Rita Pellegrini

ritapellegrini@alice.it

Anelli a tavola ottagonale del XVII e XVIII secolo in Alto Lario (CO) ed emigrazione in Sicilia

DOI: 10.7431/RIV17072018

L’emigrazione che si sviluppò dall’Alto Lario Occidentale verso Palermo e altri centri della Sicilia1 tra XV e XIX secolo, comportò la traduzione in patria di varie opere d’arte sacra di produzione siciliana (quadri, statue, reliquiari, suppellettili) destinate alle chiese locali, opere che sono state fatte oggetto di svariati studi2. La ricerca è rimasta invece sino ad ora molto circoscritta per quanto concerne l’oggettistica di uso privato, risultando i manufatti difficilmente reperibili ed essendo la documentazione più scarna, poiché limitata ad alcune sparute annotazioni lasciate da solerti notai o da scrupolosi compilatori di inventari o ad espressioni contenute nei pochi epistolari familiari conservatisi.

Il fatto che gli emigrati provvedessero non solo importanti opere d’arte sacra ma anche minuterie è testimoniato nelle chiese stesse, ove si conservano piccoli oggetti di tipo devozionale provenienti dalla Sicilia. Nella chiesa della Ss. Annunziata di Dosso Liro per esempio si annoverano, fra alcuni ex voto in argento anatomici, due esemplari con punzoni consolari palermitani del 1721 e del 17393. Nella chiesa di S. Sebastiano di Càino (comune di Vercana) è custodito un piccolo medaglione in argento con una Natività in avorio ascrivibile a bottega trapanese4.

Da Palermo si inviavano o si portavano in patria vari beni di uso domestico, quali lenzuola5, coperte6, scarpe7, fazzoletti per il capo8. L’idea di come si facessero pervenire certi particolari oggetti alla famiglia ci viene da una lettera scritta il 21 ottobre 1757 dall’emigrato Martino Caraccioli, che a Palermo era commerciante di vino9, al figlio rientrato a Vercana, suo paese natale: «[…] con il cugino Giuseppe Astrico vi mando la tabachera d’argento, quale vi sono sculpite le nostre arme, e della corona di granatino che avisavo il detto di Astrico non si à potuto trovare, ma in apresso se Iddio mi provede, suplirò quanto è il mio genio. Con il cugino Sebastiano Mallone li ò dato una dopia di 4 di Spagna per dare a voi per spendio di casa, e due para di fibii dargento per li figli e due berrette per detti figli, quale li mandano li vostri fratelli, e due fazoleti di seta, uno per vostra moglie e uno per vostra sorella Colomba; […]»10. Il 6 settembre 1759, lo stesso Martino scriveva: «[…] vi mando due donzane di forbicini, acciò di levarvi qualche obligatione che avete, e per la semenza de brocoli ne à portato un poco Sebastiano, che poi in apresso ne manderò […]»11. Richieste specifiche provenivano anche da casa. Il 26 aprile 1776 Anna Maria Oreggia, moglie del pittore Antonio Maria Caraccioli, che, dopo essersi formato a Palermo, vi aveva fatto ritorno12, gli scrisse: «Le figlie attendono ancora li coralli promessi. La Crestina vorrebbe un paro di calzette di filosello di color celeste, ed il Carlino vorrebbe una beretta e fibbie d’ argento, se potete procurate di contentare vostri figli, per adesso altro non mi occorre»13.

Quanto anticipato introduce già un concetto importante, e cioè che, accanto a beni di primo consumo quali calze, scarpe, lenzuola, coperte, berretti o addirittura sementi, gli emigranti portavano presso le proprie case anche oggetti di maggior valore, come fibbie e tabacchiere in argento, corone da rosario in granato, collane in corallo. Effettivamente anche gli atti notarili testimoniano questo tipo di consuetudine, comprovando come, ad esempio, anche suppellettili di uso domestico provenissero da Palermo. Un’indagine materiale su questo tipo di oggettistica non è stata ancora impostata e si rivela piuttosto ardua da eseguire, considerate le dispersioni, dovute anche ai numerosi trasferimenti di residenza, verificatisi negli ultimi cinquant’anni, dai paesi delle vallate altolariane. Le uniche suppellettili ad ora reperite e pubblicate sono alcune posate settecentesche in argento con punzoni palermitani14. I documenti riferiscono però vari esempi di posateria palermitana presente nelle case altolariane tra Sei e Settecento: «cortelli di Palermo con […] forchine d’argento» sono elencati in un testamento di Gravedona del 7 gennaio 166715; una nota di beni del 12 ottobre 1668 del comune di Stazzona nomina «un cugiaro d’argento di Palermo»; «una «coltelera con suoi trincianti venuta di Palermo con un cortello con il manico d’argiento» è citata in un atto di tutela di Peglio del 6 maggio 172416. In un inventario gravedonese del 7 maggio 1729, fra vari oggetti in argento, si annoveravano due tazze di Palermo, sei cucchiai e sei forchette di Palermo e «una scatolla d’argento piccola di Palermo fatta a fiorame»17. Ancora: «n. due forcine, e due chuchiari d’argento di Palermo usati» sono nominati nell’inventario dei beni di Francesco Lampugnani di Domaso del 23 luglio 176518.

