Paola Venturelli

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Mantova 1340. Il quadruplice matrimonio Gonzaga: vesti, cinture, manufatti per le mense

DOI: 10.7431/RIV14012016

Composto da 18 fogli (r-v) e redatto da un ignoto notaio, il Liber magne nobilissime et notabilissime curie attiene alle quadruplici nozze Gonzaga avvenute il 2 febbraio 1340 a Mantova, città da dodici anni governata da questa dinastia1. Attuando una ben calcolata strategia matrimoniale, attraverso cui venivano ad allearsi importanti famiglie della penisola italiana centro- settentrionale2, in quel giorno si unirono in matrimonio Luigi I Gonzaga e Giovanna Novella Malaspina (sua terza moglie), il figlio Corrado con Margherita Beccaria di Pavia, e due nipoti dello stesso Luigi (nati da Guido, avuto dalla prima moglie): Ugolino con Verde della Scala (sorella di Mastino II) e Tommasina con Azzo da Correggio3. Alle nozze venne ad affiancarsi la non meno rilevante creazione da parte di Luchino Visconti, Mastino II della Scala e Obizzo III d’Este di venticinque nuovi cavalieri, tra i quali ben undici esponenti Gonzaga. I festeggiamenti si protrassero per otto giorni, tra «Torneri, Giostre, Bagordi […], Ballar, cantar», come scrive nella sua Cronica Bonamente Aliprandi (1350 ca. – 1417), giurista e ambasciatore Gonzaga presso Urbano VI ad Avignone. I doni offerti agli sposi furono moltissimi: abiti, vasellame e altri pregiati oggetti, nonché 18 splendidi cavalli, tutti meticolosamente elencati nel Liber, così come le spese affrontate dai Gonzaga per la buona riuscita dell’evento4.

Analizzabile inseguendo tematiche diverse, compresa quella della cultura materiale, il registro gonzaghesco pone subito in partenza una serie di problemi. Per potere identificare correttamente gli oggetti registrati e comprenderne la realtà formale, infatti, servirebbero innanzi tutto griglie di decodificazioni lessicologiche che allo stato degli studi sono ben lontane dall’essere salde, specie per argomenti insidiosi come quello dei colori5, dei tessili e della moda (temi tra loro strettamente correlati), o del vasellame da tavola6, anche perché la lingua italiana all’epoca è ancora un insieme di dialetti e di ‘lingue’ locali7. Nel caso del Liber poi, il traguardo appare ancora più lontano data la carenza di trascrizioni di documenti trecenteschi mantovani, affiancata da una generale mancanza di letteratura sulla cultura materiale di quest’area geografica8. Un ulteriore ostacolo è costituito dal fatto che per gli anni intorno al 1340 risulta pressoché impossibile avere fermi termini di confronto con fonti oggettuali, essendo infatti gli scarsi manufatti sopravissuti al tempo assai raramente ancorabili cronologicamente e geograficamente. Quali elementi di controllo non soccorrono inoltre certo le attestazioni iconografiche: come è stato più volte sottolineato, non è possibile verificare se ciò che viene raffigurato sia esaltato ai fini della narrazione o se invece corrisponda a soluzioni oggettive9.

Detto questo, qualche iniziale osservazione può tuttavia qui essere avanzata, in attesa di auspicabili futuri reperimenti archivistici dal cui studio sistematico (diacronico e sincronico) si possano ricavare informazioni utili per gettare luce anche sull’affascinante mondo che scaturisce dal Liber magne nobilissime et notabilissime curie.

1.Vesti e cinture

Il documento si apre con la sezione degli abiti regalati agli sposi (ff. 1r-2v), registrati nella tipologia, nella qualità dei tessuti e talvolta nei colori. Figura quasi sempre l’insieme definito roba formato da tre capi: gonnella, guarnacca e mantello (per lo più fornito di cappuccio)10; sono generalmente confezionati con la stessa stoffa e impreziositi dai medesimi ornamenti, presentando inoltre talvolta foderature di pelliccia. Solo nel caso di Azzo Malaspina (f. 1v), donatore di una roba, due gonnelle, una guarnacca e un mantello con cappuccio, si annota anche una «cotarditam panni bruni cum capucio, laboratam ad vidalbis auri»11.

Le più che sintetiche descrizioni offerte non contengono però alcuna notizia sul taglio sartoriale12. Nessuna indicazione giunge quindi per le attillature e le lunghezze: perno delle novità che investono il costume medievale giusto intorno al 1340, specialmente maschile, dato che le trasformazioni avvenute alla metà del XIV secolo riguardano poco la moda femminile. In questi anni la veste tradizionale lunga ed ampia dalla sagoma a T, viene infatti soppiantata da abiti che mettono in risalto il corpo, il nuovo protagonista di questo sistema vestimentario: l’abito lo plasma e lo reinventa13. Ritenuti di provenienza francese o catalana e attestati nel 1335 alla corte angioina di Napoli (dove è forte l’influsso francese)14, tali cambiamenti sono documentati da Galvano Fiamma (1283 ca. – post 1344) al tempo della signoria di Luchino Visconti (uno degli invitati ai matrimoni Gonzaga)15, quando i milanesi avrebbero cominciato a imitare gli spagnoli usando vesti strette e corte, recuperando soluzioni sartoriali da «Francesi» e «Tedeschi»16; al 1342 risalirebbe invece in ambito fiorentino, secondo Giovanni Villani (1280-1348), la «sfortunata mutazione d’habito, che ci recarono di nuovo i Franceschi»17. Nel registro gonzaghesco non si nominano neppure gli strascichi (le code), dettaglio tipico delle vesti lussuose. Sottoposti alle proibizioni delle leggi suntuarie18, sono citati anche negli Statuti Bonacolsiani -il corpus normativo più antico della città di Mantova, riferibile al 1313 o a una data immediatamente successiva-, nel capitolo «De caudis et aliis ornamentis mulierum et hominum non portandis» (Lib. I, 72). In esso si prescrive che «ad gonellam, guarnatiam, mantellum, çuppam, vel aliud vestimentum» la «cauda» non dovrà superare «unius tercie quantitatem […] de brachiis in vestimentis fieri et portari et per terram trahi ad plus, et possit habere rebalçaturam ante, ita  tamen quod  longitudo vestium anterior postiorem longitudinem non excedat»19.

I vestiti attillati venuti di moda intorno al 1340, composti da pezze assemblate, impongono vari tipi di allacciatura, anche nella forma dell’abbottonatura20, particolare caratterizzante pure le vesti regalate al quadruplice matrimonio Gonzaga, benché non descritto analiticamente21.

Quasi sempre annoverati tra gli articoli di oreficeria, i bottoni si declinano in un’ampia gamma di varianti formali: circolari, piatti, a forma di pera o di piccole sfere, con perle, gemme e smalti, costituendo un manufatto che interagisce con vari settori, dal tessile a quello della lavorazione dei metalli, dell’arte smaltaria e naturalmente della sartoria. Una varietà organizzata in senso gerarchico, con prodotti alla portata di tutti e altri destinati invece a una ristretta cerchia. Impiegati in modo costante tra il XIII e il XIV secolo e limitati, parrebbe, nella fase iniziale all’allacciatura delle maniche, i bottoni vengono presto usati anche in senso decorativo in prossimità del collo e del petto22. Costituendo indici di pregio insieme alle frisature e ai ricami in filati d’oro o d’argento, (anch’essi confermanti il grande legame a lungo intercorso tra oreficeria e abbigliamento), sono naturalmente presi di mira dalle normative suntuarie23, anche quelle mantovane: frisature e bottoni («ad manicas autem gonnellarum et çuparum») tornano infatti anche nel capitolo già citato (Libr. I, 72) degli Statuti Bonacolsiani24. Altro importante elemento di differenziazione sono le foderature di pelliccia, a partire dal costoso vaio, specie se di questo animale si usano i dorsi, più cari delle pance, come nel caso della guarnacca offerta da Paolo Aldigieri (f.1v)25 (Fig. 1).

Bottoni, frisature e pellicce, costituiscono dettagli altamente significativi per esprimere la qualità del dono e il livello del donatore26, insieme ovviamente alla quantità degli indumenti regalati. Dal punto di vista numerico primeggiano le venticinque paia di robe offerte da Luchino Visconti, foderate di pelli d’agnellino ma prive di bottoni, seguite dalle ventiquattro paia portate da Mastino della Scala27, dodici delle quali con foderature d’agnellino e bottoni d’argento, le restanti con bottoni d’oro e fodere di vaio, sei anche «frisato». Subito dopo si pongono le ventuno paia di robe offerte dal nipote di Luchino, Matteo Visconti28, e dai suoi ambasciatori, cinque delle quali con vaio e bottoni d’oro; anche sei paia delle dodici regalate dal marchese d’Este hanno fodera di vaio, ma sono prive di bottoni. Il limite minimo è costituito invece da doni formati solo da due capi d’abbigliamento, come è il caso di Corrado «de Mare de Ianua» e di Pietro Pitati, entrambi donatori di una gonnella e di una guarnacca con fodere di pelliccia, prive di bottoni.

