Donatella Biagi Maino

donatella.biagimaino@unibo.it

Due dipinti, una carrozza e la polemica sul lusso nel Settecento italiano

DOI: 10.7431/RIV21062020

Straordinario edificio londinese, Manor House eretta nel 1576 e sottoposta nel 1770 ad un completo restyling ad opera di Robert Adam del cui genio per le decorazioni d’interno resta la testimonianza più completa e forse la più raffinata, Osterley Park and House è oggi di proprietà del National Trust. Al suo interno è custodita una scelta collezione di dipinti, tra i quali due belle tele bolognesi raffiguranti Venere scende dal suo cocchio trainato da cigni e Giove e Cibele scacciano un Titano1 (Figg. 12).

I dipinti, squisite rappresentazioni di gran gusto di soggetti mitologici non consueti, il cui stile è sospeso tra il garbo ancora rococò dell’invenzione e la forma tondeggiante e salda delle figure concepita secondo il canone classicizzante che caratterizza l’evoluzione della pittura italiana dal sesto decennio del XVIII secolo, rappresentano un episodio assai singolare e significativo dei labili confini tra la pittura di historia e le arti decorative, e concedono alcune prime riflessioni di inedito conio sulla polemica sul lusso quale fu affrontata in Bologna, patria dell’autore delle opere: un dibattito che come è noto fu fondamentale per l’evoluzione del pensiero economico-politico dell’età dei Lumi e fu portato avanti dai migliori ingegni dell’epoca in Europa.

Avviare l’indagine sulla partecipazione al dibattito internazionale degli intellettuali della città universitaria per eccellenza, sede di quell’Istituto delle Scienze che contribuì grandemente al progresso in campo sia scientifico che artistico e letterario, è di certo interesse per l’attenzione posta alle arti decorative in un ambito che vide la creazione, per fare un solo esempio, della straordinaria avventura intellettuale e politica del marchese Filippo Carlo Ghisilieri, che sulla sua proprietà presso Bologna in località chiamata Colle Ameno creò un universo autosufficiente con laboratori scientifici, ospedale, museo archeologico, tipografia e fabbrica di ceramiche, i cui prodotti sono di qualità assoluta; alcune altre riflessioni in merito emergono dal riesame di alcuni dipinti di cui si discuterà, su tavola e su tela.

«Fra tutte le ricerche esercitate dagli spiriti di questo secolo illuminato, forse nessuna è così importante, per il bene pubblico e per l’interesse dell’umanità, quanto quella che concerne il lusso. Esso è considerato dagli uni come uno dei più grandi flagelli, e dagli altri come la fonte dell’opulenza e dell’industria»2.

Una sintesi essenziale, quasi semplicistica ma utile ai fini del nostro discorso, questa di Isaac de Pinto che pubblicò i suoi Essai sur le luxe nel 1762, a decenni dall’origine di tale disputa che attraversò tutto il Settecento, prendendo forma dagli anni ottanta del Seicento – «ricostruire la genesi della polemica sul lusso ci porta» ad «autori e temi giunti a maturazione a cavallo dei secoli XVII e XVIII»3 – allorché prende avvio il moto «della grande, dell’interminabile battaglia tra l’uomo e le cose per elaborare un ambiente di cangiante bellezza», che si esprime nell’estetica dei lumi. É questa da riconoscere nello «sforzo degli uomini dell’Europa divenuta più numerosa per costruire attorno a sé un quadro di bellezza, una bellezza per l’indispensabile relazione ontologica… una bellezza per il quadro della vita»4.

Nella Francia dei Lumi ne discussero Montesquieu, Rousseau, Voltaire, Helvètius, Holbach, Diderot, per ricordare solo i più grandi5; l’Inghilterra del mercantilismo e dello sviluppo industriale, a-cattolica e quindi lontana dalla moralità ascetica e severa e volta al mantenimento, il più rigido, dello status quo di un, ad esempio, Bourdaloue6, mette in campo David Hume, i cui Political Discourses del 1752 furono tradotti in francese l’anno successivo e in italiano nel 1767 da Matteo Dandolo, con titolo Saggi politici sopra il commercio7.

