Benedetta Montevecchi

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Oreficeria sacra a Roma in età carolingia: i donativi di Leone III nel racconto del Liber Pontificalis

DOI: 10.7431/RIV20012019

Queste note1 riguardano un immenso patrimonio orafo che non esiste più, ma del quale rimane una dettagliata e preziosa testimonianza in quella straordinaria fonte letteraria che è il Liber Pontificalis. Come si sa, pressoché nulla rimane, a Roma, dell’oreficeria d’età carolingia: unici esempi superstiti, risalenti alla committenza di Pasquale I (817-824), sono il cofanetto cruciforme, già contenente una più antica croce gemmata, e la custodia con una stauroteca ornata da smalti cloisonnées con scene dell’infanzia di Cristo2) (Fig. 1). Sono opere che presentano un’interpretazione romana dell’oreficeria sacra dove l’apparato decorativo, apparentemente modesto, rinuncia ad ogni preziosità, tipico di lavori coevi, privilegiando l’aspetto narrativo dell’ampio ciclo cristologico affidato solo alle immagini sbalzate e alle  figurazioni in smalto. Conservati oggi nei Musei Vaticani, quei manufatti si trovavano in origine nel Tesoro della cappella del Sancta Sanctorum al Laterano, racchiusi in un armadio in legno di cipresso, commissionato da Leone III e tuttora in situ3 (Fig. 2). Ben più significative le testimonianze dell’oreficeria d’Oltralpe4 che contribuisce a delineare quel periodo di felice rinascita, definito ‘rinascenza carolingia’, e soprattutto ‘renovatio’, che coincide con il regno di Carlo Magno, incoronato imperatore a Roma nel Natale dell’anno 800. Lo incorona papa Leone III, uno dei più straordinari committenti di arti preziose destinate a ornare tutte le chiese e gli edifici sacri di Roma. Gran parte della lunga vita di questo pontefice narrata nel Liber Pontificalis è dedicata proprio all’attività di riedificazione e restauro di antichi edifici e all’incredibile serie di donazioni elargite alle chiese romane. Tralasciando buona parte delle importanti vicende storiche del tempo, il biografo si sofferma infatti sulla straordinaria munificenza del papa, proponendo un interminabile elenco di doni: suppellettili preziose, sculture ed elementi architettonici rivestiti di metalli pregiati, tovaglie ricamate, veli e cortine intessuti di seta e d’oro.

Le vicende sono narrate secondo l’ordine cronologico dei registri di spese della Tesoreria papale: ciò ha consentito, assieme ai riferimenti più o meno espliciti alle vicende contemporanee, di ricostruire il susseguirsi annuale degli eventi5. Le donazioni elencate all’inizio della vita di Leone III vennero effettuate in realtà durante gli ultimi tre anni del pontificato di Adriano I: il futuro papa, infatti, era in quel tempo incaricato della cura del vestiarium pontificio (l’ufficio che amministrava il tesoro papale), avendo assunto anche la responsabilità delle attività edilizie e delle donazioni. L’elenco, dunque, inizia con l’annualità 792-93 (ricordando che la cronologia segue l’indizione che corre dal settembre al successivo agosto) per proseguire, senza soluzione di continuità, dall’inizio del pontificato di Leone III, il 27 dicembre 795, fino alla morte del pontefice, il 12 giugno 816.

I numerosi studi incentrati negli ultimi decenni sui dati di cultura materiale presenti nel Liber Pontificalis permettono di ricostruire ipoteticamente l’interno degli edifici sacri e il loro arredo. Per quanto riguarda il tempo di Leone III, sono stati studiati in modo dettagliato i materiali tessili6, mentre meno sistematiche, ancorché oggetto di contributi fondamentali7, sono state le ricerche su più eterogenei argomenti relativi agli arredi e alle suppellettili in metalli preziosi. A differenza dei tessili, infatti, la cui definizione lessicale e la cui descrizione iconografica ha consentito di ricostruirne tipologia e impiego, i manufatti in metalli preziosi presentano una notevole varietà tipologica e definizioni terminologiche di cui è spesso problematica una sicura traduzione8. La totale mancanza di esempi superstiti, poi, non consente confronti morfologici e quindi l’esatta individuazione di alcuni oggetti, il loro impiego e la certa collocazione all’interno degli edifici sacri.

Come sopra accennato, la narrazione del Liber Pontificalis si snoda in ordine cronologico9, cominciando dagli ultimi anni del papato di Adriano I. Già questo pontefice aveva intensificato la quantità e la consistenza delle elargizioni alle chiese romane, elargizioni che avrebbero poi raggiunto il culmine sotto Leone III, con doni in metalli pregiati il cui ammontare è stato calcolato in 22.100 libbre d’argento (ca 7.227 chili) e 1446 libbre d’oro (ca. 475 chili) 10. La meticolosa precisazione del peso del metallo prezioso è la principale informazione relativa ai singoli manufatti dei quali sono raramente forniti elementi descrittivi, mentre la diversità di peso ne suggerisce la ricchezza e la maggiore o minore dimensione.

Per quanto riguarda la provenienza e la disponibilità del metallo prezioso, va precisato che i pontefici potevano allora attingere a diverse fonti: utilizzando il proprio patrimonio personale, reimpiegando materiali preziosi preesistenti, ma soprattutto ricorrendo al reddito dei patrimoni fondiari che assicurava un cospicuo afflusso di ricchezze nelle casse papali, mentre ragguardevoli entrate erano garantite anche dalle offerte dei pellegrini. Negli anni di Leone III, in particolare, furono fondamentali le donazioni di Carlo Magno: oltre a quelle elargite nell’800 al momento della sua incoronazione11, inviò a Roma, anche in altri periodi, ingenti quantitativi di oro e di argento per arricchire chiese e basiliche.

