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Paliotti d’altare in fili di paglia delle chiese cappuccine della Sicilia occidentale
DOI: 10.7431/RIV17122018
I seguaci di San Francesco, coerentemente con la propria Regola, hanno privilegiato per l’arredo delle loro chiese o per i manufatti utilizzati dalle comunità dei frati, materiali poveri, facilmente reperibili, come il legno, la cartapesta, la cera e la paglia. Padre Cassiano Carpaneto da Langasco (1909-1998) osservava che nei conventi cappuccini, oltre ai momenti di preghiera e di contemplazione, «il delicato maneggio della paglia si alterna(va) con quello paziente dell’intreccio di fibre vegetali. L’intaglio del legno, le diverse tecniche di pittura, l’ornato – con il sorprendente midollo di fico -, la grafica, il ricamo trova(va)no appropriate espressioni, in armonia con più umili necessari interventi»1.
Gli studi sulle arti decorative in Sicilia di questi ultimi decenni hanno dato maggiore risalto a numerose personalità artistiche della famiglia francescana. Accanto ai nomi conosciuti di abili intagliatori e di scultori lignei, tra cui Frate Umile da Petralia2, e altri emergenti di modellatori di cera3, va ricordata l’abilità di alcuni religiosi francescani nell’eseguire opere ornate con fili e frammenti di paglia, materiale povero per eccellenza, facilmente flessibile e dal colore simile all’oro.
Con la paglia venivano realizzati i più disparati manufatti4 molti dei quali autentiche opere d’arte: preziose cartegloria, teche per contenere le ostie, quadretti a soggetto sacro per la privata devozione, ma anche i più complessi paliotti.
La magnificenza di queste artistiche realizzazioni è testimoniata da un’annotazione di Goethe che il 3 ottobre 1786, ricordando la sua visita alla chiesa di S. Pietro Apostolo a Venezia, scriveva: «ad onore di San Francesco, i padri Cappuccini avevano pomposamente adornato uno degli altari laterali, del cui pietrame non si vedevano che i capitelli corinzi, mentre tutto il resto pareva coperto da un magnifico parato a ricami di ottimo gusto in forma di arabeschi, una cosa veramente leggiadra come non si sarebbe potuto desiderare di meglio. In particolare mi stupivano i grandi tralci e fogliami ricamati in oro. Ma ecco, mi avvicinai ed ebbi una graziosissima delusione: tutto ciò che avevo preso per oro non era se non paglia schiacciata bella larga e incollata in vaghi disegni su della carta, col fondo tinto a vivaci colori; e ciò con tale varietà e buon gusto che questo passatempo, di cui la materia non valeva nulla e che probabilmente era stato eseguito nello stesso convento, sarebbe costato di certo parecchie migliaia di talleri, se avesse dovuto essere davvero genuino»5.
Cristina Acidini, nell’introduzione al catalogo della mostra “L’oro dei poveri e la paglia delle sovrane”, tenutasi a Firenze nel dicembre 2002 presso l’Accademia dei Georgofili, annotava: «Solo le condizioni lavorative assolutamente “fuori mercato” dei Cappuccini del XVIII secolo resero possibile la loro lunga, paziente, meticolosa dedizione a questa forma di creatività, che convertiva ingredienti umili e caduchi – carta, tela, e appunto paglia – in rutilanti trionfi d’impronta barocca. Incollata pezzetto per pezzetto sul fondo colorato, la paglia suggerisce, a seconda delle forme, del verso della fibra e dei chiaroscuri suscitati dalla diversa esposizione alla luce, lavorazioni pregiate come la lamina in bronzo dorato, il mosaico, l’intarsio ligneo “maggiolino”, il ricamo a piccolo punto e perfino, grazie a una certa sua lucentezza cangiante, la madreperla»6.
Purtroppo, pochi nomi emergono nel panorama artistico siciliano relativamente alla lavorazione di paliotti d’altare ornati con tale materiale, uno di questi è Padre Antonino da Bisacquino. L’artista, al secolo Pietro Cannella, religioso cappuccino vissuto nel XVIII secolo (1715-1778), come sottolinea Bruno De Marco, era un abile ricamatore7. Padre Antonino probabilmente avrà avuto modo di apprezzare e conoscere altri validi artisti-artigiani di ambiti affini, tra cui don Ignazio La Bibbia, ricamatore palermitano attivo a Bisacquino a metà del XVIII secolo, che nel 1744 veniva retribuito per aver ricamato un antependium in fili d’oro e di seta per la chiesa dei Padri Gesuiti di Bivona8.
Nelle inedite annotazioni dattiloscritte Padre Flaviano Farella da Polizzi Generosa, a proposito dei decori in paglia eseguiti dal confratello di Bisacquino, scriveva: «Il ricamo è fissato su un fondo di seta bianca o a colori o di tela […] può essere monocolore o policromo usando fili di paglia semplicemente o misti con altri tessuti. Sono disegni geometrici, ghirlande di fiori, simboli sacri o talvolta semplici scritte, il tutto lavorato con tale perizia e finezza da dare l’illusione di trovarsi dinanzi a un ricamo con oro e argento»9.
Padre Gandolfo da Polizzi Generosa affermava che un paliotto firmato dal religioso di Bisacquino, datato 1767, si trovava nel convento dei Padri Cappuccini di Salemi10. Purtroppo, dell’opera dell’antica città demaniale si erano perse le tracce in seguito ai danni subiti dal convento nel terremoto del 1968, che ha colpito numerosi centri della valle del Belice. Recentemente il manufatto è stato rintracciato dalla scrivente presso il convento dei Padri Cappuccini di Palermo11. L’antependium (Fig. 1), che come annotato nel Necrologio reca nella parte posteriore l’iscrizione: «1767 P. Antonino da Busachino» (Fig. 2), mostra un articolato ornato in fili e frammenti di paglia al naturale incollati sulla carta disegnata e applicati su tela dipinta a tempera celeste. Centralmente, all’interno di uno scudo, figura lo stemma francescano con al di sotto due cornucopie. Da qui si diparte una fitta decorazione fitomorfa che ingloba tra l’altro simbolici grappoli d’uva e la melagrana che, per la molteplicità dei semi contenuti nella dura scorza, simboleggia la Chiesa che riunisce i fedeli12. Figurano inoltre due coppie di volatili, una delle quali con spighe nel becco, che rievocano il motivo orientale degli uccelli affrontati all’albero della vita. «Essi solitamente “custodi” dell’albero in conflitto con il serpente simbolo del diavolo nel suo aspetto ctonio, sono […] da interpretare come “le anime alate o le anime in Paradiso” premiate per essersi cibate del salvifico nutrimento»13. Conclude l’opera una cornice pure in paglia disposta a spina di pesce.
