Gaetano Giannotta

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La chiesa di San Andrés: l’apice del decorativismo barocco a Valencia e le sue relazioni stilistiche con la Sicilia

DOI: 10.7431/RIV19072019

L’antica chiesa parrocchiale di San Andrés di Valencia, oggi titolata a San Juan de la Cruz, fu edificata immediatamente dopo la Reconquista della città nel 1238. Della sua struttura gotica originaria non resta nulla, a parte alcune sezioni del campanile, posto che nel XVI secolo il tempio fu completamente abbattuto per consentirne il rinnovamento, che avvenne tra il 1601 e il 16151. Il risultato fu un’unione tra la tradizione parrocchiale del Medioevo valenziano e l’imperante classicismo tardomanieristico: l’ampia navata coperta da volte a crociera, con cappelle laterali tra contrafforti e abside poligonale con volta a stella2; l’alzato costituito da eleganti pilatri dorici su piedistallo, sopra i quali si impianta il fregio classico che alterna metope e triglifi. Nel corso dello stesso XVII secolo ed entro la prima metà del seguente si realizzarono altre opere tra le quali si distinse la costruzione della Cappella della Comunione, struttura indipendente rispetto alla chiesa, con ingresso proprio, pianta cruciforme e cupola su tamburo. Giunti alla metà del XVIII secolo, si seguì l’esempio di altre chiese valenziane di origine medievale che erano state rinnovate architettonicamente e soprattutto decorativamente3. L’interno di San Andrés fu rivestito con una ricchissima e stravagante decorazione in stucco, pur rispettando a grandi linee le strutture architettoniche del secolo precedente. Iconograficamente il rivestimento decorativo in stucco dialogava in maniera unitaria con le pitture e le ceramiche che si incontrano tanto nella navata quanto nelle profonde cappelle laterali. Seppur ancora lontano dall’essere perfettamente chiarito in tutte le sue fasi, questo processo di rinnovamento decorativo diede vita al più fantastico tra gli apparati del Barocco valenziano4. Di fatto, la decorazione dell’interno della chiesa di San Andrés di Valencia costituisce il risultato più maturo e personale dell’assimilazione, da parte di artisti locali, delle innovazioni stilistiche e tecniche introdotte nella città da artisti stranieri a principio del secolo (Fig. 1).

Si è già accennato al fatto che il processo di rinnovamento barocco dell’interno della chiesa di San Andrés risulta ancora poco chiaro sia per quelle che furono le fasi in cui si portò a termine, sia soprattutto per quanto riguarda gli artisti che lo realizzarono. I risultati ottenuti fino allo stato attuale dell’investigazione permettono di collocare cronologicamente questo processo tra il 1751 e gli anni Settanta dello stesso secolo. Di fatto, nel 1751 fu presentato il primo progetto di rinnovamento che fu approvato dalla giunta parrocchiale. Invece, quello che consente di fissare attorno gli anni Settanta la fine dei lavori, è il fatto che nel 1778 i professori della sezione di architettura della Real Accademia di San Carlos di Valencia citarono precisamente le decorazioni di San Andrés come il paradigma di quel mal gusto che quella istituzione, sorta appena dieci anni prima, voleva combattere5. A partire dalla testimonianza di Marcos Antonio De Orellana, il maggior biografo degli artisti valenziani del XVII e XVIII secolo, il progetto iconografico del rivestimento è stato tradizionalmente attribuito al pittore Hipólito Rovira, mentre la sua realizzazione pratica allo scultore Luis Domingo6. Si tratta degli artisti che, insieme allo scultore Ignacio Vergara, erano stati i principali protagonisti dell’opera di rinnovamento decorativo del Palazzo del Marchese di Dos Aguas, oggi sede del Museo Nazionale di Ceramica “González Martí”. Di quella opera purtroppo non ci rimane che qualche esile traccia a causa di ulteriori rinnovamenti avvenuti nel XIX secolo e delle modifiche fatte per adibire il palazzo a sede museale7. È stato ritenuto probabile dunque che le stesse maestranze possano essere state utilizzate anche per il rinnovamento della vicina chiesa. La personalità del pittore e progettista Hipólito Rovira y Broncadel (1695-1765) è ancora lontana dall’essere perfettamente delineata. Nato a Valencia, dove fu battezzato nella chiesa di San Estebán, si formò con Evaristo Muñoz Estarlich per quanto riguarda il disegno e con Juan Bautista Ravanals per l’incisione. Attorno al 1720, per continuare la sua formazione, si recò a Roma, dove entrò in contatto con i circoli di Corrado Giaquinto e Sebastiano Conca. Dimorò in Italia per circa quindici anni, ma allo stato attuale degli studi è impossibile stabilire se rimase sempre nell’Urbe o se soggiornò anche in altre città della penisola. In Italia ebbero inizio anche i suoi problemi di salute fisica e mentale. Tornato a Valencia, trovò rifugio presso il già citato palazzo del marchese de Dos Aguas, per il quale progettò l’affascinante portale, che sarebbe stato scolpito in marmo e avorio da Ignacio Vergara, e progettò e dipinse la famosa Carrozza delle Ninfe, scolpita poi dallo stesso Vergara e da Luis Domingo. Nonostante la protezione del marchese, importante mecenate e personalità di spicco nei circoli intellettuali e artistici della Valencia settecentesca, la salute mentale di Rovira peggiorò, al punto che l’artista decise di internarsi alla Misericordia e infine all’Hospital General dove morì nel maggio del 17658. Ugualmente dubbiosi sono i pochi dati di cui si dispone sulla vita dello scultore Luis Domingo (1718-1767). Rappresentò certamente il miglior esempio dell’artista tardo-barocco/rococò la cui produzione sarebbe difficile, se non impossibile, incasellare in una delle classiche definizioni artistiche. Infatti, esercitò al tempo stesso e con gli stessi elevatissimi risultati la pittura, il disegno, la scultura, la decorazione in legno, stucco e gesso. Nato a Valencia, fu discepolo di Hipólito Rovira per il disegno e di Juan Bautista Balaguer e Jaime Molíns per la scultura e la modellazione. Iniziò la sua attività artistica come pittore e talune delle sue pitture furono viste da Orellana nel Convento di Santo Domingo di Valencia9. Sempre secondo la testimonianza di Orellana, realizzò moltissimi retabli, tra i quali si conserva solo quello della maestranza degli argentieri che originariamente si trovava nella Cappella di San Eloy della chiesa di Santa Catalina e oggi si custodisce nella Cappella della Comunione della chiesa di San Martín. Tuttavia, secondo i suoi contemporanei l’arte nella quale mostrò maggiormente le sue capacità fu la decorazione. Il suo capolavoro fu la decorazione del Palazzo del marchese de Dos Aguas, che purtroppo non si può più apprezzare a causa dei citati cambiamenti architettonici avvenuti nel palazzo nella seconda metà del XIX secolo per la sua destinazione a Museo Nazionale di Ceramica. Luis Domingo fu anche, insieme ai fratelli Ignacio e José Vergara, tra i primi a intercedere presso la Monarchia per la creazione di una Accademia di Belle Arti nella città di Valencia, secondo l’esempio di quanto era già avvenuto a Madrid nel 1752. Se il primo tentativo di impiantare l’istruzione accademica con l’Academia de Santa Bárbara fallì a causa della morte dei monarchi, i successivi ebbero buon esito e nel 1762 Carlo III autorizzò la creazione di una giunta che avrebbe dovuto stilare gli statuti della Real Academia de Bellas Artes de San Carlos10. Domingo fece parte di quella giunta nella veste di direttore, insieme a Ignacio Vergara, della sezione di scultura; tuttavia, quando gli statuti furono approvati, il 12 febbraio del 1768, l’artista era già morto da un anno.

Quanto al rinnovamento della chiesa di San Andrés, nuove acquisizioni documentarie permettono di stabilire che esso fu molto più complicato rispetto a quanto si è brevemente descritto e che solo parzialmente potrebbe essere ascritto a Luis Domingo11. Il primo progetto, come già si accennava, fu presentato nel 1751, nel mese di giugno, da un autore anonimo e la giunta parrocchiale lo approvò dando prontamente inizio ai lavori nel settembre dello stesso anno. Nel dicembre del 1753 ebbero inizio le opere specificamente dedicate alla decorazione, che furono subappaltate al pittore e doratore Félix Lorente (1712-1787). Questi nacque a Valencia nel 1712 e fu discepolo di Evaristo Muñoz. Orellana riferisce che fu abile pittore grazie allo studio del naturale: «Después su inclinación le conduxo a pintar copiando del natural, en cuyas obras no se hecha de menos la transparencia de las frutas, ni las medias tintas, tan dificultosas de remedar, de las carnes, frutas, flores y pescados, practicando dicho Profesor dichas obras con la destreza y celeridad que se requiere, por lo pronto que essas cosas pierden por instantes su brillo, frescura y lustre natural»12. L’importanza di Lorente nell’ambiente artistico valenziano è dimostrata dal compito che gli attribuì l’Accademia di San Carlos di individuare le pitture di valore prodotte al di fuori dell’istituzione accademica; altro incarico fondamentale ricevette dal tribunale dell’Inquisizione, il quale richiese che valutasse quali fossero le pitture poco dignitose rispetto alla dottrina controriformista. Nonostante questi compiti di primaria importanza, Lorente non disdegnò di svolgere anche una pratica prettamente artigianale e propria delle maestranze più tradizionali, quale era la doratura di sculture e retabli13. In base alla documentazione analizzata fino al momento attuale, è possibile stabilire che i lavori che Félix Lorente realizzò a San Andrés si limitarono all’abside e alle prime tre cappelle della chiesa. È interessante evidenziare come un pittore e artigiano doratore qual era Lorente realizzò opere che andavano ben oltre le sue abituali competenze, posto che dovette modellare lo stucco col fine di creare gli elementi decorativi, i cui dettagli poté infine dorare; dovette inoltre assecondare con tali elementi le strutture architettoniche del tempio senza occultarle e comunque garantendo allo stucco e alla decorazione un vero e proprio protagonismo. Per fare tutto ciò fece ricorso a quelle stesse competenze che lo studio del naturale gli aveva fornito e che, prima di allora, aveva applicato solo alla pittura. Fatte le ovvie differenze rispetto alla pittura, negli stucchi di San Andrés attribuibili a Lorente è possibile ravvisare quello stesso studio della luce e della rappresentazione dell’istantaneità di cui parla Orellana nella citazione che si è riferita14. Il risultato fu eccellente e di questo ne è dimostrazione la ricchissima decorazione dell’arco di accesso alla cappella dedicata a San Giovanni Nepomuceno (Fig. 2). Rappresenta un maestoso angelo che cavalca una candida nuvola e indica una scena rappresentata in rilievo tra ricchissime rocaille e fiori e piante di differente specie. La scena rappresenta Sansone nell’atto di raccogliere dei favi di miele dalla bocca della carcassa di un leone ed è sormontata da un cartiglio che recita: De comedente exivit cibus et de forti & Judic. 14. V.1415.

