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Un viaggio nella memoria sacra: le opere d’arte antica nelle chiese di nuova edificazione della città di Palermo
DOI: 10.7431/RIV22032020
Il presente contributo ha l’obiettivo di portare alla luce una serie d’antiche opere d’arte inedite e non che, per troppo tempo, sono rimaste relegate ai margini della storia dell’arte palermitana a causa della loro particolare condizione. Di fatti, l’oggetto di questo articolo non sono le famose sculture che si possono ammirare nelle riccamente decorate chiese barocche della città o i conosciuti dipinti esposti nei suoi musei e gallerie, mete prescelte dei più classici itinerari turistici; bensì, i quadri, le sculture, gli altari che, per i motivi più svariati, non si trovano più nelle loro sedi originarie e che al presente ornano le parrocchie di nuova edificazione della città di Palermo. È in questi luoghi di semplice devozione quotidiana, lontani dal caos delle masse di turisti, che questi capolavori dell’ingegno umano sono stati albergati, passando oggi perlopiù inosservati e privi della valorizzazione e della tutela che meriterebbero1.
Lo spostamento di questi manufatti dalle loro sedi originarie coincise cronologicamente con quella che sarebbe passata alla storia come una delle espansioni urbanistiche meno fortunate della storia contemporanea2. Sin dal suo inizio, che si fa coincidere con l’annessione della Sicilia al Regno d’Italia nel 1860, il racconto urbanistico della città di Palermo fu caratterizzato dalla coesistenza di tentativi legalmente organizzati di espansione e puntuali casi di speculazione edilizia. I primi erano mossi da organici piani regolatori, i secondi da illegali interessi di stampo mafioso. Questa dualità fu evidente sin da quello che si può considerare come il primo progetto urbanistico della storia contemporanea della città, realizzato all’indomani dell’annessione al Regno dalla Commissione del progetto di riforma e abbellimento della città3. I suoi interventi furono responsabili di sostituire ai cauti interventi di matrice neoclassica della seconda metà del Settecento e della prima metà dell’Ottocento, la tecnica haussmanniana consistente nella realizzazione di puntuali sventramenti finalizzati ad abbattere i quartieri malsani e ricostruire sulle loro rovine nuovi volumi edilizi, rilevanti per i movimenti finanziari4. Sebbene gli interventi della Commissione non si tradussero in progetti sostanziali dal punto di vista edilizio, i principi che li reggevano ebbero il demerito di fornire una base apparentemente legale agli sventramenti del tessuto urbano della città. Questi si inaugurarono nel 1875, con l’abbattimento della Chiesa e del Monastero delle Vergini Teatine dell’Immacolata Concezione e del Convento delle Stimmate per la costruzione del Teatro Massimo5.
I primi, organici piani regolatori della città, stilati dall’ingegnere Felice Giarrusso nel 1885 e nel 1889, non fecero che peggiorare la situazione6. Di fatti, accanto agli interventi regolari da essi previsti, la municipalità continuò ad approvare piani regolatori ad casum che ferirono irrimediabilmente il volto della città7.
Neppure la felice parentesi edilizia inauguratasi con l’Esposizione Nazionale che si celebrò a Palermo dal novembre 1891 al maggio 1892 ebbe, tutto sommato, esito felice. Grazie soprattutto all’attività d’importanti famiglie di imprenditori emigrate negli anni precedenti a Palermo, come gli Ingham, i Whitaker e soprattutto i Florio, per qualche decennio la città si convertì in una delle maggiori capitali della belle époque e del liberty8. Nonostante ciò, bisogna considerare anche l’altro lato della medaglia9. La municipalità palermitana infatti comprese in quell’occasione che il turismo era la via da battere per il successo economico della città10. Se da un lato, questo diede vita a splendidi complessi come la Villa Igea, il castello Utveggio o alla conclusione della maestosa via della Libertà, non si deve trascurare l’irrimediabile impatto negativo che il turismo massivo ebbe, per citare un solo esempio tra i tanti, sulla zona balneare di Mondello11).
Dunque, negli anni di passaggio dal XIX al XX secolo, Palermo si stava trasformando in una città moderna, capace di competere dal punto di vista architettonico e urbanistico con le sue compagne europee. Tuttavia, l’aggiornamento urbanistico, pur dando vita ad esempi unici e spettacolari d’arte e edilizia, si stava rendendo responsabile anche di irrimediabili disastri. La sua trasformazione in una vera e propria capitale dell’amministrazione regia, inoltre, fece sì che Palermo non venisse esclusa dalla visione politica del fascismo, imbevuta, come è saputo, anche da ferrei principi estetici. Nel 1922, questi diedero vita ad uno dei momenti più feroci della devastazione urbanistica alla quale si sta accennando, il taglio della via Roma12.
Quest’opera ebbe conseguenze devastanti e irrimediabili per il patrimonio artistico dell’antico centro storico, tagliato letteralmente in due dal nuovo asse viario. Per limitarsi ad un solo esempio, portò alla scomparsa della Chiesa e del Monastero di Santa Rosalia, che erano stati edificati all’indomani del miracoloso rinvenimento delle ossa della santa come ex voto della Municipalità per la liberazione di Palermo dalla peste. Quando agli interessi culturali e tradizionali della città si sovrapposero le aspirazioni autocelebrative del fascismo, fu chiaro che la breve e fortunata stagione del liberty si era definitivamente conclusa.