Con il Dandolo traduttore di Hume si alza il sipario sulla situazione italiana, il cui contributo al dibattito è ancora in parte da comprendere.

Sono state acutamente indagate le realtà napoletana e lombarda8; è stato messo in risalto con giustezza come la matrice cattolica abbia influenzato in larga parte il dibattito, ma è di certo spessore il fatto che l’attività di «alcuni specifici autori, come il cardinale barnabita Giacinto Sigismondo Gerdil e il gesuita Giambattista Roberti» abbia portato ad «una maggiore apertura alla cultura europea, attraverso un confronto intelligente e spregiudicato con il più aggiornato dibattito sul lusso»9.

Veneto di nascita, ma formatosi a Bologna presso il Collegio Sant’Ignazio dei Gesuiti10 dove nel 1743 fu ordinato sacerdote, il Roberti fu figura di spicco presso il coté intellettuale della seconda città dello Stato Pontificio sin dal 1751, allorché fu mandato ad insegnare filosofia in quel medesimo collegio in cui si era formato: un istituto il cui ruolo sino alla soppressione della Compagnia fu di non poco momento per le vicende della cultura non solo locale, contesto privilegiato per la presenza del più antico Studio della storia e di quell’Istituto sopra ricordato, costituito da due Accademie eccellenti, la Scientifica e quella di Pittura, Scultura e Architettura le cui attività, caso unico nel mondo, si svolgevano in parallelo nella medesima prestigiosissima sede di Palazzo Poggi.

Su quell’istituzione è stato, con giustezza, scritto molto, e tuttavia restano ancora ombre sul ruolo fondamentale che ebbero i suoi protagonisti per il progresso della cultura, e dunque della civiltà, dell’epoca, possibili grazie allo sperimentalismo degli scienziati – cito Eustachio Manfredi e Luigi Galvani per coprire tutto il secolo -, e degli artisti, pittori soprattutto e teorici loro accanto, che ha contribuito non poco all’evoluzione del pensiero.

Il Roberti, ottimo sodale di Carlo Goldoni, la cui riforma teatrale fu tra i primi a comprendere e far conoscere11, del conte Algarotti che a Bologna si era formato e dove ristette negli anni a cavallo della metà del secolo, con il quale condivise la passione per la fisica – scrisse una Lettera sull’uso della fisica nella poesia, stampata nel  176512 -, di entrambi gli Zanotti, Giovan Pietro e Francesco Maria, fu coinvolto nelle vicende della scuola di pittura – celebre l’Orazione agli studiosi di Pittura Scultura e Architettura dell’Accademia Clementina, detta nel 1758 nell’Istituto delle Scienze e ancora nel 176313 – e prese parte al dibattito internazionale sulla questione di cui si tratta, pubblicando presso i Remondini di Venezia, stampato a Bassano, un testo di grande interesse, Del Lusso. Discorso cristiano con un dialogo filosofico.

In quest’opera, del 1772, il gesuita ricorre alle regole della migliore retorica per definire ciò che è corretto e giusto a suo parere in merito, e la sottile sua argomentazione si dipana attraverso esempi e osservazioni tali da dimostrare la piena consapevolezza di essere partecipe del dibattito internazionale, come dichiareranno gli Opuscoli quattro sopra il lusso che pubblicherà nel 1785 con i Remondini a Bassano, dove si era rifugiato dopo la soppressione della Compagnia di Gesù, continuando intensa la sua attività di filosofo.

Condannando quanto del lusso si trasforma in «un eccesso di delicatezza, e di sontuosità nel comodo e nello splendor della vita […] che è condannato dall’Evangelio»14, il Roberti afferma di contro che «se per lusso s’intende studio di ritrovamenti ora comodi ora leggiadri, e di lavori ingegnosi, nulla di più laudevole: dacché per tali argomenti assottiglianti l’arti, e prosperano gli artefici, li quali mangiano con letizia, mercé l’onorata fatica, quel pane, che mangerebbono a stento in un ozio infingardo»15.