A causa di ristrettezze economiche, la prima fase del rinnovamento si protrasse tanto lungamente da non essere ancora concluso nel 176816. Di conseguenza, se le capitolazioni del 1751 con Lorente escludono Luis Domingo dalla prima fase delle opere di decorazione, la sua morte, sopravvenuta nel 1767, lo esclude anche dalla seconda fase. E allora bisognerà attribuire la decorazione dell’interno della chiesa di San Andrés ad un artista diverso da quello al quale tradizionalmente si è attribuita in conseguenza alla testimonianza di Orellana. L’investigazione archivistica porterà a fugare inequivocabilmente ogni incertezza, tuttavia è possibile azzardare un’attribuzione sulla base di taluni dati documentari curiosi, che sembrano confermati da precisi confronti stilistici. Infatti, nei documenti successivi al 1768 si fa continuo riferimento ad un nuovo membro della giunta di fabbrica della parrocchia: il pittore José Vergara, fratello del già citato scultore Ignacio Vergara (1715-1776)17. Membro di una rinomata famiglia di artisti, figlio dello scultore Francisco Vergara detto il Maggiore, Ignacio Vergara si formò con Evaristo Muñoz per il disegno e con il padre per la scultura. Sono state già citate alcune delle sue opere principali, come il fantastico portale in pietra alabastrina del Palazzo del marchese de Dos Aguas e la carrozza detta “delle Ninfe”, commissionata dallo stesso marchese. Oltre a scolpire il marmo, la pietra e il legno, Vergara fu anche progettista, professore dell’Accademia di San Carlos e, secondo testimonianza di Orellana, abilissimo decoratore: «No se desdeñó don Ignacio de aver trabajado los adornos con primor, y fué el primero que introdujo el copiar las flores del natural, y las trabajaba excelentemente. Tuvo algunos empeños con su primo Francisco, siendo joven, pues ambos se preciaban ser inteligentes en esta materia»18. Lo stesso Orellana, nella vita di Félix Lorente, racconta un aneddoto curioso: preoccupato che il figlio Ignacio lavorasse troppo, Francisco Vergara il Maggiore chiedeva proprio a Lorente, suo discepolo, di distrarlo19. Questo aneddoto ci consente di individuare già nelle testimonianze storiche una relazione tra l’artista documentato per la prima fase della decorazione di San Andrés e colui che ipotizzo possa averla portata avanti. Queste poche tracce documentarie sembrano poi confermate da una comparazione stilistica tra l’interno di San Andrés e quelle pochissime e molto danneggiate decorazioni in stucco del vicino palazzo del marchese de Dos Aguas, realizzate certamente da Ignacio Vergara. Le sculture nei pennacchi della cupola che copriva il blocco dello scalone del palazzo de Dos Aguas mostrano stringenti analogie con i vari angeloni che si trovano sparsi lungo le pareti di San Andrés (Fig. 3). Le suddette sculture rappresentano degli eleganti nudi che sorreggono ovali nei quali sono scolpiti un cavallo, un leone, un coccodrillo e un elefante, gli animali che nella letteratura iconografica rappresentano i quattro continenti: rispettivamente Europa, Asia, America e Africa. Sono sculture in stucco, finite in bianco, con capelli, vesti ed elementi decorativi vegetali in oro, che dimostrano da parte di Vergara un sapiente uso di questo materiale e un’ottima capacità di modellarlo con fini decorativi. Le medesime caratteristiche si trovano anche negli stucchi di San Andrés.