Se per le suppellettili i ritrovamenti in loco non sono stati ancora fruttuosi, un’indagine specifica ha invece consentito di mettere in luce come sul territorio si siano conservati, in seno alle famiglie locali, alcuni gioielli provenienti dall’emigrazione a Palermo19. Fra questi, vogliamo evidenziare una certa tipologia di anelli che la tradizione orale vuole provenienti dalla Sicilia, testimonianza che l’esame dei punzoni suggerisce di valutare con attenzione.

Cominciamo con il riferire un paio di dati documentari significativi, proprio sugli anelli di provenienza palermitana. Il 28 marzo 1643 Giacomo Raise, procuratore a Palermo di Andrea Baraglia di Càino e ivi residente, il quale in passato era emigrato a Palermo ed aveva ricoperto l’incarico di capo della comunità del proprio paese di origine20, acquistò un anello d’oro da inviare al Baraglia stesso attraverso il compaesano Giovanni Battista Cassera21. Abbiamo già detto delle spese effettuate per l’acquisto di monili come collane in corallo o corone da rosario: questo documento però anticipa di un secolo quanto innanzi riferito. Più curioso risulta un legato contenuto nei codicilli testamentari del 13 marzo 1773 di tale Domenica Tarchina vedova Caggio di Dosso Liro, la quale così si espresse: «dichiara detta codicillante che quando si è maritato Lorenzo Caggio suo figlio con Antonia Basa, non avendo anello con cui sposarla, a preghiere di detto Lorenzo suo figlio, [ella] ha imprestato al medesimo il suo annello d’oro, con che però andando lo stesso a Palermo rimetesse alla detta codicillante un altro anello, o a detta sua moglie, e restituisse alla medesima codicillante quello da lei imprestatole. Il che non fu mai dallo lui adempito, e però aggrava il medesimo suo figlio far celebrare n. 30 messe in suffraggio della di lei anima entro il termine d’un anno doppo seguita la di lui morte»22. La formulazione del legato lascia emergere l’impressione che acquistare un anello a Palermo fosse in fondo quasi una consuetudine: perché infatti, nel caso specifico, attendere di recarsi in Sicilia per comprare un anello con cui ricambiare il prestito fatto dalla madre? Certamente in tale usanza non mancò di aver rilievo il fatto che presso la zona in cui risiedevano i Lombardi a Palermo vi fossero le botteghe degli orafi e argentieri, tanto che alcuni membri di famiglie altolariane finirono per dedicarsi a tale attività23.

Venendo agli anelli ancora custoditi nelle case del territorio, la tipologia più frequente nella zona è quella riconducibile ad esemplari piuttosto tozzi e massicci, caratterizzati da tavola ottagonale, che nel dialetto locale vengono denominati con espressioni che riconducono all’idea di anello a tavolo/tavolino. Ne sono stati rinvenuti tre modelli: 1) con sigillo, 2) con croce di Malta, 3) di Santa Rosalia24.

Negli inventari sei- e settecenteschi delle famiglie locali sono variamente citati anelli «con sigillo»25. Un esemplare rinvenuto in loco, e precisamente a Livo, durante le ricerche effettuate, è un manufatto in oro rosa 18 carati, avente gambo quasi completamente sfaccettato e decorato a smalto nero, su cui, attraverso un sistema a piramide gradinata capovolta, disposta su tre livelli, è ricavata una tavola ottagonale con sigillo costituito dall’emblema di San Giacomo entro cornice dentellata. La decorazione geometrica del gambo è costituita da triangoli alternati a losanghe; entro ciascuna di queste ultime è raffigurata una stellina a otto punte (Fig. 1). Significativo è il fatto che il paese in cui l’oggetto è stato reperito abbia una parrocchia dedicata S. Giacomo. Ai tempi dell’emigrazione, la comunità di Livo aveva in Palermo una scuola di emigranti intitolata proprio a S. Giacomo, la quale nel 1760 si diede dei capitoli che vennero redatti rivestiti da copertina in cuoio e con frontespizio a tempera raffigurante il Santo protettore in trono26.

