Bianca Cappello

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La storia del gioiello fantasia in Italia come specchio dell’evoluzione della moda e della società

DOI: 10.7431/RIV16122017

Noi italiani abbiamo un modo di sentire e di esprimerci che è naturalmente distinto da quello di un inglese o di un russo: l’ambiente e la tradizione lavorano segretamente a costruirci un’inconfondibile personalità che si ritrova nei nostri atti, nel gusto, nel prodotto del nostro lavoro. (…) noi possiamo essere, nel nostro lavoro, profondamente italiani ed essere, proprio per questo, internazionali (…).”
“Italia Internazionale”, in: Bellezza, III, nn. 20-21, luglio-agosto 1947

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Il termine gioiello è un grande contenitore entro cui rientrano varie tipologie di ornamento per il corpo sia in materiale prezioso che in materiale non prezioso. Il gioiello concepito come prezioso, e con questo aggettivo indichiamo valenze valoriali non necessariamente materiche ed economiche ma anche concettuali e simboliche ad esempio legate allo status symbol, al prestigio sociale, al potere, ad un legame e addirittura anche all’ultraterreno, pur rispecchiando l’estetica della società in cui è creato, proprio in funzione dei suoi valori concettuali e immateriali è destinato a durare per molto tempo prima di essere percepito desueto dal sistema sociale. Per gioiello fantasia si intende invece tutta quella categoria di gioielli appositamente realizzati in materiali merceologicamente non preziosi per assecondare il fluttuante mercato della moda al fine di essere venduti con velocità ed essere ricambiati spesso per adeguarsi ai nuovi gusti e alle nuove tendenze cromatiche e sartoriali1. Parlare di gioiello fantasia italiano significa raccontare la storia delle abitudini e dei costumi di un popolo che, dall’unità unità nazionale si è costantemente e consapevolmente adoperato per evolvere la moltitudine di tradizioni locali che lo compongono al fine di creare un codice formale ed estetico condiviso e identificativo.

Con l’Unità d’Italia, il 17 marzo 1861, il Paese affronta una serie di investimenti economici che, in linea con il fermento dell’epoca moderna, sono rivolti a far nascere e sviluppare il comparto manifatturiero. La costruzione di industrie crea, tra i suoi indotti, oltre alla realizzazione di scuole tecniche e di disegno per dare una corretta formazione agli operai, anche la costituzione di nuovi posti di lavoro che a loro volta generano una nuova classe sociale in grado di contare su uno stipendio in denaro. Questa nuova disponibilità economica, anche se minima, fornisce alla classe operaia la possibilità di esprimere una richiesta di beni e di servizi prima inesistente, innescando un circolo virtuoso di produzione che a sua volta alimenta il commercio appannaggio della piccola e media borghesia. Tra i beni di consumo richiesti troviamo l’abbigliamento e anche i gioielli che, reclamati alla portata di tutte, o quasi, le tasche, contribuiscono alla nascita della bigiotteria moderna2. All’interno di questa prospettiva, nel 1882, grazie all’invenzione del placcato oro ad opera di Giulio Galluzzi, nasce a Casalmaggiore, in provincia di Cremona, uno dei primi distretti industriali italiani di bigiotteria che, già nel primo ventennio del Novecento, è una tra le maggiori realtà produttive al mondo mantenendo questo primato fino alla metà del secolo3.

Fin dai primi anni dell’Unità d’Italia, la corte savoiarda e le dame dell’alta aristocrazia si adoperano per promuovere un comune gusto nazionale trovando ispirazione nell’arte rinascimentale toscana e lombarda e soprattutto nelle opere del Botticelli e del Pisanello. In queste prime fasi della costituzione di una moda nazionale, un altro elemento tenuto in considerazione è il recupero dei costumi popolari regionali; infatti ciascuna regione d’Italia ha una lunga e ricca tradizione artigianale che attinge alla tecnica e ai materiali locali. Ad esempio i bijoux in micro mosaico sono prodotti a Firenze, Roma e Venezia riprendendo l’antica tecnica del micro mosaico romano ma realizzandola con piccoli segmenti di vetro veneziano composti in disegni semplici con fiori e geometrie. Oltre al micro mosaico, il vetro, il corallo e la pietra dura sono anche inseriti come cammei all’interno di spille ovali o rettangolari con le quali, alla fine dell’Ottocento, le signore amavano arricchire gli alti colletti dei loro voluminosi abiti. Assieme o in alternativa ai cammei, si indossano i sautoir, lunghe collane il cui successo è rimasto incontrastato fino al primo trentennio del Novecento nonostante l’avvento della Prima Guerra Mondiale che ha spazzato via come un tornado molte delle abitudini e dei costumi della precedente Bella Epoque4.