Stilisticamente la decorazione barocca dell’interno della chiesa di San Andrés differisce da tutto ciò che fino a quel momento era stato realizzato nella città di Valencia20. Il modello era rappresentato dalla chiesa de los Santos Juanes, tempio medievale rinnovato tra la fine del XVII secolo e gli inizi del secolo seguente da due italiani, lo scultore cremonese Giacomo Bertesi (1643-1710) e il decoratore lombardo Antonio Aliprandi (1654-1718). Questi due artisti introdussero nella scultura e nella decorazione valenciana il protagonismo di materiali poco nobili, come il gesso, il legno e lo stucco, e lo studio della natura come modello. Inoltre, con il loro lavoro usurparono il ruolo degli artigiani delle tradizionali corporazioni valenziane nella realizzazione di opere architettoniche21. Molto presto gli artisti locali introdussero queste innovazioni nelle loro opere e San Andrés costituisce l’apice di una evoluzione le cui tracce si riscontrano tanto a Valencia, con i templi di San Martín, Santa Catalina e la facciata barocca della Cattedrale, quanto nei territori circostanti: le chiese di Santa María e San José di Elche, il Santuario de la Virgen del Niño Perdido a Caudiel22, le parrocchie di Antella e Bocairent, etc. Nella decorazione degli spazi appena citati e di altri, anche non ecclesiastici, gli artisti locali introdussero l’uso intensivo dello stucco, che divenne il vero e proprio protagonista, la derivazione degli elementi decorativi da modelli naturalistici e non stilizzati e infine l’inversione dei ruoli artistici tradizionali, posto che pittori e scultori talora intervenivano nelle strutture architettoniche, soggettandole alle nuove esigenze decorative. Tuttavia, dal punto di vista stilistico e iconografico gli artefici di San Andrés abbandonarono tanto lo stile protobarocco valenziano, quanto quello di radice italiana e centroeuropea introdotto in Santos Juanes. Il primo era perfettamente esemplificato dall’opera di Juan Bautista Pérez Castiel, autore della riforma barocca del presbiterio della Cattedrale valenciana (1674-1682)23. Era caratterizzato dalla ripetizione di elementi vegetali stilizzati, le cosiddette hojarascas, con funzione unicamente riempitiva. In sostituzione, gli autori di San Andrés ne modellarono lo spazio con elementi vivi, fiori e frutti carnosi di tipologie differenti, sempre facilmente riconducibili a specie realmente esistenti in natura. Soprattutto questi elementi decorativi si armonizzarono elegantemente alle strutture architettoniche non occultandole, pur mantenendo un certo protagonismo (Fig. 4). Uguale differenza si ritrova rispetto al tempio de los Santos Juanes. Lì il programma iconografico era costruito sulla relazione tra le sculture rappresentanti Giacobbe e i suoi dodici figli, le sculture allegoriche stese sugli archi di ingresso delle cappelle, gli ovali pittorici rappresentanti scene delle vite dei Santi titolari del tempio e, infine, il grandioso affresco della volta realizzato da Acisclo Antonio Palomino24. In San Andrés il messaggio iconografico è affidato alla relazione tra gli stucchi della maestosa controfacciata, dei contrafforti e degli altri rilievi sparsi per la chiesa, con le pitture e le ceramiche. Si tratta di un messaggio ancora da svelare, di un programma caratterizzato da una grande complessità e a tratti enigmatico, nel quale un ruolo centrale è svolto dalla citata controfacciata. È questo un elemento architettonico al quale mai prima di allora era stata attribuita a Valencia l’importanza che gli attribuisce il suo autore (Fig. 5). Ed è proprio la controfacciata che distingue nettamente, nello stile e negli intenti iconografici, la decorazione di San Andrés da quelle realizzate precedentemente, dove l’attenzione maggiore era dedicata alla zona sacra del presbiterio, con i suoi magnifici retabli lignei o marmorei ricoperti di pitture e sculture. La controfacciata della chiesa di San Andrés è organizzata come un ricco tendaggio completamente occupato da stravaganti figure allegoriche, piante, fiamme, architetture, e dominato in alto dalla figura del Tempo con i suoi tradizionali attributi iconografici: la vecchiaia, le ali e la clessidra (Fig. 6)25. Altre figure facilmente riconoscibili sono l’Abbondanza, che rivolta verso il Tempo, versa le ricchezze contenute nella sua tipica cornucopia, la Fortezza, nella sua ricca armatura e con il capo ricoperto dall’elmo piumato, e l’Umiltà, con le mani incrociate a coprire il petto (Fig. 7). Entrambe queste ultime due figure hanno lo sguardo rivolto verso l’enigmatica figura centrale che domina tutta composizione (Fig. 8). Si tratta di una donna dal cui capo partono raggi luminosi e caratterizzata da uno sguardo gentile, lunghi capelli sciolti, e un abbondante vestiario. Ancora più enigmatico è il gesto che compie, poggiando la mano sinistra sul seno sinistro mentre con la mano destra regge l’altro seno. Talvolta è stata interpretata come la Vergine26, ma il gesto di toccarsi entrambi i seni non appartiene a nessuna delle sue iconografie, nemmeno a quella della Madonna del latte, dove è sempre presente Gesù Infante allattato dalla madre. Un’altra interpretazione suggerisce di vedere in questa figura la Verità e la pone in relazione con la figura del Tempo, considerando l’insieme come una rappresentazione della Verità svelata dal Tempo. Tuttavia, iconograficamente la Verità si rappresenta sempre nuda, per rappresentare il fatto che non ha niente da nascondere, che è semplice e naturale27. Bisognerà svelare il reale significato di ogni singola immagine e di ogni più piccolo dettaglio, connetterlo con le decorazioni del resto della chiesa, in particolare con gli ovali in stucco della controfacciata e del presbiterio e con gli elementi, ancora in stucco, dei contrafforti (Fig. 9). Questi ultimi sono particolarmente ricchi in senso iconografico, posto che nelle tre zone in cui si possono suddividere, partendo dal basso, si ritrovano: un ricco scudo che rappresenta alternativamente la croce di Sant’Andrea, simbolo del martirio del santo titolare del tempio, e la corona di spine; nel centro, sorretto da un putto, un lemma biblico in latino; in alto, per concludere, due putti reggono un emblema, che traduce figurativamente il messaggio del lemma corrispondente. Nell’esempio proposto lo scudo contiene la corona di spine, al centro il lemma recita: «ASCENDM IN PALMAM, ET APRENDAM. Fruc.ejus.C.7», corrispondente al versetto 8 del capitolo VII del Libro del Cantico dei Cantici28. Infine, l’emblema in alto rappresenta una palma sulla quale è poggiata una scala, simbolo dell’ascesa verso le ricchezze della sapienza di Dio.