A Bisacquino, paese natale di Padre Antonino, nell’antisacrestia della chiesa dei Padri Cappuccini, è collocato un paliotto (Fig. 3) pure decorato con fili di paglia al naturale e tinta riferibile allo stesso14, che si aggiunge al corpus di simili manufatti, a cui si può attribuire anche un altro pannello della stessa chiesa, quest’ultimo, purtroppo, non più custodito, ma di cui rimane una riproduzione presso l’Archivio Fotografico della Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Palermo15. Oltre a decorare, infatti, i rappresentativi arredi per gli altari, i fili di paglia erano sapientemente utilizzati per arricchire piccoli pannelli e oggetti devozionali16. Gli inventari medicei della fine del XVII secolo elencano preziosi reliquiari con fili di paglia, purtroppo perduti. Tra gli esemplari pervenutici si ricordano, invece, due custodie con Agnus Dei conservate nel Museo degli Argenti di Palazzo Pitti, eseguite tra il 1667-1669 e ornate nella cornice di legno nero da motivi fitomorfi in paglia17, similmente agli elementi in naturali fili aurei che arricchiscono il repositorio del tesoro della Cattedrale di San Romolo a Fiesole18.
Il paliotto di Bisacquino presenta un sinuoso intreccio di tralci, carichi di numerose varietà floreali espanse, che specularmente si snodano su tutta la superficie del manufatto e inglobano uno scudo circondato da volute rocailles con al centro un ostensorio coperto da un prezioso conopeo, secondo le istruzioni di S. Carlo Borromeo19. Dal foro centrale della copertura serica fuoriesce la crocetta apicale della suppellettile circondata da una fitta raggiera aurea, che emana la “luce divina”. L’ovale è delimitato in alto e in basso da campi squamati e nei quattro angoli da rocailles con reticolo. L’opera, sottovalutata finora dal punto di vista artistico, è da ascrivere al sesto–settimo decennio del XVIII secolo, ante 1778, data di morte dell’artista, periodo in cui è attestato un radicale rinnovamento architettonico, scultoreo e pittorico della chiesa conventuale20. Tra le opere figurative eseguite nello stesso periodo per la chiesa cappuccina si ricordano alcune tele di Fra’ Felice da Sambuca21, ancora esposte nei due altari di destra della nave, come la Madonna in trono con Santi e Frati Cappuccini e San Bernardo da Corleone22 e altre opere dello stesso artista temporaneamente custodite presso i depositi del Museo Diocesano di Monreale23, tra cui si ricorda Santa Rosalia, patrona di Bisacquino24.
Il precario stato di conservazione del paliotto del centro dell’entroterra palermitano, per il quale si auspica un urgente restauro per il distacco di alcune lamelle di paglia e il deterioramento del supporto, mostra chiaramente la tecnica utilizzata dai Padri Cappuccini nell’eseguire tali manufatti. Si preparava il disegno, in alcuni casi probabilmente attinto dalla circolazione di cartoni, si trasponeva su strisce di carta, si procedeva all’applicazione l’uno accanto all’altro degli steli di paglia aperti e ben stirati e successivamente al loro fissaggio con vari strati di collante. Definita tale fase si riportava la decorazione ottenuta sul supporto tessile con intelaiatura lignea.
Padre Flaviano Farella riporta ancora che un altro paliotto eseguito da Padre Antonino era custodito presso il Convento dei Padri Cappuccini di Palermo per essere esposto nel Museo25, come già annotava Padre Gandolfo da Polizzi Generosa26, probabilmente ivi trasferito da padre Francesco Trapani, che aveva raccolto e catalogato numerosi manufatti artistici in previsione di una futura apertura di un fondo museale con sede nel complesso palermitano. Purtroppo, la morte del Cappuccino ha bloccato il progetto e disperso alcune delle opere già selezionate.
Gli stessi autori ricordano inoltre un simile esemplare realizzato dall’artista e conservato presso il convento di Castelvetrano27, pure disperso. L’unico antependium della chiesa conventuale del centro del trapanese con fili e frammenti di paglia tuttora custodito è, infatti, quello eseguito da frate Bernardo da Marsala, al secolo Girolamo Sorrentino, nato nel 1762, che prese i voti nel 178728. La certezza della paternità del manufatto è data dalla presenza sul verso dell’iscrizione «Opera et labor fratris Bernardi a Marsalia, laici Cap.ni – tempore P. Lectoris et Guardianis Casimiri Marsale 1811»29. L’opera (Fig. 4) dall’impianto neoclassico in seta celeste con applicazioni in paglia, citata in due inventari relativi alla chiesa come «Un paliotto o frontone ricamato in paglia su fondo opalino con cornice di legno»30, presenta una partizione in tre settori delimitata da una doppia bordura, la più esterna con motivo a greca e quella interna con ornati fitomorfi. Il settore centrale, all’interno di un doppio cerchio concentrico, accoglie il Cuore di Gesù fiammeggiante e raggiato. Completano la raffigurazione due cornucopie dalle quali fuoriescono tralci di vite con foglie e grappoli d’uva e spighe, chiari riferimenti eucaristici. Nei riquadri laterali figurano due speculari palme stilizzate con fronde e tronchi fioriti, con probabile rimando ai resti mortali di S. Lucio martire, la cui teca reliquiaria, originariamente posta sotto il vano dell’altare maggiore, veniva nascosta in alcune ricorrenze liturgiche dal paliotto31, oppure con allusione allo stemma della famiglia Tagliavia32, divenuto successivamente simbolo di Castelvetrano, che si fregia del titolo di palmosa civitas. Simile impostazione presentano i due paliotti ricamati di manifattura siciliana degli inizi del XIX secolo, provenienti dalla chiesa della SS. Trinità di Monreale, esposti alla mostra “Docere et Probare. Eucarestia e santità dopo il Concilio di Trento”33, e quello d’argento della Chiesa Madre di Petralia Sottana di argentiere palermitano del 181834.
Un altro antependium eseguito da frate Bernardo, datato 1818, era custodito nel convento di Partanna35 e ancora un ulteriore esemplare fino al 1933 si trovava nella chiesa del convento di Marsala, ove si conservavano pure «quadri lavorati a penna sulla paglia»36, non più rintracciabili.
Altri due paliotti ornati con fili e frammenti di paglia, sono ancora esposti presso la chiesa di Santa Maria di Gesù di Corleone. Le opere provengono dalla chiesa dei Padri Cappuccini dello stesso centro, terza in ordine di fondazione, costruita dal 1642, presso l’antica chiesa di S. Vito nel sito dell’attuale villa comunale37, complesso edificato grazie alla munificenza dei fratelli Giovanni Francesco e Simone Sabatino38, di cui rimane, purtroppo, soltanto la “scatola muraria” della chiesa, gravemente danneggiata dal ricordato terremoto belicino39.