L’impiego di pelli e pellicce nell’abbigliamento, aumentato vertiginosamente dal tardo XIII secolo, con il conseguente rialzo dei prezzi e il consolidarsi del ruolo e delle ricchezze dei pellicciai, figure professionali che si distinguevano dai sarti costituendone una specializzazione29, si presenta tra l’altro come uno dei primi casi di abiti ‘pronti’. Lo attesta efficacemente il libro dei dazi milanesi per merci e generi commestibili compilato giusto nel 1340: i primi capi confezionati elencati risultano appunto di pelle, innanzi tutto le fodere («de agnello, de moretis, de vulpis, de cuxetis», cioè la donnola o la faina, «de foynis», vale a dire la martorella, «de gatis, luporum»), poi le «guarnazie» di volpe o «de guris» (probabilmente il ghiro) e a seguire pellicce di peli diverse30. Il commercio di abiti pronti con fodere in pelliccia è peraltro attestato a Verona -la città scaligera- e nei centri vicini già dall’ultimo quarto del XIII secolo. A questo tipo di prodotto ricorse Alberto della Scala quando, per festeggiare nel 1294 la caduta di Este nelle sue mani con l’aiuto degli alleati padovani, dona più di 1500 paia «vestimentorum novorum purpurae, scarlati, morelii, viridis, blaveti, et aliorum drapporum du Ultramonte et Yprie, et alterius manerii» tutti foderati di pelliccia; e altrettanto si fece nel 1298 offrendo per il matrimonio del figlio Alboino (padre di Verde della Scala, la sposa di Ugolino Gonzaga) «plus quingenta paria vestium scarlati, viridis, virgati, Yprie» e altri tipi di stoffe, «in fodratarum varium, vulpium, pellis agnelline»31.

Anche tra le spese gonzaghesche del 1340 fatte «in robis et zupis cum earum guarnimento» si rileva l’acquisto di pellicce preconfezionate. Ci imbattiamo, infatti, nell’esborso (f. 6r) di «MXVI florenos et medio» d’oro per 76 guarnacche di vaio (56 «desgrisate» e 20 «grossas») destinate ai nuovi cavalieri, acquistate a Venezia da Comunale de’ Folenghi, l’ufficiale del Comune e rettore delle gabelle a Mantova32; altre tre guarnacche di vaio per 40 fiorini sono recuperate sia da «Zapirono paterio» -presumibilmente un pattaro, personaggio operante nell’ambito del commercio dell’usato- sia dal «merzadro» veronese Francesco, mentre Giovanni Bugno e Amoro Gondelmaro ne forniscoo 16, costate 216 fiorini.

Presumibilmente lavorano invece appositamente per l’evento nuziale gonzaghesco il «magistro Bonefacino a vayris et sociis», ricordati (f. 6v) per 35 «guarnimentorum a vayris» e per fodere destinate «ad robas» (costate 42 «libras parvoum»), così come «Borgino pelizario» e il collega «Rigutio» (ff. 16r). Gli ultimi due foderano ciascuno uno zupparello (una giubba) -il vero capo vestimentario del XIV secolo, ottenuto con stoffa pregiata e imbottiture, sopra cui si indossa la gonnella e la guarnacca-33, lavorando il primo per Ugolino Gonzaga (pagato 5 «libras parvorum»), il secondo per Filippino Gonzaga, figlio di Luigi I (per 6 libre) (Fig. 2).

Per lo stesso capo d’abbigliamento (che si dice destinato ai milites) risulta impegnato pure «Batino a seta» (Betino) (f. 6v), ricevendo tra l’altro 9 libre e 15 soldi per poco più di 26 braccia di tessuto serico («cendali zalni et azurri et aliorum colorum»); si tratta forse del Batino «de Florentia merzadro» (f.7v) dal quale si acquistano diverse braccia di «zendali zalni et nigri» unitamente a «panni lini vermilii» e a diversi «cordonis». Ma confezionano zupparelli (ff. 6v, 18r) sia Giovannino «zuponerio de Ferrara» (un artigiano evidentemente specializzato nella produzione di questo indumento, così come il collega «Bartolomeo zuponerio», citato a f. 12r), sia «Girado de Feraria», il primo usando tessuto serico «zalni et azuri, laboratorum ad fetas». Quest’ultimo figura anche per tre paia di calze e tre paia di guanti. Calze in panno sono peraltro procurate pure da Pietro «Cornaclario», un artigiano di Modena (f.17v), mentre «Lappo Belinzono, scabizatori» (f. 6r) -che vende tagli di tessuti, inclusi «scacati franceschi», «vergati garofanati fiorentini», «trazetani bresanini»- per il medesimo indumento (che useranno i militi) si limita a procurare quantitativi di «panni albi, veronensis» e «scarlatini»; per realizzare calze altre braccia di scarlatino sono provviste da Pietro Cornaclario. Altri artigiani ricordati nel Liber per la confezione di indumenti risultano (f. 8r) «Petrezolo Guarnazono», con tutta probabilità un personaggio la cui attività primaria erano i guarnazzoni (simili alla guarnacche, ma con maniche più ampie e abbondanti), citato per l’acquisto di stoffe seriche, nonché i due sarti Bertolino Nasello e Amadeo (ff.7v, 17v, 18r)34, che ricevono 60 libre «parvorum» per la realizzazione di 67 «banderiarum, totidem vestium et totidem copertarum de cendale factarum brigadis de Mantua, qui bagordaverunt ad festum milicie»; Amadeo è menzionato pure per la fattura  «copertarum» dei tre cavalli donati rispettivamente a Luchino Visconti, al marchese d’Este e a Mastino della Scala, nonché per otto «penonis trombe et trombete», i cui materiali sono provvisti dal «merzadro» Batino35.

Un completamento importante del sistema vestimentario medievale è costituito dalle cinture (Fig. 3).

Nella sezione dei donativi vengono inserite dopo le vesti e tra i manufatti metallici (ff. 2v, 3v). Sono infatti distinte da chiusure, terminali, passanti o altri elementi decorativi, in metallo prezioso (Fig. 4) (fibbia, mazo, passetti) e pertanto anch’esse soggette alle normative sul lusso36. Accessorio perfetto per evidenziare il grande cambiamento avvenuto nel sistema vestimentario intorno al 1340 cui si è accennato in apertura, negli anni in esame la cintura è decisamente lunga (può misurare anche due metri) e viene indossata seguendo la linea del bacino, ricadendo con le estremità in basso37 (Figg. 5 e 6).

Gli esemplari regalati per i matrimoni Gonzaga risultano undici, offerti da cinque invitati.

Tutte con il nastro in tessuto pregiato («de filo argenti»), presentano passetti smaltati e chiusure adorne di raffigurazioni, forse a traslucido, come l’esemplare in argento e argento dorato ricondotto dalla Fingerlin alla metà del XIV secolo, recuperato durante uno scavo compiuto a Verona e conservato nel Museo di Castelvecchio38. Prevalgono i motivi delle scimmiette e quelli antropomorfi, motivi di cui ignoriamo purtroppo l’impianto grafico- compositivo perché non dichiarati nel documento. Guglielmo di Castelbarco, rampollo di una nobile famiglia trentina39, ne regala sei, con puntale e fibbia lavorati: pesano in tutto 15 marche. La cintura più pesante (un po’ più di quattro marche) giunge da Bonifacio e Cesio Carbonesi, caratterizzandosi per una chiusura con «figuris hominum» e con «baboinis». Da Girardo, «monacus Sancti Benedicti» (nel basso mantovano), ne arriva un’altra che pesa 18 once e un quarto; anche in questo caso la fibbia e il mazo mostrano rappresentazioni antropomorfe, mentre i passetti sono «cum testis intus et cum foliis» così come quelli della cintura donata da Tommasino Schinardi, che è munita di «maza denodata et fibula integra habentem in fine maze una glandem» (pesante 19 once). Simili del resto risultano gli esemplari offerti sia da Bartolomeo «ab Aureo» («in maza figuras hominimum et in fibula baboinos»; 15 once e 3 quarti di peso) sia da «Nicolaus de Cristofalo» (con «fibula integra, cum baboynis et maza denodata ad figuras hominum in smaltis», è con «pasetis […] raris, in quibus sunt folia et teste hominum»; pesa 21 once).

2.Vasellame e oggetti di lusso

Nel gruppo dei doni includenti le cinture, troviamo anche il vasellame e la posateria, con altri oggetti metallici (ff. 2v-4v).

Per quanto riguarda le tipologie dei contenitori predominano le coppe: in totale ventidue. Sono sempre regalate in un solo esemplare, ad eccezione del donativo di Petrozzano Gonzaga, composto da tre coppe (f. 2r), le uniche munite di coperchio40. Tutte presentano il sostegno («pede») lavorato e ornato, salvo quella data da Gotefredo de Sessa, «sine ulo laborerio». Sono inoltre d’argento, anche dorato, ad esclusione delle due coppe d’oro giunte rispettivamente da Giovannino Benfatti e da Matteo Odorici; con «pede auri» è invece quella portata dall’orefice mantovano Bonaccorso da Crema (città attualmente in provincia di Cremona)41. Quanto al «pomo», risulta «rotondo» o «casamentato», termine quest’ultimo credo equivalente all’odierna definizione di architettonico, cioè con la riproduzione in piccole dimensione di edifici, o di loro dettagli, quali colonne, nicchie, finestre e portali; presenta la variante a «tres cantones», cioè presumibilmente a sezione triangolare, la coppa dorata giunta da Palmerio de Sesso (di 35 once), personaggio appartenente a una delle più importanti famiglie di Reggio, un esemplare che reca nel sostegno otto smalti, uno dei quali, «magno», con «figuram unius regis» e altri sei «cum figuris hominum»42.