Per tutto il medioevo San Pietro fu l’edificio al centro del mecenatismo dei pontefici e quindi anche di Leone III che nel corso del suo ventennale papato incentrò i suoi interessi di committente principalmente sulla chiesa dedicata al principe degli apostoli. Le donazioni interessarono naturalmente anche le altre basiliche e molte chiese, alcune particolarmente care al papa come Santa Susanna di cui Leone era stato presbitero e cardinale titolare. Di particolare interesse è la grande donazione dell’anno 807, quando il papa volle offrire una lampada d’argento a ben centodiciassette degli edifici sacri di Roma allora in funzione12. Ed è significativo notare come per una donazione così ingente siano state scelte le lampade, certamente non soo per la loro indispensabile funzione pratica, quanto per il valore estetico e simbolico espresso da quegli oggetti. Peraltro, le suppellettili per l’illuminazione offerte da Leone III sono tra le pochissime delle le quali, oltre alla scarna elencazione di peso e tipologia, il biografo sottolinei talora l’importanza di illuminare la lettura dei sacri testi con lo splendore della luce.

Tenendo presente che il Liber Pontificalis consente una attendibile classificazione delle suppellettili per l’illuminazione solo fino al VI secolo, mentre per i secoli successivi le distinzioni terminologiche e tipologiche sono molto più indeterminate 13, è tuttavia possibile rilevare come le lampade che ricorrono più spesso tra i donativi di Leone III siano le corone, le gabate e i canestri, cioè quelle tradizionalmente in uso da tempo, la cui diversa denominazione ne attesta differenze morfologiche e decorative. Le corone erano lampade a olio a sospensione, d’argento, a volte dorato, talora fornite di ‘delfini’, cioè bracci ondulati (da cui il nome) che portavano i contenitori in vetro per il combustibile: la tipologia doveva essere assimilabile a quella del lampadario in bronzo, databile al IV secolo, proveniente dal complesso basilicale di Aquileia (Aquileia, Museo archeologico nazionale) (Fig. 3). Le gabate, il cui nome deriva dal latino gabatha, cioè ‘scodella’, con evidente allusione alla forma, sono citate più volte per indicare lampade pensili, isolate o raggruppate, prevalentemente preziose, d’argento e d’oro, con decorazioni fuse o cesellate e con gemme. Tra i doni papali ne è citata una ornata da grifi dorati offerta alla chiesa di Santa Susanna ed altre d’oro, con rilievi e gemme, appese in San Pietro davanti all’immagine dell’apostolo, raggruppate intorno alla pergola di colonne vitinee davanti all’altare maggiore, oppure pendenti parte nel quadriportico e parte da un grande lampadario di bronzo al centro della basilica14. A questa tipologia appartiene la frammentaria lampada d’argento di San Martino ai Monti 15, databile al V secolo, e gabate sono verosimilmente anche le lampade riprodotte nei mosaici duecenteschi del Sancta Sanctorum (Fig. 4). Simili, forse di maggiori dimensioni, dovevano essere i canestri, anche questi lampade a olio a sospensione, in argento talvolta finemente cesellato, eventualmente dotati di più luci e appesi in gruppo per formare un insieme di lumi, che vengono offerti in gran numero alle basiliche di San Pietro e di San Paolo16.

Per la basilica vaticana vengono ricordati vari altri lampadari a più luci, magari appesi ad un’altra struttura, come quello pendente da una grande corona, e un altro sostenente a sua volta gabate, canestri e croci, e collocato davanti al presbiterio17. In qualche caso tali complessi lampadari presentano tipologie particolari e sono definiti in modum retis (a forma di rete) o volubilem (tortile)18, con corone e croci pendenti: vengono donati a San Pietro e a Santa Maria Maggiore19.

Numerose sono le citazioni relative a candelieri d’argento, più o meno pesanti e ornati, che, in San Pietro, erano posati a terra o sulle travi, anch’esse d’argento, che delimitavano l’area presbiteriale20. Alle principali basiliche vengono donati anche candelieri completati da lucerne con portacero, semplici o a doppio lucignolo, destinati a illuminare l’altare maggiore e l’area presbiteriale21. Questi candelieri con lucerna sono presenti nelle miniature del tempo, come il Salterio di Stoccarda ed esemplificati da rari esempi superstiti22 (Fig. 5).

Supporti per ceri sono anche i cereostati, sempre molto preziosi, in argento lavorato, fuso e cesellato, che, assieme a due lucerne a doppio lucignolo, il papa dona alla basilica di San Paolo e alla basilica vaticana: qui, sul ciborio dell’altare maggiore vengono posti quattro grandi cantari d’argento con cereostati d’argento dorato, mentre altri, con lucerne a doppia luce, vengono posati presso il leggio per le sacre letture23. E un grandioso leggio è citato anche tra i donativi che Leone III offre alla basilica vaticana: si trattava di un complesso manufatto d’argento, del ragguardevole peso di 37 chili, che il commento «mire magnitudinis et pulchritudinis decoratum» fa immaginare di straordinario impatto visivo, accentuato dal corredo di candelieri e di lucerne prescritti per illuminare la lettura durante le domeniche e le solennità24; il notevole peso poteva indicare una sorta di ambone, come quello raffigurato in un avorio del IX-X secolo (Fig. 6).