Nel frattempo, le continue deroghe ai piani urbanistici regolatori stavano facendo in modo che nel tessuto edilizio della città si accentuassero le differenze. Si creò una sorta di zonizzazione sociale, per cui le aree abitate dalla povera gente erano ben distinte da quelle dei benestanti. Le prime derivavano dagli sventramenti della città antica, abbandonata dal ceto medio-borghese e dai ricchi, i quali preferirono i quartieri di nuova costruzione fuori dalle antiche mura cittadine, privilegiando soprattutto l’area in cui, nel 1891-92, si era celebrata l’Esposizione Nazionale.
Questa situazione fu paradossalmente rafforzata da un decreto-legge che accordò alla città di Palermo un finanziamento di 270 milioni per la realizzazione di opere pubbliche13. Una parte consistente del denaro doveva essere destinata alla redazione di un piano regolatore di risanamento e ampliamento, che tuttavia tardò ad arrivare. Intanto però, si approfittò delle somme ottenute per operare demolizioni a tappeto nei rioni della Conceria, Olivella, San Giuliano e Albergheria. Il letterale sventramento di quest’ultima fu giustificato dalla volontà di dar vita alla via Mongitore, promettendo contestualmente la creazione di isolati a scacchiera, ancora oggi irrealizzati e rimasti occupati da macerie. In altre delle aree risultanti da queste demolizioni,per iniziativa privata o per l’azione di istituti come l’Istituto Case Popolari,si realizzarono abitazioni di carattere borghese e condomini che creavano nuove occasioni di profitti e rendite. Nel frattempo, nell’aprile del 1939 si indisse un concorso nazionale per la redazione del progetto di massima del piano regolatore e di ampliamento della città e dintorni, che tuttavia dovette essere ancora una volta disatteso per un evento che segnò irrimediabilmente la storia, anche urbanistica, di Palermo: il bombardamento del 1943 da parte delle forze alleate anglo-americane.
Le conseguenze per il patrimonio urbanistico e architettonico della città furono abnormi: 2 milioni di vani risultarono completamente distrutti, circa 4 milioni e mezzo furono danneggiati più o meno gravemente. Limitandosi al patrimonio artistico immobiliare si registrarono 15 complessi integralmente distrutti, 21 semidistrutti e 75 danneggiati meno gravemente14. La parte più cospicua di queste rovine era rappresentata dalle chiese, oltre 60 delle quali erano state centrate dalle bombe. In questo quadro deprimente le Soprintendenze e il Genio Civile formularono e operarono i primi interventi di salvaguardia al patrimonio15. La situazione di urgenza portò,nel 1944, alla stesura di un piano regolatore generale, per la formazione del quale si approfittò delle indicazioni contenute nei progetti vincitori del citato concorso del 1939. Il pregio di questo piano d’emergenza fu quello di impedire, per la prima volta,l’iniziativa dei privati nella costruzione di edifici, escludendo, almeno per legge, qualunque deroga al piano generale. Il piano così previsto fu definitivamente approvato il 3 luglio 1947. Fu chiaro sin da subito che la ricostruzione era il problema emergente. Attuata nel massimo rispetto del nuovo piano regolatore, questa avrebbe potuto costituire la premessa per la tanto aspirata sistemazione organica della città. Purtroppo, come già era avvenuto più volte, le attese furono fortemente deluse.
Con lo scopo di aggirare le norme del piano regolatore del 1947, si diede vita infatti ai cosiddetti piani particolareggiati che, di fatto, erano dei piani accessori, specifici caso per caso che, a seconda delle necessità, vennero affiancati a quello generale16. La conseguenza di uno di questi piani particolareggiati fu, per esempio, l’espropriazione delle Ville Tasca e Sperlinga con l’obiettivo di edificare nuovi quartieri residenziali nei lotti da esse precedentemente occupati. Con questo e altri sciagurati avvenimenti ebbe inizio quello che è passato alla storia come il Sacco di Palermo che portò alla sistematica demolizione del patrimonio liberty che era sorto nella città a cavallo dei due secoli e all’irrazionale e intensiva espansione della città per scopi di pura speculazione edilizia di stampo mafioso. La ferita certamente più famosa di questa fase della storia urbanistica palermitana fu la demolizione del Villino Deliella a partire dal pomeriggio del 28 novembre del 1959. È assurdo che questo scempio fu operato solamente otto giorni dopo l’adozione di un nuovo, moderno piano regolatore che, almeno normativamente, avrebbe dovuto preservare beni di tale considerevole valore artistico e monumentale.
Non è questa la sede in cui si vuole analizzare le ragioni politiche, sociali ed economiche che causarono i numerosi sventramenti del patrimonio artistico monumentale palermitano. Tuttavia, questa introduzione risulta necessaria per comprendere cosa diede origine al movimento delle opere d’arte che sono oggetto di questo studio e che, in origine, erano custodite all’interno delle chiese, monasteri ed oratori che venivano demoliti. In alcuni casi la Diocesi di Palermo poté preventivamente incamerarle nei depositi del suo museo. L’esempio del Monastero delle Stimmate è noto. I suoi rivestimenti decorativi in stucco, pregevole opera di Giacomo Serpotta furono ricoverati – e ancora oggi si conservano – presso l’Oratorio dei Bianchi, in seguito alla demolizione del complesso di San Giuliano di cui il monastero era parte17.Nei casi come quello appena citato, i manufatti artistici che erano nati per essere oggetti o strumenti di devozione furono sradicati dai luoghi per i quali erano stati originariamente creati e semplicemente depositati o esposti in luoghi di differente avvocazione, come i musei e le gallerie d’arte. Il presente articolo vuol far luce sui casi in cui i musei e i loro depositi furono soltanto un luogo di transizione, prima della definitiva incorporazione di questi antichi manufatti in nuovi luoghi di culto18.