Ancora lo smalto interviene per altri particolari delle figurazioni: zoomorfe o antropomorfe prevalentemente, ma ci sono anche ornamenti a soggetto vegetale («una vidalba»), come nella coppa di «Bresaninus de Cerexariis» e talvolta scudetti con l’ arma del donatore. Tra le rappresentazioni animalistiche emergono anche per le coppe le scimmiette, attestate in undici  casi; nel manufatto offerto da Niccolò «de Ravanis» , ornato da elementi fitomorfi rilevati sulla tazza, troviamo invece «leonibus paonibus» e in altre quattro coppe ci sono dei volatili. Allude al donatore anche l’immagine smaltata di San Prospero sul piede della coppa offerta dall’«abas» di San Prospero, la cattedrale di Reggio (f. 3r)43. Come registrato per la citata coppa giunta da Niccolò «de Ravanis», talvolta a caratterizzare i pezzi appaiono elementi ornamentali rilevati («scolpiti»), con ogni probabilità ottenuti a cesello e bulino44. Ne è distinto l’esemplare (elencato per primo) regalato dal fiorentino Traverso degli Ubriachi, munito di piede smaltato «ad figuras hominum, cum figuris relevatis, laboratam in pede» e smalti nell’impugnatura casamentata (f. 2v). Peraltro anche la coppa offerta da «Antoniolus de Casalis» («sine smaltis») reca dettagli «scolpiti» e con «figuris relevatis» sono pure le tre munite di coperchio e «pomo casamentatis in pede» pervenute da Petrozzano Gonzaga, disitnte anche da smalti «ad armaturas dominorum et cum baboynis». Altri particolari in rilievo figurano pure su quella giunta attraverso l’orafo Bonaccorsio da Crema, probabile autore del pezzo. Pesa 12 once e mezza, ha il piede d’oro munito di quattro «smaltis equalibus cum avibus intus et tribus in pede ad similitudinem aliorum», distinguendosi per l’impugnatura di tipo architettonico «sine smaltis, cum vidalbis, avibus et baboinis scolpitis» (f. 3r). Con scudetti smaltati «ad armaturam dominorum» è anche la coppa dorata pervenuta dai veronesi Bonifacio e Cesio Carbonesi (f.3v): pesa oltre 19 once, ha il «pomo rotondo» e nel piede l’immagine smaltata di «hominis pulsantis unum liutum»45. Dal punto di vista del peso invece emerge su tutte la menzionata coppa (un po’ più di quattro marche), regalata da Traverso degli Ubriachi, cui segue quella di Branchino Malosello (due marche e poco più di tre once)46; questo secondo esemplare mostra cinque smalti nel sostegno, di cui uno «magno cum quodam iuvene intus», quattro altri nel piede «ad vidalbas, cum avibus scolpitis» e impugnatura casamentata con «smaltis ad folia».

Alle coppe segue la sezione dei bacini: in tutto otto e d’argento, sette dei quali con le armi del donatore, al centro o sulla tesa. L’esemplare regalato da Minacio de’ Minaci (nel 1341 massaro e soprastante alla zecca mantovana)47, con parti dorate e pesante un po’ più di 6 marche, ha anche tre «baboynis» intorno all’arma, mentre i quattro di Rodolfo «de Petramala» (di Pietra Marina, nei pressi di Arezzo) l’immagine di due leoni.

Risultano invece sette i bronzini, cioè gli acquamanili (o brocche), manufatti in genere appaiati ai bacini perché impiegati nell’importante momento del lavacro delle mani che precede il pasto e ne intervalla le portate, la cui grande valenza simbolica è sottolineata da materiali quale oro e cristallo48. Quelli nel Liber sono d’argento e tutti «cum drociis», termine di non chiaro significato. Due acquamanili giungono dal ricco commerciante mantovano Cagnone de’ Mileti, menzionato anche tra i capitoli delle spese (f. 7r), quando risulta saldato per argento lavorato usato per due «bacinis, una confetera et II broncinis smaltatis». Dei restanti bronzini, due sono regalati da «Don Franceschinus», uno -il più pesante (9 marche, 4 once, «III quartarum media») – da Amadeo da Campitello, personaggio coinvolto nella zecca mantovana e cancelliere dei Gonzaga nel 1338, e gli ultimi due da Matteo «Galus». Stando alla Cronica di Aliprando due altri esemplari, «ben lavorati ad opre Damaschini/ A strania foggia […] fabricati», pesanti 9 marche, sarebbero stati donati da Blancoccio de’ Nerli, ufficiale del comune e rettore delle gabelle di origine fiorentina, attivo nel commercio nel sale49, citato nel Liber (f.7r) per avere ricevuto «DCXII libris, XIIII soldis» per 27 marche e 3 once d’argento smaltato «in sex broncinis missis de Venetiis Mantuam per Iohannem Bugnum, in racione XVIIII venetorum grossorum pro onza».

Compare invece solo una volta un «bochalerium», che si descrive con «bochia dorata in qua est scolpita quedam aquila coronata cum figuris hominum de osso, circum ipsam bochiam, et cum veluto intra ipsam bochalerium viridi, nigro et rubeo»; perviene da Enrico, «dux lucanus», insieme a una spada dorata in un fodero di velluto verde e «frisis» d’oro.

Unico nel genere è anche l’«arborem deaurata cum linguis serpentinis, cum perlis et granatis in ramis, cum pede triangolato cum smaltis»; è donata dal condottiero di ventura Fregnano da Sesso e pesa 73 once e mezzo. Arredi delle mense principesche in cui si mescolano naturalia e mirabilia, questi manufatti presentavano zanne fossili di pescecane (credute lingue di drago, cui si attribuiva la facoltà di neutralizzare veleni nei cibi e nelle bevande) appese come frutti da un alberello50. Rintracciabile tra i beni di papi e principi51, tale tipologia risulta attestata anche negli inventari gonzagheschi. In quello steso nel 1381 (aggiornato sino al 1402), tra gli 840 pezzi registrati (per un totale di oltre 485 chilogrammi di argento) ne figurano infatti sei, tra grandi e piccoli, uno dei quali, d’argento dorato, pesa ben 214 once (cioè 6285 grammi)52. Ma ne troviamo due anche nel ricco elenco dotale di Isabetta Gonzaga, moglie di Carlo Malatesta e figlia di Ludovico I, nonché sorella di Francesco I Gonzaga, redatto il 6 ottobre 1386; il più strabiliante e complesso reca l’«arma» di Ludovico I, pesa 303 once ed è valutato 330 ducati, ha 20 rami «laboratis ad glandas smaltatas et ad linguas serpentinas», mostrando alla sommità dell’albero un corallo con diverse ramificazioni, portante altre lingue più piccole e culminante in una «lingua magna»53.

Tra i regali elencati nel Liber mantovano ci imbattiamo anche nelle posate.

Sulla tavola trecentesca, dove mancano oggetti individuali e vige la condivisione, imponendo quindi la gestione dei manufatti secondo norme di etichetta che cominciano proprio in questi anni ad essere codificate, il cucchiaio e il coltello sono per molto tempo le uniche posate in uso54. Nei documenti del momento appare frequente la coppia di due coltelli uguali; sono per lo più riservati al trinciante e da lui adoperati anche in senso spettacolare durante i banchetti, come quello di eseguire tagli tenendo il pezzo infilato nel coltello ben sollevato in aria. Al grande coltello si abbinano un’adeguata forchetta, di identiche dimensioni e, talvolta, spatole per porgere le porzioni, mentre in altri casi è la stessa lama del coltello ad assolvere tale funzione55 (Fig. 7).

Indispensabile sulle mense e usato per i cibi liquidi, il cucchiaio risulta anche tra i doni per le nozze del 1340. Diciotto esemplari d’argento, riposti entro una guaina parzialmente dorata, sono offerti da Francesco «de Zambotis», altri ventitre, sempre d’argento, ma con «botonis» dorati all’innesto della parte concava del cucchiaio, da Rolandino «a Pisce de Regio», mentre Benvenuto «de Portu» ne omaggia venticinque d’argento dorato. Anche Rolandino Boccanegra dona dei cucchiai: 24 in tutto e dorati, dodici dei quali privi di decori; vi aggiunge un altro cucchiaio e tre coltelli (due grandi) impreziositi da verette d’argento dorato. Due coltelli grandi e con «veretis» d’argento, unitamente ad altri due più piccoli, di cui uno con manico di corallo, nonché a due «forzelas et duo cluclaria aurata», costituiscono invece il regalo di «Compater de Casali»: un insieme definito nella Cronica aliprandina «cortelliera con cucchiai»56.

Le forchette comparse in quest’ultimo caso non sono presumibilmente ancora posate individuali. Scarsamente ricordate nelle cronache, anche se attestate in qualche inventario del secondo Trecento57, vengono diffuse infatti solo alla fine del XV, e non senza resistenze. Solo dodici sono le forchette elencate nel già citato inventario Gonzaga steso nel 1381 e aggiornato sino al 1402 (f. 17r), su ben centotrentacinque cucchiai58. Nella maggioranza dei casi le forchette servono peraltro unicamente per prendere cibi troppo caldi o appiccicosi. Per il resto si continua a usare le dita, ma con eleganza, seguendo precise norme di etichetta, utilizzando cioè solo le punte del pollice, indice e medio e non l’intera mano («come soglion fare i contadini»), adoperando in alternativa strumenti appuntiti come il coltello. L’ anonimo autore del ricettario trecentesco di Parigi (Biblioteca Nazionale, Ms. 9328), il Liber de coquina, per mangiare pasta «della grandezza di tre dita», raccomanda un «punctorium ligneum», da usarsi anche per i «croseti», pasta della dimensione di un pollice, di forma rotonda e oblunga59.

Nel registro del 1340 figurano anche tazze e taglieri lignei, che risultano offerti (f. 3v) da Bascheria di Quistello (centro nel basso mantovano) in «tanta quantitate» e stimati 32 libre60.

Si tratta di due tipologie di utensili che partecipano alla semplicità delle apparecchiature medievali, scarsamente sopravissuti al tempo data la loro deperibilità e adoperati non solo in ambito contadino, che tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento hanno cominciato a essere soppiantati da esemplari ceramici61 (Fig. 8).

Tavoletta lignea di forma quadrata, rettangolare o rotonda su cui si dispongono le portate da condurre alla mensa, il tagliere ben esprime quel senso comunitario che permea la cultura medievale62. Come i recipienti per bere anche i supporti per mangiare non erano infatti pensati per un uso strettamente individuale, servendo almeno a due persone contemporaneamente: le coppe passavano da un commensale all’altro e le scodelle (per i cibi liquidi) con i taglieri (per i cibi solidi) erano posti tra due convitati, spesso dando luogo a notevoli controversie per la precedenza d’uso63. Piatti usati singolarmente non sembra tuttavia tardino ad arrivare sulle tavole dei Gonzaga: nell’inventario poco fa ricordato, iniziato nel 1381, tra gli argenti figurano numerosi «incisoria», cioè i contenitori di vivande che chiamiamo piatti, distinti in fondine e piatti piani (tondi e quadrati)64.

