Giuseppe Tavolacci

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Intagliatori lignei a Mezzojuso: le opere di Bonanno e Spampinato nelle chiese Maria SS. Annunziata e San Nicolò di Myra

DOI: 10.7431/RIV21132020

A circa 40 km da Palermo, situato sulla collina Brinja, sorge Mezzojuso paese di origine araba da cui prende il nome. Dopo alcuni secoli di abbandono il centro venne ripopolato, nel XV secolo, dagli albanesi fuggiti a causa dell’invasione turco-ottomana che in quel periodo interessava la penisola balcanica. Da quel momento in poi “latini” e “bizantini” diedero inizio a una serie di opere che portarono alla ricostruzione o all’edificazione di alcuni edifici simbolo della cittadina1. Tra tutti spiccano le due chiese collocate, una accanto all’altra, nella piazza principale del paese. In posizione sopraelevata, accanto al cosiddetto “Castello” antica dimora della famiglia Corvino2, vi è la parrocchia di Maria SS. Annunziata di rito romano, ricostruita intorno al 1572 forse su una preesistente chiesa di origine normanna3. Sulla piazza sorge la parrocchia di San Nicolò di Myra4 di rito bizantino, costruita dagli Albanesi intorno al 15165.
Nel corso dei secoli gli edifici furono interessati da molti lavori di adeguamento ai nuovi stili che l’arte via via andava imponendo, dando ottime occasioni di lavoro per gli artigiani e gli abitanti del luogo. È proprio in questo contesto che emergono le figure di Salvatore Bonanno e Gaspare Spampinato, capostipiti delle due famiglie di intagliatori lignei che tra la metà del XIX secolo e la fine del XX lavorarono per le due parrocchie.
Pochissime notizie si hanno su Salvatore Bonanno, che nel 1869, insieme ai figli Antonino e Salvatore6, nati dal matrimonio con Antonina Mancuso, esegue la porta della parrocchia di San Nicolò di Myra7 con legno di pino proveniente dalla contrada Pignaro8. I documenti riferiscono che i due figli proseguirono l’attività paterna di falegnami-intagliatori lavorando esclusivamente per la matrice greca, eseguendo lavori di vario genere.
Figura di maggiore spicco è Antonino che inizia a lavorare autonomamente a partire dal 1870. Il figlio di questi, Giuseppe, nato il 1° Gennaio 1861 dall’unione con Rosa Cuccia, segue fin dalla tenera età il mestiere del padre. Non a caso la prima opera documentata è il Pulpito (Fig. 1), collocato nella navata laterale sinistra della chiesa, eseguito nel 1871 da Antonino con la collaborazione di Giuseppe nel 1871. Insieme a quest’opera furono realizzati tre confessionali in legno di abete di cui uno fisso posto proprio sotto il pulpito9. Quest’ultimo manufatto, di forma poligonale, è costituito da un parapetto sorretto da un peduccio e sormontato da un baldacchino a frange. La parte interna del baldacchino è decorata da un intaglio con lo stemma cardinalizio e il triangolo con l’occhio,  simbolo della Trinità10. Il parapetto, sulla parte frontale, presenta una croce greca con l’acronimo “Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore”11  mentre gli altri intagli si ispirano a motivi floreali molto simili a quelli presenti negli stucchi che decorano le pareti dell’edificio. L’opera aderisce al classicismo accademico ottocentesco, così come tutta la produzione dei Bonanno. Negli stessi anni gli intagliatori si propongono per realizzare l’iconostasi della matrice greca per un prezzo di 50 onze, senza però aver visto ancora i disegni. Dalla “Corrispondenza per la realizzazione dell’iconostasi” ancora custodita nell’archivio parrocchiale si apprende che la cosa non andò in porto. In una annotazione si legge, inoltre, «per l’affare […] dei Bonanno qua son tutti contrari poiché staremo 10 anni almeno a vedere il Vima»12. Probabilmente gli intagliatori erano famosi per la loro lentezza d’esecuzione o forse all’interno del Consiglio che doveva occuparsi della questione non erano benvisti. Il dato certo è che l’iconostasi, in quegli anni, non venne realizzata.