Così si comprende come fosse giustificata anche agli occhi dei più severi censori – e dunque inserita nel percorso del pensiero contemporaneo – un’operazione che coinvolse grandemente un artista affermatosi presso il pubblico internazionale come pittore di historia, le cui sontuose e modernissime pale d’altare avevano riscosso il plauso non solo degli intendenti ma anche del clero più conservatore, l’ottimo Gaetano Gandolfi.

Il pittore si prestò ad un’operazione lontana dai percorsi consueti – pitture su muro di smagliante bellezza, teste di carattere intensissime e distanti da qualsivoglia languore, come dell’epoca, dipinti di carattere sacro e da cavalletto, gioiosissime favole profane – per eseguire, operando in accordo con un artigiano del legno ovviamente espertissimo, un cocchio.

Per il senatore bolognese Vincenzo Marescalchi eseguì nel 1769, anno da lui stesso ricordato16, impegnandosi al sommo come dimostrano i molti disegni preparatori pervenutici17, gli scomparti di una carrozza d’oro, che possiamo credere essergli stata commissionata per l’occasione del passaggio a Bologna dell’imperatore del Sacro Romano Impero Giuseppe II d’Absburgo-Lorena18, in viaggio verso Roma per orientare il Conclave che era diviso tra quanti volevano un pontefice favorevole ai gesuiti e coloro i quali invece altro che procedesse alla soppressione, che avvenne, dell’Ordine.

L’imperatore sostò in città due volte, più a lungo nel viaggio di ritorno, nel marzo e nel maggio di quell’anno, due occasioni imperdibili per la nobiltà bolognese e in particolare per il Marescalchi, molto coinvolto con le politiche dello Stato Pontificio, per fare sfoggio della migliore accoglienza possibile; furono organizzati sontuosi ricevimenti, feste, una visita ovviamente in pompa magna all’Istituto delle Scienze nelle due Accademie.

Secondo il costume, il Marescalchi volle accogliere al meglio l’illustre ospite, e chiese al più eccelso artista della scuola di dipingere per la sua carrozza di gala scene mitologiche su tavole a fondo d’oro zecchino, raffiguranti «Giunone e Giove atterrano un Titano», «la caccia del cervo preso da tre cani, per aria sono geni o giovanetti alati […] Diana e due Ninfe nel bagno, piccole figure […] il trionfo di Venere o della bellezza col carteggio delle Grazie e di geni, uno de’ quali regge il globo terracqueo […] il trionfo di Nettuno che guida sul suo carro marino i cavalli e seguito da delfini per mezzo all’acqua […] uomo a cavallo, che incita al corso un cane da caccia […] una Ninfa di Diana che fa velo a sé col manto per coprire il corpo ignudo, ed altre tre compagne in attitudine si direbbe di sfuggire alla curiosità di Atteone […] Diana con altra Ninfa fuggente alla vista di Atteone già cangiato in cervo […] Milite a cavallo, in completa armatura, il quale colla spada sguainata minaccia di ferire»19.

Immagini che non esitiamo a credere bellissime anche in virtù dell’esistenza di uno scomparto della carrozza, una tavola sottile come necessario su fondo d’oro zecchino raffigurante Giove e Giunone che atterrano un titano20 (Fig. 3), a conferma che il cocchio dovette essere davvero stupefacente, una splendida visione per le vie porticate di Bologna, rilucente e smagliante per il bagliore dell’oro colpito dal sole.

Per suscitare stupore e meraviglia, certo, ciò che voleva il conte e che era in linea con il costume bolognese spesso stigmatizzato dai censori, prodigo di splendori: e dire che già nel secolo precedente in quel Paese origine della politica del lusso e del dibattito conseguente, in Francia, Luigi XIV aveva proibito, non ascoltato, l’uso dell’oro «per ristringere e moderare l’eccessiva ricchezza de’ Cocchi»21.

Dai molti disegni rimastici del progetto della carrozza Marescalchi possiamo credere che avesse la medesima foggia di una delle due berline illustrate nelle planches IV e V della voce Sellier – Carrossier dell’Encyclopédie22 (Figg. 45), più probabilmente la IV; la costruzione di un così complesso oggetto d’arte suntuaria è illustrata nella prima delle planches del capitolo, nella quale si vede un pittore al tavolo di lavoro nella grande bottega del carrozziere (Fig. 6).