Come esempio, si può citare di nuovo l’antica Chiesa di Santa Rosalia distrutta per il taglio della via Roma negli anni Venti del Novecento. Diverse opere d’arte mobili si salvarono da questo tempio e, tra esse, almeno due furono certamente albergate presso i depositi del Museo Diocesano di Palermo prima di essere donati a chiese di nuova costruzione. Si tratta del settecentesco Crocifisso ligneo cui faceva da sfondo una tela con i Dolenti di Gioacchino Martorana (Fig. 1). Mentre il quadro si trova ancora nei depositi del museo in attesa di restauro, il Crocifisso fu restituito al culto presso la Chiesa di San Giovanni Apostolo al C.E.P.19.Anche l’altare tardo-barocco che oggi si trova nella Chiesa della Regina Pacis proverrebbe dalla prima chiesa dedicata alla Patrona palermitana, sebbene questa notizia non sia supportata da alcuna documentazione, basandosi esclusivamente su testimonianze orali. Però indipendentemente da dove arrivasse, è probabile che con l’altare fosse arrivato anche il magnifico Crocifisso in marmo alabastrino rosa che, qualche anno fa, il Museo Diocesano ha provveduto a restaurare (Fig. 2). Neppure è documentata, ma è molto probabile la provenienza dall’antica Chiesa di Santa Rosalia della bellissima scultura di Santa Rosalia che si trova nella nuova parrocchia dedicata alla patrona palermitana, opera ascrivibile alla bottega di Ignazio Marabitti (Fig. 3)20.
Continuando ad analizzare gli spostamenti d’opere d’arte causati dalla speculazione edilizia, la già citata Parrocchia di San Giovanni Apostolo al C.E.P. conserva altre opere provenienti da antiche chiese distrutte. L’elegantissimo fonte battesimale proviene dalla Chiesa di Santa Ninfa ai Crociferi e già si trovava in quella di Santa Margherita alla Conceria, dove lo vide Gaspare Palermo all’inizio del XIX secolo (Fig. 4)21. Da qui fu trasferito a Santa Ninfa dopo il 1895, anno in cui venne raso al suolo il rione Conceria per la realizzazione della via Roma. Ancora, all’interno della sua Cappella Sacramentale, la chiesa del C.E.P. custodisce un elegante ciborio in marmo d’ambito gaginesco, proveniente dalla Chiesa di Santa Croce (Fig. 5)22.
Questo importante tempio sopravvisse miracolosamente agli sventramenti operati a principio del XX secolo per risanare il rione dell’Albergheria e operare il taglio della via Mongitore. Tuttavia, le sue antiche strutture non poterono che cedere sotto ai bombardamenti che, tra il febbraio e il maggio del 1943, colpirono la città. La Chiesa di Santa Croce fu uno dei 15 edifici ecclesiastici integralmente distrutti, secondo le ricognizioni operate dal soprintendente Mario Guiotto all’indomani del disastro23. Fortunatamente alcuni dei manufatti in essa custoditi furono salvati. È il caso, oltre al citato ciborio gaginesco del C.E.P.,della maestosa Natività del Redentore attribuibile alla scuola di Vito D’Anna che si trova nella Chiesa di Sant’Espedito, costruita su quelli che erano stati i terreni occupati dall’Esposizione Nazionale del 1891-92 (Fig. 6)24; o ancora, del fonte battesimale in marmo rosso custodito nella Chiesa di San Luigi Gonzaga25.
Edificata a partire dagli anni Trenta lungo l’asse d’espansione nord-ovest della città, la Chiesa di San Luigi Gonzaga fu scelta per albergare, almeno secondo la documentazione, ben cinque altari provenienti dalle chiese di Santa Croce e Santa Lucia al Borgo Vecchio, entrambe integralmente devastate dai bombardamenti26. Quello certamente più spettacolare è l’Altare del Crocifisso, una vera e propria macchina teatrale barocca, grande esempio della competenza tutta siciliana nella modellazione dei marmi con le tecniche del mischio e del tramischio (Fig. 7). In origine era stato realizzato per la Chiesa di Santa Teresa fuori Porta Nuova,a sua volta demolita in seguito alle leggi eversive del 1866. Fu allora acquistato dal parroco Girolamo Sarmiento per ornare uno dei lati dell’ottagonale Chiesa di Santa Lucia al Borgo Vecchio. Teresa Vinci lo ha attribuito allo scultore Gaspare Guercio, famoso per aver realizzato le statue delle patrone di Palermo della piana della Cattedrale, e lo ha datato alla seconda metà del XVII secolo27. Contiene un magnifico Crocifisso ligneo dipinto, anch’esso databile alla seconda metà del XVII secolo. La scultura si riteneva proveniente dalla Quinta Casa dei Gesuiti al Molo, ma attualmente si pensa che quel Crocifisso sia quello che oggi è situato nella chiesa di Maria SS. di Monserrato alle Croci28. Pertanto, la realizzazione dell’altare e della scultura che contiene devono ritenersi contestuali, come peraltro conferma la iconografia dei marmi, chiaramente allusivi alla passione di Cristo. Anche quello che oggi funge da altare maggiore della Chiesa di San Luigi Gonzaga, proviene dall’antica Chiesa di Santa Lucia, dove era dedicato alla santa titolare (Fig. 8). Rispetto al primo altare, è più tardo, presentando in nuce alcuni elementi neoclassici. Meno sicura è la provenienza dell’ultimo altare che oggi si conserva in San Luigi Gonzaga, dove è dedicato alla Madonna di Pompei. Un questionario redatto nel 1947 dal parroco e conservato presso l’Archivio Diocesano di Palermo cita un totale di cinque altari, di cui tre provenivano da Santa Lucia e due, con il fonte battesimale, da Santa Croce29. Un altro documento, un pizzino vergato a mano, cita tre altari provenienti da Santa Lucia, però poi si sofferma esclusivamente su quello del Crocifisso30. Al di là dell’impossibilità di definire incontrovertibilmente la provenienza dell’altare, deve dirsi che si tratta senza dubbio del più antico che la Chiesa di San Luigi Gonzaga conserva, essendo di stile manieristico e potendosi datare, dunque, ai primi anni del XVII secolo (Fig. 9). Un altro maestoso altare in marmi mischi e tramischi si conserva nella Chiesa di Sant’Antonio Abbate all’Arenella. Per la ricchezza del suo stile potrebbe provenire anch’esso dalla Chiesa di Santa Lucia al Borgo Vecchio e, effettivamente, Ettore Sessa e Adriana Chirco lo dicono procedente da quel tempio per volontà del Cardinale Ernesto Ruffini31.