Nel 1887 circa, Giuseppe sposa Francesca di Salvo da cui avrà numerosi figli13.
Avendo ormai una famiglia da sostenere il lavoro si intensifica.
L’otto settembre 1888, durante l’arcipretura di Antonio Maria Figlia14, Giuseppe Bonanno s’impegna con i papàdes Antonio Maria Figlia, Ciriaco Cuccia e Giovanni Cavadi a eseguire «un casserizzo per uso della Madrice Chiesa Greca – Quale casserizzo dovrà essere nel prospetto eseguito giusta il modello qui annesso e firmato dai sottoscritti»15.  L’armadio (Fig. 2) dovrà misurare 4 metri di larghezza e 2,50 metri di lunghezza e dovrà essere composto, nella parte superiore, da tre sezioni e nella inferiore da sei cassoni. Tutto il legno necessario dovrà essere acquistato dal maestro mentre i piccoli lavori d’intaglio e gli accessori in rame saranno a spese dei committenti. Il pagamento di £ 400,00 sarà dilazionato in due versamenti da fare uno a Settembre 1889 e l’altro nel Settembre 189016. L’opera non presenta particolari caratteristiche formali. Gli sportelloni e i cassetti sono separati da tra loro da lesene scanalate sormontate da capitelli corinzi. La parte superiore è decorata da quattro vasetti neoclassici mentre le restanti decorazioni presentano motivi a volute
Circa un decennio dopo, il 5 Settembre 1900, lo stesso arciprete Figlia commissiona a Giuseppe Bonanno «un così detto Ghinechion17 (Fig. 3), il quale poggiando in alcuni regolari pilastrini verrà innalzato sopra la porta grande d’ingresso», lungo 4 metri, largo 2 metri e alto 4 metri in legno di pino pece ben stagionato. Tutti i pezzi dovranno essere trattati con olio di lino e verniciati con vernice inglese scura. Per i lavori di intaglio si lascia ampia libertà al «genio del Bonanno» affinchè possa realizzare «un complesso di bella ed elegante estetica»18. La scala di salita dovrà essere a chiocciola e chiusa in modo tale da garantire alla persona che vi sale «la decenza». La consegna dovrà avvenire entro il mese di Ottobre e il prezzo si stabiliva in lire 400,00, metà pagate al momento della consegna e metà nell’Agosto 190119.  L’opera si presenta come una sorta di grande vestibolo con tre ingressi. Il coronamento della struttura è formato da una teoria di colonnine scanalate alternate a piccole margherite inserite all’interno di quadrati. Bella la resa volumetrica della scala con l’alternarsi di pieni e di vuoti con la decorazione a traforo che rende più leggera la struttura pur assicurando la discrezione richiesta dalla committenza.
Sempre al 1900 risale l’esecuzione dell’Iconostasi (Fig. 4) della Chiesa di Santa Maria di Tutte le Grazie20. Il rettore della Compagnia, tale Carmelo Spata, dà l’incarico ad Antonino Bonanno di progettare la complessa opera con un preventivo di spesa di £ 550,00. L’appalto viene ufficializzato l’otto Ottobre 1900 e s’incarica della realizzazione il figlio Giuseppe che nel settembre del 1901 riceve £ 450,0021. L’iconostasi, che si erge sull’antica balaustra, presenta la colorazione naturale del legno arricchita da elementi dorati. Le decorazioni del mensolone e delle esili lesene, che fingono di sorreggere l’intera struttura, rimandano a quelle presenti nel pulpito e nel ghinechion precedentemente realizzati. Sotto il mensolone un’ampia fascia dorata riporta l’iscrizione in greco: «Santo, Santo, Santo il Signore dell’universo. Il cielo e la terra sono pieni della tua gloria».
Nell’iconostasi vennero collocate le antiche icone della Pergula22 della stessa chiesa e quelle che facevano parte della vecchia iconostasi di San Nicolò di Myra23.