Al di là del messaggio iconografico, si diceva che la controfacciata della chiesa di San Andrés rappresenta un elemento assolutamente innovativo nell’ambiente artistico e architettonico della Valencia del XVIII secolo. Il velario ricorda in maniera stringente quello della controfacciata dell’Oratorio di Santa Cita di Palermo, realizzato da Giacomo Serpotta tra 1686 e 1689. Si tratta di un’opera dall’elevatissimo valore iconografico, posto che rappresenta la vittoria dell’esercito navale cristiano nella battaglia di Lepanto grazie all’intercessione della Madonna del Rosario, i cui Misteri Gloriosi circondano la scena centrale29. Vi si riscontrano già tutti gli elementi che sono stati rintracciati nell’innovativa controfacciata della chiesa valenziana di San Andrés: la cortina, la ricchezza degli elementi decorativi che riempiono completamente lo spazio, il ruolo iconografico delle figure legato agli stucchi che rivestono il resto del tempio. Inoltre, la controfacciata non è l’unico elemento del tempio di San Andrés che si può vincolare stilisticamente all’opera di Giacomo Serpotta e della sua bottega. Gli angeli che in diverse parti della chiesa valenziana reggono ovali con scene bibliche e vite dei santi, richiamano in maniera stringente quelli della controfacciata dell’Oratorio del Carminello di Palermo, attribuiti ora a Giacomo Serpotta, ora a suo figlio Procopio e datati ai primi anni del XVIII secolo (Fig. 10)30. Ancora, se ci si concentra sulle singole scene rappresentate negli ovali di San Andrés, questi sembrano derivare direttamente dai tipici teatrini serpottiani (Fig. 11). Allo stato attuale degli studi, non è possibile stabilire se l’autore della decorazione in stucco di San Andrés poté conoscere le opere siciliane di Giacomo Serpotta e della sua bottega. L’unica certezza attualmente è costituita dal viaggio di Hipólito Rovira a Roma, dove poté conoscere le innovazioni serpottiane per mezzo della diffusione di stampe e disegni. Ulteriori ricerche permetteranno di comprendere se Rovira, tradizionalmente considerato l’ideatore del programma iconografico di San Andrés, si recò in Sicilia durante gli anni del suo lungo soggiorno italiano. In caso contrario, dovranno ricercarsi le fonti stilistiche che poterono essere utilizzate tanto dal Serpotta quanto dagli artefici di San Andrés e che consentono questo dialogo stilistico tra due opere tanto distanti tra loro nel tempo e nello spazio. Da tempo infatti è oggetto di studio l’influenza che l’ambiente romano esercitò sul giovane Giacomo Serpotta soprattutto grazie alla figura dell’architetto crocifero Giacomo Amato, che si era formato nell’Urbe con Carlo Rainaldi e grazie allo studio delle opere di Carlo Fontana31. A partire dal periodo in cui iniziò a collaborare con Amato, attorno agli anni Novanta del XVII secolo, Serpotta introdusse in quasi tutte le sue opere successive l’uso della coppia di serafini che regge le immagini sacre, elemento che come si è visto è ricorrente anche negli stucchi della chiesa di San Andrés32. Pertanto, è possibile che gli stessi modelli romani recepiti dal Serpotta possano essere stati utilizzati anche dagli ideatori della decorazione di San Andrés. Allora forse, sarà necessario ricercare proprio nell’Urbe, piuttosto che in Sicilia, i prototipi delle innovazioni introdotte a Valencia con gli stucchi della chiesa di San Andrés.

Tutto ciò avrà lo scopo di far conoscere un complesso architettonico, ma soprattutto decorativo che si trova in attesa di giusta valorizzazione. Il tempio di San Andrés costituisce infatti «un caso único de una modalidad artística del arte rococó en Valencia: una creación de carácter personal, sin repetición conocida, allí, ni fuera de allí. El total interno de San Andrés es una joya de arte decorativo, y es una gloria sin duplicado ni repetición en la Historia del Arte»33.

