Fabrizio Tola

fabrizio12tola@gmail.com

Legno e oro: elementi decorativi in alcune statue inedite di una Collezione privata sarda (XVI-XVIII secolo)

DOI: 10.7431/RIV18042018

L’incremento degli studi sulla statuaria lignea dell’epoca moderna ha permesso di evidenziare, anche per la Sardegna, un numero crescente di opere di notevole interesse1. Numerosi manufatti di pregio furono esposti a Cagliari e Sassari già nel 2000, nell’importante mostra Estofado de oro. La statuaria lignea nella Sardegna spagnola, allestita sotto la direzione scientifica di Maria Grazia Scano Naitza. Quell’occasione fu propizia per esporre i risultati di un attento lavoro di ricerca che investì l’intero territorio regionale e permise di ampliare la conoscenza del patrimonio scultoreo isolano, frutto di continui scambi e interazioni nel contesto mediterraneo, soprattutto con il Napoletano, ma non meno interessante nelle sue poco indagate relazioni con la Sicilia.

Filo conduttore che legava l’esposizione fu la peculiare tipologia di decorazione in estofado de oro. Dal fondo dorato, ad imitazione dei tessuti dell’epoca, emergono trame e motivi decorativi di grande bellezza. Sovente era proprio questo elemento che rendeva prezioso il manufatto, che poteva manifestare evidenti carenze nella definizione plastica. All’interno del catalogo espositivo, il contributo di Maria Gerolama Messina e Alessandra Pasolini mise in evidenza la correlazione tra le decorazioni delle statue e i motivi desunti dal repertorio dei tessuti dell’epoca2. Damaschi, broccati e velluto funsero da modello per adornare le immagini della Vergine e dei santi, esprimendo attraverso questa cura la devozione della committenza. A questo si univa anche il valore simbolico di questi tessuti. Troviamo ripetuto, ad esempio, il motivo della melagrana, come nel bellissimo manto della statua lignea della Vergine di Bonaria, datata alla fine del XV secolo3: il motivo, simbolo di rinascita, in contesto cristiano richiama il concetto del corpo mistico di Cristo, ossia la Chiesa formata dai suoi fedeli (i tanti semi racchiusi nell’involucro). Numerose sono le opere finemente decorate presenti sul territorio isolano, riemerse da campagne di restauro e di studio, tra cui alcune ancora inedite, e anzi sconosciute ai più in quanto conservate in una Collezione privata, che questo contributo intende prendere in esame.

Della Collezione privata e non solo

La Collezione in esame, formatasi negli anni Settanta e Ottanta del Novecento, è sorta in maniera spontanea e disomogenea, in quanto essenzialmente basata sui gusti personali del collezionista, priva di un filo conduttore unitario se non la preferenza per la scultura in legno intagliato e policromato. Si compone attualmente di circa 40 manufatti in legno, di varia epoca e provenienza, variamente databili tra XVI e XIX secolo. Occorre osservare preliminarmente la difficoltà inerente lo studio di queste opere, avulse ormai dal contesto architettonico per cui erano state create e prive dell’originaria aura devozionale. La carenza di fonti documentarie, unita alla perdita di alcuni attributi iconografici, rende talvolta ardua perfino la precisa individuazione del soggetto rappresentato. D’altro canto, il fatto che queste opere siano state sottratte al culto ha permesso che non venissero rinnovate o alterate nella forma e nella cromia, che palesano evidenti necessità di un intervento di restauro e pulitura. Lo studio delle sculture si è quindi, di necessità, basato preliminarmente sull’analisi tecnico-formale e stilistica dei manufatti, posti poi in comparazione con sculture datate o documentate.

Prendendo in considerazione alcuni elementi di questa multiforme Collezione d’arte, possiamo ascrivere all’ambito napoletano dei primi decenni del XVII secolo una statua dorata e policromata, identificata come un San Teodoro dalla scritta dipinta sulla base quadrangolare4 (Fig. 1): «S. TEODORO//HOC OPUS//OPUS FIERI FECIT//(A)NTON PORCED […]». Il santo martire, che la tradizione vuole soldato romano al tempo di Diocleziano, indossa una corta veste dorata in foglia d’oro (a guazzo), da cui emergono lunghe maniche sgraffite in rosso e oro, mentre dalle spalle scende un mantello fermato sulla spalla destra da una fibbia. Il corpo è impostato frontalmente, con le braccia appena avanzate nello spazio; il viso imberbe, dai grandi occhi dipinti, è contornato da capelli ondulati, che conservano l’originaria cromia. Nella sua posa irrigidita, S. Teodoro risplende per la doratura dell’intera superficie della veste, mentre i motivi dell’estofado de oro su fondo rosso richiamano elementi fitomorfi che ritroviamo anche nella decorazione dei calzari e che costituiscono un elemento decorativo costante nella statuaria dell’epoca. Le modeste dimensioni (cm. 88 con la base) e l’impostazione della figura lo avvicinano al S. Mauro martire dell’omonima chiesa francescana di Cagliari, realizzato nel 1633 su commissione del canonico cagliaritano Francesco Caviano, lo stesso che volle l’erezione di quel convento, dotando l’erigenda chiesa della statua del titolare5 (Fig. 2). Non si hanno riferimenti documentari per poterne indicare l’autore, che manifesta comunque una chiara matrice campana. Rispetto al nostro S. Teodoro, forse più antico, il S. Mauro mostra un’attenzione maggiore al senso del movimento, nella leggera curvatura del bacino, nella gamba destra lievemente avanzata, e nell’elegante postura delle braccia. In quest’opera la cura è riservata interamente all’elemento decorativo, realizzato con la tecnica dell’estofado de oro che ricopre sia la veste che il mantello posto sulle spalle. Questo è reso morbido nelle pieghe, come anche la veste chiusa sul petto da dei bottoni, che sembrano tirare la stoffa creando lievi increspature. Ciò che colpisce è la profusione dell’oro: ricopre anche i capelli e la barba, mentre le vesti presentano un motivo decorativo a maglie quadrilobate che racchiudono fiori di cardo e, nello spazio di risulta, elementi floreali su fondo rosso per il manto, verde per la veste, che simula gli effetti del broccatello6 (Fig. 3).