I sautoir possono essere realizzati in vario modo e con diversi materiali ma i più belli ed i più diffusi sono creati a Venezia, città conosciuta in tutto il mondo per la produzione del vetro. Con questo materiale si realizzano anche perle di grande bellezza la cui raffinatezza e accuratezza nell’esecuzione dei particolari è da sempre oggetto di tentativi di imitazione, fino adesso infruttuosi.

Le perle di vetro più conosciute ed apprezzate sono quelle a lume, spesso decorate con fiorellini a rilievo, e quelle chiamate millefiori, eseguite con la tecnica della murrina, un procedimento in cui i maestri vetrai veneziani e muranesi sono i più abili e provetti; tra questi spicca Ercole Moretti, la cui azienda è una delle più antiche oggi ancora attive.

Tra la fine dell’Ottocento ed il primo ventennio del Novecento, le perle di vetro vengono infilate nei sautoir distanziate da catenelle dorate oppure da fili di conterie, minuscole perline dello stesso materiale, talvolta delle dimensioni di un granello di sabbia. Con le conterie vengono realizzate in questo periodo anche curiose collane a forma di rettile, celebri e particolarmente diffuse dopo l’uscita della canzone popolare di grande successo “Vipera”, pubblicata per la prima volta nel 1919 dal compositore Giovanni Ermete Gaeta.

Il lavoro di infilare le perle viene svolto dalle perlere, donne che pazientemente e con destrezza svolgono questo compito da casa riuscendo ad arrotondare lo stipendio familiare senza tralasciare i doveri domestici.

Spesso queste lavoratrici a cottimo si riunivano vivaci gruppi di lavoro lungo le calli (vicoli) di Venezia e Murano divenendo oggetto di dipinti e foto di artisti e turisti affascinati.

Fino alla fine degli anni Venti del Novecento a Venezia, oltre alle perle, con la tecnica della murrina si producono anche degli affascinanti bracciali dai colori sgargianti. Purtroppo la loro fragilità ed il cambiamento del costume femminile ne hanno determinato il disuso e la cessazione della produzione5.

Hanno invece continuato ad essere indossati i sautoir la cui lunghezza si è adattata con malizia ai movimenti frenetici dei balli arrivati proprio negli anni Venti dagli Stati Uniti in Italia, come il fox trot e lo shimmy.

Mentre lo stile Liberty non avrà molto successo nella bigiotteria italiana, i primi anni del Novecento vedono nascere il movimento artistico e culturale del Futurismo con la sua filosofia di rottura verso la tradizione. Questa rottura è espressa anche nel settore della moda come leggiamo ne “Il Vestito Antineutrale, Manifesto Futurista” del 1914 e ne “Il Manifesto della Moda Femminile Futurista” del 19206.

Echi di questo vento di innovazione si trovano nei decori geometrici e nei colori forti con linee spezzate che sono tipici dello stile Deco e in quella che sarà una costante nella cultura del bijou italiano, ovvero la curiosità verso tutte le forme ed i materiali indipendentemente dal loro valore intrinseco e commerciale.

I principi futuristi sono presto ripresi dall’elitè progressista e culturale francese e ne ritroviamo un chiaro segno nelle creazioni di moda di Elsa Schiaparelli e Coco Chanel7.

Nel 1922 sale al potere il partito Fascista di Mussolini che spinge per la prima, ed unica, volta l’Italia verso una politica espansionistica e coloniale.