3. Spese, artigiani e attori sociali per i beni di lusso

Atre notizie sugli oggetti sin qui esaminati e sui personaggi implicati nella loro realizzazione o smercio, affiorano leggendo i diversi capitoli relativi alle spese affrontate dai Gonzaga per le quadruplici nozze.

A riguardo dei bottoni in metalli preziosi e delle chiusure per cinture -manufatti di norma approntati dagli orefici65, settore artigiano che nella società medievale gode di grande prestigio-66, è attestato il già ricordato maestro Bonaccorsio da Crema (ff. 6r, 7r). Per alcune robe destinate ai cavalieri egli esegue bottoni in argento dorato e traforato (venendo rimborsato con 217 libre e 10 soldi «parvorum» per poco più di 62 once d’argento), mentre altri d’oro (costati 61 libre e 10 soldi, per 20 once e tre quarti d’oro) vanno a completare ventiquattro zupparelli. Per altri «CXI botonis» viene (f.7r) ricordato anche «Guidone auriffice»67. Oltre a essere dorato è anche smaltato l’argento invece impiegato da Bonaccorsio (61 marche per poco più di 1268 libre) per venti «centuris super texutis argenteis» realizzate per i milites; con argento smaltato, ma non dorato, realizza poi sia una cintura «super filis argenti» sia un «cingolo» (ricevendo 38 libre e 14 soldi per 14 once e 13 quarti di materiale; con 138 libre e 6 soldi «parvorum» per 44 once e 2 quarti), l’accessorio del cavaliere, cui si porta appesa la spada. Anche il nobile Boracio dei Gangalandi, uno dei cavalieri ordinati per il quadruplice matrimonio, procura 200 bottoni d’oro (f. 6r), costati 16 fiorini.

Per posate, completamenti di spade e coltelli figurano altri personaggi

Si rimborsa all’orafo Cabrino de Medicis (f. 6v) la spesa per l’argento dorato usato nell’eseguire otto cucchiai e otto forchette (163 libre, 8 soldi, 3 piccoli per poco più di 50 once), nonché per «argenti albi» adoperato per  le guaine delle forchette e per la doratura di altre posate68. I colleghi «Nicolino et Cabrielo» sono invece ricordati (f. 8v) per l’ argento lavorato in ventisei spade destinate ai milites, mentre per la fornitura di ventisei manici d’avorio anch’essi per la dotazione dei militi troviamo il maestro «Francescoto de Placentia a Guasta illorum de Ripa» (f. 9r)69.

Somme per manici d’avorio (riportate nel capitolo «cutellorum, selarum et fornimentorum ab equis et aliorum diversorm»)70, vanno anche (f. 8r) a Comunale de’ Folenghi.

Dagli esborsi annotati nel Liber (f. 13v) emergono anche notizie a riguardo delle scodelle, dei taglieri e dei manufatti vitrei (tutti di evidente produzione seriale), utili pure per dare l’idea dell’ingente numero di commensali presenti ai banchetti predisposti per questi festeggiamenti.

Sono annotati pagamenti per 6960 scodelle «de fado et azere» (cioè di faggio e di larice) e per altri 3360 taglieri di faggio, tutti recuperati tramite Silvestro «de Verona», pagato 14 soldi «pro centenario scudelarum» se in faggio e 21, 25 e 30 soldi per centinaio se di larice, oltre a 21 soldi per un centinaio di taglieri. Altri 16.200 taglieri (non è precisato il materiale) sono provvisti da Bartolomeo de Quistello, a 38 soldi e 6 piccoli a centinaio, con 6200 scodelle (17 soldi al centinaio), «empitis per predictum in Sancto Persedonio, a Iacobo Parisii de Mutina a Guidone de Ferrara et a Blanchino de Pergamo»; tutta la merce arriva via nave a Mantova. Anche lo «scudelario» mantovano Andrea («de contrata Sancti Iohannis»), è coinvolto per l’approvvigionamento di taglieri (in totale 1925, a 40 soldi al centinaio), oltre che per 6850 scodelle (che costano 20 soldi le centinaia), 100 «basiis», cioè piatti di grandi dimensioni (4 libre al centinaio) e per altre sei scodelle (a 24 soldi). Sono citati anche il collega «Ugoleto», ricordato a proposito di 1000 scodelle (a 18 soldi al centinaio), con Andrea «scudelario de Ruamazaria» (il medesimo artigiano menzionato poco fa ?) per altre 1000 scodelle (a 18 soldi al centinaio). Sono forse in metallo i 1000 taglieri prezzati 40 soldi al centinaio, acquistati dal milanese «Antoniolo fabro» (f. 5r), fornitore pure di 8500 scodelle, costate 20 soldi a centinaio. Dal «moiolaro» Catello71 (f.13v) si comprano invece cospicui quantitativi di manufatti in vetro: ingrestaroli, anche «ab aqua», «foioli bassis» e cesedelli72. Attestazioni di quella produzione ceramica che su larga scala decolla in molti centri dell’Italia centro settentrionale nel corso del Duecento, risultano infine i manufatti «de terra» procurati da «Iohannino bocalario a Piscaria»: ottantacinque boccali «magnis», cinquantasei «mezanis» e un «urcio magno» (f. 16v)73.

Ho scritto questo contributo su richiesta (primavera 2015) di Daniela Ferrari (già Direttrice dell’Archivio di Stato di Mantova) che aveva pensato a una pubblicazione di carattere scientifico da lei curata, purtroppo non andata in porto. Ringrazio vivamente Maria Concetta di Natale. Inoltre: Francina Chiara, Roberta Orsi Landini, Margherita Rosina.

La marca mantovana equivale a gr. 234.99; è suddivisa in 8 once, dal peso di gr. 29.37 l’una; 24 denari da gr 1.22 formano un’oncia (cfr. A Martini, Manuale di metrologia, ossia misure, pesi e monete in uso attualmente e anticamente presso tutti i popoli, Torino 1883, pp. 336, 351).