Il più antico dei due manufatti posto a decoro del primo altare sinistro della chiesa dei Minori Osservanti, eseguito su supporto ligneo trattato a gesso e colla e successivamente dipinto in azzurro, probabilmente tra la fine del XVIII secolo e gli inizi del successivo da qualche frate abile in tale lavorazione, è delimitato da una bordura dai decori geometrizzanti e presenta un fitto ornato che prende avvio da un medaglione coronato ove è inserito il cuore di Gesù fiammante (Fig. 5). L’opera era stata ancora una volta eseguita seguendo le indicazioni di San Carlo Borromeo che consigliava di inserire come decorazione dei paliotti un cuore o l’immagine del santo cui era dedicato l’altare40.
Impostazione simile al precedente paliotto presenta l’altro manufatto rosso della stessa chiesa corleonese (Fig. 6), in fili e frammenti di paglia, pure su supporto ligneo preparato a gesso e colla e dipinto, databile agli inizi del XIX secolo. La speculare decorazione fitomorfa accoglie centralmente un ottagono in cui è inscritto il nome di Maria. L’estrema stilizzazione degli ornati fa ascrivere l’opera alla produzione neoclassica rievocando tanti simili manufatti a ricamo prodotti dalle maestranze siciliane del periodo.
Inediti paliotti sono ancora custoditi nel complesso conventuale dei Padri Cappuccini di Palermo41. Alla fine del Settecento è da ascrivere probabilmente l’antependium con stemma francescano giunto a noi in uno stato di grave degrado, mancante ormai di parte delle lamelle di paglia che si sono staccate dal supporto tessile per la fragilità della materia e per danni dovuti ad una poco attenta conservazione (Fig. 7). Il decoro prende avvio proprio dall’emblema dei seguaci di San Francesco: il braccio di Cristo che incrocia quello del Santo di Assisi innanzi la croce del Golgota. Alla coloritura naturale della paglia si affianca quella tinta in marrone, utilizzata per il braccio del saio francescano e pochi altri particolari.
Seguono altri tre inediti paliotti di colore azzurro-ceruleo che, pur non essendo tra quelli ammessi dalla Sacra Congregazione dei Riti, è generalmente utilizzato nel rito romano per le feste dell’Immacolata e altre ricorrenze legate alla Vergine42. Il primo esemplare (Fig. 8) ornato con i fogli di paglia, purtroppo molto deteriorato per la presenza di fori nella tela, per il distacco della tempera e di molte ornamentazioni di paglia, reca sul verso l’indicazione della data di esecuzione: 23 dicembre 1815 (Fig. 9). Il decoro ripropone la stilizzata rappresentazione del nome di Maria inglobata in un cuore e contornata da racemi terminanti con delicate infiorescenze e residui tratteggi di greca. Il tutto è delimitato da una cornice con motivi fitomorfi che suddivide l’opera in tre settori. Nelle sezioni laterali sono inseriti stilizzati vasi biansati che richiamano cornucopie con motivi fogliacei anche ricadenti.
Ancora un altro inedito paliotto con decoro in paglia su tela preparata a tempera presenta il cuore di Gesù inscritto in una tripla cornice rotonda e geometrizzante. Il manufatto è databile con certezza per la presenza nel verso dell’iscrizione «2 agosto 1825»43. L’opera (Fig. 10) mostra raffinati racemi speculari con foglie seghettate e astratti fiori che tappezzano la superficie tessile e inglobano lateralmente due vasi stilizzati dai quali fuoriescono infiorescenze simili a margherite e tralci fitomorfi.
Un ultimo manufatto dalle cerulee tonalità è l’enorme antependium (252 x 89 cm), o più probabilmente un pannello, databile ai primi decenni del XIX secolo che reca pure lo stemma con le braccia incrociate relativo alla famiglia francescana. Il manufatto (Fig. 11) su tavola preparata a tempera con applicazioni in paglia naturale, apposta sopra carta disegnata e incollata al supporto, è caratterizzato da rimandi simbolici, infatti, le stilizzate ramificazioni che inglobano l’emblema, presentano spighe e grandi grappoli d’uva in riferimento all’eucaristia. Una cornice con motivi a greca contorna il perimetro dell’opera, purtroppo, rovinata parzialmente dai tarli, che hanno infestato il supporto ligneo e forato anche alcune lamelle di paglia.
Presentava probabilmente il fondo bianco, invece, un altro paliotto d’altare in fili di paglia con al centro l’Agnus Dei, che doveva essere esposto nel Museo palermitano dei Padri Cappuccini, non più rintracciabile, ascritto da Padre Domenico Inghilleri ad abili frati del XVIII secolo44. Tale raffigurazione, largamente diffusa su diverse opere d’arte decorativa, dai gioielli45, dallo spiccato valore apotropaico, alle suppellettili argentee46, ai parati47, sintetizza una delle visioni apocalittiche di San Giovanni, quella in cui Dio consegna all’agnello il libro dei sette sigilli.
Nel complesso conventuale dei Padri Cappuccini di Palermo è ancora custodito, invece, un altro interessante paliotto con al centro lo stemma francescano (Fig. 12), databile alla seconda metà del XVIII secolo, eseguito con tecniche diverse. Nell’inedito manufatto in esame la paglia, resa sottile tramite la sfesatura, intrecciata a mo’ di cordoncino e fissato a nodini, è utilizzata per marcare i contorni del disegno applicato su tessuto rosso con effetti plastici. I ricchi ornati floreali, le volute architettoniche, i campi squamati sono arricchite da cannette incollate al supporto tessile, creando un effetto simile al ricamo a punto pittoresco. Quest’ultima tecnica è, invece, utilizzata esclusivamente per l’emblema centrale, incluso all’interno di uno scudo caricato da conchiglia, applicato successivamente sul supporto tessile, mentre un contrasto di colore con lo sfondo rosso è ottenuto con l’inserimento di carta blu per definire le volute mistilinee dell’impianto architettonico. Il manufatto si caratterizza ulteriormente per la presenza dei simbolici uccelli affrontati.
L’Inghilleri nelle inedite annotazioni riporta ancora altri nomi di frati “tarsisti” in paglia48. Si tratta di padre Luigi Amato da Trapani, al secolo Gaetano, di mastro Giacomo Amato e Leonarda Paladino, battezzato nella parrocchia di S. Lorenzo della città siciliana il 18 giugno 1809, forse lo stesso lavorante orafo abitante nel territorio della chiesa trapanese o un suo congiunto49, che avrebbe vestito l’abito di novizio nel convento di Erice il 18 ottobre 182950, e del non ancora noto Michele Ballariano da Trapani, attivo nel 1878, verosimilmente discendente dall’omonimo argentiere trapanese della seconda metà del XVIII secolo51.
