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Il fermaglio con l’angelo nel Quattrocento: ricerche e confronti tra pittura e scultura
DOI: 10.7431/RIV09012014
Il fermaglio con l’angelo, già al centro di studi sulle arti applicate nel Quattrocento1, appare di grande interesse, poiché dà la possibilità di analizzare un elemento del costume da varie prospettive, mettendo in luce i reciproci rimandi tra le arti figurative e quelle applicate.
Si tratta di un gioiello diffuso in Italia nel Quattrocento, specie nella seconda metà del secolo2: documentato a Milano e presso la corte estense, la sua presenza a Bologna è testimoniata nell’inventario dotale di Castoria e in un dipinto realizzato per la famiglia bolognese dei Loiani (fig. 1)3. Più volte raffigurato nei ritratti femminili fiorentini4, il fermaglio con l’angelo è attestato anche a Padova, come si vedrà in seguito5.
Al di fuori dai confini nazionali si ritrova sulla veste della Vergine nella pala di Stephan Lochner per l’altare di Colonia6 e tra gli acquisti del duca Filippo di Borgona già nel 13867. Si sono inoltre conservati un pendente, forse di fattura iberica8, e un fermaglio quattrocentesco ascrivibile all’area borgognona, ora al museo del Bargello9.
Sempre i duchi di Borgogna avevano acquistato, nell’ottavo decennio del xiv secolo, due spille rappresentanti San Michele arcangelo10, patrono dei Franchi già dai tempi di Clodoveo11. L’arcangelo aveva mutuato dal dio Ermes il ruolo di psicopompo, ed è per questo che dall’viii secolo Mont Saint Michel, dove si credeva che gli spiriti dei morti fossero traghettati da navi invisibili, aveva preso il suo nome12. In seguito l’isola divenne simbolo della resistenza francese durante la guerra dei Cent’anni, poiché nel 1418, rimasto l’unico territorio in mano alla Francia, era riuscito a non soccombere all’assedio inglese. San Michele fu per questo scelto dal re Luigi xi come patrono di un ordine cavalleresco, nato nel 1469 in risposta allo spagnolo Toson d’oro13. Le manifatture reali francesi avviarono la produzione di insegne d’oro con l’arcangelo e alcune ci sono pervenute14.
Se questi gioielli con l’arcangelo Michele sono circoscrivibili all’area francese, sappiamo tuttavia che una circolazione di motivi aurificiari era presente in Europa alla stessa altezza cronologica15. Il confronto tra tre spille conservate al British Museum, di ambito fiammingo o tedesco, e le gioie presenti in alcuni ritratti fiorentini, verosimilmente successivi, ha suggerito l’arrivo di modelli esteri in Italia16, e, in maniera analoga, anche le oreficerie italiane potevano fornire da prototipo per quelle prodotte nell’Europa del Nord: la moda del gioiello a forma di stella nelle Fiandre prende probabilmente avvio dai fermagli che Valentina Visconti portò con sé nel 1398, data del suo matrimonio con il duca di Orleans17. Di quest’ultimo gioiello, che ritroviamo nella pittura fiorentina, si conserva un esemplare nel tesoro della cattedrale di Essen18, ed è possibile rintracciarne una suggestione anche in un dipinto di Mantegna19. È inoltre noto che gli orafi fiorentini esercitavano in varie parti d’Italia tra xiii e xv secolo20, così come è documentato l’acquisto da parte dei Medici di gioielli in Lombardia21.
Una considerazione complessiva fornisce un quadro di mutui scambi che possono aver favorito la diffusione del gusto per i gioielli a forma di angelo in aree diverse. La circolazione di oreficerie era coadiuvata dai matrimoni, non solo attraverso la dote, ma anche grazie a doni di nozze e a particolari eventi, come ad esempio il viaggio fatto da Clarice Orsini, moglie di Lorenzo il Magnifico, per salutare la famiglia d’origine. Come ci dimostra «il ricordo delle cose portò M.a Clarice a Roma» queste occasioni potevano trasformarsi in veri e propri pretesti di sfoggio22. Inoltre ricorre nelle testimonianze del gioello con l’angelo la presenza di perle, oro, rubini e balasci, utilizzatissimi nei gioielli legati al matrimonio perché beneaugurali per le spose23. Un collegamento tra questo fermaglio e il matrimonio è ribadito dalle occorrenze nei ritratti femminili, che frequentemente erano commissionati proprio in occasione delle nuove unioni24.