  1. Nel 1601 vengono commissionate le opere dell’abside a Joan Maria Quetze y de Morco, maestro scalpellino di origine milanese, documento a Valencia dall’ultimo quarto del XVI secolo. Negli anni successivi alle spalle del presbiterio furono realizzati la sacrestia, l’archivio e il deambulatorio. Nella edificazione delle prime due sezioni della navata immediatamente adiacenti al presbiterio, Quetze y de Morco fu coadiuvato dai carpentieri valenciani Joan Do e Joan Baixent. Questa prima fase delle opere ebbe fine nel 1612, anno nel quale si concordarono con Baixent le opere per le ultime tre sezioni della navata. A questa seconda fase dei lavori appartiene anche la realizzazione della facciata, sebbene il portale principale non sia più quello del capitolo nel 1612, sostituito alla fine del secolo (M. Gómez Ferrer Lozano, La antigua iglesia parroquial de San Andrés de Valencia y la arquitectura valenciana en la transición al siglo XVII, in “Boletín de la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando”, n. 80, Madrid 1995, pp. 235-258). []
  2. Lo stesso modello, definito parroquial (“parrocchiale”) può osservarsi in tutte le chiese sorte immediatamente dopo la Reconquista del 1238. Si tratta nella maggioranza dei casi di chiese sorte in luogo di antiche moschee arabe e rinnovate poi nel corso del XVII e del XVIII secolo. Questo modello architettonico, seppur rinnovato in senso decorativo secondo i dettami rinascimentali prima e barocchi poi, persisterà addirittura sino alla prima metà del XVIII secolo. Solo da allora, in seguito all’influenza dei matematici e architetti José Cardona y Pertusa (1672-1732) e soprattutto Tomás Vicente Tosca (1651-1723) verrà introdotto un nuovo modello caratterizzato dall’inserimento del transetto, da absidi semicircolari o quadrate e soprattutto dall’apertura di passaggi tra le cappelle laterali (Catálogo de Monumentos y Conjuntos de la Comunidad Valenciana, a cura di J. Bérchez, vol. II, Valencia 1983, pp. 430, 456-457, 466-467, 505-506, 514-525, 529-530, 569-571, 581-592, 602-612). []
  3. Si fa riferimento alle chiese de los Santos Juanes, Santa Catalina, San Martín, al presbiterio e facciata della Cattedrale e ancora alle chiese di San Nicolás y San Pedro Mártir, di San Bartolomé, per limitarci soltanto alla città di Valencia e alle sue architetture religiose maggiori (D. García Hinarejo, Iglesia de San Nicolás de Bari y San Pedro Mártir, in Monumentos de la Comunidad Valenciana. Catálogo de Monumentos y Conjuntos declarados e incoados, a cura di J. Bérchez, t. X, Valencia 1995, pp. 100-105; Eadem, Torre de San Bartolomé, in Monumentos…, 1995, pp. 224-225; F. Pingarrón, Algunos documentos sobre las reformas tardobarrocas de las iglesias de San Andrés, Santa Catalina y San Martín en Valencia a mediados del siglo XVIII, in “Saitabi: revista de la Facultat de Geografia i Història”, n. XLVII, Valencia 1997, pp. 327-363; P. González Tornel, Arte y arquitectura en la Valencia de 1700, Valencia 2005, pp. 130-167, 236-253; La Catedral de Valencia: Historia, Cultura y Patrimonio, a cura di M. Muñoz Ibáñez, Valencia 2018). []
  4. J. Bérchez, Iglesia de San Juan de la Cruz, antigua de San Andrés (Valencia), in Monumentos…, t. X, 1995, pp. 172-181. []
  5. «La primera clase de que hablaremos es del adorno que comúnmente hemos visto practicar en estos últimos tiempos, ya sea pintado, de relieve, o de qualquirea otra especie. Este pues, que su principio viene desde el siglo pasado en que las artes tuvieron tanta decadencia, no ha sido otra cosa que una confusión de hojarasca que no tiene significado, ni representa cosa alguna, no guarda proporción, ni tiene corrección ni relación con las cosas adornadas, no tiene regla alguna para su gobierno, todo está fundado en el capricho y la libertad, adaptando como adornos variedad de figuras ridículas e impropias que llaman los pintores y escultores hojas, frutas, cardos, racimos, cartones, conchas, caracoles y otros semejantes, cuya repetición y enlace con palmas y cintas son todo el principas objecto de este adorno. El mismo se ha engendrado de la corrupción de las artes, y se ha propagado y extendido en detrimento y ruina de las mismas, destruyéndose por ese camino la simplicidad de la buena arquitectura, y desterrando el adorno verdadero, causando fealdad y confusión a la vista, como se nota en la decoración de algunos edificios que de un tiempo acá se han construido y renovado, ya sean sagrados o profanos, privados o públicos. No se puede mirar sin dolor las iglesias de san Martín, santa Catalina y san Andrés, echada a perder la buena arquitectura de esta última por un escultor cuyo buen nombre es la estatuaria merece la veneración de los profesores de su arte, pero erró en esta parte por haverse mezclado en lo que no era su inspección» (Archivo de la Real Academia de San Carlos, fasc. 67-A/105, ff. 5A-5B). []