Dal 1935, con l’occupazione italiana dell’Etiopia, al 1945, con la caduta del Regime Fascista, la bigiotteria sviluppa una serie di modelli fortemente influenzati dalle suggestioni coloniali; spille, bracciali, collane e orecchini assumono forme esotiche come leoni, elefanti, palme, ma anche le fisionomie etniche delle popolazioni invase o con cui in qualche modo l’Italia aveva rapporti politici.

L’occupazione dell’Etiopia causa all’Italia forti sanzioni da parte della Società delle Nazioni e, in risposta a questo episodio, nel 1936, Mussolini decide di intraprendere la strada dell’autarchia. Inizia così un periodo di ristrettezze e difficoltà nella reperibilità di tutti quei prodotti fino ad all’ora importati dall’estero che conduce il Paese verso una serie di investimenti nella ricerca di nuovi materiali sia inventandone di nuovi, come i materiali plastici o le leghe metalliche, che andando a recuperare quelli della tradizione, come il sughero dalla Sardegna, il corallo dalla Campania e dalla Sicilia, il vetro da Venezia, la paglia da Firenze, il panno di Torino e così via.

Tra i materiali nuovi, riscuote molto successo la galalite, una plastica di colore bianco derivata dalle proteine del latte, elemento abbondante in un paese in gran parte agricolo e basato sull’allevamento dei bovini e degli ovini.

Anche dal punto di vista estetico, l’isolamento e la massiccia propaganda politica hanno creato un’accelerazione verso la formazione di uno stile nazionale autonomo svelando una creatività nuova dove la fantasia ha preso ispirazione dall’ambito della vita quotidiana agli antichi miti locali. Dolci visi femminili, dragoni ma anche pali dell’alta tensione e tanto altro sono indossati sotto forma di spille sui reverse dei tailleur, di gran moda negli anni Trenta e Quaranta8.

Nel 1940 l’entrata dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, raziona ulteriormente i materiali e rende necessario un ulteriore sforzo da parte dell’ingegno collettivo.  A causa delle ristrettezze nell’utilizzo di materiali preziosi come oro e argento, molti orafi convertono la loro produzione in bigiotteria inventando nuove leghe metalliche e applicando ai loro lavori le stesse finezze e la stessa qualità dei gioielli.

La sofferenza e la povertà generate dalla guerra costringono spesso ad indossare gli stessi indumenti per molte stagioni ed è proprio in questo frangente che il bijou, pur così effimero, diviene l’unico modo per poter dare un’aria nuova al vecchio abito e cercare di sollevare almeno un pochino l’animo9.

Nonostante, o forse proprio a causa, delle ristrettezze dovute al periodo bellico, sulle collane sbocciano fiori e frutti di vetro colorato, un vero e proprio inno ad un paradiso terrestre in questo momento lontano e agognato.

La galalite viene abbandonata negli anni ‘50 lasciando spazio ai nuovi materiali plastici che, dalla metà del secolo, costituiscono un comparto importante nella produzione della bigiotteria fino ai giorni nostri.

Tuttavia molti dei materiali e delle tecniche utilizzati durante la Seconda Guerra Mondiale vengono ripresi e sviluppati nei decenni successivi. Tra questi il legno, le conchiglie e la ceramica che, dipinta ed invetriata o, successivamente, galvanizzata, darà alla bigiotteria un aspetto materico ed arcaico in linea con la ricerca formale nel campo dell’Arte e della moda della metà del Novecento10.

Un altro materiale molto amato nella bigiotteria di questo periodo è la paglia. La produzione della paglia è dislocata in varie regioni d’Italia ma la più famosa è quella che si è sviluppata, fino dal XVII secolo, nella campagna attorno a Firenze, in Toscana.

Così come le perlere di Venezia, a Firenze le donne intrecciano, da sole a casa o più spesso in allegra compagnia per la strada, i fili di paglia per creare cappelli, oggetti di uso domestico ma anche bijoux e addirittura abiti.

Finita la Guerra, l’Italia è un paese distrutto ma ha tanta energia e voglia di ricominciare a costruire una vita migliore. Come inno alla prosperità, il modello di abito alla moda in questo periodo è a “clessidra” con ampio scollo, vita stretta, ampia gonna a corolla e braccia scoperte…tutti punti perfetti in cui mettere luminosi bijoux!