ASMn, AG= Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga

  1. ASMn, AG, b. 393, D.XII.1, fascicolo fuori formato. Il documento è stato oggetto della tesi di laurea di Federico Arduini, Il “Liber magne curie” dell’Archivio Gonzaga (1340). Edizione e studio introduttivo, Università degli Studi di Trento- Università di Verona, Corso di Laurea interateneo in Scienze Storiche, Relatore Prof. G. M. Varanini, Correlatore Prof. M. Bassetti, a. a. 2013-2014 (trascrizione del documento a cura di Daniela Ferrari: pp. 133-178). Nelle citazioni dal Liber ho rispettato volgarismi, mancate concordanze, ecc. []
  2. Cfr. almeno: I. Lazzarini, Prime osservazioni su finanze e fiscalità in una signoria cittadina: i bilanci gonzagheschi tra Tre e Quattrocento, in Politiche finanziarie e fiscali nell’Italia settentrionale (secoli XIII-XV), a cura di P. Mainoni, Milano 2001, pp. 87-124; G. M. Varanini, Aristocrazie e poteri nell’Italia centro settentrionale dalla crisi comunale alle guerre d’Italia, in G. M. Varanini- G. Castelnuovo- R. Bordone, Le aristocrazie dai signori rurali al patriziato, Roma- Bari 2004, pp. 121-193; M. Romani, Tasselli di un mondo centripeto: la società urbana, in Storia di Mantova. L’eredità gonzaghesca. Secoli XII- XVIII, a cura di M. Romani, I, Mantova 2005, pp. 353-439; Signorie cittadine nell’Italia comunale, a cura di J. C. Maire Vigueur, Roma 2013, pp. 19-44. []
  3. Cfr. G. Montecchi, Correggio, Azzo, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXIX, Roma 1983, online; G. M. Varanini, Della Scala, Mastino II, in Biografico degli Italiani, XXXVII, Roma 1989, online; I. Lazzarini, Gonzaga, Ugolino, in Dizionario Biografico degli Italiani, LVII, Roma 2001, online; I. Lazzarini, Gonzaga, Luigi, in Dizionario Biografico degli Italiani, LVIII, Roma 2001, online; F. Ragone, Malaspina, Spinetta, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXVII, Roma 2006, online; cfr. inoltre AA. VV., Guariento e la Padova carrarese, Venezia 2011. []
  4. Cfr. B. Aliprando, Aliprandina sive Chronicon Mantuanum, in L. A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, t. XVII, Aretii MDCCLXXX, capp. XXXV-XXXIX, coll. 337-349 (citazione: col. 349); per l’autore, cfr. P. Torelli, Antonio Nerli e Bonamente Aliprandi cronisti mantovani (a proposito della nuova edizione delle loro opere), in “Archivio Storico Lombardo”, s. IV, XV, 1911, pp. 209-230; G. Coniglio, s.v. in Dizionario Biografico degli Italiani, II, Roma 1960, online. []
  5. Per le problematiche (d’origine documentaria, metodologica ed epistemologica) relative al colore nell’Occidente medievale, cfr. M. Pastoureau, Vedere i colori del Medioevo, in Il Medioevo di Jacques Le Goff, a cura di D. Romagnoli, catalogo della mostra (Parma 2003-2004), Cinisello Balsamo 2003, pp. 371-377 (il colore è una «costruzione culturale»; molti autori preferiscono «giostrare con lo spazio e il tempo, alla ricerca di pretese verità universali e archetipali del colore; verità che per lo storico non esistono», anche perché «il colore degli oggetti consegnatoci della storia non è mai quello originale»; con il colore «tutti i problemi –materiali, tecnici, chimici, iconografici, artistici, legati alla simbologia- si accavallano contemporaneamente» e il ricercatore «davanti al pullulare di parametri […] tende spesso a fermarsi a ciò che gli fa comodo per la sua dimostrazione»; i «documenti, scritti o figurati, prodotti dalle società medievali non sono mai neutri né univoci. Ogni documento ha una propria specificità e offre una propria interpretazione del reale»; spesso i ricercatori «invece di estrarre significati dalle immagini, vi sovrappongono ciò che hanno appreso altrove». «L’immagine medievale non ‘fotografa’ mai la realtà […], né nel campo delle forme o delle strutture, né in quello dei colori. Credere […] che un vestito rosso in una miniatura del XIII secolo o in una vetrata del XV rappresenti un vero vestito, che è stato davvero rosso, è al tempo stesso ingenuo, anacronistico e falso. E in più è un grave errore di metodo […], ciò che vale per le immagini vale anche per i testi»); Idem, Blu, storia di un colore, Milano 2008; I ed. 2002); Idem, Verde, storia di un colore, Milano 2013. Bastino solo le ambiguità del lemma scarlatto (cfr. nel Liber le paia di roba donate da Obizzo d’Este, f.1r: sei «de scarlato et virido», sei «de virido et de scarlata»), che non sta a indicare un colore, ma un tessuto prezioso, talora di un rosso intenso (F. Piponnier- P. Mane, Se vêtir au Moyen Âge, Paris 1995, p. 72). Le illustrazioni proposte a corredo di questo articolo, sono pertanto solo di carattere evocativo, non documentario. []
  6. Cfr. nel Liber, il termine garifonato (f.1v): «Gonelam, guarnaciam, mantelum et capucium de duobis mischis garifonati et scarlatini»; oppure: «robarum de garifonato et scacato»; «garofanatus» cioè «del colore del garofano» (in J. F., Vaucher-de- la- Croix, Le parole nell’armadio: lessico della moda nella “prammatica sulle vesti delle donne fiorentine”, in AA. VV. Draghi Rossi e querce azzurre. Elenchi descrittivi di abiti di lusso. Firenze 1343-1345, Firenze 2013, p. CXLIV-CXLV, p. 538), ma quale tipo di garofano ? Oppure una tonalità rinviante a quella dei chiodi di garofano ? Sui tessuti vergati e scaccati, e su quelli gialli e rossi, cfr. M. Pastoureau, L’étoffe du Diable. Une histoire des rayure et des tissus rayés, Paris 1991; P. Venturelli, ‘Una bella inventione’. Leonardo da Vinci, Milano e la moda, in “Achademia Leonardi Vinci”, X, 1997, pp. 78-94; H. Pleij, Colors Demonic and Divine: Shades of Meaning in the Middle Ages and After, New York 2004; P. Venturelli Abiti per la follia. Immagini e parole per Milano tra XV e XVII secolo, in Il vestito dell’altro. Semiotica, arti, costume, Atti del convegno (Bologna-Rimini 2002), a cura di G. Franci, G. Muzzarelli, Milano 2005, pp. 233-246; esempi di abiti divisati raffigurati, in G. Z. Zanichelli, Miniatura a Mantova nell’età dei Bonacolsi e dei primi Gonzaga, in “Artes”, 5, 1997, pp. 36-71, figg. 14,16. Per tessili, indumenti e manufatti in metallo, cfr. almeno: A. Rossi, I nomi delle vesti in Toscana durante il Medioevo, in “Studi di Lessicologia Italiana”, XI, 1991, pp. 5-124; E. Hardouin  Fugier- B. Berthod- M. Chavent Fusaro, Les stoffe. Dictionnaire historique, Paris 1994; D. Cardon, La draperie au Moyen Age, Paris 1999; Soieries médiévales, in “Tecniques et Culture”, 34, 1999; P. Venturelli, Glossario e documenti per la gioielleria milanese (1459-1631), Firenze 1999; Cangrande della Scala. La morte e il corredo di un principe nel Medioevo europeo, catalogo della mostra (Verona 2004-2005), a cura di P. Marini- E. Napione- G. M. Varanini, Venezia 2004; P. Frattaroli, Cangrande I della Scala, I tessuti e le rappresentazioni scultoree. Significative discrepanze di un apparato funerario, in Dalla testa ai piedi. Costume e moda in età gotica, Atti del convegno di studi (Trento 7-8 ottobre 2002), a cura di L. Dal Pra- P. Peri, Trento 2006, pp. 262-281; P. Venturelli, Gli inventari di Valentina e Gian Galeazzo Visconti. Tecniche, materiali, tipologie, in Eadem, Esmaillée à la façon de Milan, Venezia 2008, pp. 195-207; G. Baldissini Molli, D’oro e d’argento. Beni di lusso a Padova al tempo dei signori da Carrara, in Guariento…, 2011, pp. 105-117; L. Monnas, Some Medieval Colour Terms for Textiles, in “Medieval Clothing and Textiles”, ed. by R. Netherton, G. R. Owen-Crocker, 10, 2014, pp. 25-58; M. Keane, Material Culture and Queenship in 14th –century France. The testamenti of Blanche de Navarre, Brill 2016. []
  7. Basti solo il confronto con inventari napoletani o palermitani: R. Bevere, Vestimenti e gioielli in uso nelle province napoletane dal XII al XVI secolo, in “Archivio Storico per le Province Napoletane”, XXII, 1897, pp. 312-341; G. Bresc- Nautier, H. Bresc, Les bijoux à Palerme (XIVe-XVe siécle), in Storia critica e tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale, a cura di M. C. Di Natale, Palermo 2007, pp. 219-241; per le ambiguità interpretative del termine smalto nelle fonti scritte del XIV sec., cfr. M. Collareta, Lo smalto traslucido nel pensiero trecentesco sull’arte, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, Classe di Lettere e Filosofia, s. III, XVIII, I, 1988, pp. 101-113. []
  8. Per le fonti scritte mantovane; cfr. G. B. Borgogno, Studi linguistici su documenti trecenteschi dell’Archivio Gonzaga di Mantova, in “Atti e Memorie dell’Accademia Virgiliana di Mantova”, XL, 1972, pp. 27- 112; I. Lazzarini, Pratique d’écritures et typologie textuelles: lettres et registres de cancellerie à Mantoue au bas Moyen Âge (XIVe-XVe), in De part et d’autres des Alpes.II. Chancelleries et chanceliers des princes aus bas Moyen Âge, Chambért 2011, pp. 77-110; per un quadro generale: P. Cammarosano, Italia medievale. Strutture e geografia delle fonti scritte, Roma 2012. []