Ultima opera documentata del Bonanno è l’Urna processionale (Fig. 5) eseguita nel 1910 e indorata da Antonino Roccheri24 di Palermo. Il costo complessivo per la sua realizzazione ammontò a £ 711,2025. L’opera ha la forma di un parallelepipedo con copertura piramidale che culmina in un piccola croce greca. La struttura lignea si alterna a grandi vetrate che permettono la visione del simulacro del Cristo deposto il Venerdì Santo. Il tutto è ampiamente decorato con festoni e testine di cherubini alate. Ai quattro angoli della parte superiore alcuni putti sorreggono gli strumenti della Passione mentre in quelli della parte inferiore quattro aquile bicipiti, in riferimento alla cultura arbereshe del paese, sorreggono l’intera struttura. Da questo periodo in poi non si hanno più notizie sull’attività di Giuseppe Bonanno che muore il 1° Agosto 194026. Dalle testimonianze orali sembra che i figli Vincenzo e Nicola abbiano continuato l’attività di famiglia nella bottega sita in Corso Garibaldi, vicinissima alla piazza, che però non fu più portata avanti dai discendenti.
Altra figura interessante nell’ambito della scultura lignea locale è quella di Gaspare Spampinato, figlio di Cristofaro e di Michelina Cuttitta. Nato il 19 Novembre 184927, a 25 anni sposa Caterina Cavadi, figlia di Demetrio e di Maria D’Orsa. Sembra che i giovani sposi avessero una situazione economica di tutto rispetto: lui lavorava come falegname e intagliatore presso la bottega di famiglia mentre lei viene indicata come “industriosa e tessitrice”, quindi capace di svolgere molti tipi di lavori manuali.            L’anno successivo alle nozze, nel 1876, nasce il primogenito Cristofaro che, insieme al fratello Giuseppe, di 10 anni più piccolo28, è il protagonista del rinnovamento e adeguamento stilistico delle due principali chiese del paese.
Non sappiamo se i due intrapresero un percorso di formazione, ma ciò che è certo, esaminandone la produzione, è che ebbero modo di osservare dal vivo o tramite illustrazioni molte delle opere lignee presenti nelle chiese di Palermo e dintorni.
L’opera che meglio rappresenta il loro orientamento stilistico è il Coro ligneo (Fig. 6) della chiesa di Maria SS. Annunziata di Mezzojuso realizzato nel 1900 in legno di noce. Il Coro è composto da sei scranni per lato di cui due a trono riservati per il vescovo e il celebrante. Le spalliere sono divise da lesene scanalate e con al centro dei festoni. I braccioli, nella parte superiore, sono contrassegnati da testine di cherubini alate (Fig. 7) e nella parte inferiore da motivi a voluta. Il coronamento è caratterizzato da vasi dal sapore classico. I due troni culminano con una copertura a timpano coronata da una ricca decorazione a motivi vegetali che si raccordano in un enorme conchiglia29 in uno mentre nell’altro vi è uno scudo con all’interno un giglio30. L’opera segue fedelmente il bozzetto realizzato nello stesso anno31 (Fig. 8). L’unica variazione si nota nella sostituzione di un cherubino con la conchiglia e qualche piccola modifica negli intagli di coronamento. Non è da escludere l’ipotesi che Gaspare e figli si siano ispirati al Disegno del prospetto di spalliera, sedili e tavolo del refettorio del monastero eseguito da Giacomo Amato32 per il Reclusorio delle Vergini delle monache benedettine di Palermo, bombardato nel 1943, come pure ai disegni degli intagli per la stessa opera ideati dall’Amato ed eseguiti da Antonino Grano e altri collaboratori dell’architetto palermitano33. Gli intagliatori traevano probabilmente spunto per la loro opera anche da manufatti più antichi ancora esistenti, come il grandioso Coro ligneo dell’Abbazia di San Martino delle Scale, realizzato tra il 1591 e il 1597 da Nunzio Ferraro e Giovan Battista Vigliante, artisti napoletani. L’arte della Maniera qui è presente attraverso cartigli, festoni, vasi con fiori, uccelli e persino figure umane che si mescolano ai motivi vegetali34.