La cura posta nella descrizione delle vesti e degli elementi decorativi di questi simulacri ne esaltava la figura, ponendoli su un piano superiore rispetto al fedele. Per questo i SS. Cosma e Damiano della parrocchiale di Sinnai, inventariati nel 16227, piuttosto che come uomini del IV secolo sono vestiti come eleganti cortigiani che seguono la moda spagnola del XVI-XVII secolo8. Ancor di più la moda dell’epoca contribuì alla formulazione del modello per i SS. Cosma e Damiano di Suelli, realizzati nel 1635 dal napoletano Alfonso del Vecchio (documentato a Cagliari dal 1627 al 1655)9. L’elegante abbigliamento nonché i caratteri fisionomici riproducono le fattezze signorili di distinti gentiluomini di primo ‘600.

Un’accurata descrizione delle stoffe preziose caratterizza un’altra scultura della Collezione privata, che rappresenta forse una Vergine Annunziata (Fig. 4), analoga all’iconografia delle Annunziate tardo-cinquecentesche della cattedrale di Alghero10 e della parrocchiale di Oschiri11. La figura femminile stante, compatta nel blocco di legno intagliato, si protende cautamente nello spazio con la gamba sinistra, mentre la destra è tesa e portante, suggerendo l’idea di grazia e di movimento; l’accento di pathos è dato soprattutto dalla mano portata al petto mentre l’altra si protende in avanti forse a reggere un perduto attributo iconografico, o in segno di accentuazione espressiva. Come nei SS. Cosma e Damiano o nella più antica S. Barbara di Sinnai (ante 1591)12, anche qui vi è un’estrema attenzione nel rendere i dettagli dell’abbigliamento e il naturalismo delle stoffe: la lunga veste è caratterizzata da corsetto rigido, chiuso in alto da quattro bottoni, su cui si innestano eleganti maniche rinascimentali a doppio sbuffo; il manto attentamente panneggiato sui fianchi, è riportato sul davanti per raccogliersi sotto il braccio sinistro. Questo simulacro si avvicina alla S. Barbara sinnaese per l’intaglio dei capelli, divisi da scriminatura centrale e disposti a ciocche mosse, terminando in un ricciolo davanti alle orecchie, analogamente ad altre opere napoletane della prima metà del ‘600.

Volendo approssimarci ad una più specifica attribuzione, gli studi di Pierluigi Leone de Castris hanno messo a fuoco l’attività di varie botteghe napoletane attive tra gli ultimi decenni del ‘500 e i primi del secolo successivo. Tra quelle di cui abbiamo maggiori notizie emergono i nomi di Aniello Stellato (documentato tra il 1605 e il 1643), Giovan Battisa Ortega e Pietro Quatraro. All’ambito di quest’ultimo viene assegnata la S. Orsola della cattedrale di Barletta13, che per l’elegante descrizione della figura non è distante dalla nostra Santa, cui potremmo accostare anche il busto-reliquiario di una delle martiri compagne di S. Orsola conservato a Tricarico, opera dello scultore Giovanni Battista Gallone (documentato a Napoli dal 1617 al 1621)14. Con quest’ultima opera condivide l’intaglio del volto e dei capelli, come l’eleganza delle vesti, anche se la Santa sarda ha perduto gran parte della policromia originaria e della sontuosa decorazione in estofado de oro che ne ricopriva interamente i panneggi. Si conserva parte della decorazione del corsetto, suddiviso in fasce longitudinali che racchiudono elementi d’ispirazione fitomorfa su fondo verde scuro (Fig. 5). Questi precisi confronti orientano a ritenere che la Santa di Collezione privata sia stata importata da Napoli o in alternativa prodotta nell’isola da autore napoletano, presumibilmente tra il secondo o il terzo decennio del XVII secolo.

Nella medesima Collezione si conserva un simulacro mutilo ma identificabile in S. Michele Arcangelo (h. 35 cm), da ascrivere alla fine del XVII secolo (Fig. 6). Indossa vesti militari romane e pur essendo privo degli arti superiori e inferiori si può intuire avesse la tipica posa combattente dell’Arcangelo, con il braccio sollevato nell’atto di colpire il diavolo con una lancia. Il fine intaglio dell’opera è rilevabile soprattutto nel viso fanciullesco e sorridente, nell’accurata resa plastica della mossa capigliatura, che rende la foga del movimento per atterrare il nemico e nella decorazione che richiama la tecnica dell’estofado. Sebbene non completa in tutte le parti, possiamo intuire l’originaria bellezza della decorazione a volute vegetali che si dispiega liberamente sulla superficie della lorica.

Riscontriamo un bell’esempio di questa tipologia di decorazione nel S. Michele Arcangelo di Collinas, inserito da Francesco Virdis nell’ambito dello scultore napoletano Francesco Marsiello15 (Fig. 7), che aprì bottega a Cagliari nel quartiere di Llapola, dove lavorò proficuamente dal 1629 fino alla morte, nel 164916. La discreta qualità tecnica delle opere documentate o a lui ricondotte è valorizzata dalla raffinata decorazione in estofado de oro che le ricopre. Al 1633 sono documentati i SS. Giovanni Battista e Giuseppe della parrocchiale di Sanluri. Quest’ultima statua, in particolare, compatta nella sua rigidità, presenta una bellissima veste sgraffita con maglie romboidali che racchiudono fiori di cardo stilizzati17.

