e la vide, e in quel sembiante appunto, che la raffigurò, cogli occhi quasi natante nell’acqua la dipinse poi e la formò col pennello nel legno»117. La Chiesa, dedicata alla Madonna, fu aperta al culto nell’anniversario dell’apparizione del 1573 e vi fu posto il quadro, che rimase indenne dopo il terremoto del 1693, che danneggiò il santuario e l’alluvione del 1714 che distrusse l’edifìcio118. Dalla sacrestia, dove era stato collocato nel 1715, passò nel 1716 alla Chiesa della Confraternita della Madonna della Grazia, poi in quella di Santa Maria della Porta o Portetta e ancora nella Chiesa dei Cappuccini, per tornare nel 1720 al Santuario ricostruito vicino al vecchio119. Qui è custodito il dipinto su tela della fine del Cinquecento con una cornice d’argento120. L’incisione del Greuter nel volume del Caietano, raffigura la Madonna con il Bambino che regge un ponte (Fig. 42).
Il Canonico Antonino Mongitore, nel suo ricordato Palermo divoto di Maria Vergine, sottolinea, come già aveva fatto il Caietano, l’importanza della Madonna come figura mediatrice tra l’uomo e Dio, scrivendo che «invero la felicità può trovarsi nel deplorabile esilio di questo Mondo, non altrove più sicura può rinvenirsi, che nel favorevole Patrocinio di Maria, poiché Ella può allontanar da’ Mortali le calamità, che congiurano ad intorbidar la terrena felicità, e conservarli nel possedimento di quei beni valevoli a felicitare l’umana vita»121.
Il volume del Caietano si conclude con La vita della Beatissima Vergine Maria Madre di Dio del Padre Gesuita P. Gio. Agostino Confaloniero122. Proprio la vita terrena di Maria della stirpe di David è stata nei secoli fonte inesauribile di varie espressioni d’arte. A tal proposito offrono una dettagliata presentazione delle diverse iconografie relative a numerosi episodi della vita della Vergine le tele del soffitto dipinto di Mario di Laurito del 1536 oggi esposte al Museo Diocesano di Palermo, provenienti dalla distrutta chiesa dell’Annunziata (Fig. 43)123, che bene si adattano ad illustrare lo scritto del Confaloniero.
I cammini mariani indicati dal Caietano e dal Tamburini non solo hanno portato alla constatazione della perdita di innumerevoli tesori raccolti in secoli di devozione, ma anche a quella che il tempo ha inesorabilmente travolto preziose e venerate immagini mariane.
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti della Santissima Vergine Nostra Signora più celebri, che si riveriscono in varie Chiese nell’isola di Sicilia. Aggiuntavi una breve relazione dell’Origine e miracoli di quelli. Opera posthuma del R. P. Ottavio Caietano della Compagnia di Giesu. Trasportata nella lingua Volgare da un Devoto Servo della medesima Santissima Vergine. E cresciuta con alcune pie meditazioni sopra ciascun passo della vita della medesima, Palermo 1664, rist. anast. Palermo 1991, pp. 51-53. Per tale argomento cfr. anche M.C. Di Natale, Ave Maria. La Madonna in Sicilia immagini e devozione, Palermo 2003, Edizione Flaccovio fuori commercio. [↩]
- Ibidem. [↩]
- B. MINISTERI OSA, La chiesa e il convento di S. Agostino di Palermo, premessa di M.C. Di Natale, Palermo 1994, pp. 35-36. [↩]
- A. MONGITORE, Palermo divoto di Maria Vergine e Maria Vergine protettrice di Palermo, 2 voll., Palermo 1719-1720. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 52. [↩]
- B. MINISTERI OSA, La chiesa…, 1994, pp. 37-38. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 52. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 53. [↩]
- A. MONGITORE, Palermo divoto…, 2 voll., 1719-1720. [↩]
- B. MINISTERI OSA, La chiesa…, 1994, pp. 37-38. [↩]
- Ibidem. Cfr. pure M.C. DI NATALE, Gioielli di Sicilia, Palermo 2000, II ed. 2008, p. 114. [↩]
- M.C. DI NATALE, Gioielli…, 2000, II ed. 2008, p. 114. Cfr. pure V. Piazza, scheda n. 55, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della Mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001, p. 392. [↩]
- Ibidem. [↩]
- M.C. DI NATALE, Gioielli…, 2000, II ed. 2008, p. 114. Cfr. pure G. CARDELLA, La “Heredita del quondam Pietro Rossitto” 1573. Inventario per la pubblica vendita di gioielli e utensili di bottega appartenuti a un ricco fabbricante dell’argentiere di Palermo e nomi degli acquirenti, Palermo 2000. [↩]