Questo modello di anello è costruito in modo del tutto simile ad altri molto comuni sul territorio, sia per diffusione geografica che per frequenza di distribuzione27. Si tratta degli anelli raffiguranti a smalto la croce di Malta. Nel dialetto locale di Livo, paese della valle in cui se ne sono ritrovati in maggior numero, vengono chiamati anéi dal tàur e cioè anelli a tavolo, ma anche semplicemente taulìn ossia tavolini. Sono tutti in oro giallo 18 carati e pesano in media 20 g ca. Come l’anello a sigillo sopra considerato, presentano un gambo con lavorazione geometrica sfaccettata e decorazione a smalto con stelline ottagone, che può rivestire parzialmente o quasi completamente il cerchio. La tavola superiore ottagonale si collega alla base mediante – di nuovo – una lavorazione a piramide gradinata capovolta, sviluppata su tre o quattro livelli a superficie decrescente, ed è decorata a smalto con una croce di Malta, eventualmente arricchita da quattro stelline a otto punte. In alcuni casi tutto il pezzo è stato ottenuto da un’unica fusione; in altri mediante due fusioni distinte, saldando al cerchio la parte superiore. Un esemplare rappresentativo è quello di Fig. 2: la croce bianca di Malta, al centro di un ottagono equilatero, presenta agli angoli quattro stelline nere a otto punte. La tavola è incorniciata da una linea nera e il gambo è decorato in bianco e nero. Sul modello esistono una serie di varianti: con stelline bianche; con smalto nero sostituito da smalto verde scuro; con decorazione del gambo tutta in nero o tutta in verde scuro. In alcuni casi una stereotipata e leziosa decorazione con stelline a cinque punte lascerebbe presagire una fattura più recente (Fig. 3). Una singolare variante ci riporta al modello di anello a sigillo di S. Giacomo più sopra considerato: la croce di Malta bianca è smaltata su una piccola tavola ottagonale, il cui bordo è formato da una cornicetta a dentelli che potrebbe fungere da impronta per un sigillo (Fig. 4). Tale caso richiama un anello elencato in un inventario dotale del 15 maggio 1691, nel quale si cita, fra i beni di Caterina Travelli di Giovanni Pietro, «uno anello sigillo di orro lavorato di nero con croce di biancho et verda preciato L. 48»28.

Alla categoria di anelli a tavola più semplice ne appartiene uno, con croce bianca e decorazioni verdi, che presenta punzonatura palermitana: su di esso sono chiaramente riconoscibili l’Aquila (simbolo della città di Palermo), il bollo SC77, appartenente al Console degli Orafi del 1777, Salvatore Castronovo29, e un marchio dell’artefice PC, che potrebbe corrispondere a un orafo o argentiere quale Placido Carini o Pasquale Cipolla o Paolo Cristadoro, tutti attivi in quell’anno30 (Fig. 5).

Oltre ad esemplari molto simili a quelli citati, è stato visionato un anello particolarmente vistoso, del peso di 33 g, la cui tavola presenta dimensioni maggiori rispetto alla media ed è bordata da due linee nere fra le quali corre un giro di dischetti bianchi (Fig. 6).

Gli anelli con croce di Malta sono diffusi in tutto il territorio dell’Alto Lario Occidentale, con speciale riguardo ai monti di Gravedona, a quelli di Domaso e di Sorico. Minor frequenza si riscontra nella cosiddetta Valle dell’Albano, che fa capo al paese di Dongo.

I proprietari di questi anelli non sanno specificare se si tratti di monili di uso maschile o femminile, benché la maggior parte di quelli esaminati abbia una misura decisamente abbondante, che lascerebbe presumere si tratti per lo più di anelli da uomo. Un’indicazione importante ci viene però da un testamento del 23 aprile 1724, quello di Giuseppe Peracca fu Andrea di Peglio, il quale lasciò in eredità alla nuora «annulum unum aureum smaltatum da dona smaltato con croce di Malta biancha»31. La specificazione, insieme all’osservazione sulle dimensioni degli esemplari studiati, permette di concludere che questo tipo di anelli potesse essere destinato ad entrambi i sessi.

Gli anelli con croce di Malta venivano fabbricati già nel XVII secolo, come in parte desumibile dal documento surriferito del 1691, ma come esplicitamente testimoniato da un inventario dei beni mobili della chiesa dei SS. Eusebio e Vittore di Peglio del 1699, che annovera un «anello d’oro con la crocie di Malta»32. Altre citazioni documentarie risalgono al Settecento. Il testamento del 6 aprile 1741 di Maddalena Peracca fu Giovanni Andrea di Peglio prevedeva il legato di «anulum unum aureum cum vulgo la croce di Malta»33. Nel testamento di Maddalena Carcia fu Giovanni di Livo del 9 febbraio 177634 è nominato un «annello d’oro con croce bianca». Cambiando vallata, e venendo alla terra di Aurogna, nei monti di Sorico, un riferimento è contenuto nel testamento dell’11 gennaio 1789 di Giovanna Terza Faccina fu Bernardo, che legava alla figlia Maddalena «un anello d’oro smaltato con croce bianca»35. Infine, ancora a Peglio, nell’inventario dei beni di Tomaso Peracca De Pari fu Filippo del 13 aprile 1808 figurava «un anello d’oro con croce bianca smaltata di circa un’oncia», dato in uso, anche in questo caso, a una donna36.