La superiore qualità dell’intaglio del S. Michele rispetto alle sculture di accertata paternità ha indotto la Scano ad ipotizzare che l’opera, già presente nella bottega al momento della commissione, dove veniva richiesto fosse sgraffito e dorato a perfezione, non sia stata scolpita da Marsiello, ma da questi unicamente decorata18.

Il modello colto per questo santo “guerriero” può essere individuato nel magnifico S. Michele dell’omonima chiesa gesuitica di Cagliari. Prodotto di ambito napoletano, era già completato nel 1620, quando si richiedeva la finitura a sgraffito al doratore napoletano Giuseppe de Rosa (doc. 1609-1635). A lui si deve la raffinatissima decorazione in estofado, il cui motivo viene ripreso in forme simili anche nella scultura di Collinas. Come già evidenziato dalla Scano, non siamo in grado di affermare con certezza se il De Rosa sia anche l’intagliatore dell’opera19. Risulta infatti difficile poter individuare le diverse mani che contribuirono alla realizzazione di un manufatto come questo. Occorre ricordare, infatti, che nella complessa realizzazione di una scultura intagliata, dorata e policromata le diverse fasi potevano essere svolte da più operatori. Questo risulta palese, ad esempio, nel S. Efisio della parrocchiale di S. Barbara a Villacidro (Fig. 8). Solo il recente restauro del 2018 ha permesso di eliminare la pesante ridipintura otto-novecentesca che ne ricopriva interamente la figura, mostrando il bellissimo estofado de oro che decora la statua in tutte le sue parti. Anche in questo caso l’ornato sorpassa per qualità l’intaglio un poco rigido di una figura sproporzionata, priva di sinuosità e dal volto alquanto ingenuo. Si tratta di un’opera popolaresca di produzione sarda della metà del XVII secolo, eseguita a seguito dell’incremento della devozione al santo dopo la liberazione di Cagliari dalla peste del 1655-1656. Non si hanno documenti per poter recuperare il nome dello scultore o del doratore, ma nella base sembra potersi leggere la scritta: «M(estre) Pedru Muru […]». Anche in quest’opera il motivo ornamentale d’ispirazione fitomorfa si espande liberamente su tutta la superficie. Nella parte posteriore, meglio conservata, si può apprezzare il motivo a ramage in oro su fondo verde smeraldo, mentre la veste, che si intravvede sotto la lorica nella parte inferiore, presenta il medesimo elemento decorativo su fondo bianco (Fig. 9). Si tratta dunque di un apparato ornamentale di grande bellezza che riscatta la mediocre qualità dell’intaglio, ed eseguito con tutta probabilità da un artista di sicura superiorità tecnica rispetto allo scultore.

In modo analogo il povero saio francescano del tardo cinquecentesco S. Bernardino di Mogoro assume l’aspetto di un ricco tessuto, riemerso a seguito del restauro20. Allo stesso modo potrebbe risalire alla fase del primo impianto della chiesa, negli ultimi decenni del ‘50021, la statua del S. Mauro abate di Sorgono: frontale e rigido, presenta sulla veste benedettina una fine decorazione in estofado a maglie quadrilobate che racchiudono croci fitomorfe su fondo nero, che si possono apprezzare soprattutto sullo scapolare (Fig. 10).

Merita di essere ricordata anche la pregevole S. Chiara della cattedrale di Iglesias. L’opera, che non risulta nell’inventario redatto durante la visita pastorale del 159122, nè in quello del 1597, è finalmente annotato nel 1607: «Item una imagie en bulto de la gloriosa S.ta Clara». È compatibile l’identificazione con quest’opera, che stilisticamente manifesta caratteri dei primi decenni del ‘60023. L’abito monastico da clarissa, decorato a estofado, vede ripetersi per tutta la superficie un modulo a maglie che racchiude fiori stilizzati in oro su fondo verde cupo\nero (Fig. 11). Anche il bianco soggolo che incornicia il volto severo e patetico della santa non viene risparmiato da questo horror vacui: decorato in ordinate file parallele a maglie aperte racchiudenti fioroni, alternate a elementi cruciformi (Fig. 12).

La ricchezza ornamentale dell’estofado de oro non era riservata unicamente alle statue devozionali, ma caratterizza anche altri manufatti lignei, come retabli e tabernacoli. Un bel motivo a ramage libero su fondo verde scuro abbellisce il tabernacolo ligneo della parrocchiale di Monserrato. Documenti d’archivio permettono di delinerare i momenti costruttivi del manufatto: il primo del 1612, il secondo riferito agli anni 1647-1654, ad opera dello scultore sardo Giovanni Angelo Puxeddu (1616-1680)24. Gli stessi elementi si ritrovano in quel che rimane della decorazione del tabernacolo ligneo di Pabillonis, opera sardo-campano dei primi decenni del XVII secolo (Fig. 13). Abbiamo diverse attestazioni documentarie sulla prolifica bottega del Puxeddu per quasi tutto il ‘600, nonostante la palese incapacità di resa plastica delle sue figure, spesso rigide e sproporzionate. A lui si deve anche la realizzazione del grande tabernacolo ligneo, oggi perduto, della parrocchiale di Lunamatrona, commissionatogli su richiesta del decano della cattedrale di Ales Gavino de Campo. Per questo importante lavoro si avvalse della collaborazione del fuster siciliano Vincenzo Sasso25. Ulteriori ricerche potranno forse far luce anche sull’importazione in Sardegna di sculture lignee dalla Sicilia, con cui la Sardegna ebbe un proficuo rapporto artistico, finora evidenziato soprattutto per quanto riguarda l’oreficeria26.