- E. D’AMICO, scheda n. II, 48, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della Mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 1989, p. 222. Cfr. pure M.C. DI NATALE, Oro, argento e corallo tra committenza ecclesiastica e devozione laica, in Splendori…, 2001, pp. 42-43. [↩]
- M.C. DI NATALE, Oro, argento…, e scheda 57, in Splendori…, 2001, pp. 42-45 e 393-395, che riporta la precedente bibliografia. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 55. [↩]
- A. MONGITORE, Palermo divoto…, 2 voll., 1719-1720. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 28. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 58. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, pp. 28-30. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 61. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 30. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Ibidem. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 30. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 66. Cfr. pure P. SAMPERI, Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio Maria Protettrice di Messina divisa in cinque libri, ove si ragiona delle imagini di Nostra Signora che si riveriscono nei Tempii, e Cappelle più famose della città di Messina, delle loro Origini, fondazioni e singolari avvenimenti con alcune digressioni sulle persone segnalate nelle virtù appartenenti a quel luogo, di cui si fa menzione, Messina 1644. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 31. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 67. [↩]
- Ibidem. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, pp. 31-32. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 71. [↩]
- Ibidem. [↩]
- R. PIRRO, Sicilia sacra, Panormi 1630-1637, ed. a cura di A. Mongitore con aggiunte di V. Amico, Panormi 1733, rist. anast. Bologna 1987, con introduzione di F. Giunta. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 32. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 73. [↩]
- Ibidem. [↩]
- M.C. DI NATALE, Il Museo Diocesano di Palermo, introduzione di Mons. Giuseppe Randazzo, II ed. 2010, pp. 29-30. [↩]
- Ibidem. [↩]
- M. ANDALORO, in Federico e la Sicilia. Dalla terra alla corona. Arti figurative e arti suntuarie, vol. II, catalogo della Mostra a cura di M. Andaloro, Palermo 1995, pp. 443-447, che riporta la precedente bibliografia. [↩]
- Ibidem. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 75. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 33. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 77. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Ibidem. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 33. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 79. [↩]
- Ibidem. [↩]
- A. MONGITORE, Palermo divoto…, 2 voll., 1719-1720. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 33. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 81. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Ibidem. [↩]
- R. PIRRO, Sicilia Sacra…, 1733, rist. anast. 1987. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 34. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, pp. 83-84. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 85. [↩]
- M.C. DI NATALE, Stato di osservazione della pittura alcamese, in Degrado e riuso. Restauro e società, Quaderni della cattedra di Teoria del Restauro, Facoltà di Lettere, Università di Palermo, Atti del Convegno a cura di G. La Monica, Alcamo 1980, p. 216. Cfr. pure M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 34. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Cfr. M. VITELLA, Il Museo d’Arte sacra della Chiesa Madre di Alcamo, in corso di stampa. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 87. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 88. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 34. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 89. [↩]
- Ibidem. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 90. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 35. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 93. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 94. [↩]