  9. Sull’errore ai fini della storia del sistema vestimentario di ritenere che i dipinti siano ‘fotografie’ della moda, cfr. A. C. Quintavalle, Trascrizioni e scene della moda, in Il costume nell’età del Rinascimento, a cura di D. Liscia Bemporad, Firenze 1988, pp. 25-58. []
  10. Uno dei mantelli donati da Matteo Visconti (f.1r) presenta due cappucci. La gonnella (per la donna fluente fino ai piedi, con maniche strette e lunghe sino al polso, mentre per l’uomo piuttosto lunga, con maniche e una cintura che la serra ai fianchi) è ritenuta veste di sotto, ma può essere indossata anche da sola; la guarnacca è una sopravveste ampia, più corta, aperta ai lati, con o senza maniche, sopra la quale si indossa il mantello; cfr. in generale C. Merkel, Come vestivano gli uomini del Decamerone, Roma 1898 (spec. a pp. 37-42); R. Levi Pisetzky, Storia del costume in Italia, Milano 1964, II, pp. 37- 50, 75- 93; B. Cecchetti, La vita dei veneziani nel 1300. Le vesti (ristampa anastatica dell’edizione 1886), Bologna 1980; R. Levi Pisetzky, Come vestivano i milanesi alla fine del medioevo, in Storia di Milano, IV, Milano 1995, pp. 725-746; M. G. Muzzarelli, Guardaroba medievale. Vesti e società dal XIII al XVI secolo, Bologna 1999; i diversi saggi in Dalla testa ai piedi…, 2006; M. Scott, Medieval Dress and Fashion, London 2007; M. G. Muzzarelli, Uomini e donne nel Medioevo. Storia del genere (secolo XII-XV), Bologna 2014, pp. 78-88. Per l’evolversi dell’insieme detto roba, cfr. P. Venturelli, Vestire e apparire il sistema vestimentario femminile nella Milano spagnola (1539- 1679), Roma 1999, pp. 24-27. []
  11. Sopraveste che lascia intravedere le maniche della gonnella sottostante, sia d’uso maschile che femminile, cfr. J. F., Vaucher-de- la- Croix, Le parole nell’armadio…, 2013, p. CXIV. Per lo schema decorativo ad folliagia (avvicinabile forse a quello «ad vidalbis»), cfr. B. Klesse, Seidenstoffe in der italiennischen Malerei des vierzehnten Jahrhunderts, Bern 1967, p. 283, cat. 185. []
  12. Sulla vaghezza delle descrizioni negli inventari europei di metà Trecento, cfr. F. Piponnier, La consommation des draps de laine dans quelques milieux français à la fin di Moyen Âge, in Produzione  e consumo dei panni di lana nei secoli XII-XVIII, a cura di M. Spallanzani, Firenze 1976, pp. 423-434. []
  13. O. Blanc, Parades et parures. L’invention du corps de mode à la fin du Moyen Age, Paris 1997. []
  14. Nel 1335 l’editto di re Roberto proibisce ai giovani le vesti troppo corte (che arrivano sino alle natiche, cfr. R. Levi Pisetzky, Storia del costume…, 1964, pp. 10, 43; M. P. Pettinau Vescina, Esempi di costume gotico meridionale. Tra documenti e immagini, in Dalla testa ai piedi…, 2006, pp. 479-519, spec. pp. 493-495, e nota 71 p. 495). []
  15. Luchino Visconti (arrivato a Mantova con il nipote Matteo Visconti) era subentrato nel 1339 ad Azzone nella signoria viscontea; con il fratello Giovanni (nel 1342 nominato arcivescovo) è noto per le spese dedicate ai consumi di lusso (cfr. P. Mainoni, Un bilancio. Giovanni Visconti, arcivescovo e signore di Milano, in L’età dei Visconti. Il dominio di Milano fra XIII e XV secolo, a cura di L. Chiappa Mauri- L. De Angelis Cappabianca- P. Mainoni, Milano 1993, pp. 3-26). []
  16. G. Fiamma, Opusculum de rebus gestis ab Azone, Luchino et Johannes Vicecomitibus ab anno MCCCXXVIII usque ad anno MCCXLII, parte IV, 1033. Per Galvano Fiamma, cfr. P. Tomea, in Dizionario Biografico degli Italiani, XLVII, Roma 1997, online. []
  17. Cioè dopo l’arrivo a Firenze di Gautier de Brienne, nipote del re di Napoli Roberto d’Angiò, mercenario che combatte nell’esercito francese, nominato capitano del popolo nel 1342 e signore della città tra 1342 e1343, cfr. G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Parma 1990-1991, t. III, l. XIII, r. IV, pp. 302-303. []
  18. Cfr. D. Davanzo Poli, Il sarto, in Storia d’Italia. Annali 19. La moda, a cura di C. M. Belfanti, F. Giusberti, Torino 2003, pp. 523-560, a p. 527. Per le leggi suntuarie, cfr. in generale, O. Cavallar- J. Krishner, “Licentia navigandi… prosperis ventibus aflantibus”. L’esenzione dei “doctores” e delle loro mogli da norma suntuarie, in AA. VV., A Ennio Cortese. Studi promossi da D. Maffei, Roma 2001, I, pp. 204-227; C. Kovesi Killerby, Sumptuary Law in Italy, 1200-1500, Oxford 2002; M. G. Muzzarelli, Disciplinare il lusso. La legislazione suntuaria in Italia e in Europa tra Medioevo ed età moderna, a cura di Eadem- A Campanini, Roma 2003. []
  19. Statuti bonacolsiani, a cura di E. Dezza- A. M. Lorenzoni- M. Vaini, con un saggio inedito di P. Torelli, Mantova 2002, Libro I, 72, pp. 175-177 (citazione: p. 176; tali statuti sono utili anche per comprendere consistenze e rilevanza della florida realtà artigiana mantovana: l’intero libro IV è, infatti, dedicato alle Arti); cfr. anche A. Portioli, Lo statuto dell’Università dei mercanti di Mantova, Mantova 1887; M. Vaini, Gli statuti di Francesco Gonzaga IV capitano. Prime ricerche, in “Accademia Nazionale Virgiliana, Atti e Memorie”, nuova serie, LVI, 1988, p. 93; Radici storiche del rapporto tra economia, cultura e istituzioni mantovane, a cura di D. Ferrari, Mantova 1998. Offrono somme di denaro per le nozze Gonzaga (Liber, ff.3v-4r): i mercanti, i notai, i ritagliatori di panni, i drappieri, gli speziari, i pellicciai, i beccari, i merzadri, i calegari, gli orefici, i ferrari, i prestatori, i bombasari, i pateri, gli «sprocani». []
  20. J. L. Nevinson, Buttons and Buttonholes in the Fourteenth Century, in “Costume”, 11 , 1977, pp. 38-44; S. M. Newton, Fashion in the Age of the Black Prince. A Study of the Years 1340-1365, Woolbridge 1980, pp. 630; G. Egan- F. Pritchard, Dress Accessories 1150-1450, Wooldbridge 2010, pp. 281-290; C. Frugoni, Medioevo sul naso: occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali, Bari 2001, pp. 102-103; B. Read, Metal Buttons c. 900 BC- c. AD 1700, Somerset 2010; B. Bettoni, Da gioielli ad accessori alla moda. Tradizione e innovazione in Italia dal tardo Medioevo ad oggi, Venezia 2013, pp. 19-37. []
  21. Cfr. tra i capi donati da Mastino II della Scala (f. 1r) le dodici paia di robe «de duobus misclis de mita, cum pelibus agninis et cum botonis argenti» e le altre dodici paia «robarum», sei «veluti vermilii cum botonis auri, fodratarum de vayro frisato» e sei «de mita de duobus misclis francischis frisatarum, cum botonis auri, fodratarum de vayro». []
  22. Cfr. G. Bresc- Nautier- H. Bresc, Les bijoux à Palerme…, 2007, pp. 219-241 (spec.: pp. 222-224; p. 237, nota 45; nell’inventario del 1347 di Antonius de Afflitto, si elencano diversi «buctoni […] per antepectus», che si definiscono «grossi» o «magni»). []
  23. Cfr. L.  Marchant, Orli nastri, passamanerie e tessiture nelle vesti fiorentine del Trecento, in “Archivio Storico Italiano”, CLXIII, 2005, pp. 133-157; S. Moscher Stuard, Gilding the Market. Luxury and Fashion in Fourteenth- Century Italy, Philadelphia 2006, p. 39; M. T. Binaghi, Ricami nel Trecento: una proposta per studiare, in Moda Arte Storia Società- Omaggio a Grazietta Butazzi, Atti del Convegno (20 giugno 2014), a cura di E. Morini- M. Rizzini- M. Rosina, Como 2016, pp. 119-126; è in corso di pubblicazione (“Bulletin de liason du CIETA”) lo studio di Francina Chiara riguardante un prezioso tessuto della cattedrale di Como con le vicende di Tristano e Isotta (fine del terzo quarto del XIII sec.), da lei presentato nel 2009 al CIETA. Cfr., per es., gli statuti degli orafi (redazione del 1362) di Padova, includenti regole per la produzione di pianete (bottoni di forma appiattita) e bottoni (G. Chiarot, L’Arte Orafa a Padova. Opere, tecniche e norme dal Medioevo al Rinascimento, Padova 2001, pp. 18-19, pp. 100-102). []
  24. Cfr.: «ad capicium gonelle vel çuppe […] botonos xv tantum, denarios parvos xii ad plus valituros; ad manicas autem gonnellarum et çuparum botonos xiii tantum pro manica dicte valentie botonorum et non plus» (Statuti bonacolsiani…, 2002, Libro I, 72, pp. 175-176). []
  25. Del vaio si usavano i dorsi o le pance, ed era riservato ai nobili e ai dottori, mentre l’ermellino era esclusivo di re e imperatori, cfr. C. Merkel, Come vestivano gli uomini…, 1898, pp. 53-54; R. Levi Pisetzky, Storia del costume…, 1964, pp. 117-118; R. Delort, Le commerce des fourures en Occident à la fin du Moyen Age (vers 1300-vers 1450), 2 voll, Roma –Paris 1978, vol. I, pp. 350-365; D. Davanzo Poli, I mestieri della moda a Venezia nei secoli XIII- XVIII, Venezia 1984, II, pp. 187-188 (durante il XIV secolo, a Venezia i mantelli di vaio dovevano essere confezionati con un massimo 103 pelli, 140 per quelli femminili; le guarnacche da almeno 90 pance o 350 dorsi e non meno); P. Ventura, Cuoio e pellicce, in Storia d’Italia…, 2003, pp. 441-482, a p. 456; per l’area lombarda, cfr. M. Bortolotti- M. Valori, Ricerca tra le fonti dell’Archivio di Stato di Milano. Per una storia della confezione pre- industriale, in “Archivio Storico Lombardo”, CXVIII, 1992, pp. 515-527; P. Mainoni, Pelli e pellicce nella Lombardia medievale, in La concia delle pelli in Toscana, a cura di S. Gensini, Pisa 2000, pp. 199-267. []