Finora sono stati citati soltanto alcuni degli innumerevoli spostamenti d’opere d’arte di cui la città di Palermo fu testimone all’indomani degli avvenimenti che ferirono irrimediabilmente il suo patrimonio ecclesiastico antico. Senza ombra di dubbio, questi movimenti furono la naturale conseguenza del sorgere di chiese e parrocchie moderne nei quartieri di nuova espansione della città. Il loro clero e i fedeli necessitavano infatti di suppellettili liturgiche e opere d’arte per espletare la loro devozione. Nello stesso frangente la Diocesi di Palermo, nella persona del Cardinale Ernesto Ruffini, aveva deciso di dar vita alla Commissione Diocesana di Arte Sacra, riguardo alla quale l’articolo 371 del XIV Sinodo diceva: «Non è lecito alienare alcun arredo sacro od oggetto di arte appartenente a qualsiasi chiesa senza il parere della Commissione Diocesana per l’Arte Sacra e l’autorizzazione scritta dell’Arcivescovo»32. All’articolo successivo si prescrisse che i suoi compiti erano vigilare sull’arte sacra anche per evitare, cito letteralmente, gli «eccessi dell’arte moderna, approvare e controllare i progetti di restauro che riguardassero beni ecclesiastici diocesani, essere oggetto di consultazione sugli acquisti di paramenti o arredi liturgici e, infine, proporre essa stessa restauri di beni ecclesiastici mobili e immobili»33.
Molto spesso è rimasta testimonianza archivistica di queste relazioni, perlopiù epistolari, tra la Commissione Diocesana per l’Arte Sacra e le singole parrocchie. È il caso della Congregazione della Missione di San Vincenzo de’ Paoli, il cui superiore nel 1945 scrisse alla Commissione tre lettere nelle quali richiedeva in prestito degli arredi sacri per la nuova chiesa che la Congregazione aveva contribuito a edificare in via dei Quartieri34.Come risposta, la Commissione le affidò in deposito temporaneo un grande candelabro con bracci multipli in legno intagliato e dorato del XVIII secolo, un paliotto in seta bianca con ricami in oro pure dello stesso secolo, un quadro di scuola novellesca con l’Angelo Custode ed una tela centinata del XIX secolo con l’Assunzione di Maria.Una cornice con tela di San Girolamo fu richiesta dal parroco nel corso dello stesso anno,ma pare che non sia mai arrivata a destinazione35. Di tutte le opere citate, ad oggi, nessuna è più presente nella parrocchia36. Tuttavia, vi si conserva una grande tela settecentesca raffigurante San Vincenzo de’ Paoli predicando entro una cornice certamente anteriore (Fig. 10)37.
Un altro caso abbastanza curioso del quale permane costanza documentale è quello che coinvolse la Commissione e le Chiese della Regina Pacis e Santa Maria delle Grazie. Nel 1936 il parroco della Regina Pacis fece richiesta alla Commissione perché le affidasse alcune opere provenienti dalla Chiesa della Madonna del Soccorso all’Albergheria, in demolizione per il taglio della via Mongitore38. Si trattava di due nicchie a commesso marmoreo, un Crocifisso ligneo e una tela della Madonna delle Grazie che attribuisco alla mano di Olivio Sozzi39. Le nicchie, che per anni furono collocate ai lati del presbiterio della nuova parrocchia, non sono più lì, perché un altro parroco,dieci anni dopo, ne richiese la rimozione in quanto discordanti con lo stile del resto della chiesa40. La loro attuale posizione purtroppo è ignota. Le altre due opere, invece, finirono per errore della Commissione nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie in Corso del Mille. Quando la Commissione si rese conto dell’errore chiese la restituzione delle opere. Tuttavia, il parroco confessò che i fedeli avevano ormai legato l’immagine della Madonna delle Grazie al titolo della parrocchia e, per questa ragione, chiedeva di potere trattenere le opere, cosa che gli fu accordata (Fig. 11)41.
Questo episodio mi permette di introdurre un altro particolare aspetto relativo ai movimenti d’opere d’arte che stiamo analizzando, cioè quello dell’iconografia. Come visto nel caso della Madonna delle Grazie o del San Vincenzo de’ Paoli predicando, molto spesso l’iconografia dell’opera è stata l’elemento che ha giustificato il suo spostamento verso un nuovo luogo di culto determinato, ovvero quello la cui titolarità ben vi si connetteva. Un altro caso esemplare è quello della Parrocchia di Santa Maria degli Angeli a Partanna che nella sua abside conserva un bellissimo rilievo della Madonna degli Angeli di scuola gaginesca (Fig. 12). Secondo una testimonianza di Adriana Chirco appartenne ai principi di Partanna, la cui cappella privata costituì il nucleo d’origine dell’attuale parrocchia42. Nel 1985 Mons. Collura incamerò l’opera nel Museo Diocesano e, al numero 177 del suo inventario, la disse proveniente dalla parrocchia di Partanna43. Soltanto un anno dopo il bassorilievo, che era stato condotto al museo «per abbellirlo»44, fu restituito alla chiesa, certamente perché la sua iconografia vi si connetteva ormai indissolubilmente.