Tuttavia il gioiello in questione compare anche in un contesto totalmente diverso. In un dipinto di Jacopo di Montagnana, databile attorno al settimo decennio del Quattrocento, il prezioso angelo funge da fermaglio per il piviale di San Ludovico da Tolosa (fig. 2)25. Jacopo da Montagnana, mai uscito dal Veneto nel corso della sua carriera26, ha certamente tratto l’ispirazione per il suo fermaglio alla moda da un gioiello visto a Padova: è infatti documentata la presenza in città del «moroniarum cum uno spiritelo de auro et cum smaltis et certis foliis de auro» con tre balasci e tre perle che Paolo da Bertipaglia del fu Giacomo concedeva a Agostino delle Valli del fu Conte il 12 febbraio 1488 e del «formaieto over zoya da spalla bello cum perle quatro grosse orientale, cum quatro ballassi de i quali uno e xe quadro in tavola et cum uno agnolo ligado in oro, pesa onze 2 cum caranta 30» citato nell’inventario del 1467 dei beni di Francesco Roselli. Presso lo Studium patavino insegnava infatti l’insigne professore aretino Antonio Roselli, probabile possessore del gioiello, vista l’età precoce della morte di Francesco, suo figlio, deceduto solo 2 anni dopo di lui27.
La presenza nel fermaglio di Jacopo di quattro ali, due sopra le spalle dell’angelo e due verso il basso, suggerisce l’identificazione della figura con un cherubino28, ma, sebbene la distinzione tra serafini e cherubini in base al numero delle ali sia presente anche nella Bibbia, nel xv secolo si è persa l’esatta iconografia dei due cori angelici, che possono essere rappresentati in entrambi i casi con due, quattro o sei ali; talora essi sono resi riconoscibili da altre caratteristiche, quale ad esempio il colore diverso, ma altre volte la distinzione tra una gerarchia e l’altra non è manifesta29. Nei ritratti femminili il nostro gioiello è sempre rappresentato con due sole ali, ma è difficoltoso capire se il pittore di Montagnana abbia voluto inserire un preciso riferimento simbolico nella sua spilla. Un fermaglio da piviale che raffigura inequivocabilmente un serafino è quello del San Bonaventura di Vittore Crivelli che richiama il nome di Doctor Seraphicus, con il quale era noto il santo di Bagnoregio (fig. 3)30. Crivelli non rappresenta un vero e proprio gioiello, ma piuttosto un’immagine simbolica, differenziandosi da Jacopo che, con una descrizione pittorica dettagliatissima riporta un fermaglio di fattura molto simile ai gioielli presenti nei dipinti profani coevi, con lo stesso gusto per l’oro, le perle e le pietre rosse31. Inoltre, nella resa meticolosa del taglio della pietra, nei dettagli del castone e nei quattro elementi neri profilati in bianco, forse piccoli chiodi a rosetta, la spilla presenta delle analogie con un gioiello dipinto nel 1481 da Piermatteo d’Amelia (fig. 4)32. La stringente somiglianza di tali elementi di fabbrica nei due fermagli fa pensare a delle copie fedelissime a partire da manufatti reali, piuttosto che a una ripresa di un artista dall’altro o da un modello comune. Attraverso queste due testimonianze pittoriche è così possibile ricavare delle informazioni visive puntuali sugli elementi minuti delle oreficerie nel xv secolo, ovviando anche alla mancanza di ritratti di ambiente padovano in cui compaiano i fermagli con l’angelo presenti in città.
Per quanto concerne l’ambito del libro miniato, tra gli sfavillanti gioielli con cui Girolamo da Cremona e Giovanni Todeschino decorano incunaboli e manoscritti, sovente compaiono delle figure dorate di angeli che, per quanto scarsamente realistiche, presentano alcuni elementi di richiamo al gusto dell’epoca (fig. 5)33, al pari dei cammei di fantasia che troviamo in gran numero nelle opere dei due miniatori. Questi ultimi, raffigurati con una filettatura d’oro, come nel ritratto di Simonetta Vespucci di Botticelli, presentano la stessa semplice legatura dei cammei registrati nella collezione di Lorenzo il Magnifico, dimostrando quindi un legame con la moda antiquaria del momento34.