Le centinaia di lampade e di candelieri accesi nelle basiliche e nelle chiese riflettevano la loro luce sugli altari, sui cibori, sulle porticine e i cancelli d’accesso al presbiterio, sugli elementi architettonici e sulle immagini, tutti manufatti realizzati in oro o in argento o rivestiti in lamina d’argento e argento dorato. E’ oggi veramente inimmaginabile l’aspetto di quegli interni in cui la luce naturale, filtrata dai vetri delle finestre, talvolta colorati, e la luce di lampadari e candelieri si rifletteva sulle superfici in metallo prezioso e sui tessuti di seta e d’oro, evidenziando il gusto altomedievale per le materie pregiate e per la loro luminosità.

Come già i suoi predecessori, Leone III incrementa lo splendore degli interni basilicali costruendo e rivestendo gli altari con argento e argento dorato. Iniziando dal rinnovamento dell’altare della basilica lateranense negli anni 803-804, splendidamente ornato di argento purissimo, nello stesso periodo le donazioni interessano San Pietro, dove viene realizzato un apparato di straordinaria preziosità: infatti si rivestono con quasi 150 chili d’oro non solo il fronte dell’altare, ma anche un’immagine del Salvatore tra gli apostoli Pietro e Paolo, nonché il pavimento della confessione, in precedenza già arricchita da una tabulam, forse un paliotto, di oro purissimo; vengono ricoperti d’argento anche l’altare del battistero e gli altari di numerose altre cappelle25. E un rivestimento d’argento dorato ricevono gli altari di Santa Maria Maggiore e di San Paolo26 dove vengono anche coperti d’oro la confessione e il fronte del relativo altare. Un’idea della ricchezza di tali apparati possono suggerirla il rivestimento del celeberrimo altare di Sant’Ambrogio, a Milano, realizzato da orefici diretti da Vuolvinio negli anni 824-859, per committenza del vescovo Angilberto, oppure il fronte d’altare donato da Carlo il Calvo all’abbazia di St. Denis, perduto, ma riprodotto in un dipinto tardo-quattrocentesco (Fig. 7).

Sugli altari risplendevano i cibori, le strutture in marmo o in legno, sostenute da colonne rivestite d’argento, spesso dorato, talvolta ‘cum picturis o cum storiis’, quindi con decorazioni figurate: la tipologia doveva essere simile a quella del ciborio portatile di Arnolfo di Carinzia, databile intorno all’87027 (Fig. 8). Leone III ne dona ben undici: i più ricchi erano quelli per San Paolo, con colonne magnificamente ornate, quello per San Giovanni in Laterano, mirabilmente decorato con cancelli, colonnine e storie dipinte, e quelli per alcuni altari di San Pietro, oltre che per l’altare maggiore della stessa basilica il cui nuovo ciborio, con colonne d’argento dorato, «cum diversis storiis mire magnitudinis et pulchritudinis mirifice decoratum», sostituiva una precedente struttura, risalente al pontificato di Gregorio Magno e trasferita in Santa Maria Maggiore, che Leone III aveva in precedenza arricchito con 4 statue di cherubini in argento dorato28, forse simile al ciborio, sormontato da due figure angeliche, che compare in un avorio databile tra IX e X secolo 29 (Fig. 9).

Preziosi arredi dell’area presbiteriale e delle confessioni erano le piccole porte (indicate nel testo latino col termine rugae)30 come le due, preziosissime, in oro puro, incrostate di gemme, che il futuro papa offre per le confessioni di San Pietro e di San Paolo31, nel periodo precedente alla sua ascesa al soglio pontificio. Oltre ad altre porticine realizzate o ricoperte in argento per Santa Maria Maggiore e per San Giovanni in Laterano, Leone III offre le porte ricoperte d’argento per la cappella del Presepe, ancora in Santa Maria Maggiore, e le porte in bronzo per accedere alla cripta col corpo del Santo in San Paolo; inoltre fa fondere, impiegando 514 chili di purissimo argento, i pesanti cancelli all’entrata del presbiterio e del vestibolo nella basilica vaticana 32.

Notevoli risorse vengono impiegate dal papa anche per impreziosire alcuni elementi architettonici come le grandi travi, sottese all’arco trionfale, che verosimilmente sostituivano strutture come l’antico fastigium lateranense: viene quindi rivestita con più di 475 chili d’argento la trave sotto l’arco trionfale di San Paolo, e in purissimo argento vengono anche ricoperte la trave collocata in San Pietro, all’ingresso del vestibolo, e la cornice sostenente un arco con croci gammate nel battistero33.

Il rivestimento d’argento interessa anche gli arredi definiti ‘archi’, con relative colonne, cornici e croci gammate, che compaiono al tempo di papa Simmaco (498-514)34 per diventare, in età carolingia, elementi tipici nell’arredo delle chiese romane. Non è chiaro cosa fossero questi archi, ma dalla lettura del Liber Pontificalis ne risulta evidente la funzione di sottolineare le aree più significative dell’edificio sacro dove potevano essere impiegati anche per appendere drappi preziosi35. Erano dunque elementi di grande pregio che Leone III dona in più occasioni, unitamente alle colonne d’argento che li sostenevano e delle quali è talvolta specificata la tipologia, come nel caso delle otto coppie di colonne scanalate sostenenti otto archi, che in San Pietro vengono poste ai lati della tomba dell’apostolo e in cima al presbiterio, o nel caso delle sei colonnine d’argento dorato con diverse storie dipinte (smalti?) sistemate all’ingresso del vestibolo36. Simili elementi architettonici d’argento ornano anche alcune cappelle della basilica vaticana dove sostenevano elementi definiti ‘travi leggere’, forse impiegate per l’esposizione di immagini 37. Talvolta archi e colonne concorrono alla realizzazione di complesse strutture come quella formata da otto colonne d’argento con due croci gammate e due archi con cinque croci d’argento e quindici gabate, quindi un insieme di grande impatto decorativo, donato dal papa alla prediletta chiesa di Santa Susanna38. E ancora insiemi di archi e colonne argentei vengono offerti per il presbiterio di Santa Maria Maggiore e alla chiesa di Santa Maria in Trastevere39.