Nonostante gran parte del patrimonio artistico dei Frati Francescani sia stato disperso a seguito delle leggi eversive post-unitarie, che disposero la soppressione degli ordini religiosi e il successivo incameramento dei loro beni, anche la chiesa dei Padri Cappuccini di Burgio custodisce ancora cinque paliotti ornati con fili di paglia, obbedendo alle Costituzioni dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che già nel 1536 ammonivano: «i pallii de li altari sieno di panno non precioso»52. Le opere sono poste tuttora a decoro degli altari della chiesa, arricchiti quasi tutti dalle tele dell’infaticabile Fra’ Felice53.
Il più antico del gruppo, probabilmente eseguito nella seconda metà del XVIII secolo, propone una decorazione che prende avvio da uno scudo centrale con lo stemma dei Padri Cappuccini da cui si dipartono elementi a mo’ di cornucopie dalle quali fuoriescono sinuosi tralci carichi di varie tipologie floreali (Fig. 13). La resa dei variopinti fiori, ottenuti pure con inserti di carta colorata tra le lamelle di paglia, è accurata, consentendo di identificare varie tipologie floreali, tra cui il tulipano, simbolo della grazia santificante dello Spirito Santo54. La tecnica e l’ornato utilizzati fanno avvicinare il manufatto ai due esaminati paliotti di Padre Antonino da Bisacquino.
I restanti tre esemplari della navata, da ascriversi alla prima metà del XIX secolo, presentano decori più stilizzati con palese adesione al gusto neoclassico. La grande devozione alla Vergine Immacolata dei Padri Cappuccini, propagatori del suo culto, si palesa nell’antependium dell’altare a lei dedicato (Fig. 14), ornato dalla pregevole pittura di ambito fiammingo-novellesco55, proveniente dall’arredo pittorico precedente al rinnovamento dell’aula del periodo rococò. Il nome di Maria emerge nella parte centrale del manufatto inserito in una cornice geometrica ed è ulteriormente arricchito dai soliti tralci, da motivi floreali stilizzati e da esili serti.
Il cuore di Maria coronato caratterizza, invece, un altro paliotto della chiesa di Burgio (Fig. 15). Completano il decoro tralci inframmezzati da pochi motivi floreali e da spighe, simbolico riferimento al corpo di Cristo, delimitati ancora una volta da un motivo a greca che corre sui quattro lati dell’opera.
Un altro antependium in fili di paglia della chiesa agrigentina (Fig. 16) è caratterizzato da una cornice geometrica con stilizzati motivi vegetali e ovuli che ne divide in tre settori la sua superficie. Al centro campeggia il cuore di Gesù, sormontato da foglie accartocciate ormai prive della carnosità del periodo tardo barocco, contornato ancora una volta da tralci ondulati ed infiorescenze. Motivi a greca legano gli speculari ornati delimitati da fasce verticali, similmente alle paraste dei coevi altari, con decori fitomorfi. Soluzioni compositive dunque che «nella loro semplicità riflettono puntualmente l’evoluzione del gusto e riecheggiano i decori dei migliori esiti toccati nell’arte dei ricami serici»56.
L’ornato del paliotto dell’altare maggiore, a cui i Cappuccini riservavano particolari cure, molto preciso nell’esecuzione e dettagliato nei particolari, sembra ricalcare ancora una volta analoghi esemplari a ricamo (Fig. 17). Il fondo blu della tela di supporto, con inserto rosso centrale costituito da un cuore che accoglie il monogramma bernardiniano del nome di Gesù, mette in maggior risalto le applicazioni di paglia dorata. Dall’emblema si dipartono stilizzati motivi vegetali con astratte corolle consoni al gusto neoclassico, come confermano i fregi modulari con soluzioni a greca che incorniciano il perimetro del paliotto e lo tripartiscono, permettendo di datarlo tra ai primi decenni del XIX secolo. Simbolici grappoli d’uva completano la sinuosa decorazione.
Il tabernacolo dello stesso altare, «fulcro architettonico e spirituale della cattolicità»57, opera lignea dovuta ad abili intagliatori cappuccini della fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo, presenta la porticina pure decorata con l’aurea paglia.
Un complesso schema formale e compositivo, che si differenzia notevolmente dagli esempi realizzati dai seguaci di San Francesco, propone il più antico antependium ornato con fili e frammenti di paglia su supporto ligneo della chiesa della Madonna del Carmelo di Mistretta58, luogo di culto non francescano della provincia di Messina, caratterizzato centralmente da Maria SS. del Carmelo tra due cortine di drappi. Affollano il manufatto oltre a varie decorazioni fitomorfe anche le raffigurazioni di San Gioacchino, di Sant’Anna, dell’imperatore Costantino, di Carlo II, della Fontana di Orione, della grotta di S. Rosalia e, inseriti in due tondi, le figure dei committenti, uno dei quali “Dominicu Cinnirella”, il cui nome è inserito su uno di loro. L’atipica opera, come nota Giovanni Travagliato, «originale esempio di ex voto commissionato dal Cinnirella […] per lo scampato pericolo di annegamento dinanzi al porto di Palermo», è stata verosimilmente eseguita negli anni Settanta del XVII secolo poiché propone la raffigurazione del re Carlo II d’Asburgo già adulto59.
I paliotti delle chiese cappuccine esaminati possono essere messi a confronto, invece, con simili esemplari non siciliani, databili dal XVII al XX secolo, che seppur provenienti da diversa area geografica, perlopiù quella ligure e toscana, richiamano i manufatti isolani nell’unitaria scelta dei motivi iconografici e per le tecniche costruttive.
Dagli studi extraisolani emergono altri nomi di frati abili nel decoro in paglia60. Viene segnalato Padre Fedele Basso da Ovada dei Frati Minori Cappuccini, morto nel 177461, artefice del paliotto rosso della metà circa del XVIII secolo, caratterizzato dal monogramma di Cristo IHS (Jesus Hominum Salvator) entro uno scudo accartocciato62. Il manufatto in paglia naturale ritagliata e incollata su carta a sua volta riportata su tela proviene dal Santuario di Maria SS. delle Grazie di Voltri ed è ora custodito nel Museo dei Beni Culturali Cappuccini di Genova63. Ancora all’Ordine dei Frati Minori apparteneva Salvatore da Ripatransone, documentato nel 1859, anno in cui realizzò il paliotto con ghirlande di fiori e stemma francescano del Museo Storico Cappuccino di Renacavata a Camerino, già nel convento di Civitanova Marche64, e ancora Ottaviano Baglietto da Varazze, deceduto nel 1870, e padre Raffaele Migliorini, vissuto nel XIX secolo, anch’egli abile in tale lavorazione, ricordato come “lavoratore paziente di paliotti di paglia”65. A quest’ultimo va ascritto il paliotto a squame con stemma francescano in paglia dipinta, incollata su carta e riportata su tela, del citato polo museale genovese con sede nel convento cappuccino annesso alla chiesa della SS. Annunziata di Portoria, meglio conosciuta come chiesa di S. Caterina Fieschi. L’opera, proveniente dalla chiesa genovese di S. Bernardino a Peralto, restaurata nel 2000, insieme ad altri tre esemplari presso l’Opificio delle pietre dure di Firenze, reca sul verso la firma e l’anno, 187966.