Nella Chiesa di Maria Santissima Assunta alla Noce si trova una Assunta che, secondo il prof. Mazzarino dell’Accademia delle Belle Arti di Palermo che la restaurò nel 2000, è attribuibile all’ambito di Elia Intergugliemi. Nella Chiesa di Santo Spirito in via Juvarra una Pentecoste del XVII secolo di chiara derivazione spagnola dimostra una volta di più come la titolarità del tempio e l’iconografia delle opere che vi arrivavano non può certo essere sottovalutata. In un caso curioso, questa relazione fu così forte che portò la devozione dei fedeli a cambiare, non sappiamo se consapevolmente o meno, il nome di un’opera. Parlo dell’Incoronazione della Vergine che si conserva nel presbiterio della Chiesa della Mater Dei a Valdesi. Per quanto l’iconografia dell’opera, che Mauro Sebastianelli attribuì a Gaspare Serenario, sia evidentemente quella indicata, i fedeli continuano a considerarla una Assunzione della Vergine. Questo comportamento è forse da attribuire anche al fatto che, almeno fino al 1906, nella borgata di Valdesi esisteva una piccola cappella dedicata all’Assunta, fatta edificare nientemeno che da Ferdinando IV di Borbone45. Se al momento non esistono dati per affermare se questa opera provenisse proprio da quella cappella, si può però evidenziare – e perché no, ammirare – la persistenza nella devozione dei fedeli del tema dell’Assunzione di Maria.
Ormai ci siamo addentrati abbastanza nel tema per cominciare a chiederci in che misura i movimenti che sto analizzando siano stati positivi per le opere d’arte. È risaputo, infatti, che qualunque sradicamento di un manufatto dal luogo per il quale era stato originariamente previsto, se non addirittura creato, ne menoma il potere estetico. Bisogna chiedersi se questo vale anche per gli spostamenti che sono originati da avvenimenti che irrimediabilmente cancellano gli edifici in cui questi manufatti sono contenuti. Nei casi che stiamo analizzando, mantenere gli oggetti d’arte nei luoghi d’origine avrebbe portato alla loro distruzione contestualmente agli sventramenti urbanistici o ai bombardamenti del ’43. Un altro aspetto positivo dei movimenti qui studiati è che, sebbene in alcuni casi e per breve tempo i manufatti siano stati custoditi in depositi o sale museali, sono poi tornati a svolgere, anche se in luoghi differenti, la funzione cultuale per i quali erano stati creati.
Dal punto di vista conservativo, è indubbio che gli spostamenti abbiano pregiudicato in molti casi le opere. Come si è visto, molte hanno avuto bisogno dell’esperta mano dei restauratori che, con l’occasione, hanno potuto studiarle e attribuirle a un artista o una scuola. Alcune chiese si sono mostrate, sotto questo punto di vista, molto più virtuose di altre. È il caso della Parrocchia di Santa Rosalia nella Piana dei Colli. Delle molte opere antiche che conserva – sono ben sette dipinti, che fanno di questa chiesa un’atipica pinacoteca – la maggior parte di esse sono state restaurate, perlopiù da studenti del corso in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali dell’Università di Palermo. Tra queste non posso non citare il San Giacomo, copia certamente coeva di un originale purtroppo perduto di Pietro Novelli, del quale si conserva anche un disegno presso i depositi della Galleria Regionale di Palazzo Abatellis46. Il Martirio di San Lorenzo forse proviene dall’antica chiesa normanna di San Lorenzo non più utilizzata dal 1900 (Fig. 13)47. Formalmente è identico al quadro già ospitato nella collezione Muratori a Roma, che però proviene dalla Sicilia ed è ormai certamente attribuito a Jacques de l’Ange. Non è possibile stabilire se si tratta di una copia o di un originale influenzato dal tenebrismo di Mattia Stomer, che si trovava in Sicilia contemporaneamente a de l’Ange48. Infine, la Presentazione di Gesù al tempio, opera inedita autografa di Elia Intergugliemi, datata 1807 (Fig. 14). Si ricordi che questo pittore, che molta fortuna ebbe tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo, fu molto presente nella Piana dei Colli durante gli anni di decorazione della Real Casina Cinese. Forse proprio in concomitanza con quel cantiere, Interguglielmi realizzò questo meraviglioso dipinto che bene esemplifica il merito dell’artista di avere introdotto in Sicilia il nuovo classicismo romano e napoletano49.
