Elvira D’Amico

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Una curiosità della collezione Arezzo di Trifiletti: l’agoraio in seta dipinta dell’ammiraglio Federico Gravina di Montevago (1799 ca.)

DOI: 10.7431/RIV20072019

Una vera chicca della prestigiosa Collezione Arezzo di Trifiletti di Palermo è costituita dal minuscolo album  in seta dipinta, già appartenuto all’ammiraglio siculo-spagnolo Federico Gravina di Montevago, adibito a porta-aghi e punta-spilli, utilizzo quanto meno inusuale se rapportato all’importanza ed autorità del proprietario, testimoniato ancora dalla presenza, sulle pagine di feltro che si alternano a quelle seriche, di aghi di diverse grandezze e forme, di cui uno uncinato con filo di seta rosa ancora avvolto, e di alcuni spilli uno  dei quali con la capocchia di madreperla (Figg. 12). L’originale manufatto  giunse all’attuale destinazione dopo almeno tre passaggi, essendo stato donato dal  Gravina al suo amico palermitano principe di Valguarnera, che a sua volta lo trasmise al marchese Arezzo, antenato dell’attuale  proprietario, il prof. Gabriele Arezzo di Trifiletti, incrementando la sua già copiosa ed esclusiva collezione di costumi, accessori e manufatti d’epoca1.

L’ammiraglio Gravina (Fig. 3), nato a Palermo nel 1756 e comandante della flotta spagnola sin dal 1782, accompagnò il suo dono al Valguarnera con  una lettera, datata al 27 febbraio del 1800, spedita dalla città di Cadice, nella quale presagiva quasi la sua morte , avvenuta poi in seguito alla ferite riportate nella battaglia di Trafalgar,  il 9 marzo del 1806. Tale data costituisce dunque un terminus ante quem per la collocazione temporale del manufatto che,  grazie alle scene di battaglia raffigurate, aventi come protagonisti i soldati napoleonici – e in particolare lo scontro tra  questi e un drappello di ottomani- si può ritenere verisimilmente degli inizi del periodo della seconda coalizione contro la Francia rivoluzionaria (1799-1802) , che vede alleate la Gran Bretagna, l’Austria, la Russia, il Regno di Napoli e l’Impero ottomano.  E’ plausibile dunque che esso si configuri come un omaggio fatto al Gravina, ai tempi comandante di divisione navale, che di lì a poco avrebbe combattuto a fianco della flotta francese, divenendo ambasciatore spagnolo in Francia e riuscendo ad ottenere la promulgazione di un trattato di pace franco-spagnolo (1805).

Nello stesso anno ipotizzato per la fattura dell’albumetto – il 1799 –  la città di Cadice, residenza abituale del  Gravina, è talmente in auge da essere immortalata  in inusuali oggetti suntuari, come il raffinato ventaglio, firmato Robert De La Motte e datato appunto al 1799, oggi al MET di New York (Figg. 45), che reca dipinta  la celebre  “Alameda de Cadiz” recintata dalla cortina muraria ed il porto della città spagnola con numerosi vascelli alla fonda, certo simili a quelli comandati dall’ammiraglio spagnolo.

L’agoraio si configura come uno dei più originali del settore, in massima parte prodotti in Francia e confezionati in raso bianco bordato da fettuccia di seta rosa, che venivano di solito ricamati,  essendo rivolti a una destinazione femminile ed oggi custoditi in collezioni private o in importanti raccolte museali, come il Museo di Belle Arti di Boston (Fig. 6).  Il fatto che il nostro fosse invece dipinto con soggetti militari denota la sua realizzazione ad hoc per un alto ufficiale e il suo probabile utilizzo nelle disagevoli campagne militari/crociere, ad opera di attendenti  addetti al settore. La sua attribuzione ad ambito francese può essere suffragata dalla derivazione dei “figurini” in esso dipinti da alcune delle  numerose  serie di stampe ed acquerelli  con uniformi francesi e costumi orientali circolanti in Francia tra la seconda metà del ‘700 e i primi anni dell’8002.