Nella medesima Collezione si conservano diverse sculture che, pur non presentando particolari elementi decorativi, meritano di essere prese in considerazione. A questa raccolta appartiene un S. Francesco stigmatizzato, databile al terzo-quarto decennio del XVII secolo (Fig. 14). Lo si può accostare al S. Francesco della chiesa di S. Biagio a Dolianova, commissionato a Francesco Marsiello nel 163327. Da quest’opera, che mostra un’impostazione rigida, quasi frontale, se non fosse per il leggero movimento della gamba destra che avanza di poco rispetto alla sinistra, tra le pesanti pieghe del saio, la nostra riprende l’impostazione generale della figura, come anche la postura delle braccia e la descrizione attenta delle mani, solcate da evidenti vene violastre; e ancora sono simili i capelli e la barba, suggeriti da ciocche compatte, come pure il viso, qui dagli occhi in vetro, dell’espressione un po’ imbambolata. La sua odierna collocazione in ambito privato rende ancora più difficile poterne rintracciare la provenienza, anche perché la base pare sostituita nel XVIII secolo e decorata a marmorino. Questo S. Francesco, ancor più dell’opera di Dolianova, mostra una sommaria descrizione del panneggio del saio, dalle pieghe solo accennate, che coprono un corpo dalla vita estramente stretta. É probabile che la statua fosse destinata ad essere sovravestita con un vero saio di stoffa.

Ad ambito napoletano della fine del Seicento è stato ricondotto il S. Antonio di Padova del Santuario di N.S. di Bonaria a Cagliari; incluso nella produzione della fiorente bottega di Gaetano Patalano per le evidenti consonanze stilistiche con il suo S. Antonio della chiesa di S. Chiara a Lecce (1692 circa)28. A tale contesto artistico, in cui non sempre si possono scorgere nette differenze stilistiche tra i diversi operatori29, possiamo assegnare anche un inedito S. Pasquale Baylón della citata Collezione (Fig. 15). Il santo iberico, canonizzato da Alessandro VIII nel 1690, condivide con il bel S. Antonio di Padova di Cagliari, oltre le ridotte dimensioni (cm. 62 con la base), anche la medesima grazia tardo-secentesca, come la cura per i dettagli e l’espressione patetica del volto. Il S. Pasquale si apre maggiormente nello spazio per la torsione del busto verso destra e le braccia allargate in un gesto di stupore estatico, mentre inginocchiato guarda verso un perduto angelo con ostensorio, suo abituale attributo iconografico30. L’impostazione della figura, l’atteggiamento devoto e il trattamento del panneggio lo avvicinano anche alla cultura campana di Domenico Di Venuta (1687-1744) che si manifesta nel suo S. Pasquale Baylón della chiesa di Bagnoli Irpino (1707)31. Dello stesso scultore abbiamo in Sardegna anche la bella Immacolata della cappella dei canonici della Cattedrale di Oristano, firmata e datata al 173432. Somiglianze compositive e simili gesti li ritroviamo nel S. Pasquale della chiesa di S. Rosalia di Cagliari, ma dall’espressione un poco fissa e spenta per i grandi occhi spalancati, meno drammatica rispetto al santo di Collezione privata, vicino invece al S. Antonio del Santuario di Bonaria, e da includere anch’esso nella tarda produzione seicentesca non lontano dalla bottega del Patalano. Così anche per un S. Antonio di Padova, della nostra Collezione, che riprendendo l’aggraziata posa tardo-barocca svelata da un curato intaglio del panneggio, denuncia il ripetere di modelli compositivi ormai affermati (Fig. 16). Le numerose richieste della committenza portarono così ad una seriazione dei modelli, nelle pose e nei caratteri fisionomici. Questo appare evidente, ad esempio, per la figura di S. Giuseppe, di cui abbiamo molte opere in Sardegna della fine del XVII e soprattutto del XVIII secolo, che ripetono modelli compositivi di chiara derivazione napoletana. A Iglesias, nella chiesa ex-gesuitica della Purissima, consacrata nella primitiva struttura nel 1580 e ampliata con progetto definitivo pare del 169333, si conserva una bella statua del Santo Patriarca (Fig. 17). La caduta delle palpebre e un maldestro intervento di recupero hanno alterato lo sguardo assorto del santo, elegante nella postura, dal fine intaglio del volto indagato con minuzia di particolari, con la pelle un poco cascante e dalla morbida barba e capigliatura. La stessa attenzione la ritroviamo nelle mani, dalle vene in evidenza e nella ricca descrizione del panneggio. Il S. Giuseppe di Iglesias mostra chiaramente affinità stilistiche con opere napoletane firmate o documentate, ad esempio con il S. Giuseppe, firmato da Vincenzo Ardia e realizzato per l’omonima chiesa di Manduria prima del 172634. A questo il santo iglesiente si avvicina non solo per la generale impostazione della figura e nella disposizione dei panneggi delle vesti, quanto per l’intaglio proprio del viso, e nella delicata descrizione del piccolo Gesù che cerca il contatto con il padre putativo. Sono diverse le sculture affini, come il S. Giuseppe di Giacomo Colombo (1730, chiesa di S. Giovanni Battista, Colletorto)35, o quello firmato e datato dallo scultore Lorenzo Cerasuolo, 1760, conservato nella cattedrale di Oristano36. Al S. Giuseppe d’Iglesias si avvicina il S. Giuseppe della chiesa della Madonna della Neve di Cuglieri, seppur di qualità non altrettanto elevata, e quello della parrocchiale di Settimo San Pietro, che sono pressoché identici, prodotti forse dalla medesima bottega. Della stessa matrice appare un S. Giuseppe della Collezione privata (Fig. 18), sebbene senza Bambino (perduto) ma dall’aggraziata postura e dall’attento intaglio del volto, elementi che ne denunciano la comune appartenenza alla cultura artistica campana settecentesca. Quella medesima cultura produsse anche un altro S. Giuseppe, della medesima Collezione, questo a manichino e da vestire, che mostra i caratteri propri della ricercata statuaria presepiale campana del Settecento.