Moltissime altre opere non possono che essere semplicemente citate. Ad esempio, i numerosissimi crocifissi sei e settecenteschi, come quello della Chiesa del Santissimo Crocifisso a Pomara, proveniente dall’Oratorio dell’Ecce Homo al Capo50, o quello dell’attuale Chiesa di Santa Lucia, che vi fu trasferito dalla sagrestia dell’Oratorio di Santo Stefano al Monte di Pietà51. Ma senza dubbio più numerosi sono i quadri. Oltre a tutti quelli precedentemente citati, ho potuto ritracciare i seguenti. Del Seicento, la Flagellazione di Cristo e la Caduta di Cristo con la croce nella Chiesa di Sant’Espedito, che con molta probabilità formavano parte di una serie iconografica sulla Passione purtroppo perduta; il Cristo morente attribuibile a Mario Minniti nella Chiesa di San Giovanni Bosco52;la Madonna della Soledad nella Chiesa di Nostra Signora della Consolazione. Passando alle opere settecentesche, sempre nella parrocchia di via dei Cantieri, le due grandi tele ottagonali con l’Annunciazione e il Sogno di San Giuseppe;il Sacro Cuore di Maria tra i Santi Francesco di Paola, Rosalia, Rita da Cascia e Antonio da Padova nella Chiesa del Villaggio Santa Rosalia;la Madonna col Bambino tra i Santi Francesco di Paola, Gaetano, Francesco e Stefano nella Chiesa del Sacro Cuore a Villagrazia; la tela centinata con Sant’Agata della Chiesa della Sacra Famiglia; l’Immacolata tra i Santi Rocco e Ninfa nella Parrocchia di Santa Susanna. Anche il XIX secolo è rappresentato con la Madonna spargendo fiori, iconografia particolarissima presente in un quadro in Sant’Espedito, il Sacro Cuore di Gesù di Pasquale Sarullo nella Parrocchia di Maria Santissima Assunta alla Noce e la Madonna con Bambino della Nostra Signora delle Nazioni.
La maggior parte dei quadri, delle sculture, degli altari analizzati in questo contributo vengono menzionati qui per la prima volta. Questo è segno che, dal punto di vista della loro valorizzazione, molto lavoro deve essere ancora fatto. Per troppo tempo questi manufatti sono rimasti lontano dall’attenzione storico-artistica che pure meritano. Oggetto di culto e liturgia, fonte di nuove e forti devozioni, il loro valore è accresciuto dalla loro storia pregressa, fatta di devastazioni, spostamenti, ferite al tessuto urbano e edilizio-monumentale di Palermo, che però non hanno minato la loro importanza storica ed estetica come prodotto dell’arte umana. Ci si augura che l’aver dedicato loro questo lavoro scientifico contribuisca a trarli dall’oblio, incentivi gli episodi di restauro e, soprattutto, risvegli nei devoti palermitani, che giorno dopo giorno pregano davanti ad essi, il desiderio di valorizzare i preziosi tesori della nostra memoria sacra.
- Quest’articolo costituisce l’adattamento a un supporto scientifico delle tesi triennale e magistrale da me difese presso l’Università degli Studi di Palermo, rispettivamente negli anni 2016 e 2018. Rappresenta anche un omaggio a coloro che mi hanno accompagnato nella loro stesura e che oggi reputo miei maestri, i professori Maurizio Vitella, Pierfrancesco Palazzotto e Pablo González Tornel. [↩]
- Per un quadro generale dell’espansione urbanistica di Palermo nell’epoca contemporanea, invito alla lettura di G. De Spuches, V. Guarrasi, M. Picone, La città incompleta, Palermo 2002 ed S. Di Benedetto, L’espansione della città di Palermo fuori le mura: le borgate, i quartieri, Palermo 1996. [↩]
- Al riguardo si veda la lettera d’incarico del Pretore Duca della Verdura, datata 02 agosto 1860 e citata in S. M. Inzerillo, Urbanistica e società negli ultimi duecento anni a Palermo, Palermo 2017, p.32. [↩]
- G. De Spuches, V. Guarrasi, M. Picone, La città…, 2002, pp.212-213. [↩]
- C. Costanzo, Per la raccolta museale del Teatro Massimo di Palermo: decorazioni e opere d’arte, Palermo 2017, pp.15-50; M.C. Di Natale, Il Teatro Massimo: architettura, arte e musica a Palermo, Palermo 2018, pp.15-39; S. Proto, L’Ottocento: la città nuova e i suoi teatri, in Le mappe del tesoro: venti itinerari alla scoperta del patrimonio culturale di Palermo e della sua provincia, XII, Palermo 2015, pp.1-13. [↩]
- F. Giarrusso, Piano regolatore e di risanamento della città di Palermo: progetto, Palermo 1885. [↩]
- Il primo Piano Giarrusso del 31 maggio 1885 proponeva un disegno omogeneo e unitario tanto per la città antica da risanare e bonificare come di quella nuova da costruire. Per la prima era prevista, al principio, la demolizione di costruzioni per un totale di 22 ettari circa e di 30 mila persone da sfrattare e trasferire nei quartieri di nuova costruzione. Per l’ampliamento, invece, determinava una nuova viabilità e individuava le zone per le future edificazioni, continuando a favorire l’espansione verso nord inaugurata a principio Ottocento. Nel 1886, poiché si era considerato troppo utopistico e costoso, il progetto cambiò, prevedendo demolizioni “solo” per 18, 2 ettari e lo sfratto di 18000 persone. Per quanto concerne l’ampliamento si previde che la città triplicasse le sue dimensioni, sempre privilegiando l’asse nord-ovest a discapito di quello sud (vedi G. De Spuches, V. Guarrasi, M. Picone, La città…, 2002, pp. 172-173). [↩]