Una considerazione particolare spetta ora all’arte di argomento mariano: nella pittura quattrocentesca i gioielli fatti indossare alla Vergine ci forniscono molte informazioni sulle oreficerie contemporanee, e sono solitamente identificabili come gioielli nuziali, per l’assunzione di Maria ad esempio di sposa perfetta35. Per quanto riguarda il gioiello con l’angelo, oltre al già citato dipinto di Stephan Lochner, ricordiamo le opere di Biagio d’Antonio Tucci, attivo nella seconda metà del xv secolo (fig. 6)36. In almeno cinque sue rappresentazioni della Vergine è visibile un angelo di tonalità bronzea appuntato allo scollo della veste o posto a chiusura del mantello37. I gioielli di Biagio presentano però una fattura molto diversa rispetto a quelli precedentemente visti: appaiono infatti come manufatti esclusivamente metallici, privi di perle o pietre preziose. Il confronto con essi è da effettuarsi con le sculture fiorentine rappresentanti la Vergine, in cui si vedono alcuni fermagli a forma di angelo, molto simili a quelli dipinti da Biagio (figg. 7 – 8 – 9 – 10 – 11)38. In queste opere plastiche la volontà documentaria non è preminente: a volte le dimensioni delle spille rendono improbabile la loro portabilità e non si riscontra mai la presenza di pietre preziose e perle, elementi irrinunciabili nei gioielli quattrocenteschi, specie in quelli riconducibili al matrimonio39.
Che significato ricopre dunque il fermaglio con l’angelo nelle rappresentazioni scultoree40? Qual è la sua genesi se non si tratta di una ripresa da vere spille?
Nella teologia cristiana sono forti i legami tra la Vergine e le figure angeliche, basti pensare all’arcangelo Gabriele, responsabile dell’annuncio a Maria, la quale, dal 1216, è venerata col titolo di Regina degli angeli41. Per questo la Madonna è spesso rappresentata circondata da creature alate, e un tema più volte trattato nelle arti figurative è proprio l’incoronazione della Vergine nella Gloria dei Santi e degli angeli42.
Inoltre la posizione del fermaglio con l’angelo nelle sculture mariane ricorda le icone orientali dette Panagia Platytera dove, a simboleggiare il gesto di accoglienza della Vergine per il Salvatore, il Cristo bambino è posto in una mandorla al centro del petto di Maria, come si ritrova anche nelle Madonne della Misericordia occidentali43. Il fatto che in alcuni casi il fermaglio sia rappresentato come un angelo in mandorla sembra suggerire una derivazione proprio da queste rappresentazioni44.
Biagio d’Antonio non si rifà a una scultura in particolare, ma sembra che abbia voluto riprendere le potenzialità simboliche e decorative del fermaglio con l’angelo scolpito, trasportandolo all’interno del costume contemporaneo, come fa anche Bernardino Butinone, che sfrutta l’idea di una spilla appuntata al manto della Vergine per rappresentare la figura alata in mandorla (fig. 12). Questa invenzione ha dei punti di tangenza con lo sviluppo iconografico della cosiddetta stella Virginis, attributo di Maria rintracciabile in moltissimi dipinti, generalmente reso come se fosse un vero e proprio ricamo sul manto45. In modo analogo i gioielli con l’angelo di Biagio sono rappresentati con la resa plastica di manufatti reali, ma potrebbero non prendere ispirazione da fermagli veramente realizzati.