  6. M.A. De Orellana, Biografía pictórica valentina o Vida de los pintores, arquitectos, escultores y grabadores valencianos, II ed. preparata da Xavier de Salas, Valencia 1967, pp. 326-339, 469-471, 598-601. []
  7. F.J. Delicado Martínez, Los Marqueses de Dos Aguas, mecenas de las artes en Valencia, in El patrimonio artístico e histórico de los Rebassa de Perellós y el Palacio del Dos Aguas, a cura di J. Coll Conesa, Valencia 2005, pp. 17-20; Idem, Memoria histórica de la arquitectura y de la ornamentación del Palacio de los Marqueses de Dos Aguas, in El patrimonio…, 2005, pp. 81-84. []
  8. M.A. De Orellana, Biografía…, 1967, pp. 326-339. []
  9. M.A. De Orellana, Biografía…, 1967, pp. 469-471. []
  10. Per la storia dell’accademia a Valencia: El archivo histórico de la Real Academia de Bellas Artes de San Carlos y sus fondos documentales, a cura di A. Aldea Hernández e F.J. Delicado Martínez, Valencia 2007; F.J. Leon Tello, M.V. Sanz Sanz, La estética académica española en el siglo XVIII. Real Academia da San Carlos de Valencia, Valencia 1979; F.M. Garín Ortiz de Taranco, La Academia valenciana de Bellas Artes: el movimiento academista europeo y su proyección en Valencia, Valencia 1993; J. Bérchez, Arquitectura y academicismo, Valencia 1987; La Real Academia de Bellas Artes de San Carlos en la Valencia ilustrada, a cura di R. de la Calle, Valencia 2009; S. Aldana Fernandez, Real Academia de Bellas Artes de San Carlos: Historia de una Institución, Valencia 1998. []
  11. P. González Tornel, El ornamento arquitectónico como base del cambio de gusto en la Valencia de mediados del siglo XVIII. De los estucos de la parroquia de San Andrés a los modelos académicos de Vicente Gascó en la Capilla del Carmen, in “Ars Longa: cuadernos de arte”, n. XX, Valencia 2011, pp. 97-108. []
  12. «Successivamente la sua inclinazione lo spinse a dipingere dal naturale; nelle sue opere non mancano la chiarezza dei frutti né le tinte medie, tanto difficili da applicare, delle carni, dei frutti, dei fiori e dei pesci. Questo Professore realizzò queste opere con la destrezza e la velocità che si richiede, prima che quelle cose perdessero la propria brillantezza, freschezza e luce naturale» (traduzione dell’autore). M.A. De Orellana, Biografía…, 1967, pp. 397-398. []
  13. A.M. Buchón Cueva, Pintar la escultura: apuntes sobre doradores de los siglos XVII y XVIII en Valencia, in “Ars Longa: cuadernos de arte”, n. XXI, Valencia 2012, pp. 197-214. []
  14. Supra, nota 12. []
  15. «Dal mangiatore è uscito del cibo e dal forte è uscito del dolce» (Libro dei Giudici XIV: 14). []
  16. P. González Tornel, El ornamento…, 2011, pp. 101-102 (si veda in particolare la nota 23). []
  17. Per la vita e la opera di Ignacio Vergara: A. Igual Úbeda – F.M. Garín y Ortiz de Taranco, Ignacio Vergara: esquema de su vida y síntesis de su obra: discurso leído por el llmo. Sr. D. Antonio Igual Úbeda…y contestación del Excmo. Sr. D. Felipe María Garín y Ortiz de Taranco, in “Archivo de Arte Valenciano”, n. XLV, Valencia 1974, pp. 106-111; A.M. Buchón Cuevas, Consideraciones estilísticas sobre el arte del escultor Ignacio Vergara Gimeno, in “Archivo de Arte Valenciano”, n. LXVI, Valencia 1985, pp. 94-96; Eadem, El escultor Ignacio Vergara y el gremio de Carpinteros de Valencia, in “Ars Longa: cuadernos de arte”, nn. IX-X, Valencia 2000, pp. 93-100; Eadem, Ignacio Vergara y la escultura de su tiempo en Valencia, Valencia 2006; F. Pingarrón, Nuevas referencias documentales sobre la vida de Francisco Vergara el Mayor (1681-1753) y su familia (II): el testamento y el inventario de bienes de Ignacio Vergara y Ximeno (1715-1776), in “Archivo de Arte Valenciano”, n. LXVI, Valencia 1985, pp. 75-93; M.A. De Orellana, Biografía…, 1967, pp. 417-424; Ignacio Vergara en el tricentenario de su nacimiento, 1715-2015 (mayo 2015-septiembre 2015, Centre del Carme), a cura di A.M. Buchón Cuevas, Valencia 2015. []
  18. «Non si dispiacque don Ignacio di aver lavorato gli adorni con delicatezza e fu il primo ad introdurre l’atto di copiare i fiori dal naturale, modellandoli eccellentemente. Da giovane realizzò alcune commissioni con suo cugino Francisco ed entrambi si vantavano di essere valenti in questa materia» (traduzione dell’autore). M.A. De Orellana, Biografía…, 1967, p. 600. []
  19. M.A De Orellana, Biografía…, 1967, pp. 397-398. []
  20. F. Pingarrón, Algunos documentos sobre las reformas tardo-barrocas de las iglesias de San Andrés, Santa Catalina y San Martín en Valencia a mediados del siglo XVIII, in “Saitabi: revista de la Facultat de Geografia i Història”, n. XLVII, Valencia, 1997, pp. 327-364. []