Come si vede, i documenti, quando lo specificano, qualificano la croce come «bianca». Qualcuno degli anelli esaminati è invece caratterizzato da colori differenti. Ne vengono qui presentati due esemplari, provenienti da Livo. Il primo è effigiato da una croce di Malta rossa e mostra rifiniture in bianco e blu (Fig. 7). Il secondo ha la croce in azzurro e decorazioni in bianco e azzurro; inoltre l’ottagono non è equilatero, ma presenta due lati più lunghi (Fig. 8). Si può presumere che questi due anelli siano più recenti dei precedenti, rispetto ai quali si presentano in generale meno tozzi, specialmente per quanto concerne il rapporto dimensionale tavola/gambo37.

Vale la pena specificare che sovente si ritrovano, nei documenti sei- e settecenteschi della zona, riferimenti a generici «anelli» senza alcuna connotazione particolare, ma che, a parte quelli ornati da pietre, gli anelli decorati a smalto dovevano essere abbastanza diffusi, tanto che in un testamento del 27 marzo 1766, la testatrice, residente a Càino, legò due anelli d’oro che si preoccupò di definire «senza smalto»38. Fra gli anelli smaltati di un certo interesse, ma diversi da quelli in oggetto, evidenziamo quelli che Gregorio Balloni di Càino lasciava alla figlia Rosalia con testamento del 6 luglio 1768: «due annelli d’oro con smalto, uno con l’impronto rilevato dell’effigie di S. Antonio e l’altro con una gemma grande fusca contornata di varie gemette verdi»39. Ancor più significativo però, specie per il rimando alla tradizione devozionale palermitana, è il riferimento contenuto in un inventario del 22 novembre 1781, concernente l’eredità di Bartolomeo Noghera di Trezzone. In una «scatoletta», contenente corone da rosario in argento con granato, corallo e giaietto, fibbie in argento di vario tipo, bottoni, medaglie e un piccolo reliquiario d’argento, nonché una maninfede in oro quasi distrutta, erano presenti anche «n. 3 anelli smaltati, uno con la croce di Malta bianca e due con l’impronto di S.ta Rosalia, in peso del doblone di Spagna, della doppia semplice di Spagna e della doppia di Milano meno cinque grani»40.

La dedica a S. Rosalia ci introduce all’ultimo modello di anello a tavola ottagonale, molto meno diffuso rispetto a quelli con croce di Malta, ma la cui presenza è riscontrabile in alcuni paesi che in passato hanno avuto un’importante emigrazione verso la Sicilia. Si tratta del cosiddetto anello «di S. Rosalia», che a livello locale viene denominato o con un’espressione che rimanda alla Santuzza (anéll de Santa Rusalìa) o con un richiamo generico agli anelli a tavola ottagonale (anéll del taulìn e cioè anello a tavolino). Fabbricati in oro giallo 18 carati, tali pezzi presentano caratteristiche strutturali analoghe a quelle degli anelli ottagonali fin qui considerati, ma in questo caso la tavola è lavorata a rilievo e mostra un’immagine di difficile interpretazione a motivo dell’attuale consunzione (Fig. 9): sono evidenti nella parte superiore del disegno due figure convergenti di angeli (forse incoronanti), mentre in quella inferiore si riconosce il profilo di una croce. La tavola è sorretta dal solito sistema a piramide capovolta, ma la lavorazione è più massiccia in quanto i due strati superiori hanno egual superficie. Il gambo si presenta identico a quello degli anelli più sopra considerati, con smaltatura in nero.

Lo studio comparato degli anelli ottagonali e dei documenti ad essi relativi consente di datarli ad un’epoca estesa tra XVII e XVIII secolo. Come detto, un modello cronologicamente più avanzato potrebbe essere rappresentato dagli anelli con croce di Malta colorata e da quelli in cui le stelline ottagone decorative sono state sostituite da motivi più manierati. Un solo esemplare fra quelli visionati presenta punzonatura palermitana, risalente al 1777. Ciò potrebbe sembrare in apparenza poco significativo, ma risulta invece rilevante alla luce del fatto che nell’oreficeria palermitana «prima del 1758 non è dato trovare oggetti in oro con il relativo marchio»41. Pertanto, in buona parte dell’epoca di produzione di tali anelli, essi non sarebbero stati passibili di punzonatura. Se a ciò aggiungiamo la documentata abitudine degli emigrati altolariani a portare in patria oggetti preziosi dalla Sicilia, si accresce la probabilità di una provenienza palermitana di questi anelli, attestata peraltro dalla tradizione. Ciò non esclude una possibile produzione, magari tarda e per emulazione, anche in territorio comasco.