La tipologia di donna in voga negli anni Cinquanta, in linea con l’idea di abbondanza, è procace come Anna Magnani, Sofia Loren e Gina Lollobrigida che impersonano il nascente mito della diva italiana. E’ infatti questo il ventennio d’oro della cinematografia italiana e, a Roma, Cinecittà diviene un distretto di teatri di posa di eccellenza che permette di girare film colossali con budget milionari e attori ed artisti provenienti da tutto il mondo. Come si vede nei film Otto e Mezzo (1963) e la Dolce Vita (1960) di Federico Fellini, l’Italia diventa un immancabile luogo di incontro per il jet set internazionale.

Mentre i grandi divi acquistano gioielli da favola nel negozio di Bulgari in via Condotti a Roma, la bigiotteria si propone come un’esaltazione dell’alta gioielleria offrendo un tocco di follia e di spettacolarità in più.

Strass e cristalli, come diamanti, smeraldi e rubini, fanno a gara con le perle di vetro per arricchire con opulenza ma sempre con grande eleganza, i collier, gli orecchini, i bracciali e le spille destinati a rifinire gli abiti fruscianti di seta e di velluto delle prime teatrali e degli eventi mondani.

Le persone hanno voglia di tornare a vivere e per farlo vengono create nuove occasioni di convivialità tra cui il cocktail party, un appuntamento elegante che si svolge durante il giorno e al quale il codice del buon gusto impone un abito importante e colorato che scatena la moda di splendide e variopinte collane multi filo in perle di vetro e cristalli, di collarette in seta e conterie, di collier ricamati di cristalli11.

Nel 1951, a Firenze, le sfilate organizzate alla Sala Bianca di palazzo Pitti dal nobile Giovan Battista Giorgini, fanno conoscere la moda italiana nel mondo. Sulle passerelle sfilano, al fianco delle grandi sartorie, i maggiori produttori di bigiotteria12.

Nello stesso anno, la IX Triennale di Milano espone assieme gioielli e bijoux commentando che la bigiotteria offre per quell’anno proposte estetiche più interessanti.

Emma Caimi Pellini, Bijoux Cascio, Coppola e Toppo, Luciana de Reutern, Ornella Bijoux, Giuliano Fratti, Canesi sono solo alcuni dei nomi che costellano il firmamento della bigiotteria di fama internazionale di questo periodo13.

La moda e la bigiotteria italiana sono scoperte come una rivelazione e negli anni ‘60 nasce il punzone Made in Italy per contraddistinguere i prodotti italiani esportati all’estero.

L’euforia di un nuovo benessere collettivo crea un entusiasmo consumistico che si muove alla parola d’ordine “novità” mentre i “giovani” divengono per la prima volta una categoria autonoma in grado di compiere scelte estetiche ed economiche che determinano la moda ed il mercato.

La macchina per tutti, il design moderno, l’industrializzazione, la televisione, le vacanze al mare e la “tintarella” sono solo alcuni degli elementi che contribuiscono alla democratizzazione dei beni di consumo a cui la moda si adegua creando il prêt-àporter.

E’ un momento prezioso anche per le innovazioni e la ricerca attorno ai materiali, soprattutto plastici, tanto che nel 1963 l’accademico italiano Giulio Natta riceve il Premio Nobel per gli studi sulla “chimica e sulla tecnologia dei polimeri”. La plastica, umile ma tenace concorrente del vetro, esalta anche il mondo della bigiotteria fiorendo in forme, colori e volumi innovativi tanto che alcune aziende di bigiotteria, come Artigiana Fiorentina Bigiotteria, creano in questo ramo una vera e propria specializzazione14.

Negli anni ’60 il fermento attorno alle ricerche scientifiche e agli esperimenti spaziali, che culmina nel 1969 con l’allunaggio di Neil Armstrong, ha evidenti ripercussioni nell’immaginario e nella cultura popolare e, assieme alle sperimentazioni artistiche dell’Arte Optical, condiziona la moda e la bigiotteria che si esprimono con forme geometriche, lamine metalliche e bi-cromismi dai toni forti e contrastanti.