Di grande suggestione, all’interno delle basiliche maggiori, dovevano essere le immagini d’oro, d’argento e d’argento dorato, già presenti tra i donativi dei papi che avevano preceduto Leone, a cominciare dal donarium di Costantino che coronava il fastigium lateranense40. Erano immagini tridimensionali o in rilievo, realizzate in oro o in argento, oppure sculture lignee rivestite d’argento o argento dorato – presumibilmente simili a più tarde immagini quali la celebre Santa Fede di Conques o la Madonna di Essen (Fig. 10) – che erano esposte alla venerazione in posizione elevata e in prossimità dell’area più sacra dell’edificio41. La basilica di San Paolo – alla quale, ancora prima del pontificato (794-795), Leone III aveva donato un’immagine del Salvatore con i dodici apostoli – dopo il terremoto dell’801, riceve altre tre immagini d’oro del Salvatore e dei santi Pietro e Paolo42. Simili doni in oro vengono offerti, naturalmente, anche alla basilica vaticana, a cominciare dal già citato rivestimento dell’altare della confessione che comprendeva anche l’immagine stante del Salvatore, con gli apostoli Pietro e Paolo ai lati, entrambi con corone preziose. Altrettanto rilevanti erano l’immagine di san Pietro in oro, mirabilmente ornata con gemme e posta ‘dalla parte degli uomini’ (un secolo prima, Sergio I (687-701) aveva donato una scultura analoga, collocata ‘dalla parte delle donne’)43, e quella, sempre in oro, del Salvatore, stante, sulla trave all’ingresso del vestibolo44. Tra gli ultimi doni (814-815), il papa rinnova, aggiungendo più di 21 libbre d’oro raffinato, le immagini, forse clipeate, che raffiguravano il volto del Salvatore, della Madonna e dei santi Pietro, Paolo, Andrea e Petronilla, collocate ad corpus nella cripta della basilica45.

Altre immagini erano in argento dorato, come il Salvatore che, dopo il terremoto dell’801, viene posto sulla porta d’ingresso di San Paolo e che qualche anno dopo (804-5) sarà affiancato da due angeli; l’anno seguente, il papa dona le immagini dei santi Pietro e Paolo per l’altare maggiore46 e nel periodo 808-809, viene registrata un’altra immagine del Salvatore all’ingresso del vestibolo, forse un nuovo rivestimento per quella già esistente, donata dopo il terremoto. Per San Pietro erano in argento dorato due non meglio definite immagini collocate sopra la porta maggiore offerte nell’801, oltre a quattro cherubini posti sopra i capitelli delle colonne del ciborio, già ricordato, che poi andrà in Santa Maria Maggiore47, tre immagini per l’Oratorio della Santa Croce, e varie statue di angeli48; erano in argento dorato, una impreziosita da gemme, anche tre immagini, non meglio specificate, donate alla chiesa di Santa Maria in Trastevere49.

Infine si ricordano le immagini in purissimo argento, come il gruppo col Salvatore e i santi Pietro e Lorenzo, per la basilica dedicata a quest’ultimo, offerto l’anno precedente alla salita al soglio pontificio, e altre di cui non è specificato il soggetto: tre per Santa Susanna, cinque da porre sopra le porte maggiori di San Paolo, una in piedi sotto il ciborio della cappella di Santa Petronilla50. Il papa dona anche l’agnello che versa acqua posto al centro del battistero, circondato da colonne di porfido, che aveva fatto ricostruire in San Pietro (805-806) e dove vengono collocate altre tre immagini e una trave leggera con un arco d’argento51.

E d’argento erano anche tre crocifissi, due offerti alla basilica vaticana – uno posto al centro della navata e l’altro, un po’ più piccolo, ma preziosamente ornato, presso l’altare maggiore – e un altro, dello stesso peso di quest’ultimo e anch’esso mirabilmente decorato, alla basilica di San Paolo: non sappiamo come fossero queste opere, né se il Cristo sulla croce fosse reso o no in modo tridimensionale52.