Altra opera realizzata dagli Spampinato di cui possediamo ancora il bozzetto preparatorio è l’Armadio (Fig. 9) in legno palissandro della sacrestia della parrocchia latina. Eseguito nel 1905, si racconta che fu pagato con il ricavato della vendita di un vecchio armadio in noce. Il nuovo armadio (Fig. 10), diviso in sei sezioni su due ripiani in cui sono inseriti dei cassettoni per poter conservare gli arredi liturgici e tutto ciò che necessita per la celebrazione eucaristica, presenta le medesime caratteristiche formali e stilistiche del Coro con decorazioni a festoni, conchiglie e motivi vegetali. Le sezioni sono separate da lesene con capitelli ionici e ghirlande. La parte superiore centrale, che accenna a un timpano, culmina con una croce polilobata su cui è posto un crocifisso in ottone. Agli estremi del timpano due angeli oranti, poggiati su delle nuvole, rivolgono lo sguardo verso la croce, dettaglio che potrebbe essere stato ispirato dal Tabernacolo ed angeli (Fig. 11) in legno policromo e dorato del XIX secolo. Nell’opera due grandi angeli inginocchiati sorreggono una ghirlanda di fiori con all’interno il cuore fiammante di Cristo. Il tutto è coronato da una nuvola con testine di cherubini alate che costituisce il vero e proprio corpo centrale del tabernacolo35.
La produzione dei fratelli Spampinato non si limita solamente ai grandi arredi liturgici ma prosegue nella produzione di confessionali, porte, cornici e nella progettazione di edicole votive e ornamenti d’arte decorativa per le immagini sacre. È il caso dei progetti per l’Edicola votiva della Madonna dei Miracoli36 di Mezzojuso che presenta caratteristiche affini alla produzione di tabernacoli delle chiese dei Gesuiti del XVII secolo e alcuni progetti elaborati dal già menzionato Amato37. Il primo progetto (Fig. 12) mostra un’edicola a tempietto con quattro colonne scanalate con capitelli corinzi impostate su un alto podio riccamente decorato a motivi vegetali. Sull’architrave poggia il timpano a volute che si raccordano al centro con uno scudo coronato tutto intorno da una grande raggiera. Una seconda versione del progetto (Fig. 13) presenta, invece, un’elaborata cornice a motivi vegetali e floreali con due puttini che con una mano sorreggono uno scudo riportante la scritta: «Ave Maria Mater Dei» e con l’altra sollevano una corona imperiale. Il disegno si rifà verosimilmente a quello del Progetto di cornice di Pietro Aquila e prende spunto inoltre dai disegni per le Macchine delle Quarantore di Giacomo Amato e Antonino Grano tutti conservati nella Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis38. L’unico progetto a essere realizzato è quello delle Corone (Fig. 14) che sarebbero servite per adornare l’immagine della Vergine dei Miracoli e del Bambino39. I manufatti in argento sbalzato, cesellato con pietre preziose (Fig. 15) seguono fedelmente il disegno originario con la solita riproposizione dei motivi vegetali e floreali e l’utilizzo degli stessi come elementi di raccordo nella parte culminante dell’opera, in questo caso un globo sormontato da una croce40. Nella parte inferiore ricordano, inoltre, la Corona della Madonna Libera Inferni della chiesa di Sant’Antonio Abate di Bisacquino. Realizzata nel primo ventennio del XVIII secolo e vidimata dal console Geronimo Cristadoro nel 1720, l’opera è attribuita all’argentiere Pietro Carlotta e presenta una decorazione floreale tipica delle espressioni artistiche del periodo41.
Tornando alle vicende della famiglia Spampinato si evidenzia che negli anni Venti del Novecento Giuseppe, oltre a essere un valente artista, si rivela anche colto committente. Insieme ai deputati della Compagnia di Santa Rosalia, Vittoriano Gebbia, Giuseppe La Barbera, Francesco Ruffo e Antonino Crisafulli, con la cooperazione del Rettore P. Tommaso Muscarello, commissiona allo scultore Vincenzo Piscitello42 di Palermo una statua della Santuzza43 (Fig. 16) da porre nella piccola chiesa in contrada Cardonera44. In questi anni prosegue ancora la collaborazione con  il fratello Cristofaro e in seguito alla morte del padre Gaspare nel 1928, la committenza si allarga e i due cominciano a lavorare anche per la parrocchia di rito greco. La prima opera per San Nicolò di Myra è del 1945 quando si pensa di collocare l’urna del Cristo morto in una cappella per evitare il continuo montaggio e smontaggio dello scranno e dell’urna stessa. Per chiudere la Cappella (Fig. 17) viene realizzata una grande vetrata arricchita da elementi lignei in noce. Nella parte superiore semicircolare l’opera presenta una grande raggiera, che si diparte da un elemento centrale con una croce e culmina in ognuno dei 9 raggi con testine di cherubini alate. Alla base di questa un architrave, riccamente intarsiato con motivi vegetali e floreali a voluta, delimita la parte fissa della porta. Contemporaneamente a questa si costruisce una base in mogano su cui poggiare l’urna. La spesa complessiva ammontò a £ 119.14745. Un anno prima che la porta fosse terminata, il 25 Luglio 1944, Cristofaro Spampinato muore46 e lascia la bottega nelle sole mani di Giuseppe.