Una questione curiosa è quella dell’aspetto di questi monili. L’ottagono, come è noto, è una forma geometrica che ha un valore intermedio tra il quadrato (la Terra) e il cerchio (il Cielo), che evoca la vita eterna e che si correla naturalmente con il significato attribuito al numero otto, concepito come il numero dell’«equilibrio universale»42. Gli anelli con croce di Malta aggiungono alla forma ottagonale il particolare della croce ottagona ad essa inscritta. Tutti gli anelli considerati in questo studio inoltre presentano, almeno sul cerchio, alcune decorazioni costituite da stelline in smalto a otto punte. Se tale simbologia possa avere valenza esoterica o cristiana non è al momento comprensibile, ma che un valore simbolico debba sussistere appare innegabile.

Problema irrisolto è quello legato allo scopo al quale potevano esser destinati tali anelli, la cui conformazione a scalini della parte inferiore della tavola indurrebbe a ipotizzare un possibile utilizzo a scopo di sigillo, limitabile però di fatto soltanto a due dei casi qui presentati: l’anello di S. Giacomo e quello con la croce di Malta bordata da cornice a dentelli. L’anello di S. Rosalia invece lascerebbe sì un’impronta, ma in negativo: l’ipotesi non pare pertanto percorribile in questo caso.

Quanto all’appartenenza, è ipotizzabile che tali anelli fossero collegati a qualche vincolo confraternale, considerata l’abitudine degli emigrati di riunirsi in «scolae» di impronta devozionale, normate da specifici capitoli43. L’ipotesi si attaglia bene all’anello con l’emblema di S. Giacomo rinvenuto a Livo, paese, come si è detto, caratterizzato dal culto per il santo apostolo; può in qualche modo adattarsi anche agli anelli di S. Rosalia, reperiti a Trezzone, paese in cui ancor oggi si celebra la festa della santa il 4 settembre, e a Vercana, ove, presso la locale chiesa di S. Sebastiano, la festa si celebrò fino al 1977 ed ove si custodisce una statua lignea barocca proveniente da Palermo44. Più difficile è stabilire un legame rispetto agli anelli con croce di Malta, a meno di non escludere qualche forma di affiliazione rispetto all’ordine ospitaliero. Il che peraltro è già stato ipotizzato per alcuni anelli di fattura simile, se non talora identica, a quella qui discussa. Il riferimento è in particolare ad un anello in oro e smalti della collezione Thyssen-Bornemisza con scudo ottagonale ornato da croce di Malta bianca e cerchio smaltato a rombi neri con stelline bianche, per il quale è stata ipotizzata una datazione compresa tra tardo XVII e primo XVIII secolo. Secondo le ipotesi formulate, tali anelli sarebbero stati fabbricati soprattutto nel tardo Settecento e destinati ad essere indossati non solo dai cavalieri, ma anche dalle loro dame e dai paggi45. Nel caso degli emigrati altolariani a Palermo, la cui attività principale era legata soprattutto alla gestione di forni, di botteghe di generi alimentari e di commercio di vino, nonché al facchinaggio46 (eccezion fatta per nobili, professionisti, sacerdoti e religiosi47), l’idea dell’appartenenza all’ordine ospitaliero non è fino ad ora suffragata da alcuna testimonianza documentaria.

Significativo è anche un anello della Collezione Fortnum dell’Ashmolean Museum di Oxford, in cui la croce di Malta bianca è contornata da quattro stelline a otto punte e la decorazione dei bordi e del cerchio è in smalto verde scuro. Il pezzo, datato con riserva al XVII secolo, venne acquistato a Roma48. Se tale acquisto significasse anche una produzione romana dell’oggetto, il dato acquisterebbe comunque rilevanza per il presente studio, poiché, da molti dei paesi altolariani dai quali nel Sei- e Settecento si emigrava a Palermo, esisteva un flusso emigratorio importante anche verso Roma49, città che in epoca moderna «richiama un’immigrazione di ogni tipo»50. Talora anzi uno stesso emigrante trovava meta in entrambe le città51.

Altri anelli in oro, oppure in argento, con croce di Malta, ma modellatura differente, sono conservati in altri Musei europei52. La prerogativa di quelli qui discussi è di trovarsi all’interno del contesto storico-territoriale originario di pertinenza, tramandati di generazione in generazione nelle famiglie e di essere corredati da attestazioni documentarie che, se non ne spiegano (almeno per ora) la funzione, convalidano tuttavia la relazione geografica (superficialmente circoscritta) e storica di riferimento.