Verosimilmente aniconiche, ma prevalentemente preziose e decorate, erano invece le numerose croci d’oro e d’argento che Leone III dona a basiliche e chiese, tipologicamente accostabili alla stauroteca vaticana che l’imperatore Giustino II aveva offerto alla città di Roma tra il 565 e il 57853 (Fig. 11). La prima citazione riguarda due croci d’oro con gemme e aste d’argento, cioè croci processionali non molto grandi infisse su aste d’argento, che all’inizio del pontificato (797-798) il papa dona alla chiesa di Santa Susanna; nello stesso periodo e alla stessa chiesa Leone offre anche una croce, forse d’argento, con un canestro a 16 luci54. La frequente associazione croce/luci – che rimane viva per tutto il medioevo e ancora in forme devozionali nei secoli successivi 55 – è riscontrabile anche nella preziosa croce d’oro lavorata a rilievo, appesa alla pergola davanti all’altare nella basilica vaticana assieme a dodici candele, mentre presso l’altare maggiore, veniva posta una grande croce d’argento dorato del ragguardevole peso di 7 chili56. Anche alla basilica di San Paolo viene donata una preziosa croce d’oro da appendere alla pergola, e alla stessa basilica il papa dona un elaborato insieme composto da una grande croce d’oro ‘rosso’ straordinariamente lavorata57 e ornata di gemme preziose, con sopra altre tre croci d’oro. Anche tra i donativi a Santa Maria Maggiore sono registrate una croce d’oro, una croce con gabata, in argento purissimo, e un’altra croce d’argento posta accanto al ciborio lì trasferito da San Pietro58.

Altri preziosissimi arredi erano i regna, le corone votive pensili, d’oro con gemme, che venivano appese davanti agli altari: gli esempi più celebri appartengono al tesoro visigoto di Guarrazar59 (Fig. 12). Leone III ne offre alcune per le cappelle nella basilica vaticana, una arricchita da una croce appesa al centro, e altre, sempre in oro purissimo e gemme, vengono offerte per l’altare maggiore di Santa Maria in Trastevere e di Santa Maria in Domnica e, nell’ultimo anno di pontificato (815-16), per la chiesa dei Santi Nereo e Achilleo e per le basiliche di Santa Maria Maggiore e di San Pietro60.

Non potevano mancare, tra i doni papali, i calici per la liturgia eucaristica, realizzati sempre in metallo prezioso, prevalentemente d’oro e con gemme, spesso accompagnati dalla patena. Il primo citato tra i donativi di Leone III è un calice dorato e bordato d’oro, offerto all’inizio del pontificato alla chiesa di Santa Prisca61. Molto più preziosi erano i calici donati negli anni successivi alla basilica vaticana e definiti ‘speciali’, forse perché destinati alle celebrazioni solenni, come quello d’oro con diverse pietre preziose, accompagnato dalla sua patena, entrambi del notevole peso di più di 9 chili ciascuno, e quello, di poco più pesante, d’oro e sempre ornato con varie pietre preziose e completo di patena62. Il papa dona anche un calice d’oro con pietre preziose da usare nelle processioni stazionali63, cosa che ne giustifica il peso molto minore (peraltro sempre superiore ai 4 chili), mentre il calice forse più spettacolare è quello che la basilica riceverà negli anni 811-812, pesante più di 10 chili, d’oro con diverse pietre preziose, e a quattro lobi, dettaglio forse riferibile alla forma del piede, completo di patena della quale, pure, il testo sottolinea la mirabile decorazione64. Meno importanti, ma sempre in purissimo argento, a volte dorato, erano i calici con patena donati alla diaconia del Beato Arcangelo e alla chiesa dei Santi Nereo e Achilleo65 e, infine, i ventiquattro calici per la comunione, offerti a ciascuna regione di Roma per essere trasportati dagli accoliti durante le processioni stazionali66.

Se i vasi sacri fin qui ricordati erano certamente destinati alla liturgia eucaristica, una funzione decorativa – o di lampada67 – avevano i calici, donati in gruppo, per essere posati sulle travi o appesi negli intercolumni lungo le navate delle chiese: una collocazione che sembra ripresa in miniature coeve dove suppellettili preziose pendono da una serie di arcate (Fig. 13). San Pietro riceve dal papa diciotto grandi calici di questo tipo, d’argento dorato e bordati con oro raffinato, da posare sulle travi d’argento, e altri sessantaquattro, d’argento bordati d’oro, da appendere tra le colonne maggiori della basilica, a destra e a sinistra. Simili calici pensili vengono offerti anche alla basilica di San Paolo: undici in purissimo argento bordato d’oro da appendere all’arco trionfale e altri quaranta da appendere, come in San Pietro, tra le colonne maggiori, a destra e a sinistra68.

A corredo del calice eucaristico, per eliminare eventuali impurità dal vino da consacrare, veniva impiegato il colatoio, o cucchiaio colatoio, che compare un’unica volta tra i doni di Leone III, in argento dorato, destinato alla chiesa di Santa Susanna69. Unica è anche la citazione relativa a due coppie di acquamanili dorati, impiegati durante il rito del lavabo, e destinati a San Pietro70.

In metallo pregiato e gemme erano anche due legature di evangeliario che il papa offre alla basilica vaticana, una particolarmente preziosa, realizzata con più di 5 chili d’oro, ornata con gemme prasine (verdi), gemme giacintine (azzurre) e perle71.

Importante oggetto liturgico per diffondere il fumo profumato dell’incenso, secondo una prassi cerimoniale di importante valore simbolico, è il turibolo. Leone III ne dona sette: il primo, offerto alla basilica vaticana nel periodo precedente la salita al soglio pontificio, è un turibolo d’oro che viene posto davanti al vestibolo dell’altare il cui peso, superiore ai 5 chili, fa ipotizzare che potesse essere una sorta di braciere stabile così come i due, di cui non è specificato il materiale, ma verosimilmente di bronzo o d’argento e pesanti più di 30 chili, offerti alla chiesa di Santa Maria in Trastevere72. Turiboli sospesi a catene per essere fatti oscillare erano invece i molto più leggeri turiboli d’oro definiti ‘apostolatum73, donati a San Pietro e a San Paolo. Dei due offerti alla basilica di San Paolo, uno doveva essere sospeso sulla tomba dell’apostolo, così come, probabilmente, anche uno dei due donati alla basilica vaticana74, mentre l’altro doveva essere impiegato nelle processioni stazionali.