Gli stilemi tardo-barocchi, così apprezzati dalla committenza ecclesiastica, non si spensero a Napoli e nel meridione d’Italia nemmeno nell’Ottocento, permettendo la sopravvivenza di botteghe locali che perpetuarono il modulo “devoto” della statuaria sei-settecentesca, esplicitato, ad esempio, nel bel S. Gaetano Thiene della nostra Collezione privata (Fig. 19). Nonostante necessiti di un intervento di restauro conservativo, la statua mostra una qualità tecnico-formale elevata, che si manifesta nell’elegante postura del santo che si volge verso il basso ad adorare un perduto Gesù Bambino37. A questo si deve aggiungere la cura nell’intaglio del panneggio delle morbide vesti, nel naturale disporsi delle pieghe, e soprattutto nel modellato dei piani del viso, che indugia nella descrizione di barba e capelli, con la bocca semi aperta in un’espressione di estasi. L’atteggiamento composto e la dolce grazia che traspare dalla figura collocano questo S. Gaetano all’interno della scultura campana in legno della fine del XVIII secolo ma ancor di più dei primi decenni del XIX. Infatti, gli elementi propri della scultura devozionale barocca settecentesca, seppur in alcuni casi mitigati dall’influsso neoclassico, non vengono meno nemmeno nel secolo successivo, richiesti da una committenza devota ad esperti scultori napoletani quali i Verzella o i Citarelli che produssero opere del medesimo tenore per tutto l’Ottocento38. Anche in Sardegna, quando si trattava di scultura lignea devozionale, la committenza dell’Ottocento era solita richiedere opere influenzate dalla scultura tardo-barocca del secolo precedente, come dimostrano i lavori dello scultore isolano Giuseppe Zanda (1818-1899)39. Sintomatico di questo legame strettissimo con la statuaria napoletana è il fatto che questo scultore, ancora nell’Ottocento, continuasse a decorare le vesti delle sue statue con una tecnica a sgraffio che richiamava quello secentesco. Forse proprio la committenza apprezzava questo particolare carattere della statuaria devozionale, la cui raffinata esecuzione emerge nella sua S. Barbara della parrocchiale di Villacidro, realizzata nel 184840. Ancora nello stesso secolo, quando si trattava di acquistare dalla Penisola italiana, ci si rivolgeva per lo più a Napoli, da cui arrivarono opere diffuse in tutta l’isola che attendono ancora uno studio critico.

La ricchezza di questa variegata Collezione d’arte si manifesta anche in opere in avorio di piccole dimensioni. Materiale pregiato, trovò ampio utilizzo in elementi decorativi o in raffinate opere di piccolo e grande formato. La Sardegna non ebbe mai una propria tradizione nella lavorazione di questo materiale, a differenza della Sicilia da cui provengono pregevoli manufatti in avorio associato al corallo, tartaruga o madreperla41. Il piccolo Crocifisso in avorio (cm 20 con la base) di questa Collezione non è però da includere nell’ambito siciliano o europeo, quanto piuttosto in quello ispano-filippino del XVII secolo. Gli studi di Margherita Maria Estella Marcos hanno precisato i caratteri stilistici dell’ampia produzione scultorea sacra ispano-filippina e indo-portoghese, sviluppata anche attraverso l’azione missionaria della Controriforma42, in particolare quella dei Gesuiti. Fu proprio attraverso i continui scambi intercorsi tra le diverse comunità dell’Oriente e dell’Occidente, e lo spostamento di uomini e merci attraverso le diverse rotte di navigazione che giunsero in Europa questi manufatti. Nella medesima Collezione si conservano anche un S. Antonio di Padova in legno con mani e viso in avorio e un S. Francesco d’Assisi (Fig. 20), raffinato nei particolari dell’intaglio del viso da includere nel citato ambito artistico e cultura d’oltre oceano.

Da questa analisi emerge la varietà e ricchezza di questa Collezione, che ci permette di affermare ancora una volta l’importanza dell’influsso napoletano per la cultura artistica del Meridione d’Italia in epoca moderna. La comune appartenenza alla medesima Corona degli Asburgo permise anche alla Sardegna di trovarsi al centro di continui scambi economici e culturali tra Campania, Sicilia e Spagna, grazie anche allo spostamento di viceré, arcivescovi e nobili che contribuirono al diffondersi di gusti estetici e di opere.