Le Bond-girls di “007” e Jane Fonda, interprete del film “Barbarella”, entrano nell’immaginario collettivo contribuendo ad esaltare la figura di una donna affascinante ed emancipata che viene celebrata, a partire da questi anni, anche dai bijoux sensuali ed importanti di Bijoux Bozart15.

Il decennio si chiude con le proteste giovanili inneggianti alla pace nel mondo e all’uguaglianza tra i popoli con la predilezione dell’uso di conterie per realizzare bijoux poveri ma colorati e dal forte gusto etnico, perfetti da abbinare ai jeans e all’eskimo. Negli stessi anni, i servizi delle riviste di moda escono dagli studi fotografici e sono spostati all’aperto, spesso all’estero, divenendo dinamici e vivi. La bigiotteria allora esplode in coloratissimi fuochi artificiali per essere ben visibile anche in un contesto variegato ed ampio e con pose in movimento come avviene nei bijoux creati da Coppola e Toppo per Ken Scott16.

Fotografi visionari e di talento si cimentano nelle riprese di moda e contribuiscono all’ascesa della figura della modella che, nell’ultimo trentennio del Novecento, contribuirà alla creazione di un nuovo tipo di donna non solo emancipato ma anche statuario ed irraggiungibile. I bijoux sono specchio di questa visione e, per adattarsi a questa donna di acciaio, una donna che compete con l’uomo e che governa la sua sessualità, divengono grandi, pesanti, luminosissimi grazie ad una profusione di strass e cristalli di notevoli dimensioni17.

Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, gli italiani introducono nella moda fondamentali cambiamenti; Valentino è tra i primi a proporre il total look contribuendo ad un più stretto e personale dialogo tra la casa di moda e la realizzazione degli accessori e dei bijoux per l’abito mentre Walter Albini e Giorgio Armani determinano la nascita della figura dello stilista, il designer che progetta abiti non più per una sartoria ma per una, o più, produzioni industriali di moda pronta.

La Moda Italiana viene consacrata nel mondo e nuove generazioni di stilisti, tra cui, oltre ad Armani, Ferrè, Fendi, Moschino, Krizia, Versace, Enrico Coveri, Fiorucci, Alberta Ferretti ma anche case di moda francesi come Yves Saint Laurent, Pierre Cardin, Chanel, Chloè intrecciano strette corrispondenze estetiche e collaborazioni con geniali designer della bigiotteria come Ugo Correani, Sharra Pagano, Giovanni de Liguoro, il Gioiello di Firenze, Vogue Bijoux ed il distretto di San Daniele del Friuli18.

La sperimentazione formale, la dissacrazione e l’ironia, a braccetto con l’Arte POP degli anni ’80, entrano nella bigiotteria trasformando ogni elemento della vita contemporanea in decorazione. Gli utensili da lavoro, i mobili, i segni di interpunzione, qualunque cosa viene esaltata seguendo un codice ludico ed iperbolico.

Le materie plastiche rendono possibile lo sviluppo delle dimensioni ed i bijoux raggiungono volumi importanti giocando sempre sull’ironia e sul colore.

Dalla fine degli anni ‘70, maestre nella ricerca formale attorno alle resine acriliche sono Donatella Pellini e Angela Caputi che hanno saputo plasmare questo materiale in pura poesia estetica da indossare.

L’opulenza decorativa degli anni ’80 e la crisi economica mondiale divampata alla soglia degli anni ’90, creano un terreno fertile per la nascita di diverse tendenze che si sviluppano contemporaneamente; da una parte il Minimalismo degli stilisti giapponesi, interpretato e introdotto in Italia da Prada, dall’altra il Grunge, corrente di pensiero nata negli Stati Uniti in netto contrasto con il consumismo e gli stereotipi capitalistici. Questi elementi, assieme alla nascita della moda mordi e fuggi e al cambiamento del sistema moda in multinazionali finanziarie, che ha eliminato il rapporto uno a uno tra stilista e designer di bijou, hanno inferto un duro colpo alla produzione bigiottiera italiana di qualità decimandone i produttori19.