Per chiudere questa rassegna relativa al mecenatismo di Leone III, si ricordano le due donazioni strettamente legate alla politica religiosa del papa e cioè gli scudi d’argento con inciso il testo del Credo nella forma originaria elaborata durante il Concilio di Nicea75, con cui si affermava l’ortodossia della Chiesa romana. I pannelli vennero posti uno sopra l’ingresso della confessione di San Pietro e l’altro sulla confessione di San Paolo. Quest’ultimo, visto nel 1123 da Pietro Abelardo e nel 1232 dal monaco Nicola Nettario, fu forse l’ultimo superstite tra i moltissimi donativi offerti da Leone III alle chiese romane e alle due grandi basiliche extra muros che già nell’846, solo 30 anni dopo la morte del papa, sarebbero state profanate e saccheggiate dei loro tesori a seguito dell’invasione saracena.

  1. Questo testo propone, in forma abbreviata, l’intervento tenuto dalla sottoscritta in occasione della giornata di studi “Leone III, Roma e l’Età carolingia” (Roma, Pontificia Università Gregoriana, 2 dicembre 2016). []
  2. Cfr. A. Iacobini, Aurea Roma: le arti preziose da Costantino all’età carolingia; committenza, produzione, circolazione, in Roma fra Oriente e Occidente, atti della XLIX Settimana di studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo” (Spoleto 2001), 2002, I, pp. 651-690 (in part. pp. 681-686 []
  3. Una notevole sobrietà contraddistingue le pochissime testimonianze sfuggite alla totale dispersione delle committenze di Leone III: oltre agli sportelli dell’armadio per conservare le reliquie del Sancta Sanctorum, dalla lineare suddivisione geometrica, si ricordano alcuni manufatti lapidei la cui decorazione ricorda la semplice eleganza dei marmi paleocristiani; cfr. A. Ballardini, Scultura per l’arredo liturgico nella Roma di Pasquale I: tra modelli paleocristiani e “Flechtwerk”, in Medioevo arte e storia, atti del convegno internazionale di studi (Parma 18-22 settembre 2007), a cura di A. C. Quintavalle, Milano 2008, pp. 225-246 (in part. pp. 235-239). []
  4. Per una panoramica d’insieme, cfr. J.P. Caillet, L’art carolingien, Paris 2005. []
  5. Sulla progressione cronologica, cfr. H. Geertman, More veterum. Il Liber Pontificalis e gli edifici ecclesiastici di Roma, Groningen 1975, pp. 37-70; tale studio offre una lunga e molto dettagliata illustrazione della struttura della biografia di Leone III. Sul calcolo dello svolgimento cronologico della vita del papa, cfr anche L. Duchèsne, Le Liber Pontificalis. Texte, Iintroduction et Commentaire, Paris 1886-1892, II, I-III e C. Hülsen, Osservazioni sopra la biografia di Leone III nel “Liber Pontificalis”, in “Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia”, I, 1923, pp. 107-119. []
  6. Tovaglie, veli e cortine sono stati studiati e catalogati in una ricerca, relativa ai papati da Adriano I a Pasquale I, curata da Maria Andaloro; cfr. M. Andaloro, Immagine e immagini nel Liber Pontificalis da Adriano I a Pasquale I, in Il Liber Pontificalis e la storia materiale, a cura di H. Geertman, in “Mededelingen van het Nederlands Instituut te Rome”, 60-61, 2001-2002, Roma 2003, pp. 45-103. []
  7. Si vedano, in particolare, H. Geertman, More veterum…, 1975, pp. 37-70; P. Delogu, Oro e argento in Roma tra il VII e il IX secolo, in Cultura e società nell’Italia medievale. Studi per Paolo Brezzi, Roma 1988, I, pp. 273-293; S. De Blaauw, Cultus et decor. Liturgia e architettura nella Roma tardoantica e medievale. Basilica Salvatoris, Sanctae Mariae, Sancti Petri, Città del Vaticano 1994; E. Ponzo, Donativi in metallo prezioso a Roma tra VII e IX secolo, in “Arte medievale” 2, 10, 1996, pp. 15-18; F. A. Bauer, Roma in epoca carolingia, in Carlo Magno a Roma, catalogo della mostra (Città del Vaticano, Musei Vaticani 16/12/2000-31/03/2001), Roma 2000, pp. 81-95; Arredi di culto e disposizioni liturgiche a Roma da Costantino a Sisto IV, atti del colloquio internazionale (Roma 3-4 dicembre 1999), a cura di S. De Blaauw, in “Mededelingen van het Nederlands Instituut te Rome”, 59, 2001; F. Guidobaldi, I cyboria d’altare a Roma fino al IX secolo, ibidem, pp. 55-69; V. Saxer, Recinzioni liturgiche secondo le fonti letterarie, ibidem, pp. 71-79; A. Iacobini, Aurea Roma…, in Roma fra Oriente…, 2002, I, pp. 651-690; H. Geertman, Il fastigium lateranense e l’arredo presbiteriale. Una lunga storia, in Il Liber Pontificalis…, 2003, pp. 29-44; C. Pavolini, L’ illuminazione delle basiliche: il Liber Pontificalis e la cultura materiale, ibidem, pp. 115-134; H. Geertman, Hic fecit basilicam: studi sul “Liber Pontificalis” e gli edifici ecclesiastici di Roma da Silvestro a Silverio, a cura di S. De Blaauw, Leuven 2004; M. Beghelli – J. Pinar Gil, Corredo e arredo liturgico nelle chiese tra VIII e IX secolo, in “Jahrbuch des Römisch-Germanischen Zentralmuseums Mainz”, 60, 2013, pp. 697-762 (disponibile su: https://www.academia.edu/12459214/Corredo_e_arredo_liturgico_nelle_chiese_tra_fine_VIII_e_inizio_IX_secolo). []