La ripresa pittorica di questo motivo plastico, avviene anche da parte del calligrafo padovano Bartolomeo Sanvito, come vediamo nel libro d’ore Carafa da lui trascritto e forse anche miniato, in cui spicca sulla pagina purpurea il fermaglio con l’angelo sul mantello di Maria46. Questa raffigurazione nasce forse nel solco dell’ammirazione da parte degli artisti veneti per le opere padovane di Donatello; il celebre fiorentino aveva posto, già nel 1450, una spilla a forma di angelo sulla statua della Vergine per l’altare del Santo (fig. 13). La figura alata è inoltre ripetuta sulla corona per comunicare la natura spirituale della Vergine, e ritorna, nello stesso altare, all’interno di un clipeo sulla veste di San Daniele47. In quest’ultimo caso l’identificazione della gerarchia angelica è sicura, come per quanto riguarda il San Bonaventura di Crivelli, poiché, nell’atto di ricevere le stimmate, San Daniele aveva avuto la visione di un serafino48. Nella Vergine di Donatello ritroviamo il legame con la Panagia Platytera, che nelle chiese bizantine era rappresentata proprio in connessione con la Sedes Sapientae, interpretata dall’artista tramite il trono con le due sfingi49. Ciò fornisce un ulteriore appiglio alla possibilità che le origini iconografiche di questo tipo di fermaglio nascano proprio dall’icona bizantina e dal suo sviluppo nella Madonna della Misericordia50. Le opere di Donatello mostrano inoltre che in scultura il gioiello con l’angelo, per quanto abbia avuto maggiore fortuna nelle rappresentazioni della Vergine, già attorno alla metà del Quattrocento è presente anche in altre figure, come avverrà anche nel San Regolo di Matteo Civitali e nella Carità di Mino da Fiesole51. Quanto profondo sia il rimando simbolico e quanto sia invece la volontà ornamentale può essere valutato solo caso per caso, ma qui preme ricordare soprattutto che la fortuna di tale motivo plastico esplode in un momento di massima diffusione della figura alata in senso decorativo: i putti divengono nel xv secolo un elemento praticamente onnipresente nelle arti figurative; inoltre la posizione e la somiglianza iconografica avvicinano queste spille alle vittorie alate che appaiono negli stessi anni sulle loriche di tanti condottieri abbigliati all’antica e sull’armatura di San Michele arcangelo, spesso raffigurato in vesti militari52.
In questo contesto si colloca anche la contemporanea diffusione del gioiello con l’angelo vero e proprio, il quale però, al contrario di quello scolpito, che si ritrova anche nel corso del secolo successivo53, sembra non essere presente nella pittura profana e negli inventari cinquecenteschi, ed aver quindi seguito, come ogni complemento vestimentario, l’inesorabile corso delle mode che esplodono, si diffondono e lasciano il passo a nuove tendenze54.
- Desidero ringraziare la professoressa Giovanna Baldissin Molli, la professoressa Paola Venturelli, il dottor Carlton Hughes, don Marcello Stanzione, padre Oliviero Svanera e padre Alberto Fanton per il prezioso aiuto. L’indispensabile punto di partenza per questa ricerca, con molte ricorrenze del fermaglio e bibliografia sull’argomento è P. Venturelli, Il “fermaglio cum l’angelo” di Bianca Maria Visconti Sforza nel dipinto alla Pincoteca di Brera, in Florilegium. Scritti di storia dell’arte in onore di Carlo Bertelli, a cura di L. Golay-P. Lüscher-P.A. Mariaux, Milano 1995, pp. 116-118, ripubblicato in P. Venturelli, Smalto, oro e preziosi. Oreficeria e arti suntuarie nel Ducato di Milano tra Visconti e Sforza, Venezia 2003, pp. 73-76. Sempre sul gioiello con l’angelo si veda G. Baldissin Molli, Fioravante, Nicolò e altri artigiani del lusso nell’età di Mantegna. Ricerche di archivio a Padova, Padova 2006, pp. 113-115 e p. 171. [↩]
- P. Venturelli, Il “fermaglio cum l’angelo…, 1995, pp. 73-76. [↩]
- Per il gioiello di Castoria si veda G. Baldissin Molli, Fioravante, Nicolò e altri…, 2006, p. 115. Informazioni sui gioielli del dipinto Loiani si trovano in L. Syson-D. Thornton, Objects of virtue. Art in Renaissance Italy, Londra 2001, p. 47. [↩]