Abili nella lavorazione della paglia erano anche le Clarisse Cappuccine di Montughi a Firenze nel cui monastero sono state ritrovate «fustelle di ferro per tagliare i singoli elementi dell’ornamentazione in paglia che, tinta spianata ed il più delle volte incollata su carta, veniva distesa su di una lastra metallica. Petali di fiori, foglie, perline e rombi erano ottenuti posando le fustelle bene affilate sulla paglia e battendo sulla parte opposta al taglio con un colpo secco di martello»67.
Tra i particolari manufatti eseguiti con tale materiale povero, si ricordano le cortine di carta «tutte disegnate a paglia», realizzate dalle monache Cappuccine di Castel Gandolfo ed esposte dalle Oblate di Santa Francesca Romana nella loro cappella del monastero di Tor de’ Specchi a Roma in occasione di particolari solennità68.
Ascritto ad esperte mani di frati cappuccini è il settecentesco paliotto eseguito con applicazioni in paglia del Museo d’arte sacra di San Francesco a Greve in Chianti, proveniente da Santa Maria a Vicchiomaggio, restaurato in occasione dell’apertura del museo da Guia Rossignoli sotto la direzione di Rosanna Caterina Proto Pisani69.
Tra i recenti recuperi di paliotti in fili di paglia si ricordano pure quelli del XIX secolo eseguiti non da frati francescani, ma dai monaci della certosa di Calci (Pisa), esposti alla mostra “Arte e natura nella Certosa”, curata da Maria Teresa Lazzarini, caratterizzati da soggetti sacri inseriti in ambientazioni naturalistiche e ornati da varie tipologie floreali, tra cui la rosa70. «La tecnica della lavorazione a intaglio di paglia – scrive Pier Luigi Ara – mette alla prova la proverbiale pazienza certosina, in pratica l’esecuzione di un intarsio di paglia necessita di una grande abilità e di una mano decisa. Il lavoro si articola attraverso varie fasi. Inizialmente è tracciato un disegno sopra un supporto di carta o di tela tesa sopra un telaio, utile per assemblare e incollare frammenti di paglia di grano lasciata al naturale o tinta grazie all’impiego di bagni coloranti. I colori più usati sono il mallo di noce, il carminio d’indaco, i sali di potassio e le aniline. Ogni stelo di paglia è aperto verticalmente e steso a mano, infine ripassato a secco con un ferro caldo. Assai complesso risulta l’incollaggio con colla d’amido e il taglio dei listelli che secondano il disegno tracciato sulla superficie dei supporti. Come per l’intarsio ligneo, è necessario che il montaggio avvenga con precisione»71.
- Cassiano da Langasco, Cultura materiale in convento, I libretti del Museo di Vita Cappuccina, n. 1, Genova 1990. [↩]
- Cfr. S. La Barbera, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani. Scultura, a cura di B. Patera, vol. III, Palermo 1994, ad vocem e più recentemente S. Anselmo, Pietro Bencivinni “magister civitatis Politii” e la scultura lignea nelle Madonie, Quaderni dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia Maria Accascina, n. 1, collana diretta da M.C. Di Natale, premessa di M.C. Di Natale, introduzione di R. Casciaro, Palermo 2009, pp. 65-74, che fornisce ampia bibliografia sull’attività dei frati francescani scultori e intagliatori. Si veda anche Idem, Sculture e intagli dal XV al XIX secolo nelle chiese francescane delle Madonie e R. Cruciata, Crocifissi di frate Umile e di frate Innocenzo tra Spagna e Malta, in Opere d’arte nelle chiese francescane. Conservazione, restauro e musealizzazione, a cura di M.C. Di Natale, Quaderni dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia Maria Accascina, n. 4, collana diretta da M.C. Di Natale, premessa di M.C. Di Natale, Palermo 2013, pp. 48-66 e 107-113. [↩]
- Oltre alle monache clarisse, abili ceroplaste, si ricordano i Padri Cappuccini Felice da Palermo e Giuseppe da Erice. Si veda B. De Marco, in Arti decorative in Sicilia. Dizionario biografico, a cura di M.C. Di Natale, 2 voll., Palermo 2014, ad voces. [↩]
- Si veda in proposito Fra’ V. Casalino, L’oro dei poveri, in I paliotti: l’arte povera cappuccina, catalogo della Mostra (Genova, 2-30 luglio 2006), a cura di L. Temolo Dall’Igna, Genova 2006, pp. 27-45. [↩]
- J.W. Goethe, Viaggio in Italia, trad. di A. Masini, Firenze 1965, pp. 117-118. [↩]
- C. Acidini, Introduzione, in L’oro dei poveri e la paglia delle sovrane, catalogo della Mostra (Firenze, Accademia dei Georgofili, Sala del Consiglio, 3-13 dicembre 2002), a cura di M. Ciatti e C. Frosinini, Firenze 2002, p. 7. [↩]
- B. De Marco, in Arti decorative…, 2014, ad vocem. [↩]
- E. D’Amico Del Rosso, I paramenti sacri, Palermo 1997, p. 35. Si veda anche Eadem, in Arti decorative…, 2014, ad vocem. [↩]
- Rassegna di frati artisti e scienziati della provincia Cappuccina di Palermo, a cura di P. Flaviano Farella da Polizzi Generosa, dattiloscritto della fine degli anni Settanta del XX secolo custodito presso l’Archivio Provinciale dei Frati Minori Cappuccini di Palermo, sez. 5, carp. 65. [↩]
- P. Gandolfo da Polizzi Generosa, Necrologio dei FF. Minori Cappuccini della Provincia di Palermo, Palermo 1968, pp. 396, 757. Sul convento di Salemi si veda P. Antonino da Castellammare, Storia dei Frati Minori Cappuccini della provincia di Palermo, I, Palermo 1914, pp. 33, 34; G. Leanti, I Cappuccini di Sicilia nel quarto centenario del loro apostolato (1533-1933), Palermo 1933, p. 3; P. Cammarata, Il castello e le campane. Storia, arte tradizioni a Salemi, Palermo 1993; U. Di Cristina, A. Gaziano, R. Magri, La dimora delle anime. I Cappuccini nel Val di Mazara e il Convento di Burgio (Agrigento), Palermo 2007, pp. 198-199. [↩]