  1. Sull’argomento si vedano: C. Maltese-R. Serra, Episodi di una civiltà anticlassica, in Sardegna, a cura di F. Barreca-A. Boscolo, Milano 1969, pp. 177-404; R. Sfogliano, Esempi significativi di scultura lignea del Seicento nella Sardegna settentrionale, in Arte e cultura del ‘600 e del ‘700 in Sardegna, a cura di T.K. Kirova, Napoli 1984, pp. 335-342; M.G. Scano, Pittura e scultura del ‘600 e del ‘700, Nuoro 1991; S. Naitza, La scultura del Cinquecento, in La società sarda in età spagnola, a cura di F. Manconi, I, Quart (Valle d’Aosta) 1992, pp. 110-119; S. Naitza, La scultura del Seicento, in La società sarda…, II, 1992, pp. 154-157; M.G. Scano Naitza, Percorsi della scultura lignea in estofado de oro dal tardo Quattrocento alla fine del Seicento in Sardegna, in Estofado de oro. La statuaria lignea nella Sardegna spagnola, Cagliari 2001, pp. 21-55; M. Porcu Gaias, Diffusione della scultura lignea e organizzazione delle botteghe artigiane a Sassari e nel Capo di Logudoro dal ‘500 al primo ‘700, in Estofado de oro…, 2001, pp. 67-84; Idem, Scultori, intagliatori ed ebanisti nel capo di Sassari e Logudoro, in Estofado de oro…, 2001, pp. 285-294; M.G. Scano Naitza, L’apporto campano nella statuaria lignea della Sardegna spagnola, in La scultura meridionale in età moderna nei suoi rapporti con la circolazione mediterranea, a cura di L. Gaeta, II, Lavello 2007, pp. 123-193; A. Pasolini, Alcune riflessioni sul rapporto tra pittura e scultura nella Sardegna del Cinquecento sulla base di recenti rinvenimenti documentari, in Ricerca e confronti 2006. Giornate di studio di archeologia e storia dell’arte, Cagliari 2007, pp. 409-424; Idem, L’impronta lombarda nella scultura sarda del Seicento, in “Artisti dei Laghi”, II, 2013, pp. 203-228; L. Agus, Le relazioni artistiche e culturali del Mediterraneo occidentale. I Raxis-Sardo, pittori, scultori e architetti del XVI secolo tra Sardegna e Andalusia, Canterano 2017. []
  2. M.G. Messina-A. Pasolini, Scultori, intagliatori ed ebanisti nel Meridione sardo, in Estofado de oro…, 2001, pp. 253-281. []
  3. Il problema della datazione di quest’importante scultura si complica per la non conciliabilità tra i dati forniti dalla tradizione letteraria di fine ‘500 – le diverse relazioni sull’arrivo miracoloso dell’immagine a Cagliari nel 1370 – e la datazione proposta dagli storici dell’arte alla fine del XV secolo. In questo lungo lasso di tempo si colloca il silenzio delle fonti del XIV e del XV secolo che tacciono sul presunto arrivo miracoloso dell’immagine. L’unico riferimento del Quattrocento si trova in un documento notarile del 1454 dove viene nominata un’imbarcazione posta sotto l’invocazione della “Virgen de Bonayre” (R. Porrà, Il culto della Madonna di Bonaria di Cagliari. Note storiche sull’origine sarda del toponimo argentino Buenos Aires, Cagliari 2001, pp. 21-36). Un culto quindi antico che Maria Grazia Scano (L’escultura del gòtic tardà a Sardenya, in L’art gòtic a Catalunya, a cura di A. Pladevall i Font, II, Escultura, Barcellona 2007, pp. 260-271) e poi anche Maria Giuseppina Meloni (Il santuario della Madonna di Bonaria. Origini e diffusione di un culto, Roma 2011, pp. 34-39) ipotizzano possa essere stato originariamente rivolto verso l’antica immagine del santuario, la Madonna del Miracolo. Si veda anche: M. Passeroni, La Madonna di Bonaria: storia degli studi, aspetti stilistici, tecnici, iconografici, in I segni della devozione. Sant’Efisio e la Madonna di Bonaria: filologia e culto nel restauro dei due simulacri più venerati della Sardegna, a cura di P. Olivo-M. Passeroni, Cagliari 2010, pp. 23-38. Sulla Madonna del Miracolo cfr. A. Pala, La statua lignea della Madonna del Miracolo nel santuario di Bonaria a Cagliari, in “Theologica et Historica”, XXII, 2013, pp. 363-386. []
  4. In Sardegna esistono diversi centri in cui la devozione per il martire Teodoro di Amasea è tutt’oggi radicata. A Siurgus, centro in provincia di Cagliari oggi comune unito a Donigala, la parrocchiale è dedicata a questo santo. Negli inventari delle visite pastorali della fine del XVI e dei primi del XVII secolo non risultano nella parrocchiale statue di S. Teodoro, ma un retablo dipinto nell’altare maggiore (1599, con revisione del 1616). «Die XVI mensis et annj predictor (aprile 1599). Retaulos e Imagien. Primo en la capella major son altar y en el son retaul de taula pintat de las imagien y  una verga de ferro ab sa cortina per los dias de pasio». Archivio Storico Diocesano di Cagliari (d’ora in poi ASDC), Inventari, III, (1599-1616), f. 205v. []
  5. Sulla base in senso antiorario si legge: «S(ANC)TUS MAURO M.\\ FECIT FIERI\\ D(OCTO)R FRANC(ISC)US CAVIANO\\ CAN(ONICU)S CALARITANUS 1633». Sulla fondazione del convento di S. Mauro: P. Martini, Storia ecclesiastica di Sardegna, III, Cagliari 1841, pp. 153-155. []
  6. Il termine broccatello designa un tessuto della famiglia dei lampassi, che presenta particolari effetti di disegno a rilievo, ottenuti dall’impiego di una trama di fondo in lino, canapa e cascame di seta sottoposta a torsione. Cfr. Dizionario tecnico della tessitura, a cura di A. Argentieri Zanetti, Udine 1987, pp. 20-21. []