- Ibidem. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 35. [↩]
- Ibidem. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 95. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, pp. 95-96. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 36. [↩]
- G. DI MARZO, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI. Memorie storiche e documenti, 3 voll. Palermo 1880-1883, rist. del 1980. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 36. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 97. [↩]
- Ibidem. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 97. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Ibidem. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 36. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 99. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 100. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 38. [↩]
- T. TAMBURINI, in O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 101. Cfr. pure P. SAMPERI, Iconologia della gloriosa…, 1644. [↩]
- Ibidem. [↩]
- M.C. DI NATALE, Gli argenti in Sicilia tra rito e decoro, in Ori e argenti…, 1989, p. 154. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 103. [↩]
- M.C. DI NATALE, Gioielli…, 2000, II ed. 2008, pp. 160-163, che riporta la precedente bibliografia. [↩]
- Ibidem. [↩]
- M.C. DI NATALE, Gioielli…, 2000, II ed. 2008, p. 163. [↩]
- M.C. DI NATALE, Gioielli…, 2000, II ed. 2008, p. 76. [↩]
- M.C. DI NATALE, Gioielli…, 2000, II ed. 2008, p. 76. [↩]
- M.C. DI NATALE, Gioielli…, 2000, II ed. 2008, p. 146. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Ibidem. [↩]
- M.C. DI NATALE, Gioielli…, 2000, II ed. 2008, pp. 154-155. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Ibidem. Cfr. pure M.C. DI NATALE, I monili della Madonna della Visitazione di Enna, nota introduttiva di T. Pugliatti, con i contributi di S. Barraja, Appendice documentaria di R. Lombardo e O. Trovato, Enna 1996. [↩]
- M.C. DI NATALE, Gioielli…, 2000, II ed. 2008, p. 196. [↩]
- Ibidem. Cfr. pure M.C. DI NATALE, Scheda n. I, 65 in Il tesoro nascosto. Gioie e argenti per la Madonna di Trapani, catalogo della Mostra a cura di M.C. Di Natale e V. Abbate, Palermo 1995, pp. 160 – 162. [↩]
- M.C. DI NATALE, Gioielli…, 2000, II ed. 2008, p. 196. Cfr. pure M.C. DI NATALE – M. VITELLA, Il Tesoro della Cattedrale di Palermo, saggio introduttivo di L. Bellanca e G. Meli, premessa di S.E. P. Romeo, Palermo 2010, p. 82. [↩]
- M.C. DI NATALE – R. VADALÀ, Il Tesoro di Sant’Anna nel Museo del Castello dei Ventimiglia a Castelbuono, appendice documentaria di R.F. Margiotta, Palermo 2010, p. 29. Si veda anche C. CIOLINO, Il Tesoro tessile della Matrice Nuova di Castelbuono. Capitale e principato dei Ventimiglia, Messina 2007, p. 30. [↩]
- M.C. DI NATALE, Le Confraternite dell’Arcidiocesi di Palermo. Committenza, arte e devozione, in Le Confraternite dell’Arcidiocesi di Palermo. Storia e arte, catalogo della Mostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 1994, pp. 48-57. [↩]
- Ibidem. [↩]
- T. TAMBURINI, in O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 105. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 106. [↩]
- Ibidem. Cfr. pure M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 39. [↩]
- P. SAMPERI, Iconologia della gloriosa…, 1644. [↩]
- T. TAMBURINI, in O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. 1991, p. 107. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 40. [↩]
- T. TAMBURINI, in O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 109. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Ibidem. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 40. [↩]
- A. MONGITORE, Palermo divoto…, 2 voll., Palermo 1719-1720. [↩]
- A. CONFALONIERO, La vita della Beatissima Vergine Maria Madre di Dio, in O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, pp. 117 – 160. [↩]
- M.C. DI NATALE, Il Museo…, 2010, pp. 81-86. Cfr. pure M.C. DI NATALE, Mario di Laurito, “Saggi e ricerche dell’Istituto di Storia dell’Arte della Facoltà di Lettere dell’Università di Palermo”, Palermo 1980. [↩]