L’operina sembra inserirsi a tutti gli effetti in  quella smania di miniaturizzazione che pervade tutta l’Europa alla fine del secolo XVIII, che alimenta il collezionismo privato, trovando un corrispettivo  nei collages  palermitani con le serie dei Soldati del Regno di Napoli, dipinti su seta da Gaetano Ognibene e collocati tra i musei di Palermo e di Napoli3.

Le pagine seriche dell’agoraio dipinte ad olio, delicatamente campite di azzurro nella parte superiore e di verde acqua  in quella inferiore, ad indicare il cielo e la terra, denotano un tentativo di ambientazione naturalistica delle varie scene, mentre un intento prevalentemente documentaristico  sta alla base della delineazione delle uniformi: quelle dei soldati schierati in riga (Fig. 7) con pantaloni a sbuffo, casacche blu con le bretelle bianche dello zaino incrociate sul petto, cappelli cilindrici con banda pendente da un lato ed alto pennacchio di piume, scarpe nere e fucili con baionette innestate; si differenzia l’uniforme dell’ufficiale sulla sinistra che con cipiglio burbero comanda il plotone (Fig. 8), che riprende l’abbigliamento aristocratico del tempo, composto da tricorno con pennacchio,  marsina blu con risvolti viola, panciotto arancione, cravatta di pizzo, pantaloni gialli, guanti bianchi; completano l’abbigliamento la spada, gli stivali speronati  e le chiavi appese alla cintura. Differiscono di poco le divise dei due ufficiali sulla destra (Fig. 9), che con fare inquisitorio passano in rassegna il plotone, costituite da calzoni e marsine colorate, cappelli a tricorno e stringhe nere avvolte alle gambe. Un’altra pagina dell’album ci mostra una divisione d’assalto di soldati napoleonici (Fig. 10), con zaino in spalla e fucili puntati, cartuccera al petto e stivali neri; da questi differisce di poco l’uniforme del tamburino dotata di spalline ed alamari,  mentre  il  tamburo, come nei coevi collages polimaterici, è reso più realistico dalla trovata della bacchetta  infilzata nel timpano ;  il soldato caduto in terra poi, suggerisce il clima della battaglia in corso.

Particolarmente colorito è poi lo scontro tra francesi ed ottomani (Fig. 11), abbigliati con pantaloni alla zuava e casacche dai colori accesi, alcuni con berretto rotondo altri con turbante in testa, armati  di spada e baionetta, al comando di un giannizzero con sciabola sguainata, lunga sopravveste arancione con fodero appeso e il caratteristico copricapo a punta sormontato da alto pennacchio di piume. Anche qui l’idea della cruenta battaglia è suggerita dai feriti doloranti in terra.

Nell’ albumetto di Palermo dunque, oltre allo spirito classificatorio del tempo, tipico del periodo illuministico,  si coglie uno spiccato gusto pittorico  che indulge alla raffigurazione di coloriti dettagli abbigliamentari  e sa cogliere momenti particolari  della vita militare  fino al tratteggio del carattere psicologico dei personaggi, tutte qualità che fanno di esso  una originale e preziosa testimonianza del suo tempo.

  1. Ringrazio l’amico prof. Gabriele Arezzo di Trifiletti per avermi consentito di studiare l’opera ed avermi fornito le notizie relative in suo possesso e  le foto dettagliate del manufatto. []
  2. Cfr. R. Orsi Landini, L’abito per il corpo il corpo per l’abito. Islam e Occidente a confronto, Museo Stibbert, Firenze 1998, pp.132-134. []
  3. Cfr. Artificio e Realtà. Collages palermitani del tardo Settecento, a cura di E. D’Amico – V.Abbate, Palermo 1992. []