- La bibliografia al rispetto è troppo ampia per essere citata esaustivamente. Pertanto, si rimette solamente al sempre attuale lavoro di M. C. Sirchia, Il liberty a Palermo, 2° ed., Palermo 2001. [↩]
- M. Iannello, G. Scolaro, Palermo. Guida all’architettura del ‘900, Palermo 2009, pp. 24-26. [↩]
- Si veda, ad esempio, C. Quartone, Il turismo culturale e la fattibilità degli itinerari del Liberty in Sicilia, Palermo 2008. [↩]
- Nel 1912 i terreni bonificati di Mondello vennero dati in concessione alla società italo-belga Les tramways de Palerme che ne iniziò lo sfruttamento con la creazione di alcuni villini e la cessione di lotti a privati perché ne fabbricassero altri. La società fu responsabile anche della costruzione dello stabilimento balneare e della linea tramviaria che collegava la borgata balneare alla città, incentivandone il turismo (vedi M. Iannello, G. Scolaro, Palermo…, 2009, pp. 38-41 [↩]
- Idem, pp.17-21; A. Chirco, M. Di Liberto, Via Roma: la “strada nuova” del Novecento, Palermo 2008. [↩]
- Decreto-legge n.886 del 26 maggio del 1926. [↩]
- Una più dettagliata disamina degli edifici di Palermo e dell’intera Sicilia danneggiati dai bombardamenti è fornita in Mario Guiotto, I monumenti della Sicilia occidentale danneggiati dalla Guerra, a cura della Soprintendenza ai Monumenti di Palermo, Palermo 1943. [↩]
- Si veda, per esempio, il fondamentale contributo del soprintendente Mario Guiotto in P. Palazzotto, “Mario Guiotto Soprintendente ai Monumenti in Sicilia occidentale (1942-1949): tutela e restauro a Palermo nel secondo dopoguerra”, in Critica d’Arte e Tutela in Italia: figure e protagonisti nel secondo dopoguerra. Atti del Convegno del X anniversario della Società Italiana di Storia della Critica d’Arte (SISCA), 17-19 novembre 2015, a cura di C. Galassi, Passignano 2017, pp.467- 486. [↩]
- M. Iannello, G. Scolaro, Palermo. Guida…, 2009, pp.124-127. [↩]
- Si rimanda al catalogo dell’ultima mostra realizzata presso l’Oratorio, Serpotta e il suo tempo, Catalogo della mostra (Palermo, 23 giugno-1 ottobre 2017), a cura di V. Abbate, 2017, in cui gli stucchi dell’antico Monastero delle Stimmate furono esposti con altre opere del grande stuccatore palermitano provenienti dal Museo Diocesano di Palermo e artefatti di artisti contemporanei. [↩]
- Per quest’aspetto risulta fondamentale il lavoro di P. Palazzotto, Il “Fondo Pottino-Collura”. Per una storia delle collezioni del Museo Diocesano di Palermo, in Storia e arte nella Scrittura, L’Archivio Storico Diocesano di Palermo a 10 anni dalla riapertura al pubblico (1997-2007), S. Flavia 2008, pp. 247- 284. [↩]
- La tela è registrata al numero 316 nell’inventario del Museo Diocesano redatto da Mons. Collura attorno agli anni Settanta, il quale cita anche la collocazione del crocifisso al C.E.P. e la sua provenienza originaria. ASDPa, Fondo Pottino-Collura, fasc. “Inventario del Museo diocesano redatto da Mons. Collura”, n.5; M.C. Di Natale, Il Museo Diocesano di Palermo, Palermo 2010, p.18, fig. 8. [↩]
- Ettore Sessa, Le Chiese a Palermo, 2003, pp. 234-238. [↩]
- Gaspare Palermo, Guida istruttiva per Palermo e i suoi dintorni, Palermo 1984, p. 123. Si segnali che il coperchio del fonte non è quello originale. [↩]
- ASDPa, Fondo Pottino-Collura, fasc. “Santa Croce”, lettera di Salvatore Renda Pitti datata 12 giugno 1968, n.2, ed estratto de La Sicilia eucaristica. Studi di archeologia eucaristica siciliana, 1924, che cita il ciborio nella cappella del Sacramento, sita nell’abside destra dell’antica chiesa. [↩]
- M. Guiotto, I monumenti della Sicilia occidentale…, 1943. [↩]
- Bisogna sottolineare però che la provenienza dell’opera dalla Chiesa di Santa Croce non è supportata da alcuna documentazione, basandosi esclusivamente su una tradizione orale. [↩]
- Questionario n.1 redatto dal parroco in data 9 agosto 1947 che cita 3 altari da Santa Lucia, 2 altari da Santa Croce e il fonte battesimale da Santa Croce, in ASDPa, Fondo Pottino-Collura, fasc. “S. Lucia al Porto”, n.3; P. Palazzotto, Il Fondo “Pottino-Collura” …, 2008, p.271. [↩]
- Si veda nota anteriore. [↩]
- Inventio Crucis. Il restauro del Crocifisso della chiesa San Luigi Gonzaga a Palermo, testi di Filippo Sarullo [et al.], Bagheria 2009, pp.57-60. [↩]
- Idem, pp. 34-35. [↩]
- ASDPa, Fondo Pottino-Collura, fasc. “S. Lucia al Porto”, n.3. [↩]
- Ibidem. Riporto il testo integrale del manoscritto: «Tre altari trasportati in S. Luigi. Altare di S. Lucia in S. Luigi come altare mag. L’altare magg. di S. Lucia fu collocato a sinistra entrando e da destra fu collocato l’altare del Crocif. Ma il Crocifisso oggi è dentro l’urna della chiesa delle Croci. Ivi anche balaustra, lampadari, organo, campane e la biblioteca e la statua di marmo che era sulla facciata di S. Lucia». [↩]