Cinque anni dopo questi è incaricato di costruire la porta per la Cappella del santo patrono San Nicola (Fig. 18). Quest’ultima, caratterizzata pure da una grande vetrata che lascia alla vista il simulacro47, nella parte superiore è composta da un disegno che simula la metà di un fiore dai grandi petali in vetro. Nella parte centrale, culmine della porta lobata, due grandi putti in volo sorreggono una mitra48, decorata da testine di cherubini, con chiaro riferimento a quella in seta e fili d’oro custodita nella stessa chiesa (Fig. 19). Questa, realizzata da maestranze siciliane nel XIX secolo e donata dalla famiglia di Monsignor Masi per ornare la statua del Santo, è caratterizzata da elementi fitomorfi e floreali con testine di cherubini e vari vetri colorati49.
Dopo la realizzazione delle cappelle è un periodo in cui non si hanno molte notizie sull’attività di Giuseppe che prosegue nelle chiese con piccoli lavori ordinari e molte committenze private. Il suo ultimo importante lavoro per la chiesa latina è l’Antiporta (Fig. 20) realizzata un decennio prima di morire ossia nel 1973. Questa sembra essere una sorta di “riassunto” di tutta l’arte degli Spampinato. Festoni, ghirlande, capitelli, intrecci vegetali e croci decorano la struttura suddivisa in quattro grandi pannelli verticali che, aprendosi, consentono l’uscita dei fercoli per le processioni. Negli ultimi anni, rimasto solo e senza parenti diretti, Giuseppe si trasferisce in una casa di cura a Villafrati, piccolo centro poco distante da Mezzojuso, dove muore il 22 Maggio 1985. Con lui si chiude definitivamente la stagione “del legno” a Mezzojuso e la grande bottega sita in Corso Vittorio Emanuele attualmente conosciuta come “a putia ri Spampinatu”.
La varietà delle realizzazioni e le varie fonti di ispirazione utilizzate fanno della produzione dei Bonanno e degli Spampinato un grande esempio di come l’arte di un piccolo centro possa diventare un valido documento per arricchire la vasta produzione delle arte decorative siciliane e riscoprire artisti che fino a oggi sono stati considerati soltanto dei semplici artigiani.