Gli studi di Maria Concetta Di Natale hanno evidenziato come il XVII e XVIII secolo siano stati prolifici nella produzione orafa di croci di Malta di vario tipo, destinate a divenire ex voto in vari santuari siciliani53. Per il territorio altolariano, fra i numerosi atti notarili esaminati, si è ritrovata una sola testimonianza di croce di Malta a pendente, compresa nell’inventario del 5 settembre 1622 dei beni di Martino Rasella di Giovanni, abitante a Brenzio, paese a forte emigrazione verso Palermo: fra i vari oggetti si cita una «croseta d’ora di Malta da portare al collo»54.

A Peglio, in frazione Argesio, esistono i resti di un edificio diroccato sulle cui pareti esterne sono affrescate varie croci di Malta (il particolare di una facciata in Fig. 10). Su di esso sono incise le date 1576 e 1595, insieme al monogramma di Cristo, ma non sappiamo purtroppo quale fosse la destinazione dello stabile, per il quale le prime notizie ad ora disponibili sono quelle legate al Catasto Teresiano, secondo un cui registro del 1755 l’edificio corrispondeva a casa di uso privato55. Nelle vicinanze, sempre ad Argesio, si trova un affresco seicentesco della Madonna del Rosario con S. Carlo Borromeo e S. Caterina d’Alessandria, attribuito a Giovanni Mauro Della Rovere detto il Fiammenghino56, in cui la Vergine regge due corone con crocette forgiate a croce di Malta (Fig. 11). Il simbolo veniva dunque impiegato nella zona in studio, sebbene ad ora le ricerche non abbiano ancora rivelato a quale scopo.