Non è dato sapere se Gaetano abbia lavorato fianco a fianco con l’artigiano, ovviamente, anche se lo crediamo probabile: una così complessa costruzione richiedeva una collaborazione stretta, e dell’artista sono note la precisione e puntualità nel lavoro e insieme un tratto specifico del carattere, la serena umiltà.

L’unica tavola pervenuta ad oggi chiude un decennio che aveva registrato la crescita splendida, come si diceva, dell’arte del Gandolfi, al 1769 già affermato in patria e in Europa – era stato richiesto di opere dalla lontana Moscovia; un milord inglese gli aveva commesso quei fulgenti dipinti che sono oggi al Dublin Castle, invenzioni profane di segno libertino, di libertà assoluta e freschezza di resa23 -, e che comunque in patria si produce in operazioni al confine tra arte colta e puro decorativismo.

La carrozza, certo, piacque e le invenzioni del Gandolfi furono ammirate al punto tale da condurlo a replicare, non si sa per chi, la bella immagine con Giovane e Giunone e l’altra, altrettanto squisita, con Venere sul cocchio tirato da cigni, e le tre Grazie: sono i dipinti citati in apertura che in passato erano presso l’Arcade Gallery di Londra ed oggi, di proprietà del National Trust, sono custoditi in Osterley Park and House.

A mio parere non bozzetti, come altri ha supposto24, bensì d’aprés, eseguiti in ragione del successo delle figurazioni su fondo oro.

Immagini seducenti per l’interpretazione gioiosa del soggetto, raffigurano una Venere giovinetta e scherzosa tra puttini che si affaticano sotto il peso del globo terracqueo; alle sue spalle, le tre Grazie allacciate in un movimento quasi di danza, e ai suoi piedi alcune perle luminescenti: memore ancora della cultura accostata nel corso della sua formazione condotta tra Bologna, dominata dagli astri di Donato Creti e del grande Crespi, e la pittura luminosa dell’ottimo Vittorio Bigari, e Venezia, dove poté studiare l’arte smagliante di Giambattista Tiepolo e di suo figlio, e di Sebastiano Ricci.

La felicità di un colorismo raffinato e brioso si unisce alla solidità del disegno, secondo un lessico colto e raffinato che affonda le radici nello studio dei grandi precedenti dell’arte italiana, dal Cinquecento del Tibaldi e del Dell’Abate, i cui affreschi mirabili ornano la sede dell’Istituto delle Scienze, e del Tiziano, di Veronese, sino alla pittura amatissima dei Carracci e degli Incamminati, di Guido Reni, del Guercino e Carlo Cignani e Lorenzo Pasinelli: uno straordinario patrimonio di immagini e suggestioni cui il pronto ingegno e il talento duttile dell’artista fa ricorso alla definizione dei soggetti cui offre, nella franchezza di una pittura vivacissima e concreta, felicità di vita.

Il Giove e Giunone è un dipinto altrettanto smagliante nella purezza del dettato pittorico per equilibrio del colore, quel colore che squilla luminoso nel bianco della veste della dea che contrasta con il giallo fondo del manto, il rosso del drappo alle sue spalle; strepitoso il disegno del corpo muscoloso del Titano scacciato da Giove e spinto dal puttino seminascosto dal mantello verde scuro.

Morbidissimo, nel segno che accarezza le forme, il sembiante della bella Ebe in secondo piano, che lentamente si svela dall’ombra, appena protetta da un velo leggerissimo: in rapporto compositivo con i tre puttini che reggono le corone degli dei, a concludere in perfetto equilibrio la composizione. Ma Gaetano non andrà oltre nella produzione di simili manufatti.

Sarà il figlio suo Mauro a raccoglierne il testimone (Fig. 7), e sono celebri tre carrozze da lui decorate, custodite al Musèe National du Château de Compiègne25, i cui pannelli furono dipinti dal giovane artista nel 1789, allorché divideva la stanza col padre.

Ma i tempi erano cambiati, e la grazia leggiadra e vagamente rococò degli sportelli, dell’imperiale e le molte parti che costituivano la struttura della carrozza apprestata da Gaetano, non era più di moda e forse già nel primo Ottocento la grande e bella berlina fu smontata nelle varie parti.