  1. Per la storia di Mezzojuso si rimanda a G. Di Marco, Per una storia delle origini di Mezzojuso, in Mezzojuso. Storia, Arte, Cultura e Tradizioni, a cura  della Pro Loco di Mezzojuso, Mezzojuso 2018. []
  2. Nobili mercanti di origine pisana che si stabilirono a Palermo nei primi anni del XVI sec. Col tempo riuscirono a farsi strada tra gli ambienti più altolocati della città fino a raggiungere, nel 1639, la concessione del titolo di principe. Fu così che, nello stesso anno, Blasco Corvino Sabea divenne primo principe della terra di Mezzojuso. Nei secoli i Corvino, seppur non vivendo stabilmente in paese, furono munifici donatori e committenti lasciando molte tracce della loro presenza. Il nobile ceppo si estinse con l’ultimo principe Francesco Paolo Corvino Filangeri che morì, nel 1832, senza lasciare eredi cfr. Ignazio Gattuso Opere, a cura di M. Mandalà, P. Di Marco e  P. Di Miceli, vol. II, Soveria Manelli 2003, pp. 1- 40. []
  3. Secondo Ignazio Gattuso, storiografo locale, poco chiara è la questione sull’ origine della chiesa. È certo che nel 1572 fu aperta in seguito ad alcuni lavori e che a partire dal 1658, in seguito al lascito di un certo Pietro Minì, fu interessata da una serie di lavori di ampliamento e ristrutturazione. Nuovi restauri si ebbero nel primo decennio del XIX secolo. Si veda Ignazio Gattuso…, 2003,  vol. III, pp. 179- 199. []
  4. Il santo acque a Patara nel 280 e fu vescovo di Myra in Licia. Durante il Concilio di Nicea si oppose duramente al vescovo eretico  Ario e per questo venne incarcerato. Gli fu restituita la libertà grazie a una visione di Cristo e della Madonna. Morì a Licia tra il 345 e il 352. Le sue spoglie furono trafugate nel 1087 per essere salvate dai Turchi e portate a Bari. Nell’iconografia viene rappresentato in abiti vescovili, benedicente e con in mano il vangelo e il pastorale cfr. A. Tradigo, Icone e Santi d’Oriente, Milano 2004, pp. 308- 309 e R. Giorgi,  Santi. Giorno per giorno tra arte e fede, Milano 2005, p. 716. []
  5. Sembra logico pensare che l’attuale chiesa sia stata costruita nella parte bassa della piazza perché la parte alta era già occupata da un’altra chiesa. Notizia certa è che l’edificio di culto fu costruito nel 1516 e terminato nel 1520. In seguito venne costruito il campanile sull’antica torre dell’orologio preesistente alla chiesa. A partire dal 1851 l’interno dell’edificio sacro  fu abbellito di stucchi e adorni in stile greco e sistemati i pavimenti. Il rifacimento del prospetto, la sopraelevazione del campanile e del podio attorno all’edificio vennero progettati da Francesco Paolo Palazzotto e portati avanti da Tommaso Zangari. Per approfondimenti cfr. Ignazio Gattuso…, 2003, pp. 205- 212 e P. Palazzotto, Architettura sacra a Mezzojuso. Il gusto della tradizione tra barocco e neostili,  in Mezzojuso, pp. 99- 109. []
  6. Salvatore sposò Grazia Vita Lercara da cui ebbe 4 figli. Il primogenito maschio morì pochi mesi dopo la nascita e sugli altri 3 non si hanno notizie. Si veda  Archivio Parrocchia Maria SS. Annunziata (d’ora in poi APMSSA), Liber Mortuorum 1893- 1906, f. 16. []
  7. Archivio parrocchiale di San Nicolò di Myra (d’ora in poi APSNM), cartella XI, carpetta 6, fascicolo 1. Nel documento viene specificato che la vecchia porta venne smontata dalla matrice e collocata nella chiesa di San Rocco. []
  8. È il nome di una delle numerose contrade di Mezzojuso posta nella parte ovest del paese. []
  9. APSNM, Ibidem e carpetta 12, fascicolo 1. []
  10. J. Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, Milano 1974, p. 306. []
  11. Si veda J. Chevalier, A. Gheerbrant, Dizionario dei simboli, vol. I A-K, Milano 2010, pp. 341-  351. []
  12. APSNM, cartella XI, Corrispondenza Iconostasi. []