- Sono noti almeno 5 ritratti fiorentini in cui è rappresentato il fermaglio con l’angelo, tutti databili alla seconda metà del xv secolo. P. Venturelli, Il “fermaglio cum l’angelo”…, 1995, pp. 75-76. [↩]
- Dalla nota 25 in poi. [↩]
- P. Venturelli, Il “fermaglio cum l’angelo”…, 1995, p. 75. La spilla dipinta da Lochner presenta un angelo sulla sommità e nel corpo centrale una raffigurazione dalla forte carica simbolica: una dama in compagnia di un unicorno, chiaro riferimento alla verginità di Maria, per la credenza che gli unicorni si lasciassero avvicinare esclusivamente dalle vergini. Si veda a riguardo J. Hörisch, Farmaco e idolo. L’unicorno come animale che promette salvezza e salute in Sangue di drago Squame di serpente, Animali fantastici al Castello del Buonconsiglio, catalogo della mostra, Trento, Castello del Buonconsiglio, 10 agosto 2013- 6 gennaio 2014 a cura di F. Marzatico-L. Tori-A. Steinbrecher, Milano 2013, pp.279-287. La Vergine è rappresentata in compagnia di un unicorno anche in un dipinto del 1489 della cerchia del pittore tedesco Martin Schongauer, conservato al museo Puškin di Mosca. Un gioiello con raffigurata la stessa scena ritorna anche nella Madonna del roseto, dipinta sempre da Lochner nel 1440 e conservata al Wallraf-Richartz Museum di Colonia. [↩]
- R. W. Lightbown, Mediaeval european jewellery. With a catalogue of the collection in the Victoria & Albert Museum, Londra 1992, pp. 162-163. [↩]
- Pubblicato in Y. Hackenbroch, Renaissance jewellery, Londra 1979, p. 313. La studiosa ritiene che il gioiello sia spagnolo e databile attorno al primo decennio del xvi secolo per le mani e la testa in oro, considerati caratteri tipici dell’oreficeria iberica durante il regno di Enrico ii. Il pendente si trova in una collezione privata ed è perciò difficoltoso ricavare maggiori elementi. [↩]
- R. W. Lightbown, Mediaeval european jewellery…, 1992, pp. 163. [↩]
- Ibidem. [↩]
- H. Krauss, Angeli. Tradizione, immagine e significato, Torino 2003, p. 76. [↩]
- H. Krauss, Angeli. Tradizione, immagine…, 2003, p. 41, 76-78. [↩]
- L’isola era già legata ai re di Francia che più volte nel corso dei secoli si erano recati in pellegrinaggio al santuario di San Michele. F. Monteleone, La voce dei santi: San Michele e la vergine guerriera, in Venticinquesimo convegno nazionale sua Preistoria-Protostoria-Storia della Daunia. San Severo 3-4-5 dicembre 2004, atti a cura di A. Gravina, San Severo 2005, pp. 330-338. [↩]
- Y. Hackenbroch, Renaissance jewellery…, 1979, pp. 55-58. [↩]
- Per Hackenbrock il passaggio nelle oreficerie francesi da uno stile tardomedievale a uno rinascimentale è stato determinato dai rapporti creatisi tra Francia e Italia in seguito alla discesa nella penisola di Carlo viii nel 1494, Y. Hackenbroch, Renaissance jewellery…, 1979, p. 55. [↩]
- L. Syson-D. Thornton, Objects of virtue…, 2001, pp. 44-45. Una delle spille è ascrivibile alla tipologia di gioiello con la dama, anch’esso in voga nel Quattrocento. A questo proposito si veda P. Venturelli, Gioielli e gioiellieri milanesi. Storia, arte, moda, 1450-1630, Milano 1996, p. 78. [↩]
- G. Baldissin Molli, Fioravante, Nicolò…, 2006, p. 57. [↩]
- L’Oreficeria nella Firenze del Quattrocento, catalogo della mostra a cura di M. G. Ciardi Duprè Dal Poggetto, Firenze 1977, pp. 338-339. [↩]
- G. Baldissin Molli, Fioravante, Nicolò…, 2006, p. 57. [↩]
- L’Oreficeria …, 1977, pp. 153-156. [↩]
- P. Venturelli, Il “fermaglio cum l’angelo”…, 1995, pp. 75-76. [↩]
- Il «ricordo delle cose portò M.a Clarice a Roma», redatto per il viaggio che Clarice aveva fatto dopo il matrimonio nel 1472 , era una sorta di lista di suppellettili necessarie, in genere stilata in caso di viaggi ufficiali. M. Sframeli, I gioielli nell’età di Lorenzo il Magnifico, in I gioielli dei Medici: dal vero e in ritratto, catalogo della mostra cura di M. Sframeli, Firenze, Palazzo Pitti, Museo degli argenti 12 settembre 2003-2 febbraio 2004, Livorno 2003, pp. 15-16 e pp. 178-179. [↩]