Al 1861 Gaetano Giordani, per altro erudito di certo spessore, non sa riconoscere l’antico uso delle tavole a fondo oro che enumera nel Catalogo di quadri raccolti per una galleria particolare in Bologna entro il palazzo a Strada Maggiore segnato al civico N. 232 e le cita quali parti di una spinetta smembrata26.

  1. Il secondo dipinto è stato anche intitolato Zeus with Cybele expelling Chronos e Zeus with Hera expelling Hephaestus. Entrambe le tele misurano 60 x 70 cm; precedentemente erano presso la Arcade Gallery di Londra: vedi  D. Biagi Maino, Gaetano Gandolfi, Torino 1995, pp. 39-40. []
  2. Isaac de Pinto, Essai sur le luxe, Paris 1762, p. 7, in C. Borghero, Introduzione in La polemica sul lusso nel Settecento francese, Torino, 1974, p. IX. []
  3. C. Borghero, La polemica…, 1974, p. XI; C. Carnino, Lusso e benessere nell’Italia del Settecento, Milano 2014. []
  4. P. Chaunu, La civiltà dell’Europa dei lumi (Paris 1982), Bologna 1987, p. 309. []
  5. Qui citati anche perché discussi, unitamente a Mandeville, Hume nell’opera di G. B. Roberti, Del lusso. Discorso cristiano con un dialogo filosofico, Bassano 1772, sul quale più oltre nel testo. []
  6. C. Borghero, La polemica…, 1974, p. XII. []
  7. D. Hume, Saggi politici sopra il Commercio del Signor David Hume. Tradotti dall’Inglese di Matteo Dandolo veneto, Bassaglia e Pavini, Venezia 1767. []
  8. Vedi C. Carnino, Il corpo tra benefica evoluzione dei bisogni e malattia. La riflessione su lusso e consumo nel Settecento italiano, in Metamorfosi dei Lumi. 7. Il corpo, l’ombra l’eco, a cura di C. Leri, Torino 2014, pp. 39-57; Eadem, Dal dibattito sul lusso alla pubblicità sul benessere. La stampa periodica e la percezione delle trasformazioni materiali nell’Italia del secondo Settecento, in “Società e storia”, 144, 2014, pp. 249-279; Fede mercato utopia. Modelli di società tra economia e religione, a cura di M. Albertone e C. Carnino, Milano 2016, con bibl. []
  9. C. Carnino, Lusso e benessere…, p. 19. []
  10. Sul gesuita Roberti vedi la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a cura di M. Galtarossa, vo. 87, Roma 2016. []
  11. Nell’operetta giovanile in versi La commedia. Poemetto al sig. dottor Carlo Goldoni, per Lelio dalla Volpe, Bologna  1755, scrivendo la storia delle rappresentazioni dall’antichità al contemporaneo si sofferma, con parole di lode, sulla riforma goldoniana. []
  12. Si veda la recente edizione curata da S. Baragetti, Milano 2014, alla cui  introduzione si rimanda (pp. 9-13); alle pp. 15-19 l’utile Nota bio-bibliografica. Ma  cfr. anche E. Raimondi, I lumi dell’erudizione. Saggi sul Settecento italiano, Milano 1989. []
  13. G. B. Roberti, Agli studiosi di Pittura Scultura e Architettura dell’Accademia Clementina Orazione […] detta nell’Instituto delle Scienze, edita da Lelio dalla Volpe dietro impulso di G. P. Zanotti cui si deve la lettera dedicatoria. []
  14. G. B. Roberti, Del lusso…., 1772, p. 5. Il testo continua: «Il lusso coll’eccesso della delicatezza nutre la concupiscenza della carne; e coll’eccesso della sontuosità la superbia della vita». []
  15. G. B. Roberti, Del lusso…., 1772, p.4. Il testo prosegue significativamente (e finemente): «Se per lusso s’intende qualche moderato uso delle delizie innocenti, nulla di più permesso dalla benefica largità del creatore, che tante belle, e tanto soavi cose somministrò all’uomo; giacché l’austerità negletta e penitenziale, il ritiro povero e solitario è consiglio evangelico che si appartiene a pochi, non obbligo che riguardi tutti». []