  13. La coppia ebbe nove figli di cui sopravvissero soltanto 5. Gli altri 4 morirono tutti in tenera età. Da quanto si evince dai vari registri dei defunti dell’ APMSSA. []
  14. Antonio Maria Figlia nacque a Mezzojuso il 15 Aprile 1863. Fu ordinato sacerdote nel 1885 e divenne arciprete della parrocchia di San Nicolò di Myra l’anno successivo. Molte opere furono eseguite durante la sua permanenza in parrocchia e si racconta che nel 1910 abbia finanziato la costruzione del coro, eseguito da Vincenzo La Parola, per la parrocchia di Palermo di cui non si hanno notizie cfr. Papàs Lorenzo Perniciaro Cronologia degli arcipreti della chiesa madre San Nicolò di Mira di Mezzojuso, a cura di A. e N. Perniciaro, Mezzojuso 2015, pp. 48- 51. []
  15. APSNM, cartella XI, carpetta 6, fascicolo 1. []
  16. Ibidem. []
  17. Con questo termine si faceva riferimento al gineceo, luogo di separazione destinato alle sole donne. Già nel 1797, grazie al lascito del Sac. Paolino Buccola si era pensato di costruirlo ma ancora nel 1806 non era stato realizzato. Nelle chiese sia latine che bizantine vi era infatti l’usanza di far prendere posto alle donne nella navata centrale mentre gli uomini si sistemavano nelle navate laterali o dietro di loro cfr. Ignazio Gattuso…, 2003, p. 210. []
  18. APSNM, cartella XI, carpetta 6, fascicolo 6. []
  19. Ibidem. []
  20. Per approfondimenti si rimanda a Ignazio Gattuso…, 2003, pp. 200- 204. []
  21. Non sappiamo il motivo per cui l’opera venne pagata £ 100 in meno rispetto al prezzo pattuito. APSNM, cartella XI, carpetta 10, fascicolo 2. []
  22. Struttura in legno o in ferro che svolgeva la stessa funzione dell’iconostasi. Qui le icone erano sistemate tra gli spazi creati dal pergolato. []
  23. Si veda J. L. Hopie, Le Icone di Mezzojuso,  in Arte Sacra a Mezzojuso, catalogo della mostra (Mezzojuso, Chiesa di Santa Maria di tutte Le Grazie, 22 Dicembre- 27 Gennaio 1991) a cura di M.C. Di Natale, Piana degli Albanesi 1991, pp. 29- 62 e G. Travagliato, Le Icone, in Tracce d’Oriente.  La tradizione liturgica greco- albanese e quella latina in Sicilia, catalogo della mostra (Palermo, Palazzo Bonocore, 26 ottobre- 25 novembre 2007) a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2007, pp. 141- 152. []
  24. Non si hanno notizie su questo artista. []
  25. APSNM, cartella XI, carpetta 3, fascicolo 5. []
  26. APMSSA, Defunti dal 1929 al 1957, vol. 20, f. 16. []
  27. APMSSA, Libro dei Battesimi 1844- 1850, f. 144. []
  28. Era infatti nato il 1° Giugno 1886, APMSSA, Libro dei Battezzati 1884- 1890, f. 34. []
  29. Simbolo della dea Venere e dei carri, tirati da delfini o ippocampi, utilizzati dagli dei marini. In ambito cristiano è divenuta il simbolo del pellegrinaggio cfr. Hall, Dizionario…, 1974, p. 110. []
  30. Simbolo di purezza spesso associato alla Vergine Maria e alle sante vergini. Compare nell’iconografia dell’Annunciazione e in mano alle sante Caterina, Clara, Eufemia e Scolastica. Tra i santi invece troviamo Giuseppe, Francesco d’Assisi, Francesco Saverio, Filippo Neri, Tommaso d’Aquino e l’Arcangelo Gabriele cfr. Hall, Dizionario…, 1974, p. 200. []
  31. Il bozzetto è conservato in APMSSA. []
  32. Nato a Palermo nel 1643, non è solo architetto ma ideatore di apparati effimeri e di cicli decorativi in stucco cosa testimoniata dalla grande produzione di disegni autografi oggi custoditi nella Galleria Regionale della  Sicilia di Palazzo Abatellis. Dopo avere studiato presso Paolo Amato, nel 1671, si trasferì a Roma. Nel 1685 fece ritorno a Palermo dove progettò la facciata della chiesa di S. Maria della Pietà e S. Teresa alla Kalsa. Nel 1699 firmò il disegno per la decorazione in stucco dell’altare dell’Oratorio di San Lorenzo eseguita da Giacomo Serpotta. Morì il 26 Dicembre 1732 e fu seppellito nella chiesa di Santa Ninfa ai Crociferi si veda in proposito R. Rosano, Amato Giacomo, in L. Sarullo, Dizionario degli Artisti Siciliani, a cura di M.C. Ruggieri Tricoli, vol. I, Palermo 1993, pp. 13- 15. []