  26. Per il significato del dono, cfr. M. Fantoni, Feticci di prestigio: il dono alla corte medicea, in Rituale, cerimoniale, etichetta, a cura di S. Bertelli- G. Grifò, Milano 1985, pp. 141-161. []
  27. Indumento a se stante, la fodera poteva essere portata con più vestiti, cfr. J. F., Vaucher-de- la- Croix, Le parole nell’armadio…, 2013, p. CXV. []
  28. Matteo II Visconti (1319-1355), figlio di Stefano, nel luglio 1340 congiura contro lo zio Luchino, insieme ai fratelli Galeazzo II e Bernabò; intorno al 1340 sposa Gigliola Gonzaga, figlia di Filippino (cfr. I. Lazzarini, Gonzaga, Gigliola, in Dizionario Biografico degli Italiani, XLVIII, Roma 2001, online). []
  29. D. Davanzo Poli, Il sarto…, 2003, pp. 523-560, p. 527; per Vercelli (con la presenza sin dal 1247 di una corporazione di pellicciai, cfr. B. Del Bo, Mercanti e artigiani a Vercelli nel Trecento: prime indagini, in Vercelli nel secolo XIV. Atti del V congresso storico vercellese, a cura di A. Barbero- R. Comba,Vercelli 2010, pp. 540-544 (a pp. 527-552). []
  30. M. Bortolotti, M. Valori, Ricerca tra le fonti…, 1992, pp. 516-517; Per i pattari e le figure che lavorano nel settore della rivendita degli abiti usati, cfr. P. Venturelli, Milano tra Sei e Settecento: persone, modalità, luoghi per la diffusione dell’abito preconfezionato, in AA VV, Per una storia della moda pronta, Atti del V Convegno Internazionale CISST (Milano 26-28 febbraio 1990), Firenze 1991, pp. 51-66. []
  31. A. Cipolla, Antiche cronache veronesi, Venezia 1890, citazioni: pp. 400, 401-402; A. Magnano, Il commercio di abiti “pronti” nella seconda evoluzione dell’arte sartoria, in “Economia e storia”, fasc. 1, 1972, pp. 125-141 (a p. 130). []
  32. C. A. Portioli, Lo statuto…, 1887. []
  33. Cfr. R. Levi Pisetzky, Storia del costume..., 1964, pp. 32-37; O. Blanc, I manoscritti miniati come riviste di moda in Francia alla fine del Medioevo, in Dalla Testa ai piedi…, 2006, pp. 67-87, a p. 69 (un celebre zupparello in seta bianca imbottita è conservato al Museo del Tessuto di Lione; la tradizione lo attribuisce a Charles de Blois, nato ca. 1319 e morto nel 1364). []
  34. Per i sarti, cfr. D. Davanzo Poli, I mestieri della moda…, 1984, I, pp. 139-140; M. G. Muzzarelli, Gli inganni dell’apparenza, Torino 1996, pp. 78-79 (a Bologna ci sono sette statuti della società dei sarti, dal 1244 al 1466, oltre a un tariffario forse delle metà del ‘300; la fattura di una guarnacca maschile o di una veste da uomo con due paia di maniche costava 6 soldi, come «la paga giornaliera di chi zappava una tornatura di terra»); D. Davanzo Poli, Il sarto…, 2003; inoltre E. Tosi Brandi, Il sarto tra Medioevo e prima Età moderna a Bologna e in altre città dell’Emilia Romagna, Tesi di Dottorato, Rel. Prof. M. G. Muzzarelli, Università di Bologna, ciclo XXIV, 2012, in corso di pubblicazione. []
  35. Per queste tre coperte Pietro «Cornaclario de Mutina» (f. 17v), procura 15 braccia di saia «viride prelane» e panno bianco (per eseguire l’ «arma» dei tre signori «super dictis copertis»); il sarto Amadeo (f.18r) riceve per il suo lavoro 3 libre e 10 soldi. []
  36. Cfr. R. Bevere, Vestimenti e gioielli…1897, s.v. Centura; P. Venturelli, Glossario e documenti…,1999, s. v.: fibbia, mazo, passetti; per le cinture visconteo – sforzesche, cfr. Eadem, Gioielli e gioiellieri milanesi. Storia, arte, moda (1450-1630), Cinisello Balsamo 1986, pp. 183-190; Eadem, Esmaillée à la façon…, 2008, pp. 157-167; Eadem, “Con bel smalto et oro”. Oreficerie del Ducato di Milano tra Visconti e Sforza, in Oro dai Visconti agli Sforza. Smalti e oreficerie nel Ducato di Milano, catalogo della mostra, a cura di P. Venturelli, Milano 2011-2012, Cinisello Balsamo 2011, pp. 46-49, e schede nn. 35, 36, pp. 188-191; Eadem, From the Bride Valentina to Leonardo da Vinci, Enamels and Jewelry under the Viscontis and the Sforzas, in Artigianato e lusso. Manifatture preziose alle origini del Made in Italy, a cura di M. P. Bortolotti, Milano 2013, pp. 88-111; Eadem, «Lista de le cose se faranno per Madona Duchessa», in Moda Arte Storia Sovietà… 2016, pp. 135-142; Eadem, Moda sforzesca. Leonardo da Vinci. Isabella, Beatrice, Bianca Maria, Cecilia e le altre (1482 -1500), in corso di pubblicazione (cap. Cinture sforzesche); in generale cfr. I. Fingerlin, Gürtel des hohen und späten Mittelalters, Münich-Berlin 1971; R. Lightbown, Medieaeval European Jewellery, London 1992, pp. 306-341. Per leggi suntuarie alla metà del Trecento relative alle cinture, cfr. A. R. Calderoni Masetti, Una cintura nuziale con smalti, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, Classe di Lettere e Filosofia, s. III, XVIII, I, 1988, pp. 249-251 (ma si veda quanto alla nota 9 supra). []
  37. L’esemplare al Metropolitan Musem di New York (inv. 17.190.963), ritenuto veneziano, ca. 1350, con chiusura d’ argento dorato e smalti, ha il nastro in tessuto di cm. 176.5 (R. Lightbown, Medieaeval European…, 1992, fig. 183, pag. 330) (Fig. 5); misura cm 238 la cintura con placchette smaltate in cui compaiono figure che suonano conservata al Museum of Art di Clevelend (John Huntington Art and Polytechnic Trust 1930.742) (Fig. 6), cfr. per questi e altri esemplari intorno alla metà del Trecento: I. Fingerlin, Gürtel des hohen…, 1977, pp. 88-89, 92, 100, 124, 138, 310-311, 469-471, 477-478, nn. 12, 14, 537, 538, 547; J. M. Fritz, Goldschmiede Kunst der Gotik im Mitteleuropa, München 1982, p. 215, n. 224; cfr. anche J. De Luigi Pomorišac, I gioielli di Mastino della Scala al Museo di Castelvecchio di Verona, in Gli Scaligeri 1277-1387, catalogo della mostra (Verona 1988), Verona 1988, pp. 365-368. []
  38. A. Guidotti, Gli smalti in documenti fiorentini del XIV e XV secolo, in “Annali della Scuola superiore di Pisa, Classe di lettere e Filosofia”, XIV, 1984, pp. 621-688; cfr. in generale, M.-M. Gauthier, Émaux du moyen âge, Fribourg 1972, pp. 205-277. []
  39. Per Guglielmo di Castelbarco, cfr. E. Occhipinti, s.v., in Dizionario Biografico degli Italiani, XXI, Roma 1978, online. []
  40. Cfr. S. L’Occaso, Fonti archivistiche per le arti a Mantova tra Medioevo e Rinascimento (1382-1459), Mantova 2005, p. 166, nota 5 (cita questa la voce inventariale). []
  41. Figlio di Guido da Crema (a sua volta figlio di Guidone), attestato all’adunanza del 1310 degli orafi mantovani, cfr. P. Venturelli, in Gli statuti dell’arte degli orefici di Mantova (1310-1694), a cura di D. Ferrari- P. Venturelli, Mantova 2008, p. 15. []
  42. Per la riproduzione di portali e sculture nelle oreficerie tra XIV e XV secolo, cfr. A. M. Spiazzi- V. Poletto, Note a margine all’oreficeria in area adriatica in età gotica e rinascimentale, in Histria- Opere d’arte restaurate. Da Paolo Veneziano a Tiepolo, catalogo della mostra (Trieste, 2005-2006), a cura di F. Castellani- P. Casadio, Milano 2005, p. 58; di analogo tipo l’impugnatura («pomo ad pileria») della grande confettiera d’argento elencata nel già citato inventario dotale del 6 ottobre 1386 di Isabetta Gonzaga (S. L’ Occaso, Fonti…, 2005, p. 207 nota 199): cioè a «pilastri» (colonne), cfr. P. Sella, Glossario Latino Italiano. Stato della Chiesa- Veneto, Abruzzi, Città del Vaticano 1944, p. 435, s. v. «pilerius». Per i da Sesso, cfr. A. Tincani, Grandi famiglie feudali e signorili del territorio reggiano, in Storia della Diocesi di Reggio Emilia, a cura di G. Costi- G. Giovanelli, II, Bresca 2012, pp. 94-97. []
  43. Per dettagli figurati in smalti trecenteschi collegabili al traslucido: P. Leone de Castris, Oreficerie e smalti primo- trecenteschi nella Napoli angioina: evidenze documentarie e materiali, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, Cl. di Lettere e Filosofia, s. III, XVIII, I, 1988, pp. 135-136. []
  44. Per la definizione scolpiti, P. Venturelli, Esmaillée à la façon …, 2008, pp. 156-160. []
  45. B. Aliprando, Aliprandina…,MDCCLXXX, col. 343 (la coppa di Bonifacio Carbonesi sarebbe con «dentro uno Sparviero»); per i Carbonesi, cfr. G. M. Varanin, La classe dirigente veronese e la congiura di Fregnano della Scala, in “Studi Storici Veronesi”, XXXIV, 1984, pp. 20-22. []
  46. Branchino Malosello appartenne a un’importante famiglia mercantile di Mantova impegnata nel commercio della lana (cfr. I. Lazzarini,  Fra un principe e altri stati. Relazioni di potere e forme di servizio a mantova nell’età di Ludovico Gonzaga, Roma, pp. 270-276). []
  47. Cfr. A Portioli, La Zecca di Mantova, Mondovì 1880. []
  48. Cfr. E. Acanfora, La tavola, in Rituale, cerimoniale, etichetta…, 1985, pp. 33-57. []
  49. B. Aliprando, Aliprandina…, MDCCLXXX, col. 345. []
  50. La letteratura è vasta, mi limito a segnalare: A. Lugli, Naturalia et Mirabilia. Il collezionismo enciclopedico nelle Wunderkammern d’Europa, Milano 1983, pp. 11-24; J. von Schlosser, Raccolte d’arte e di meraviglie del tardo Rinascimento, Firenze 2000 (la I ed. risale al 1908), pp. 22, 31; P. Venturelli, Il Tesoro. Dal Duomo al Museo del Duomo, in Il Museo del Duomo di Milano, a cura di G. Benati, Cinisello Balsamo 2016, pp.79-89. []