  7. Sullo scultore: M.G. Scano Naitza, L’apporto campano…, 2007, p. 154. Inoltre: A. Pasolini, scheda n. 33, Santi Cosma e Damiano, in Estofado de oro…, 2001, pp. 150-152; M.G. Scano Naitza, Testimonianze dell’arte nell’arredo chiesastico, in Sinnai. Storia, arte, documenti, a cura di S. Ledda, Quartu S. Elena 2009, pp. 39-66 (pp. 48-49). []
  8. Sulla moda spagnola cfr. G. Butazzi, Il modello spagnolo nella moda europea, in Le trame della moda, a cura di A.G. Cavagna – G. Butazzi, Roma 1995, pp. 80-107. []
  9. S. Murgia, Suelli: nell’arte il segno della devozione, Dolianova 2003, p. 46. Sullo scultore si veda: M.G. Scano Naitza, L’apporto campano…, 2007, nota 129, p. 162. []
  10. A. Serra, Museo d’Arte Sacra Alghero. Catalogo, Sestu 2000, p. 71. M. Porcu Gaias (Scheda n. 51, Vergine Annunziata, in Estofado de oro…, 2001, p. 179) la assegna ad ambito iberico o napoletano con influsso spagnolo dei primi decenni del Seicento. []
  11. P. Olivo (Scheda n. 79, Madonna Annunciata, in Estofado de oro…, 2001, pp. 229-230) la assegna a bottega napoletana dei primi decenni del XVII secolo. Per entrambe si veda: M.G. Scano Naitza, Percorsi della scultura lignea…, 2001, pp. 32, 36. []
  12. R. Serra, Pittura e scultura dall’età romanica alla fine del ‘500, Nuoro 1990, p. 163. Sulla base di un documento messo in luce da I. Farci (La parrocchiale di S. Barbara. Vicende architettoniche ed alcuni arredi del Settecento, in Sinnai. Storia…, 2009, pp. 18-38), che pone la consacrazione della chiesa di S. Barbara in un momento prossimo al 1568, M.G. Scano ipotizza che il simulacro della titolare esistesse già in quel momento, e possa identificarsi in quello ancora oggi nell’altare maggiore, inventariato nella visita pastorale del 1591. M.G. Scano Naitza, Testimonianze dell’arte nell’arredo…, 2009, p. 45. []
  13. J. Yeguas Gassó-P.L. De Castris, Due sculture napoletane in legno intagliato e dorato al Museu Nacional d’Art de Catalunya, in “Napoli Nobilissima”, serie VI, 1, 2010, pp. 65-71 (p. 68). []
  14. P. Leone de Castris, Sculture in legno di primo Seicento, in Terra d’Otranto, tra produzione locale e importazione da Napoli, in Sculture di età barocca tra Terra d’Otranto, Napoli e Spagna, a cura di R. Casciaro-A. Cassiano, Roma 2007, pp. 24-25. Inoltre: A.A. Barrón García–J. Criado Mainar, Bustos-relicarios napolitanos de 1608 en la Colegiata de Borja, in “Cuadernos e Estudios Borjanos”, LVIII, 201, 5, pp. 73-113. []
  15. F. Virdis, Artisti napoletani in Sardegna nella prima metà del Seicento: documenti d’archivio, Dolianova 2002, pp. 23-41. []
  16. Sullo scultore Francesco Marsiello si veda: R. di Tucci, Documenti e notizie per la storia delle arti e dell’industria artistica in Sardegna, dal 1570 al 1620, in “Archivio Storico Sardo”, ILII, 1924, p. 156; M. Corda, Arti e mestieri nella Sardegna spagnola: documenti d’archivio, Cagliari 1987, pp. 49-51, 54, 68, 177-182, 187-189; M.G. Scano, Pittura e scultura…, 1991, p. 69; S. Tomasi, Memorie del passato. Appunti di storia diocesana (dal 1954 al 1960), I, Cartabianca, Villacidro 1997, 84, 415; M.G. Scano Naitza, Percorsi della scultura lignea…, 2001, 46, nota 108, 54; M.G. Messina-A. Pasolini, Scultori, intagliatori…, 2001, pp. 270-271; F. Virdis, Artisti napoletani in Sardegna…, 2002, pp. 23-41; pp. 126-156; Idem, Artisti e artigiani in Sardegna in età spagnola, Serramanna 2006, pp. 93-94; M.G. Scano Naitza, L’apporto campano…, 2007, pp. 163-167, in particolare nota 133, p. 165. []
  17. M.G. Scano, Pittura e scultura…, 1991, p. 63; M.G. Messina, Scheda n. 20, S. Giuseppe col Bambino, in Estofado de oro…, 2001, pp. 132-134; Idem, Scheda n. 21, S. Giovanni Battista, in Estofado de oro…, 2001, pp. 134-135. Il documento di commissione (Archivio di Stato di Cagliari [d’ora in poi ASCA], Atti notarili sciolti Cagliari città, notaio Giovanni Antioco Corria, vol. 217) è in M. Corda, Arti e mestieri…, 1987, pp. 186-187. []
  18. M.G. Scano Naitza, L’apporto campano…, 2007, p. 167. []
  19. Idem, L’apporto campano…, 2007, pp. 142-143. []
  20. L. Siddi, Il restauro delle statue venerate: un difficile equilibrio tra arte e fede, in La scultura meridionale in età moderna…, 2007, pp. 311-324. []
  21. F. Segni Pulvirenti – A. Sari, Architettura tardogotica e d’influsso rinascimentale, Nuoro 1992, p. 248. []
  22. M.G. Scano Naitza, L’apporto campano…, 2007, p. 137. []
  23. Assente nell’inventario del 1597 dove però è menzionato un: «retaulo del altar major sosts dita invocatio de santa Clara quales de taula molt antich pintat de las imagens», ASDC, Inventari, 2\ 1, Iglesias 1597, c. 3. Presente invece nell’inventario del 1607, ASDC, Inventari, 4, 1607, c. 1r «Die IV mensis maij anno domini MDCVII in civitate Ecclesiar(um). Retaulos e imagiens […]. Item una imagie en bulto de la gloriosa S.ta Clara». Compare ancora nell’inventario del 1612: ASDC, Inventari, 4, 1612, c. 10 v. []