- Si ringrazia per la collaborazione frate Andrea Barbera. [↩]
- Cfr. J. Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, Milano 1989, p. 276. [↩]
- M. Vitella, I tessili nel Museo Diocesano di Palermo, in Arti decorative nel Museo Diocesano di Palermo. Dalla città al museo dal museo alla città, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 1999, p. 125. [↩]
- R.F. Margiotta, Tesori d’arte a Bisacquino, Quaderni di Museologia e Storia del Collezionismo, Collana di studi diretta da M.C. Di Natale, n. 6, premessa di M.C. Di Natale, Caltanissetta 2008, p. 35. [↩]
- Archivio Fotografico della Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Palermo, Sez. Beni artistici e storici, foto inv. 45167. Si veda pure R.F. Margiotta, Tesori d’arte…, 2008, p. 35. [↩]
- Significativi esempi di tale tipologia sono stati esposti in mostra a Castelfiorentino. Cfr. in proposito Umili splendori. Suggestioni in carta e paglia dal Seicento all’Ottocento, catalogo della mostra (Castelfiorentino, Oratorio di San Carlo, 24 novembre 2012-13 gennaio 2013), a cura di S. Bertini e S. Nocentini, Firenze 2012. [↩]
- Cfr. M. Mosco, scheda, in Curiosità di una reggia. Vicende della guardaroba di Palazzo Pitti, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Pitti, gennaio-settembre 1979), a cura di C. Piacenti Aschengreen – S. Pinto, Firenze 1979, p. 63 e più recentemente Fantasia in convento. Tesori in carta e stucco dal Seicento all’Ottocento, catalogo della mostra (Firenze, Cenacolo di Fuligno, 1 novembre 2008 – 6 gennaio 2009), a cura di E. Borsook – R.C. Proto Pisani – T. Pinette – N. Roskamp – B. Schleicher, Firenze 2008, pp. 36-37, che riporta completa bibliografia. [↩]
- S. Calza – S. Conti – R. Lunardi – L. Montalbano – M. Piccolo, La tecnica di esecuzione e il restauro di alcuni paliotti nell’esperienza dell’Opificio, in L’oro dei poveri…, 2002, pp. 22-23. [↩]
- Dizionari terminologici. Suppellettile ecclesiastica I, a cura di B. Montevecchi – S. Vasco Rocca, Firenze 1988, p. 210; C. Borromeo, Instructiones Fabricae et Supellectilis Ecclesiasticae, Milano 1577. [↩]
- R.F. Margiotta, Il convento e la chiesa dei Cappuccini, in Il Museo Civico di Bisacquino, in corso di pubblicazione. [↩]
- Sul frate pittore si veda M.C. Di Natale, Stato di conservazione della pittura alcamese, in Degrado e riuso, atti del Convegno sulla tutela dei beni culturali di Alcamo in rapporto alla situazione siciliana (Alcamo, 17 giugno 1978), Alcamo 1980, pp. 215-232; Fra Felice da Sambuca, a cura di A. Mangiaracina, Palermo 1995, pp. 18, 98; T. Pugliatti, Fra Felice da Sambuca: un pittore riscoperto, in Fra Felice…, 1995, p. XI; Eadem, Fra Felice da Sambuca pittore ritrovato, in “Kalós arte in Sicilia”, a. 7, n. 5, settembre-ottobre 1995, pp. 12-17; T. Pugliatti, Fra Felice da Sambuca a Corleone, in Il barocco e la regione corleonese, atti della Giornata di studio (Chiusa Sclafani, 5 ottobre 1997), a cura di A.G. Marchese, presentazione di M. Giuffre, Palermo 1999, pp. 131-137; R. Sinagra, Felice da Sambuca, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, II, Pittura, a cura di M.A. Spadaro, Palermo 1993. Per la bibliografia precedente sul pittore sambucese si veda il saggio di A.M. Schmidt, Fra Felice da Sambuca, in Le arti in Sicilia nel Settecento. Studi in memoria di Maria Accascina, Palermo 1985. [↩]
- R.F. Margiotta, Opere d’arte francescane dall’alto Belice corleonese alla Valle del Sosio, in Opere d’arte…, 2013, p. 73. [↩]
- Nei depositi del Museo Diocesano di Monreale sono custoditi pure altri paliotti in fili di paglia provenienti dalla chiesa dei Padri Cappuccini di Monreale per i quali si rimanda a L. Sciortino, Inediti d’arte francescana al Museo Diocesano di Monreale, in Profezia nel presente. Presenza, esperienze e testimonianza artistica della vita religiosa nella Diocesi di Piazza Armerina e in Sicilia, atti della giornata di studi (Piazza Armerina, Museo Diocesano, 28 maggio 2015), a cura di G. Ingaglio, in corso di stampa. [↩]
- L’opera è citata nell’elenco degli arredi sacri consegnati dal ricevitore del Demanio Carmelo Peri al sindaco di Bisacquino, cav. Giuseppe Bona Giambertone, il 10 dicembre 1869 (cfr. Archivio Prefettura di Palermo, F.E.C., 5B-10-8). [↩]
- Rassegna di frati artisti…, dattiloscritto della fine degli anni Settanta del XX secolo, custodito presso l’Archivio Provinciale dei Frati Minori Cappuccini di Palermo, sez. 5, carp. 65. [↩]
- P. Gandolfo da Polizzi Generosa, Necrologio…, 1968, pp. 396, 757. [↩]
- Rassegna di frati artisti…, dattiloscritto della fine degli anni Settanta del XX secolo custodito presso l’Archivio Provinciale dei Frati Minori Cappuccini di Palermo, sez. 5, carp. 65; P. Gandolfo da Polizzi Generosa, Necrologio…, 1968, pp. 396, 757. Sulla chiesa di Castelvetrano si veda A. Curti Giardina, La chiesa conventuale di Sant’Anna dei PP. Cappuccini di Castelvetrano, Castelvetrano 2015. [↩]
- P. Gandolfo da Polizzi Generosa, Necrologio…, 1968, pp. 543, 868; P. Giacalone, Marsala attraverso le chiese, Marsala 1938, p. 4; B. De Marco, in Arti decorative…, 2014, ad vocem. [↩]