  8. Il recente studio di Antonella Ballardini incentrato sulla questione lessicale, offre ora un nuovo e importante contributo a questo riguardo; cfr. A. Ballardini, Stat Roma pristina nomine. Nota sulla terminologia storico-artistica nel Liber Pontificalis, in La committenza artistica dei papi a Roma nel Medioevo, a cura di M. D’Onofrio, Roma 2016, pp. 381-439, Vanno anche ricordati l’utile traduzione inglese commentata della vita di Leone III: R. Davis, The lives of the Eight-Century Popes: the ancient biographies of nine popes from A.D. 715 to A.D. 817, Liverpool 1992; nonché il basilare riferimento offerto a tutt’oggi dalla citata edizione critica curata da Louis Duchèsne, Le liber Pontificalis, II, 1892, pp. 1-48, testo impiegato per la stesura di queste note; i riferimenti saranno d’ora in poi così abbreviati: L.P., 98 [numero del capitolo relativo alla biografia di Leone III] e numero dei paragrafi. Per le preziose ricostruzioni grafiche, cfr. Ch. Rohault de Fleury, La Messe: études archéologiques sur les monuments, Paris 1883-1889 (in particolare, i volumi IV, V, VI). []
  9. Per evitare ripetizioni, nell’illustrare le suppellettili oggetto di queste note si è scelto di non seguire la successione cronologica della narrazione, ma di proporle secondo raggruppamenti tipologici. []
  10. P. Delogu, Oro e argento in Roma…, in Cultura e società…, 1988, p. 276. []
  11. L.P., 98, § 24-25. []
  12. Per un dettagliato commento sulla lista dei doni dell’807, cfr. H. Geertman, More veterum…, 1975, pp. 82-129. Sulle chiese che non compaiono nell’elenco, cfr. R. Davis, The lives of the Eight-Century Popes…, 1992, pp.176-178. []
  13. H. Geertman, L’illuminazione della basilica paleocristiana secondo il «Liber Pontificalis», in Hic fecit basilicam…, 2004, pp.53-74; sull’argomento cfr., inoltre, C. Pavolini, L’ illuminazione delle basiliche, in Il Liber Pontificalis…, 2003, pp. 115-134. []
  14. L.P., 98, § 9, 53, 34. []
  15. Riprodotta in A. Iacobini, Aurea Roma…, in Roma fra Oriente…, 2002, tav.5. []
  16. L.P., 98, § 56, 66, 68, 84. []
  17. L.P., 98, § 8, 84. []
  18. R. Davis, The lives of the Eight-Century Popes…, 1992, p.229) traduce il termine volubilem (letteralmente = girevole) con twisted = tortile, a imitazione delle colonne. []
  19. L.P., 98, § 95, 96, 110. []
  20. L.P., 98, § 67, 100. []
  21. L.P., 98, § 8, 34, 82, 83, 105, 110. []
  22. Vedi le immagini riprodotte in M. Beghelli – J. Pinar Gil, Corredo e arredo…, in “Jahrbuch des…”, 2013, figg.28, 29, pp. 732-733. []
  23. L.P., 98, § 59, 67. []
  24. L.P., 98, § 67. []
  25. L.P., 98, § 51, 53, 34, 65, 66, 68, 84. []
  26. L.P., 98, § 69, 85. []
  27. A. Iacobini, Aurea Roma…, in Roma fra Oriente…, 2002, p. 678; cfr., inoltre, F. Guidobaldi, I cyboria d’altare…, in Arredi di culto…, 2001, pp. 55-69. []
  28. L.P., 98, § 49, 88, 57, 86. []
  29. S. de Blaauw, Cultus et decor…, 1994, p. 543. []
  30. Sulle diverse interpretazioni del termine ruga cfr L. Duchèsne, Le Livre Pontificalis, 1892, p. 34, nota 6; S. de Blaauw, Cultus et decor…, 1994, p. 541; R. Davis, The lives of the Eight-Century Popes…, 1992, p.180, nota 8; A. Ballardini, Stat Roma pristina…, in La committenza artistica …, 2016, p. 415. []
  31. L.P., 98, § 3, 6. []
  32. L.P., 98, § 4, 82, 63, 97, 48, 54. []
  33. L.P., 98, § 59, 64, 65. []
  34. A. Guiglia, Il VI secolo: da Simmaco (498-514) a Gregorio Magno (590-604), in La committenza artistica …, 2016, pp. 110, 115. []
  35. A. Ballardini, Stat Roma pristina…, in La committenza artistica …, 2016, pp. 417-418. []
  36. L.P., 98, § 54, 87. []
  37. L.P., 98, § 35, 66; cfr. S. de Blaauw, Cultus et decor…, 1994, pp. 556-558; A. Ballardini, Stat Roma pristina…, in La committenza artistica …, 2016, p. 410. []