- Bibliografia sui materiali preziosi e sul loro significato nel xv secolo in S. Franzon, I gioielli da capo nelle raffigurazioni quattrocentesche della Vergine Maria, in “OADI Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, n. 3, 2011, alle note 31, 35, 36 e 37 a cui si aggiunga P. Castelli, Le virtù delle gemme, in L’Oreficeria nella Firenze …, 1977, pp. 307-364. [↩]
- P. Venturelli, Il “fermaglio cum l’angelo”…, 1995, p. 75. Riguardo ai ritratti matrimoniali si trovano informazioni in L. Syson-D. Thornton, Objects of virtue…, 2001, p. 43 e in L’Oreficeria nella Firenze …, 1977, pp. 237-239 e 296-299. Per i corredi destinati alle spose erano investiti veri e propri capitali, poiché essi avevano l’importante compito di rendere riconoscibile e conferire pubblica legittimazione alle alleanze nate con il matrimonio. Beni di lusso di vario tipo, sopravvissuti fino ai nostri giorni, possiedono delle caratteristiche riconducibili a tematiche nuziali. Vari esempi si trovano in L. Syson-D. Thornton, Objects of virtue…, 2001, pp. 38-77. I documenti fiorentini suggeriscono che ci fossero oggetti dati a prestito o noleggiati apposta per le nozze e la legislazione suntuaria ci informa che le donne potevano utilizzare solo per un periodo limitato, fissato in tre anni nell’editto del 1472, le oreficerie associate al fidanzamento e al matrimonio. I gioielli dovevano quindi essere riconoscibili non solo in virtù del materiale ma anche in base alla loro iconografia, come esplicitato in L. Syson-D. Thornton, Objects of virtue…, 2001, pp. 40-43. È possibile dunque che il fermaglio con l’angelo fosse riconoscibile agli occhi della società come un gioiello matrimoniale, almeno per quanto riguarda l’area fiorentina, che aveva una struttura sociale basata proprio sulle unioni tra esponenti dell’oligarchia cittadina. A riguardo si veda L. Fabbri, Alleanza matrimoniale e patriziato nella Firenze del ‘400. Studio sulla famiglia Strozzi, Firenze 1991; A. Molho, Marriage alliance in late medieval Florence, Londra 1994; B. Witthorf, Marriage Rituals and Marriage Chests in Quattrocento Florence, in “Artibus et Historiae”, vol. III, n. 5, 1982. Rimando nuovamente a L. Syson-D. Thornton, Objects of virtue… , 2001 e L’Oreficeria nella Firenze …, 1977 per ulteriore bibliografia sull’argomento. [↩]
- M. Lucco, Sul catalogo di Jacopo da Montagnana in Jacopo da Montagnana e la pittura padovana del secondo Quattrocento. Atti delle giornate di studio, Montagnana e Padova, 20-21 ottobre 1999, a cura di A. De Nicolò Salmazo- G. Ericani, Padova 2002, p. 147. [↩]
- G. Danieli, Iacopo Parisati da Montagnana: note su famiglia, collaboratori e cerchie di committenza attraverso l’analisi di documenti editi e inediti in Jacopo da Montagnana e la pittura padovana del secondo Quattrocento. Atti delle giornate di studio, Montagnana e Padova, 20-21 ottobre 1999, a cura di A. De Nicolò Salmazo-G. Ericani, Padova 2002, pp. 53-100. [↩]
- G. Baldissin Molli, Fioravante, Nicolò…, 2006 pp. 113-115 e p. 171. [↩]
- M. Bussagli, Storia degli angeli. Racconto di immagini e di idee, Milano 2003, p. 57. Si veda anche H. Krauss, Angeli…, 2003, pp. 21-24 e p. 33. [↩]
- Kirschbaum ha individuato un simbolismo cromatico secono il quale i serafini sono rossi, i cherubini azzurri e i troni gialli. Tuttavia, una sorta di contaminazione iconografica, non solo relativa ai colori, investe le rappresentazioni di serafini e cherubini già a partire dalla prima metà del xiv secolo. Anche a causa della parziale sovrapposizione di valori simbolici tra un coro e l’altro, non si svilupperà mai una tipologia rappresentativa standardizzata per le due gerarchie, spesso raffigurate tramite testine alate, cosa che accade più di rado per gli altri cori. M. Bussagli, Storia degli angeli…, 2003, pp. 241-243, 286-299 e nota 71 a p. 341. [↩]