- Rassegna di frati artisti…, dattiloscritto della fine degli anni Settanta del XX secolo, custodito presso l’Archivio Provinciale dei Frati Minori Cappuccini di Palermo, sez. 5, carp. 65. Si veda più recentemente A. Curti Giardina, La chiesa…, 2015, pp. 117-118, che ringrazio per la preziosa collaborazione. [↩]
- Archivio Provinciale dei Frati Minori Cappuccini di Palermo, Inventario della chiesa dei Cappuccini e Inventario degli oggetti mobili ed arredi sacri in consegna della rettoria della chiesa di S. Anna dei Padri Cappuccini di Castelvetrano, sez. 5 – Conventi – carpetta 17 – Castelvetrano. [↩]
- A. Curti Giardina, La chiesa…, 2015, p. 116, nota 288. A metà circa del XX secolo il corpo di S. Lucio martire è stato spostato in un altare laterale mentre sotto l’altare maggiore è stata posta l’urna reliquiaria di S. Restituta martire (ibidem). [↩]
- Cfr. V. Palizzolo Gravina, Il Blasone in Sicilia. Dizionario storico-araldico, Palermo 1871-1875, p. 359. [↩]
- L. Sciortino, Docere et probare. Eucarestia e santità dopo il Concilio di Trento. Inediti d’arte in mostra al Museo Diocesano di Monreale, in Docere et probare. Eucarestia e santità dopo il Concilio di Trento, catalogo della mostra (Monreale – Museo Diocesano, Sala San Placido, 28 ottobre 2015 – 29 maggio 2016), a cura di M.C. Di Natale, L. Sciortino e M. Vitella, Monreale 2015, pp. 14-15. Il paliotto di Castelvetrano veniva posto per celare l’incavo sottostante l’altare maggiore ove sono attualmente collocate le spoglie di Santa Restituta intercambiandolo a seconda delle festività con altri esemplari pure di manifattura cappuccina (A. Curti Giardina, La chiesa…, 2015, p. 117). [↩]
- Cfr. S. Anselmo, Arredi e suppellettili liturgiche in stile neoclassico nella Chiesa Madre di Petralia Sottana, in Arredare il sacro. Artisti, opere e committenti in Sicilia dal Medioevo al contemporaneo, a cura di M.C. Di Natale – M. Vitella, Milano 2015, pp. 128-129. [↩]
- A. Varvaro Bruno, Partanna cappuccina, in “Sicilia serafica”, n.s., anno III, n. 1, 1957. [↩]
- Rassegna di frati artisti…, dattiloscritto della fine degli anni Settanta del XX secolo custodito presso l’Archivio Provinciale dei Frati Minori Cappuccini di Palermo, sez. 5, carp. 65. Si veda pure P. Giacalone, Marsala…, 1938, p. 4. Sull’artista si veda anche P. Gandolfo da Polizzi Generosa, Necrologio…, 1968, pp. 543, 868; B. De Marco, in Arti decorative…, 2014, ad vocem. [↩]
- C. Bruno, Relazione sulla animosa città di Corleone, ms. del 1787; G. Millunzi, Prospetto storico dell’archidiocesi di Monreale, in “Bollettino ecclesiastico della archidiocesi di Monreale”, a. IV, n. 3, marzo 1911, p. 18; si veda anche P. Antonino da Castellammare, Storia dei Frati Minori…, III, 1942, pp. 46-47. [↩]
- I conventi cappuccini nell’inchiesta del 1650, a cura di M. D’Alatri, XVII, Roma 1985, p. 381. Su Simone Sabatino si veda R.L. Foti, Corleone antico e nobile. Storie di città e memorie familiari (secoli XV-XVIII), Palermo 2008, p. 37 e passim; Eadem, Tra regio demanio, politiche pubbliche e strategie private nella Sicilia moderna e I. Fazio, «Per vitto di soi populi». I riveli dei formenti e delle terre seminate durante la crisi del 1646-48, in R.L. Foti- I. Fazio, G. Fiume – L. Scalisi, Storie di un luogo. Quattro saggi su Corleone nel Seicento, Palermo 2004, pp. 34, 73-95. [↩]
- Per la chiesa corleonese cfr. R.F. Margiotta, Opere d’arte francescane…, in Opere d’arte…, 2013, p. 69. [↩]
- C. Borromeo, Instructiones…, 1577. [↩]
- Ringrazio Gabriele Guadagna per le foto e la preziosa collaborazione. [↩]
- P. Sorci, Il simbolismo delle vesti liturgiche, in Omnia parata. Le vesti liturgiche tra passato, presente e futuro, a cura di L. Palmeri, C. Piro, M. Vitella, Trapani 2006, p. 25. [↩]
- Si annotano pure altre due iscrizioni con inchiostro nero su carta ove si legge: “Rev. P. Onorato Guardiano dei Cappuccini Palermo”. [↩]
- Schedario redatto da Padre Domenico Inghilleri, dattiloscritto custodito presso l’Archivio Provinciale dei Frati Minori Cappuccini di Palermo, p. 157. Il documento riporta pure il numero di catalogazione del manufatto: Sta: Mu. F. n. 135. [↩]
- M.C. Di Natale, Gioielli di Sicilia, Palermo 2000, p. 12. [↩]
- Tra le numerose opere d’argento che riportano tale raffigurazione si ricordano, ad esempio, la pace di argentiere palermitano del 1775 della collezione Virga di Palermo (cfr. M.C. Di Natale, scheda II, 219, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della mostra (Trapani, Museo Regionale Pepoli, 1 luglio-30 ottobre 1989), a cura di M.C. Di Natale, Milano 1989, p. 336; Eadem, Un collezionista d’altri tempi a Palermo: l’ingegnere Antonio Virga, in Abitare l’arte in Sicilia. Esperienze in età moderna e contemporanea, a cura di M.C. Di Natale e P. Palazzotto, Palermo 2012, pp. 123-142) e la legatura di messale in velluto e argento del 1814, custodita presso il Museo Diocesano del Seminario di Caltanissetta, da riferire a maestranza messinese (G. Bongiovanni, scheda II, 259, in Ori e argenti…, 1989, p. 357). [↩]
- Tra i numerosi parati con la raffigurazione dell’agnello mistico si ricorda il rivestimento di tronetto della metà del XVIII secolo della Chiesa Madre Nuova di Gratteri (R.F. Margiotta, I paramenti sacri, e scheda II, 10, in S. Anselmo-R.F. Margiotta, I Tesori delle Chiese di Gratteri, introduzione di V. Abbate e premessa di M.C. Di Natale, Quaderni di Museologia e Storia del Collezionismo, Collana di studi diretta da M.C. Di Natale, n. 2, Caltanissetta 2005, pp. 61, 73) e un coevo paliotto del monastero benedettino di Palma di Montechiaro (M. Vitella, Tradizione manuale e continuità iconografica. La collezione tessile del Monastero di Palma di Montechiaro, in Arte e spiritualità nella terra dei Tomasi di Lampedusa. Il monastero benedettino del Rosario di Palma di Montechiaro, a cura di M.C. Di Natale e F. Messina Cicchetti, San Martino delle Scale 1999, pp. 187-188). [↩]