  38. L.P., 98, § 9. []
  39. L.P., 98, § 51, 83. []
  40. H. Geertman, Il fastigium lateranense…, in Il Liber Pontificalis…, 2003, pp. 29-44. []
  41. Sulla tipologia e la collocazione di tali immagini, cfr. A. Ballardini, Stat Roma pristina…, in La committenza artistica …, 2016, pp. 428-429. []
  42. L.P., 98, § 6, 31. []
  43. L.P., 98, § 54; sulla suddivisione degli spazi all’interno dell’edificio di culto, cfr. A. Ballardini, Stat Roma pristina…, in La committenza artistica …, 2016, pp. 407-409. []
  44. L.P., 98, § 57. []
  45. L.P., 98, § 110. []
  46. L.P., 98, § 31, 58, 61. []
  47. Cfr. nota 27 e fig. 8. []
  48. L.P., 98, § 34, 57, 66, 87. []
  49. L.P., 98, § 83. []
  50. L.P., 98, § 5, 9, 58, 60. []
  51. L.P., 98, § 65. []
  52. L.P., § 39, 48, 97. Sui crocifissi donati da Leone III, cfr. G. Curzi, Tra Saraceni e Lanzichenecchi. Crocifissi monumentali di età carolingia nella basilica di San Pietro, in “Arte medievale”, n.s., 2 (2004), pp. 15-28; K. Ch. Schüppel, The stucco crucifix of Saint Peter’s reconsidered: textual sources and visual evidence on the renaissance copy of a medieval silver crucifix, in Old St Peter’s, Rome, a cura di R. McKitterick- J. Osborne- C. M. Richardson- J. Story, Cambridge 2013, pp. 306-323; A. Ballardini, Stat Roma pristina…, in La committenza artistica …, 2016, p. 423, nota 221. []
  53. La Crux Vaticana o Croce di Giustino II, Bollettini d’archivio, 4-5, Città del Vaticano (SCV) 2009. []
  54. L.P., 98, § 9. []
  55. A titolo di esempio, si cita la stauroteca quattrocentesca della Parrocchiale di Montecosaro (MC); cfr. B. Montevecchi, Stauroteca con reliquie, in Ori e Argenti. Capolavori di oreficeria sacra nella provincia di Macerata, a cura di M. Giannatiempo Lopez, Milano 2001, pp. 109-112. []
  56. L.P., 98, § 49, 87. []
  57. L.P., 98, § 60. La croce è definita spanoclista: sul significato del termine, cfr. R. Davis, The lives of the Eight-Century Popes…, 1992, p. 205; lo stesso lemma, usato anche per un calice (L.P., 98, § 67), potrebbe riferirsi ad una tecnica di raffinamento dell’oro o ad una procedura usata in Spagna dove era rinomata l’industria mineraria dell’oro. []
  58. L.P., 98, § 50, 83, 86. La croce d’argento e quella d’oro vengono ricollocate ai lati dell’altare al tempo di Pasquale I (817-824) ed entrambe sono ancora ricordate in situ all’inizio del XII secolo quando furono trafugate a seguito delle lotte civili del 1130; cfr. S. de Blaauw, Cultus et decor…, 1994, p. 392. []
  59. Il tesoro è suddiviso tra il Museo Archeologico di Madrid e il Museo di Cluny, a Parigi; cfr. G. Ripoll, Il tesoro di Guarrazar: la tradizione dell’oreficeria nella tarda antichità, Roma 2004. []
  60. L.P., 98, § 55, 56, 62, 111, 112. []
  61. L.P., 98, § 10. []
  62. L.P., 98, § 57, 67. []
  63. L.P., 98, § 84. []
  64. L.P., 98, §.96. []
  65. L.P., 98, § 88, 111. []
  66. L.P., 98, § 112. Il termine con cui sono definiti i calici è communicales: secondo L. Duchèsne (Le Livre Pontificalis, 1892, p. 48, nota 129) servivano per la somministrazione del vino eucaristico. []
  67. A. Ballardini, Stat Roma pristina…, in La committenza artistica …, 2016, p. 399. []
  68. L.P., 98, § 49, 64, 67. []
  69. L.P., 98, § 9. []
  70. L.P., 98, § 58. []
  71. L.P., 98, § 57, 87. []
  72. L.P., 98, § 3, 83. []
  73. L.P., 98, § 67, 68: termine era verosimilmente motivato dalla specifica destinazione dei turiboli alle basiliche apostoliche; cfr. A. Ballardini, Incensum et odor suavitatis: l’arte aromatica nel Liber Pontificalis, in L’Officina dello sguardo: scritti in onore di Maria Andaloro, a cura di G. Bordi – I. Carlettini- M. L. Fobelli- M. R. Menna – P. Pogliani, Roma 2014, I vol., pp. 263-270, in part. p. 266. []
  74. Gli scavi sotto la confessione di San Pietro hanno permesso di ritrovare un chiodo che poteva servire da aggancio per il turibolo; cfr. Esplorazioni sotto la Confessione di San Pietro in Vaticano, a cura di B.M. Apollonj Ghetti-A. Ferrua S.I.- E. Josi- E. Kirschbaum S.I., Città del Vaticano 1951, p. 200. []
  75. L.P., 98, § 84, 85. Sui due scudi, cfr. A Sterk , The Silver Shields of Pope Leo III. A Reassessment of the Evidence, in “A Journal of Medieval and Renaissance Studies”, University of California, 19 (1), 1988 (disponibile su: https://escholarship.org/uc/item/3859m82c). []