  21. P. González Tornel, Antonio Aliprandi: un estucador lombardo en la Valencia de 1700, in “Espacio, tiempo y forma”. Serie VII, Historia del Arte, n. XV, Valencia 2002, pp. 127-146. []
  22. D. Vilaplana Zurita, Una obra maestra del Barroco valenciano: el santuario de la Virgen del Niño Perdido en Caudiel, in “Archivo de Arte Valenciano”, n. LXVIII, Valencia 1987, pp. 57-63. []
  23. S. Aldana Fernánde, El arquitecto barroco Juan Pérez Castiel, in “Boletín de la Sociedad Castellonense de Cultura”, Castellón de la Plana 1968, pp. 55-87; P. González Tornel, Arte y Arquitectura…, 2005, pp. 26-40; M.J. López Azorín, El testamento de Juan Pérez Castiel y otras noticias biográficas, in “Archivo de Arte Valenciano”, n. LXXIV, Valencia 1993, pp. 75-80. []
  24. A. Alonso Fernández, El tema de las doce tribus en el templo de los Santos Juanes, in “Traza y Baza: cuadernos hispanos de simbología, arte y literatura”, n. IV, Palma de Mallorca 1974, pp. 29-42; E. Moya Casals, Estudio crítico acerca del pintor Antonio Palomino de Castro y Velasco (1653-1726) con una breve descripción de los magníficos frescos que fueron gala y ornamento de la parroquia de los Santos Juanes de Valencia, Valencia 1941; J. Gil Gay, Monografia histórico-descriptiva de la Real parroquia de los Santos Juanes de Valencia, Valencia 1909; La decoración pictórica de los Santos Juanes de Valencia, in “Archivo de Arte Valenciano”, n. I, vol. II, Valencia 1915, pp. 50-58; P. González Tornel, Arte y Arquitectura…, 2005, pp. 130-167, 236-253; S. Sebastián López – M.R. Zarranz Doménech, Historia y mensaje del templo de los Santos Juanes, Valencia 2000; Visión cultural del templo de los Santos Juanes de Valencia. Conferencias pronunciadas con motivo de la celebración de los 750 años de creación de la parroquia, Zaragoza 1998. []
  25. Un’altra immagine del Tempo si trova nella zona del presbiterio. Rispetto a quella della controfacciata, questa figura presenta anche l’attributo iconografico della falce ed è connessa ad un lemma latino sorretto da un angelo, che recita: «JAM TEMPUS IMPLETUM EST Gen.29.». []
  26. Catálogo de Monumentos y Conjuntos de la Comunidad Valenciana, a cura di J. Bérchez, vol. II, Valencia 1983, pp. 514-522. []
  27. C. Ripa, Iconologia, a cura di P. Buscaroli, Milano 1992, pp. 463-464. []
  28. «Dixi ascendam in palmam adprehendam fructus eius et erunt ubera tua sicut botri vineae et odor oris tui sicut malorum» (Cantico dei Cantici VII:8). []
  29. P. Palazzotto, Gli oratori di Palermo, Palermo 1999, pp. 241-248; Idem, Tradizione e rinnovamento nei primi apparati decorativi barocchi in stucco di Giacomo Serpotta a Palermo (1678-1700), in Arredare il Sacro. Artisti, opere e committenti in Sicilia dal Medioevo al Contemporaneo, a cura di M.C. Di Natale – M. Vitella, Milano 2015, pp. 97-101; Idem, Giacomo Serpotta. Gli oratori di Palermo, Palermo 2016, pp. 236-245. []
  30. P. Palazzotto, Gli oratori…, 1999, pp. 73-78; Idem, Giacomo Serpotta…, 2016, pp. 90-95. []
  31. Sull’influenza dell’architettura romana su Giacomo Amato cfr. M.R. Nobile, Progetti di Carlo Fontana nei disegni di Giacomo Amato a Palermo, in “Il disegno di architettura”, n. 20, 1999, pp. 38-40. Si veda anche M.S. Tusa, Architettura barocca a Palermo. Prospetti chiesastici di Giacomo Amato architetto, Siracusa 1992; D. Sutera, Modelli, disegni e perizie di architetti “romani”, in Ecclesia Triumphans. Architetture del Barocco siciliano attraverso i disegni di progetto, catalogo della Mostra (Caltanissetta, 10 dicembre 2009 – 10 gennaio 2010) a cura di M.R. Nobile, S. Rizzo, D. Sutera, Palermo 2009, p. 39. Si veda anche M.C. Di Natale, I disegni di opere d’arte decorativa di Giacomo Amato per i monasteri di Palermo, in Giacomo Amato. I disegni di Palazzo Abatellis. Architettura, arredi e decorazione nella Sicilia Barocca, a cura di S. De Cavi, Roma 2017, p. 38. []
  32. P. Palazzotto, Note sulla maniera di Giacomo Serpotta a Palermo: relazioni, influenze, cantieri, in Serpotta e il suo tempo, catalogo della Mostra (Palermo, Oratorio dei Bianchi, 23 giugno-1 ottobre 2017) a cura di V. Abbate, Milano 2017, pp. 71-73; S. Grasso, Giacomo Serpotta al Carminello: la svolta romana, in Giacomo Serpotta: gli Oratori di San Mercurio e del Carminello a Palermo, scritti di S. Graddo et al., Enna 2014, pp. 87-90. []
  33. «Un caso unico di una modalità artistica dell’arte rococò a Valencia: una creazione di carattere personale, senza replica conosciuta né a Valencia né al di fuori. Tutto l’interiore di San Andrés è un gioiello d’arte decorativa, una gloria senza duplicato né ripetizione nella Storia dell’Arte» (traduzione dell’autore). J. Bérchez – M. Gómez Ferere, Iglesia de San Juan de la Cruz, antigua de San Andrés, in Monumentos…, t. X, 1995, p. 176. []