- A. Chirco, Palermo, la città ritrovata. Itinerari fuori le mura dalla Conca d’Oro, ai Colli, a Mondello, Palermo 2006, p. 444 ed Ettore Sessa, Le chiese…, 2003, pp. 248-249. [↩]
- Arcidiocesi di Palermo, Sinodo Diocesano XIV celebrato dall’Em.mo e Rev. Signor Cardinale Ernesto Ruffini del titolo di S. Sabina Arcivescovo di Palermo e Amministratore Apostolico di Piana degli Albanesi (Palermo 7-9 luglio1960), Palermo 1962, pp. 117-118. Anche citato in P. Palazzotto, Il “Fondo Pottino-Collura” …, 2008, pp.267-268. [↩]
- Ibidem. [↩]
- ASDPa, Fondo Pottino-Collura, fasc. “San Vincenzo de’ Paoli”, lettere del 30 agosto, del 17 e del 18 settembre 1945, n.3. [↩]
- Idem, lettera del 22 dicembre 1945 in cui, relativamente alla questione del quadro, il parroco si scusa per la mancata tempestività nel ritiro dello stesso. [↩]
- P. Palazzotto, Il “Fondo Pottino-Collura”…, 2008, pp. 271-272. [↩]
- Per completezza è bene riferire che il parroco della chiesa mi disse di possedere anche un cero pasquale del Settecento, ma essendo in disuso per il suo cattivo stato di conservazione non mi fu mostrato. [↩]
- ASDPa, Fondo Pottino-Collura, n.9, fasc. “Rapporti con la Commissione per l’Arte Sacra”, n.3. [↩]
- Si compari la pittura con la Madonna col Bambino del Sozzi che si trova nel Museo Pepoli di Trapani; non potranno ritenersi casuali le stringenti analogie formali e stilistiche tra il quadro trapanese e quello che sto analizzando, con il quale condivide il modo di rendere le vesti della Vergine, gli incarnati dei putti e i tenui colori pastello che saranno propri anche di Vito d’Anna, genero del Sozzi. [↩]
- Idem, fasc. “Maria SS. Regina Pacis”, n.1, lettera del 13 settembre 1946; P. Palazzotto, Il “Fondo Pottino-Collura” …, 2008, pp. 270 – 271. [↩]
- ASDPa, Fondo Pottino-Collura, n. 9, fasc. “Commissione Diocesana di Arte Sacra”, n.3. Lettera della Commissione del 20 giugno 1936 e risposta del 23 luglio 1936. [↩]
- A. Chirco, Palermo, la città ritrovata…, 2006, p.429. [↩]
- ASDPa, Fondo Pottino-Collura, n.5, fasc. “Inventario del Museo Diocesano redatto da Mons. Pottino”. [↩]
- La nota di restituzione, datata 26 aprile 1986, si trova in ASDPa, Fondo Pottino-Collura, n.9, fasc.“Rapporti con la Soprintendenza”. In questa lettera Mons. Collura sbagliò il numero d’inventario dell’opera (117 anziché 177), forse confondendolo con il numero civico della parrocchia. [↩]
- A. Chirco, Palermo, la città ritrovata…,2006, p.467. [↩]
- S. Grasso, scheda III. 65b, in Pietro Novelli e il suo ambiente. Catalogo della mostra, a cura di M. P. Demma, Palermo 1990, pp. 418 – 419, che però identifica il disegno come quello preparatorio per il dipinto, come si è detto perduto, che si trovava nella Chiesa “de’ Projetti” del Collegio di San Rocco. [↩]
- A. Chirco, Palermo, la città ritrovata…, 2006, pp. 388 – 389. [↩]
- Peraltro, un originale di Stomer di questo tipo iconografico e molto simile al nostro quadro si incontra presso la Biblioteca Casatanense di Roma. [↩]
- Per completezza dicasi che le altre pitture custodite nella Chiesa di S. Rosalia sono una Annunciazione e una Adorazione dei Magi del XVII secolo, una Immacolata e una Madonna della lettera del Settecento, tutte opere purtroppo anonime. L’elevato valore artistico dei beni custoditi in questo edificio fu opportunamente appuntato dal sacerdote Giovanni Lo Cascio nel 1971, quando chiese particolari ed opportune cautele per la custodia e la difesa (ASDPa, Fondo Pottino-Collura, n.3, fasc. “S. Rosalia (S. Lorenzo Colli)”, lettera 30 luglio 1971). [↩]
- Idem, n.9, fasc. “Elenco degli oggetti d’arte entrati nel Museo Diocesano dal 20 gennaio 1970”. Vedi anche P. Palazzotto, Il “Fondo Pottino-Collura” …, 2008, p.263. [↩]
- ASDPa, Fondo Pottino-Collura, n.9, fasc. “Elenco degli oggetti d’arte entrati nel Museo Diocesano dal 20 gennaio 1970”. Altri crocifissi che si sono rintracciati, ma di cui si ignora la provenienza, sono quello custodito nella sacrestia della Chiesa della Nostra Signora delle Nazioni – l’unico secentesco –, nella Chiesa di S. Basilio, nella Chiesa del SS. Crocifisso ai Ciaculli – che conserva anche una Sacra Famiglia novellesca –, nella Chiesa di Sant’Espedito, nella Parrocchia dell’Annunciazione in Villaggio S. Rosalia e in quella del Cuore Eucaristico di Gesù in Corso Calatafimi. [↩]
- Il quadro che oggi è malamente esposto nella controfacciata proviene dalla Chiesa dei Credenzieri come documentato in ASDPa, Fondo Pottino-Collura, n.9, fasc. “Commissione Diocesana di Arte Sacra”, n.3. Vedi anche A. Chirco, Palermo, la città ritrovata…, 2006, p.19 e P. Palazzotto, Il Fondo “Pottino-Collura” …, 2008, p.270. [↩]