  16. La datazione al 1769 della carrozza e conseguenti disegni e dipinti ad essa collegabili discende dalla citazione nella nota autobiografica di Gaetano Gandolfi, ms. B. 95, Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio:  «1769 una Carozza per il Sig. Marescalchi». []
  17. Cfr. D. Biagi Maino, Gaetano…, 1995, pp. 39. []
  18. Ibidem. L’ipotesi mi è stata suggerita da Alfeo Giacomelli. []
  19. Questo elenco dei soggetti è stilato dal Giordani per il catalogo di vendita delle rarissime tavole nell’Ottocento, quando della carrozza si era persa memoria e si riteneva che i dipinti fossero in origine parte di un clavicembalo a spinetta: G. Giordani, Catalogo di quadri raccolti per una galleria particolare in Bologna entro il palazzo a Strada Maggiore segnato al civico N. 232, Bologna 1867, pp. 10 sgg., nn. 57, 64, 68, 86, 95, 124, 154, 155. []
  20. D. Biagi Maino, in Gaetano e Ubaldo Gandolfi. Opere scelte, catalogo della mostra a cura di D. Biagi Maino (Cento), Torino 2002, p. 87. []
  21. E. Chambers, Dizionario Universale delle Arti e Scienze, t. V, Genova 1771, t. V, p.365. Si noti la concordanza delle date con il Discorso cristiano del Roberti, che certo conobbe tale Dizionario, nei volumi appartenuti o all’Istituto delle Scienze o al Collegio San Luigi. Molte, inoltre, le biblioteche private di nobili ed intellettuali aggiornatissime cui il Roberti avrebbe potuto attingere (cito per tutte quella di Filippo Trenta, altro intellettuale attivo in Bologna, al cui vicenda cultura e politica fu di notevole spicco nell’evoluzione della società locale (cfr. D. Biagi Maino, Gaetano…, 1995, pp. 96-99). []
  22. D. Diderot, L’Encyclopédie. Sellier, carrossier, charron: Recueil de planches, sur les sciences, les arts libéraux, et les arts méchaniques, avec leur explication. Sellier-Carrossier-Charron, À Paris, avec approbation et privilege du Roy, 1751-1780. []
  23. Alla recente esposizione tenutasi a Dublin Castle sono stati esposti i due  dipinti di Osterley Park and House: cfr. il catalogo della mostra Making Majesty: Building and Borrowing the Regal Image at Dublin Castle a cura di M. Campbell-W. Derham (settembre 2017 – aprile 2018), Dublin Castle 2017, p. 00. []
  24. M. Cazort, The Art of Embellishment: Drawings and Paintings by Gaetano and Mauro Gandolfi for a Festive Carriage, in Record of The Art Museum, Princeton University, 52, Number 2, 1993, pp. 29-35. []
  25. Cfr. J.-L. Libourel, Patrimoine hippomobile: ètat des lieux, “In situ. Revue des Patrimonies”, 18, 2012, URL: https://journals.openedition.or/insitu79649. Si ritiene utile pubblicare la fotografia di una carrozza firmata da Mauro Gandolfi e ad oggi perduta che è stata resa nota da L. Belloni, La carrozza nella storia della locomozione, Torino – Milano – Roma 1901, pp. 37 – 38, una berlina eseguita nel XVII secolo e riattata successivamente dal pittore: «Questa carrozza è in istato di perfetta conservazione; e su ciascuna delle sue fodrine porta dipinti episodi della storia di Ulisse e di Telemaco, firmati Mauro Gandolfì […].Ma siccome — a quanto il Du Somerard riferisce — la carrozza rimase a Bologna fino oltre alla metà del presente secolo, tanto che servì persino al solenne ingresso del papa Pio IX in Bologna il 1857, così può darsi che il Mauro Gandolfi, morto il gennaio 1834 in Bologna, abbia avuto a ridipingerla. Certo, come si può giudicare specialmente dalla riproduzione dell’avantreno, è una delle bellissime date dall’arte italiana della prima metà del secolo XVII». []
  26. G. Giordani, Catalogo…, 1861, p. 10. []