Tra le fine del Novecento e l’inizio del nuovo Millennio, si sono andate definendo realtà creative diverse, più contenute in termini di gestione aziendale ma di grande qualità in termini di progettualità e livello tecnico.

Queste produzioni hanno saputo riprendere i materiali tradizionali rielaborandoli in un nuovo codice stilistico ed un design contemporaneo che, con un saper fare tutto italiano, sa essere al tempo stesso lussuoso e casual, decorativo e colorato ma pulito ed equilibrato come possiamo vedere, tra gli altri, nei bijoux di Clotilde Silva, Carlo Zini e le Sorelle Sent20.

Dopo più di 150 anni di evoluzione e di geniale ricerca estetica, formale e materica, possiamo constatare come la bigiotteria italiana non sia solamente una decorazione del corpo e dell’abito ma un vero e proprio racconto per immagini della storia di un popolo che ha fatto della Bellezza un suo importante punto di forza21.

  1. B. Cappello, Sul gioiello per la moda, dal concetto alla definizione, in Il Gioiello nel Sistema Moda, a cura di B. Cappello, Milano 2017, pp. 13-14. []
  2. B. Cappello, Storia della Bigiotteria Italiana, Milano 2016, p. 16. []
  3. Cfr. La Fabbrica dell’Oro Matto, macchinari e lavorazione dell’antica industria di bigiotteria di Casalmaggiore, catalogo della mostra (Casalmaggiore, Museo del Bijou, 12 aprile – 29 giugno 2003), Casalmaggiore 2003. []
  4. B. Cappello, Storia della Bigiotteria…, 2016, pp. 23-27. []
  5. Cfr. G. Moretti, Ercole Moretti, un secolo di perle veneziane e di prestigiosi manufatti in vetro, Venezia 2011. []
  6. S. Gnoli, La donna, l’eleganza, il fascismo, La moda italiana dalle origini all’Ente Nazionale della Moda, Roma 2000, p. 37. []
  7. B. Cappello, Storia della Bigiotteria…, 2016, p. 35. []
  8. B. Cappello, Storia della Bigiotteria…, 2016, pp. 41-45. []
  9. Cfr. Illustrazione Italiana, gennaio 1943. []
  10. B. Cappello, I materiali e le tecniche, in Alba Cappellieri – B. Cappello, Il bijou italiano tra gli anni ’50 e ’60, Milano 2015, pp. 123-141. []
  11. B. Cappello, Storia della Bigiotteria…, 2016, pp. 61-75. []
  12. G. Chesne-Dauphine Griffo, La nascita di una moda italiana, in La Moda Italiana, Milano 1987, p. 67. []
  13. Cfr. B. Cappello, Grandi Bigiottieri Italiani, Ornella Bijoux, Mantova 2014; Eadem, I protagonisti, in A. Cappellieri – B. Cappello, Il bijou italiano…, 2015, pp. 93 – 118. []
  14. B. Cappello, I materiali e le tecniche…, 2015, pp. 123-141. []
  15. B. Cappello, Storia della Bigiotteria …, 2016, pp. 81-93. []
  16. B. Cappello, Evoluzione della relazione tra abito e gioiello per la moda dalla Belle Epoque a oggi. Attori e protagonisti, in B. Cappello (a cura di), Il Gioiello nel Sistema Moda, Milano 2017, tavv. XXII e XXVII. []
  17. B. Cappello, Storia della Bigiotteria…, 2016, pp. 81-93. []
  18. B. Cappello, Evoluzione della relazione…, 2017, pp. 46-55; Cfr. B. Cappello, Grandi Bigiottieri Italiani, De Liguoro, Mantova 2016. []
  19. E. Motterle, Il bijou per la moda alle soglie del III millennio: evoluzione e nuovi scenari, in B. Cappello (a cura di), Il Gioiello…, 2017, pp. 73 – 78. []
  20. B. Cappello, Storia della Bigiotteria…, 2016, pp. 120-127; Cfr. B. Cappello, Grandi Bigiottieri Italiani, Carlo Zini, Mantova 2017. []
  21. B. Cappello, Indossare la Bellezza, la grande bigiotteria italiana, Livorno, 2015, pp. 10 e 17. []