- Schedario…, dattiloscritto custodito presso l’Archivio Provinciale dei Frati Minori Cappuccini di Palermo, p. 158. L’Inghilleri riporta anche il nome di un frate orafo attivo nel 1913 finora non conosciuto: Giovanni Belfiore da Trapani (ibidem), probabilmente appartenente alla famiglia di argentieri documentata a Palermo tra il XVIII e il XIX secolo (cfr. S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad voces). [↩]
- A. Precopi Lombardo, Profili di argentieri e orafi trapanesi, in Argenti e ori trapanesi nel museo e nel territorio, a cura di A. Precopi Lombardo e L. Novara, Trapani 2010, p. 108. Si veda anche Eadem, in Arti decorative…, 2014, ad vocem. [↩]
- Archivio Provinciale dei Frati Minori Cappuccini di Palermo, sez. IV, Persone, carp. 36. [↩]
- A. Precopi Lombardo, Profili di argentieri e orafi…, in Argenti e ori trapanesi…, 2010, p. 108. Si veda anche Eadem, in Arti decorative…, 2014, ad vocem. [↩]
- Constitutiones Ordinis Fratrum Minorum Cappuccinorum, ed. anast. Roma 1980. [↩]
- R.F. Margiotta, Opere d’arte francescane…, in Opere d’arte…, 2013, pp. 81-82. Si ringrazia Letizia Bilella per la gentile disponibilità. [↩]
- M.C. Di Natale, I gioielli della Madonna di Trapani, in Ori e argenti…, 1989, p. 70. [↩]
- E. De Castro, Maniera internazionale e percorsi fiammingo-novelleschi nella pittura del XVII secolo a Burgio, in Museo della ceramica. Contributi di storia dell’arte, archeologia ed antropologia culturale, a cura di G. Costantino e B. Agrò, Palermo 2009, p. 40. [↩]
- M.C. Gallo, Dalla seta alla paglia, in L’oro dei poveri…, 2002, p. 13. [↩]
- Fra Luca Signorini, Arte cappuccina via semplice al cuore del mistero, in I paliotti…, 2006, p. 64. [↩]
- G. Travagliato, Le chiese di Mistretta… Quando l’arte esprime la fede sullo scenario della storia… Santa Maria del Carmine, in “Il centro storico”, agosto 1999, pp. 5 e 7, che riporta precedente bibliografia. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Si veda L’oro dei poveri. La paglia nell’arredo liturgico e nelle immagini devozionali dell’Italia centrale fra il 1670 e il 1870, catalogo della mostra allestita presso il Museo della paglia e dell’intreccio “Domenico Michelacci” di Signa nel 2000, a cura di E. Borsook, R. Lunardi, G.G. Rossetti, B. Schleicher, Firenze 2000; L’oro dei poveri…, 2002; I paliotti…, 2006. Cfr. anche A. Frondoni, L’arredo sacro cappuccino, in Vita e cultura cappuccina. La chiesa della SS. Concezione a Genova (Padre Santo), Regione Liguria, Quaderno del Catalogo dei Beni Culturali, n. 1, Genova 1984, pp. 23-48; Cassiano da Langasco, L’Ornato, la grafica, I libretti del Museo di Vita Cappuccina, n. 6, Genova 1990. Ringrazio fra Vittorio Casalino e Bettina Schindler per la preziosa collaborazione. [↩]
- S. Calza – S. Conti – R. Lunardi – L. Montalbano – M. Piccolo, La tecnica di esecuzione…, in L’oro dei poveri…, 2002, p. 22. [↩]
- I Paliotti…, 2006, pp. 48-49. [↩]
- S. Calza – S. Conti – R. Lunardi – L. Montalbano – M. Piccolo, La tecnica di esecuzione…, in L’oro dei poveri…, 2002, p. 30; Cassiano da Langasco, L’ornato…, 1990, p. 11. [↩]
- S. Calza – S. Conti – R. Lunardi – L. Montalbano – M. Piccolo, La tecnica di esecuzione…, in L’oro dei poveri…, 2002, p. 22. [↩]
- Cassiano da Langasco, L’ornato…, 1990, p. 11. Si veda anche S. Calza – S. Conti – R. Lunardi – L. Montalbano – M. Piccolo, La tecnica di esecuzione…, in L’oro dei poveri…, 2002, p. 22. [↩]
- S. Calza – S. Conti – R. Lunardi – L. Montalbano – M. Piccolo, La tecnica di esecuzione…, in L’oro dei poveri…, 2002, pp. 32-35. Si veda anche S. Conti, La tecnica d’esecuzione dei paliotti in paglia nell’esperienza dell’Opificio, in “OPD Restauro: Rivista dell’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze”, n. 13, 2001, pp. 236-244. [↩]
- S. Calza – S. Conti – R. Lunardi – L. Montalbano – M. Piccolo, La tecnica di esecuzione…, in L’oro dei poveri…, 2002, p. 22. Sull’argomento si veda pure il catalogo L’oro dei poveri…, 2000, pp. 174-175, 42-43, 74-75. [↩]
- Cassiano da Langasco, L’ornato…, 1990, p. 9. [↩]
- Cfr. L’oro dei poveri…, 2000, p. 17. Per il restauro si rimanda a G. Rossignoli, Il restauro di un paliotto in paglia, in «Osservatorio dei Mestieri d’arte», n. 2, agosto 2006 (wwwosservatoriomestieridarte.it/rivista), p. 3. Per le opere del museo cfr. R.C. Proto Pisani, Il Museo d’arte sacra a Greve in Chianti, Firenze 2002. Si veda anche Museo d’arte sacra di San Francesco a Greve in Chianti. Guida alla visita del museo e alla scoperta del territorio, a cura di C. Caneva, Firenze 2005, p. 48. [↩]
- Paliotti di paglia. Arte e natura nella certosa di Calci, catalogo della mostra a cura di M.T. Lazzarini, Pontedera (PI) 2004. [↩]
- P.L. Ara, Restaurati i paliotti dei frati, in «Il Tirreno», 21 aprile 2009. Per una più particolareggiata analisi delle tecniche di lavorazione della paglia da decoro si veda M.E. Tozzi Bellini e R. Lunardi, La natura e la lavorazione della paglia per l’arredo liturgico e gli accessori dell’abbigliamento, in I paliotti…, 2006, pp. 51-54. [↩]