Abbreviazioni

ASCo: Archivio di Stato di Como

ASDC: Archivio Storico Diocesano di Como

ASMi: Archivio di Stato di Milano

  1. M. Zecchinelli, Le Tre Pievi. Gravedona Dongo Sorico, Milano 1951, pp. 159-163; B. Caizzi, Il comasco sotto il dominio spagnolo, Como 1955, pp. 141-169; R. Pellegrini, Dongo. Oltre il conosciuto. Mille anni di storia, Villa Guardia 2012, pp. 28-33, 336-337; M. Longatti, Ricerche e documenti sull’emigrazione dalle Tre Pievi nei secoli XV e XVI, in “Altolariana”, 4, 2014; R. Pellegrini, Emigrazione dall’Alto Lario Occidentale tra XV e XIX secolo. Dati acquisiti, criticità, prospettive, in atti del convegno “Emigrazione lombarda. Una storia da riscoprire” (Cuggiono, 13-14 novembre 2015), Ecoistituto della Valle del Ticino di Cuggiono, in c.d.s. []
  2. M. Zecchinelli, Arte e folclore siciliani sui monti dell’Alto Lario nei secoli XVI-XVIII, in “Rivista Archeologica Comense”, 131-132, Como 1951, passim; O. Zastrow, Capolavori di oreficeria sacra nel Comasco, Como 1984, passim; A. M. Boca, Rapporti con la Sicilia di artisti e maestranze delle Valli lombarde, in I Lombardi e la Sicilia, a cura di R. Bossaglia, Pavia 1995, pp. 90-92, 98-99; G. Conca Muschialli-G. Monti, Parole d’argento, Gravedona 2001, passim; L. Viganò, Argenti sul Lario, in “Quaderni della Biblioteca del Convento francescano di Dongo”, 34, 2013; R. Pellegrini, Tra noc e sass. Storia della comunità di Stazzona, Gravedona 2004, pp. 83-84; R. Pellegrini, Gioielli storici dell’Alto Lario. Cultura del prezioso nel periodo dell’emigrazione a Palermo, Como 2009, pp. 38-45; R. Pellegrini, Di alcune suppellettili d’argento donate dagli emigrati, in “Quaderni della Biblioteca del Convento francescano di Dongo”, 70, 2013; P. Albonico Comalini-N. Spelzini, Sulle tracce di antichi “argenti”, dono degli emigranti, in “Altolariana”, 3, 2013; P. Albonico Comalini-N. Spelzini, Altri antichi “argenti”, dono degli emigranti, in “Altolariana”, 4, 2014. []
  3. Si tratta di due oggetti inediti: un ex voto a forma di occhi, con il marchio cittadino dell’Aquila e l’incuso [GC]A39 impresso dal console Giovanni Costanza nel 1739, e uno a forma di gamba con il punzone dell’Aquila, quello consolare GO721 del console Iacinto Omodei e quello dell’argentiere C·G. Per i marchi consolari cfr. S. Barraja, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo, Milano 1996, pp. 73, 75. []
  4. R. Pellegrini, Microscultura trapanese in Alto Lario, in “Il Settimanale della Diocesi di Como”, 48/49, 2016. []
  5. Gli atti nominano semplici lenzuola o lenzuola «di tela» o «con guarnitione». Archivio di Stato di Como (ASCo), Notai, Felice Peracca, 3482 (atto del 1722 aprile 17, Peglio); Felice Peracca, 3483 (atto del 1723 ottobre 29, Dosso Liro); Francesco Riella, 4151 (atto del 1772 gennaio 3, Livo); Francesco Riella, 4153 (atto del 1776 febbraio 9, Livo); Francesco Riella, 4155 (atto del 1781 marzo 24, Peglio); Francesco M. Cassera, 4615 (atto del 1769 giugno 4, Livo). []
  6. «una cotra o sia coperta di banbacio groppada nova di Palermo». ASCo, Notai, Felice Peracca, 3483 (atto del 1724 maggio 6, Peglio). []
  7. ASCo, Notai, Felice Peracca, 3483 (atto del 1723 ottobre 29, Dosso Liro). []
  8. «Sugacapo di Palermo» in ASCo, Notai, Felice Peracca, 3485 (atto del 1735 luglio 29, Dosso Liro). []
  9. R. Pellegrini, Il pittore A. M. Caraccioli da Vercana e la sua famiglia: un esempio di emigrazione a Palermo nel secolo decimottavo, in “Iubilantes-Annuario”, 2007, p. 188. []
  10. Archivio Privato Vercana. []
  11. Archivio Parrocchiale Vercana (APV), Carte Sparse. «Forbicini» (o «forbicine») venivano utilizzati per la remunerazione di servizi oppure venduti all’asta per la chiesa. Nell’agosto 1716 un canonico intervenuto a celebrar messa presso il santuario della Madonna della Neve di Vercana venne retribuito con un fazzoletto di seta, una forbicina e un temperino. APV, Registro delle spese della fabbrica del Santuario della Madonna della Neve. Il 2 febbraio 1805 si vendettero sulla piazza pubblica bindelli e forbicine per 11.14 lire a favore del santuario. APV, Libro de’ Conti della Venerabile Fabrica della B. M. V. ad Nives detta della Carate di Vercana. []
  12. R. Pellegrini, Il pittore A. M. Caraccioli…, 2007, p. 191. []
  13. APV, Carte Sparse. []
  14. R. Pellegrini, Di alcune suppellettili…, 2013, pp. 60-61. []
  15. ASCo, Notai, Giovanni Curti Pettarda, 2485. []
  16. ASCo, Notai, Felice Peracca, 3483. []
  17. ASCo, Notai, Giovanni M. Curti Pettarda, 3555. []
  18. ASCo, Notai, Giuseppe Felolo, 3970. []
  19. R. Pellegrini, Gioielli storici…, 2009, passim. []
  20. M. Belloni Zecchinelli, L’emigrazione popolare dalle terre dell’Alto Lario attraverso documenti arte e folclore, in “Archivio Storico Lombardo”, Serie IX, Vol. I, 1961, p. 31. Andrea Baraglia compare in vari atti del notaio Michele Pianca di Vercana (conservati presso l’Archivio di Stato di Como), che testimoniano i suoi costanti contatti economici con Palermo dopo il rientro in patria. []
  21. ASCo, Notai, Michele Pianca, 1892 (atto del 1644 luglio 22). []