  51. Cfr. i numerosi oggetti di questo tipo censiti nell’inventario (1352) dei beni di Clemente VI, in: R. Lentsch, La proba, l’épreuve des poisons à la cour des papes d’Avignon, in Le prélats, l’église et la societé (XI- XV siècle), Bordeaux 1994, III, pp. 155-156; G. P. Marchi, Una fontana d’argento per Cansignorio, in “Atti e memorie dell’ Accademia di Agricoltura, Scienze, Lettere di Verona”, XXXIX, 1990, pp. 273-284. []
  52. ASMn, AG, b. 396, 1381 ad 1402 (Liber […] Iocalia, Argenterias, et expensas magnifici Domini Ludovici de Gonzaga, c. 22v); stralci sono pubblicati in U. Bazzotti, Gli argenti nell’inventario gonzaghesco del 1626-1627, in Gonzaga la Celeste Galeria. L’esercizio del collezionismo, a cura di R Morselli, catalogo della mostra (Mantova 2002), Milano 2002, pp. 98-99. []
  53. S. L’Occaso, Fonti archivistiche…, 2005, p. 205. []
  54. Il frate milanese Bovesin de la Riva, maestro di grammatica vissuto tra la metà del XIII secolo e il 1313/1315, scrive un famoso testo di cortesie per la tavola, soffermandosi tra l’altro sulla gestione delle coppe («anche se non vuoi bere, se qualcuno ti porge la coppa, devi accettarla sempre; una volta presa, la puoi subito mettere via o passarla a qualcun altro che ti è vicino»; cfr. Bovesin de la Riva, De quinquaginta curialitatibus ad mensam, in Poeti del Duecento, a cura di C. Contini, Milano- Napoli 1960, Cortesia N. 13); cfr. D. Romagnoli, Cortesia nella città: un modello complesso. Note sull’etica medievale delle buone maniere, in La città e la corte. Buone e cattive maniere tra medioevo e città moderna, a cura di D. Romagnoli, Milano 1991, pp. 21-70; Eadem, “Guarda no sii vilan. “Le buone maniere a tavola, in Storia dell’alimentazione, a cura di J. Flandrin- M. Montanari, Roma- Bari 1997, pp. 396-407; D. Romagnoli, La cortesia nell’Europa medievale, in Il medioevo di Jacques Le Goff…, 2003, pp. 363-369; in generale, cfr. Le forme del vivere civile tra medioevo e modernità. Temi, fonti, storiografia, a cura di I. Botteri, D. Romagnoli, “Cheiron”, XIX, 38, 2002. []
  55. G. Boggiali, La posata, storia ed aneddoti dalle origini ai tempi nostri, Milano 1987; P. Marchese, L’invenzione della forchetta, Soveria 1989; C. Benporat, Feste e banchetti. Convivialità italiana fra Tre e Quattrocento, Firenze 2001, pp. 19-25; M. Montanari, Gusti del Medioevo, Bari 2012, pp. 238-244. []
  56. B. Aliprando, Aliprandina…, MDCCLXXX, col. 345: egli scrive che tra i doni ci furono tre «Cortellier»: il lemma compare sia in relazione a Rolandino Boccanegra che avrebbe dato 24 cucchiai d’argento e «Cortelleria», nonché a «Compater de Casali» donatore di una «cortelliera con Cucchiai 12»; si può ipotizzare che il terzo caso sia costituito dalla posateria offerta da Francesco «de Zambotis» (diciotto cucchiai d’argento «in una guayna»); in relazione alla posateria donata per le nozze Gonzaga, Aliprando aggiunge i venticinque cucchiai d’argento di Antoniolo de Pezoni. []
  57. C. Mazzi, La mensa dei Priori nel sec. XIV, in “Archivio Storico Italiano”, XX, 208, 1897, pp. 355-357. []
  58. C. Benporat, Feste e banchetti …, 2001, p. 20; M. Montanari, Gusti del Medioevo…, 2012, pp. 238-244. []
  59. Cfr. L. Sada- B. Valente, Liber de coquina, Bari 1995, pp. 150-151; M. Montanari, Gusti del Medioevo…, 2012, p. 225. []
  60. B. Aliprando, Aliprandina…, MDCCLXXX, col. 345: «Taglieri e Scudelle di legno tanti/ Quanti a quella Corte bisognoe». []
  61. R. Comba, Vasellame in legno e ceramica di uso domestico nel basso medioevo, in Idem, Contadini, signori e mercanti nel Piemonte medievale, Roma- Bari 1988, pp. 111-124; L. Baggio, «Boccalari», Ceramisti, in Botteghe artigiane dal Medioevo all’età Moderna. Arti applicate e mestieri a Padova, a cura di G. Baldissini Molli, Padova 2000, p. 78; D. Alexandre- Bidon, Une archéologique du goût. Céramique et  consommation, Paris 2005. []
  62. Questi utensili sono soggetti alle normative suntuarie, cfr. B. Laurioux, Table et hiérarchie sociale à la fin du Moyen Âge, e O. Redon, La réglementation des banquets par le lois sumptuaires dans le villes d’Italie (XIIIe- XVe siècles), in Du manuscrit à la table: essais sur la cuisine au  Moyen Âge et répertoire des manuscrits medievaux contenant des recettes culinaires, a cura di C. Lambert, Montréal- Paris 1992, pp. 87-108, pp. 109-119; A. Campanini, La table sous contrôle. Les banquettes et l’excès alimentaire dans le cadre des lois somptuaries en Italie entre le Moyen Âge et la Renaissance, in «Food and History », 4, 2006, pp. 131-150. []
  63. Cfr. M. Montanari, Convivio. Storia e cultura dei piaceri della tavola dall’Antichità al Medioevo, Roma- Bari 1989, pp. 191-192. []
  64. Cfr. U. Bazzotti,Gli argenti nell’inventario…, 2002, pp. 98-99. []
  65. Come attestano pure gli stessi Statuti bonacolsiani.., 2002, pp. 283-284 (Libro IV, 29 «De  aurificibus», in cui si danno indicazioni tra l’altro per «botoni […], maçe cingolorum»). Per gli orefici mantovani, cfr. P. Venturelli, “Nell’arte nostra delli oreffici”, in Gli Statuti dell’Arte degli orefici di Mantova…, 2008, pp. 13-63. []
  66. Cfr. D. Degrassi, L’economia artigiana nell’Italia medievale, Roma 1998, p. 100. []
  67. Non risulta chiaro chi sia l’orafo Guidone menzionato («Guidonis de Blandino» risulta quale Preposito degli orefici mantovani, la massima autorità, nel 1312 e nel 1313, mentre l’anno seguente figura «Guidonis de Crema»; nel 1323 compare «Guidonis domini Franceschini de Blandino» e nel 1324 sono citati «Guido», figlio del defunto «Guidolini de Crema» con «Guido de Blandino» cfr. Gli Statuti dell’arte degli Orefici di Mantova …, 2008, pp. 15, 29, 85, 86, 87, 89, 90, 91). []
  68. Torna anche in relazione a 1309 bottoni, «diversarum manerierum», per «fornimento diversarum robarum dominorum» (f. 6v); Cabrino è presente alle riunioni del paratico degli orefici mantovani del 1310 e del 1324 (Gli Statuti dell’arte degli Orefici di Mantova…, 2008, pp. 86, 90). []
  69. Un «Franciscus de Placentia» è ammesso nel 1318 nel paratico degli orafi mantovani (Gli Statuti dell’arte degli Orefici di Mantova…, 2008, p. 88). []
  70. I coltelli erano di norma realizzati da artigiani diversi da quelli che eseguivano i cucchiai e le forchette: gli armaioli o i coltellinai (cfr. L. G. Boccia, Dall’avorio alla madreperla: alcuni naturalia animali nelle armi antiche, in Oggetti in avorio e osso nel Museo Nazionale di Ravenna sec. XV-XIX, a cura di L. Martini, Ravenna 1993, pp. 45-57; Posate, pugnali, coltelli da caccia- Museo Nazionale del Bargello, a cura di L. Salvatici, Firenze 1999). []
  71. Termine in uso nell’Italia settentrionale (da miolli, cioè bicchieri) equivalente alla voce toscana bicchieraio, cfr. S. Ciappi, Maestri vetrai di Montaione. Presente e attività imprenditoriali in Italia tra XV e XIX secolo. Note per un aggiornamento, Firenze 2008, p. 19 (la forma più diffusa dei manufatti di vetro è il bicchiere e non è un caso che le fonti medievali indichino con il vocabolo bicchierai i produttori e rivenditori di vasellame vitreo). []
  72. Ingrestarolo= una bottiglia dalla pancia tonda e dal collo lungo, da angastara; foioli bassis = fiale o ampolle di vetro; cesedello = lampade pensili allungate, cfr. G. Cantini Guidotti, Tre inventari di bicchierari toscani fra Cinque e Seicento, “Quaderni degli Studi di Lessicografia Italiana pubblicati dall’accademia della Crusca”, 2, Firenze 1983, pp. 89, 163; A. Gasparetto, Dalla realtà archeologica a quella contemporanea, in R. Barovier Mentasti- A. Dorigato- A. Gasparetto- T. Toninato, Mille anni di vetro a Venezia, Venezia 1988, pp. 15-22; S. Ciappi, Bottiglie e bicchieri: il vetro d’uso comune nell’arte figurativa medievale, e G. Cantini Guidotti, Aggiunte e precisazioni sul lessico vetrario, e S. Nepoti, Dati sulla produzione medievale del vetro nell’area padana centrale, in Archeologia e storia della produzione del vetro preindustriale, Atti del Convegno internazionale (Colle Val d’Elsa- Gambassi Terme 1990), a cura di M. Mendera, Firenze 1991, rispettivamente a pp. 267-312, pp. 313-324, pp. 117-138; D. Stiaffini, Il vetro nel Medioevo. Tecniche. Strutture. Manufatti, Roma 2001; C. Moretti, Glossario del vetro veneziano. Dal Trecento al Novecento, Venezia 2002. []
  73. Cfr. Pensare/ Classificare. Studi e ricerche sulla ceramica medievale, a cura di S. Gelich- M. Badassarri, Firenze 2010; per Mantova, cfr. M. Palvarini Gobio Casali, La ceramica a Mantova, Mantova 1987; per l’area veneta, cfr. F. Brunello, Arti e mestieri a Venezia nel Medioevo e nel Rinascimento, Vicenza 1981, pp. 31-34; La ceramica nel Veneto. La Terraferma dal XIII al XVIII secolo, a cura di G. Ericani- P. Marini, Verona 1990; L. Baggio, Boccalari e Ceramisti…, 2000, pp. 75-84. []