  24. Sullo scultore Giovanni Angelo Puxeddu si veda: M.G. Scano Naitza, Percorsi sardi per la scultura lignea campana del Settecento, in Sculture e intagli lignei tra Italia Meridionale e Spagna, dal Quattrocento al Settecento, Atti del convengo internazionale di studi (Napoli, 28-30 maggio 2015), a cura di P. Leone de Castris, Napoli 2015, pp. 46-47; M.G. Messina-A. Pasolini, Scultori, intagliatori ed ebanisti…, in Estofado de oro…, 2001, pp. 275-276; F. Virdis, Giovanni Angelo Puxeddu pittore e scultore della prima metà del Seicento in Sardegna, Dolianova 2002. []
  25. M.G. Messina – A. Pasolini, Scultori, intagliatori ed ebanisti,…, in Estofado de oro…, 2001, p. 274. []
  26. M. Porcu Gaias, La diffusione del gioiello nella Sardegna Medievale e Moderna. I corredi delle classi dominanti e i “tesori” delle chiese, in Gioielli. Storia, linguaggio, religiosità dell’ornamento in Sardegna, Nuoro 2004, pp. 45-80; A. Pasolini, Oreficeria siciliana in Sardegna e la Hermandad de los Cicilianos a Cagliari, in “OADI. Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, XIV, dicembre 2016, pp. 47-64. []
  27. M.G. Scano Naitza, L’apporto campano…, 2007, p. 166. Il documento di committenza (ASCA, Atti notarili sciolti Cagliari città, notaio Giovanni Antonio Corria, vol. 217) è in M. Corda, Arti e mestieri…, 1987, p. 188. []
  28. M. Salis, Migrazione di statue in legno campane in Sardegna tra Sei e Settecento e nuove attribuzioni, in Sculture e intagli lignei…,2015, pp. 203-210. []
  29. R. Casciaro, Napoli vista da fuori: sculture di età barocca in Terra d’Otranto e oltre, in Sculture di età barocca…, 2007, pp. 60-61. []
  30. M.C. Celletti, S. Pasquale Baylón. Iconografia, in Bibliotheca Sanctorum, X, Roma 1968, coll. 363-366. []
  31. L. Gaeta, Riconsiderando Giacomo Colombo, in Il Cilento ritrovato. La produzione artistica nell’antica Diocesi di Capaccio, catalogo della mostra, Napoli 1990, pp. 166-188 (pp. 172-180); R. Casciaro, Seriazione e variazione: sculture di Nicola Fumo tra Napoli, la Puglia e la Spagna, in La scultura meridionale in età moderna…., 2007, II, pp. 245-263; M. Viceconte, Domenico Di Venuta, in Splendori del Barocco defilato. Arte in Basilicata e ai suoi confini da Luca Giordano al Settecento, a cura di E. Acanfora, [s.l.] 2009, pp. 282-283; M. Pasculli Ferrara, Contributo per la scultura lignea in Capitanata e in area meridionale nei secolo XVII-XVIII. Fumo, Colombo, Marocco, Di Zinno, Brudaglio, Buonfiglio, Trillocco, Sanmartino, in G. Bertelli – M. Pasculli Ferrara, Contributi per la storia dell’arte in Capitanata tra medioevo ed età moderna. 1. La scultura, Galatina 1989, pp. 53-80. []
  32. M.G. Scano Naitza, Percorsi sardi per la scultura lignea campana del Settecento, in Sculture e intagli lignei…, 2015, pp. 193-202. []
  33. G. Murtas, Arte Sacra in Sardegna, Diocesi di Iglesias, Sestu 2000, pp. 125-132; E. Garofalo, Progetto e revisione. Il modo nostro nelle vicende dei Gesuiti di Iglesias, in La Compañia de Jesús y las artes. Nuevas perspectivas de investigación, a cura di M.I. Álvaro Zamora-J.I. Fernández, Saragozza 2014, pp. 215-232. Sulla Chiesa della Purissima: R. Poletti, Il complesso ex gesuitico di Iglesias. Note storiche e documenti d’archivio, Carbonia 2017. []
  34. R. Alonso Moral, Scheda n. 35, San Giuseppe col Bambino Gesù, in Sculture di età barocca…, 2007, pp. 234-235. []
  35. D. Catalano, Scultura lignea in Molise tra Sei e Settecento: indagine sulle presenze napoletane (Colombo, di Nardo, de Mari, d’Amore), in La scultura meridionale in età moderna…, 2007, II, pp. 221-244. []
  36. M. Salis-M.G. Scano Naitza, Approdi sardi per la scultura campana del Settecento. Pietro Nittolo e Lorenzo Cerasuolo, in “Kronos”, XIV, 2014, pp. 225-234. []
  37. F. Andreu, Gaetano da Thiene, in Bibliotheca Sanctorum, V, Roma 1964, col. 1346-1349. []
  38. M. Saccente, Le botteghe tardo barocche a Napoli degli scultori Verzella e Citarelli Sabatini e la diffusione delle loro opere in Puglia. Il caso di Santa Maria della Porta a Palo del Colle, Fasano 2015. []
  39. M.G. Scano, Pittura e scultura dell’Ottocento…, 1997, pp. 106-110. []
  40. M.G. Scano, Pittura e scultura dell’Ottocento…, 1997, p. 107. []
  41. Splendori di Sicilia: arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della mostra, a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001; Coralli e scultori in corallo, madreperla, avorio, tartaruga, conchiglia, ostrica, alabastro, ambra,osso attivi a Trapani e nella Sicilia Occidentale dal XV al XIX secolo, a cura di R. Vadalà,  in Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e nella Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo, catalogo della mostra, a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2003; M.C. Di Natale – S. Bonetti, Il restauro scientifico per un presepe trapanese in materiali preziosi, in “OADI. Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, XIII, giugno 2016. M.C. Di Natale, Oro, argento e corallo tra committenza ecclesiastica e devozione laica, in Splendori di Sicilia…, 2001, pp. 22-69. []
  42. M.M. Estella, La escultura Barroca de Marfil en España. Escuelas europeas y coloniales, I-II, Madrid 1984. []