  22. ASCo, Notai, Francesco Riella, 4152. []
  23. M. Belloni Zecchinelli, L’emigrazione popolare…, 1961, p. 11; R. Pellegrini, Gioielli storici…, 2009, p. 43; S. Barraja, Barraja.Orafi e argentieri, Palermo. []
  24. Una prima notizia di questi anelli si trova in M. Zecchinelli, Arte e folclore…, 1951, p. 67: «Ai nostri giorni giunsero anche pesanti anelli d’oro con incisa la effigie di Santa Rosalia od una croce di Malta a smalto bianco nella placca superiore (Vercana, Gravedona)». Uno studio è in R. Pellegrini, Gioielli storici…, 2009, passim. []
  25. R. Pellegrini, Gioielli storici…, 2009, passim. []
  26. Archivio di Stato di Milano (ASMi), Culto Parte Moderna, 1318. []
  27. Ne sono stati esaminati una trentina. []
  28. ASCo, Notai, Giovanni Battista Curti Pettarda, 2875, (atto del 1703 febbraio 17). []
  29. S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 80. []
  30. Cfr. Indice degli orefici e argentieri di Palermo, a cura di L. Bertolino, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, a cura di M. C. Di Natale, Milano 1989, pp. 399-400. []
  31. ASCo, Notai, Felice Peracca, 3483. []
  32. Archivio Storico Diocesano di Como (ASDC), Visite Pastorali, 87/1, Bonesana. []
  33. ASCo, Notai, Felice Peracca, 3486. []
  34. ASCo, Notai, Francesco Riella, 4153. []
  35. ASCo, Notai, Francesco M. Cassera, 4620. []
  36. ASCo, Notai, Melchiorre Del Pero, 5644. []
  37. Un singolare caso di convergenza storico-artistica potrebbe essere quello, citato dal Buttitta, degli anelli «dei pastori della Cecoslovacchia centrale: di fattura molto elementare, constano, oltre che del cerchio, di una parte superiore costituita da una superficie piana di forma generalmente ottagonale, con croce e cerchi incisi e riempiti di colore blu o rosso». A. Buttitta, Oreficeria popolare, in Enciclopedia Universale dell’Arte, Firenze 1963, Vol. X, p. 172. []
  38. ASCo, Notai, Giuseppe Felolo, 3970. []
  39. ASCo, Notai, Giuseppe Felolo, 3971. []
  40. ASCo, Notai, Giuseppe Felolo, 3977. []
  41. S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 48. []
  42. J. Chevalier-A. Gheerbrant, Dictionnaire des Symboles, Paris 1982, pp. 589, 793. []
  43. M. Zecchinelli, Arte e folclore…, 1951, pp. 72, 114-115; R. Pellegrini, Tra noc e sass…, 2004, pp. 33-34; R. Pellegrini, Dongo…, 2012, pp. 235, 242; ASMi, Culto Parte Moderna, 1318. []
  44. R. Pellegrini, Le devozioni alla Madonna del Carmine e a Santa Rosalia a Càino, in M. Fois-R. Pellegrini, Opere ritrovate a Vercana, Vercana 2017, pp. 6-7. []
  45. A. Somers Cocks-C. Truman, The Thyssen-Bornemisza Collection. Renaissance jewels gold boxes and objects de vertu, Londra 1984, pp. 144-145; Fondazione Thyssen-Bornemisza, Gold and Silver Treasures from the Thyssen-Bornemisza Collection, Milano 1989, p. 37. []
  46. R. Pellegrini, Gioielli storici…, 2009, pp. 53-55. []
  47. M. Zecchinelli, Le Tre Pievi…, 1951, p. 167; R. Pellegrini, Gioielli storici…, 2009, pp. 52, 54. []
  48. L’anello è citato in A. Somers Cocks-C. Truman, The Thyssen-Bornemisza…, 1984, p. 144. Può essere visualizzato nella Finger Ring Collection di https://www.ashmolean.org/legacy-ashmolean-sites con la chiave: «Maltese cross» (consultazione del 25 maggio 2018). []
  49. R. Pellegrini, Gioielli storici…, 2009, pp. 29-32. []
  50. E. Canepari, Immigrati, spazi urbani e reti sociali nell’Italia d’antico regime, in Storia d’Italia. Migrazioni, a cura di P. Corti-M. Sanfilippo, Torino 2009, p. 57. []
  51. A.M. Boca, Il pittore Antonio Maria Caracciolo da Vercana e i suoi rapporti con la Sicilia nella seconda metà del Settecento, in Artisti lombardi e centri di produzione italiani nel Settecento, a cura di G. C. Sciolla-V. Terraroli, Bergamo 1995; p. 99; R. Pellegrini, Il pittore A. M. Caraccioli…, 2007, pp. 188-189. Naturalmente il ventaglio delle ipotesi si allara, ma in mancanza di una base documentaria solida non sono possibili conclusioni univoche. []
  52. A. Somers Cocks-C. Truman, The Thyssen-Bornemisza…, 1984, p. 144. []
  53. M.C. Di Natale, La croce dei Cavalieri di Malta, emblema-gioiello, nell’area mediterranea, in Vanity, Profanity & Worship: Jewellery from the Maltese Islands, catalogo della mostra, Malta 2013, passim. []
  54. ASCo, Notai, Giulio Scanagatta, 1222. []
  55. I numeri di mappale della Mappa Teresiana corrispondenti allo stabile in questione sono il 328 e 329. Secondo la Tavola del Nuovo Estimo approvata dalla Real Giunta per il Censimento in data 10 novembre 1755, il n. 328 era «casa di proprio uso» di Giacomo Antonio Bellamo quondam Pietro Antonio e di Giuseppe Pelolo quondam Francesco, mentre il 329 corrispondeva a «casa di proprio uso» di Pietro Toja quondam Adamo e di Carlo Pisolo quondam Carlo. ASCo, Ufficio Distrettuale Imposte Dirette Menaggio, Peglio, Registri Catasto Teresiano, Tavole Censuarie dei Possessori, 49. []
  56. P. Tenchio, L’opera del Fiammenghino nelle Tre Pievi Altolariane, Menaggio 2000, p. 63; M. Zecchinelli, Cappelle e dipinti votivi nelle “Tre Pievi” Altolariane, Menaggio 2002, p. 95. []