  33. Si veda M.C. Di Natale, I disegni di opere d’arte decorativa di Giacomo Amato per i monasteri di Palermo, in Giacomo Amato. I disegni di Palazzo Abatellis. Architettura, arredi e decorazione nella Sicilia Barocca, a cura di S. de Cavi, Roma 2017, pp. 33- 56. []
  34. Per approfondimenti si veda S. Campanella, A. Lipari e C. Scordato, Il coro ligneo di San Martino. Un tesoro da riscoprire, San Martino delle Scale 2006 e A. M. Ingria, Il coro di San Martino delle Scale, in G. Basile, Il Pitrè. Quaderni del Museo Etnografico Siciliano, a. III, n.  11, ottobre- dicembre 2002, Palermo 2002, pp. 53- 58. []
  35. Si rimanda a A. Cuccia, Scultura lignea a Mezzojuso, in Arte Sacra…, 1991, pp. 107- 121. []
  36. Per approfondimenti sulla leggenda e la devozione della Madonna dei Miracoli si veda Ignazio Gattuso…, 2003, pp. 221- 228 e pp. 339- 341. []
  37. Si rimanda a Ecclesia Triumphans. Architetture del Barocco siciliano attraverso i disegni di progetto XVII- XVIII secolo, catalogo della mostra (Caltanissetta 10 Dicembre 2009- 10 Gennaio 2010) a cura di M. R. Nobile , S. Rizzo, D. Sutera,  Palermo 2009. []
  38. Si veda S. de Cavi, Catalogo dei disegni, in Giacomo Amato…, 2017, pp. 287 e 377. []
  39. Secondo la tradizione orale le corone della Vergine e del Bambino furono realizzate precedentemente alla Prima Guerra Mondiale con denaro e monili donati dai fedeli ma l’incoronazione canonica dell’ immagine avvenne circa trent’anni dopo, l’8 Settembre 1949, a opera del cardinale Ernesto Ruffini cfr. Ignazio Gattuso…, 2003. []
  40. Lo ritroviamo nelle raffigurazioni di re, imperatori e pontefici a rappresentare il dominio sul territorio su cui si estende l’autorità del sovrano e il carattere totalitario di tale autorità. In epoca cristiana, sormontato da una croce, fu adottato come simbolo del Sacro Romano Impero. Nell’arte cristiana è retto da Cristo come Salvator Mundi e da Dio Padre per rappresentare il potere su tutto il creato. Lo si ritrova anche nelle raffigurazioni allegoriche e mitologiche. Si veda J. Chevalier, A. Gheerbrant, Dizionario…, 2010, p. 523 e Hall, Dizionario…, 1974, pp. 221- 222. []
  41. R. F. Margiotta, Tesori d’Arte a Bisacquino, Caltanissetta 2008, p. 74 e pp. 114-115. []
  42. Scultore palermitano autore del San Michele, del Cuore di Gesù e dell’Immacolata di Baucina. Nel 1897 eseguì una statua di Sant’Agnese per la Chiesa Madre di Canicattì e nel 1912 un San Francesco per la chiesa di Santa Maria di Gesù di Alcamo L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, vol. III, Scultura, a cura di B. Patera, Palermo 1994, p. 268. []
  43. Per approfondimenti si veda P. Collura, Santa Rosalia nella storia e nell’arte, Palermo 1977 e M.C. Di Natale, S. Rosaliae patriae servatrici, Palermo 1994. []
  44. APMSSA, carpetta Sacra Visita Pastorale 1929. []
  45. APSNM, cartella XI, carpetta 6, fascicolo 6. []
  46. APMSSA, Defunti dal 1929…, f. 512. []
  47. Venne realizzato presumibilmente verso la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo. L’immagine rappresenta San Nicolò in trono benedicente, in abiti vescovili bizantini. Tiene con la mano sinistra un libro aperto. Alle estremità del trono le due figurine del Cristo e della Madonna porgono rispettivamente il Vangelo e l’omoforion (sciarpa vescovile). Si veda Arte Sacra…, 1991, pp. 107- 121. []
  48. Copricapo caratteristico del vescovo. La versione latina si presenta di forma allungata con l’estremità bipartita mentre quella bizantina simula una corona imperiale, entrambe spesso ornate di ricami e gioielli J. Hall, Dizionario…, 1974, p. 281. []
  49. A. Campo, Mitra, in Arte Sacra…, 1991, p. 176. []