- San Bonaventura fu canonizzato nel 1482; essendo stato cardinale, è rappresentato spesso col piviale, che può essere decorato proprio da serafini, come vediamo in quest’opera di Crivelli e in un tondo dell’Ospedale di San Paolo dei Convalescenti a Firenze, realizzato da Andrea della Robbia nel 1495 circa, in G. Gentilini, I della Robbia. La scultura invetriata nel Rinascimento, vol. I, Firenze 1992, p. 237. Un altro esempio è nella Pala dei Francescani dipinta da Piermatteo d’Amelia nel 1482, ora conservata alla Pinacoteca comunale di Terni, in Piermatteo d’Amelia. Pittura in Umbria meridionale fra ‘300 e ‘500 a cura di C. Fratini-F. Baldelli, Todi 1997 p. 90. L’invenzione del fermaglio a serafino di Crivelli non è priva di paralleli iconografici: San Tommaso d’Aquino, il Doctor Angelicus, reca infatti in moltissime rappresentazioni l’attributo del sole raggiato al centro del petto, in posizione del tutto analoga. [↩]
- Si veda la nota 23. [↩]
- Piermatteo raffigura questo stesso gioiello in almeno tre opere diverse. Piermatteo d’Amelia e il rinascimento nell’Umbria meridionale catalogo della mostra, Terni e Amelia, 12 dicembre 2009-2 maggio 2010, a cura di V. Garibaldi-F.F. Mancini, Milano 2009 pp. 38-51. [↩]
- G. Baldissin Molli , La miniatura ingioiellata di Girolamo da Cremona in Miniatura. Lo sguardo e la parola. Studi in onore di Giordana Mariani Canova, a cura di F. Toniolo-G. Toscano, Milano 2012, pp. 285-291. Riguardo all’utilità e la validità delle rappresentazioni in miniatura di gioielli per lo studio delle arti applicate si vedano M.C. Di Natale, I gioielli nella pittura e nella miniatura nell’età rinascimentale in Sicilia in Medioevo umanistico e umanesimo medievale. Testi della 10a settimana residenziale di studi medievali, Palermo-Carini, 22-26 ottobre 1990, Palermo 1993, pp. 279-291, N. Herman, Excavating the page: virtuosity and illusionism in Italian book illumination, 1460–1520 in “Word & Image”, 27.2, 2011, pp. 190-211, in particolare pp. 204-207 e Y. Hackenbroch, Renaissance jewellery…, 1979, pp. 2-5. [↩]
- M. Sframeli, I gioielli nell’età di Lorenzo il Magnifico…, 2003, pp. 10-23 e 180-181. Sono documentate anche delle riprese da manufatti reali, come nel Tito Livio, Storia di Roma, Firenze, 1480-1490 circa, Valencia, Biblioteca General de la Universidad, ms 384, f. 2v, decorato da Gherardo di Giovanni Miniato, che copia fedelmente nel fregio due cammei antichi appartenuti ai Medici: The painted page. Italian reinassance book illumination 1450-1550 catalogo della mostra, Londra, 27 ottobre 1994-22 gennaio 1995; New York, 15 febbraio-7 maggio 1995 a cura di J.G. Alexander, Monaco 1994, pp. 160-161. [↩]
- Per quanto riguarda i gioielli della Vergine e il loro collegamento con la tematica nuziale rimando a S. Franzon, I gioielli da capo…, 2011, passim. In tale articolo avevo riconosciuto nel dipinto di Filippo Lippi a Palazzo Medici Riccardi (fig. 12) sul capo della Vergine la figura di un angelo, in virtù di quelle che mi sembrano essere delle ali ma, non essendo la lettura così chiara, ho tralasciato l’opera dalla presente trattazione. [↩]
- Oltre alla fig. 6 si vedano la Vergine in adorazione del Bambino conservata alla Collezione Chigi Saracini a Siena, la Pala di Pergola alla Pinacoteca Comunale di Faenza, la Madonna col Bambino in trono della Collezione Giuseppe Maria Cesario Galli a San Paolo e la Madonna col Bambino e san Giovannino in un interno che si trova alla collezione Corcos a Roma. Schede di catalogo 40, 59, 64 e 70 in R. Bartoli, Biagio d’Antonio…, 1999, pp. 196, 205-206, 208, 210-211. Tutte queste opere sono realizzate tra l’ottavo e l’ultimo decennio del Quattrocento. [↩]
- Roberta Bartoli menziona inoltre la «sagoma larvale del cherubino nel laccio sullo scollo» della Madonna col Bambino e un angelo del Museum of Art di Baltimora, opera databile al settimo decennio del Quattrocento, che ha subito una pulitura aggressiva e una parziale ridipintura: scheda di catalogo 28 in R. Bartoli, Biagio d’Antonio…, 1999, pp. 190-191. [↩]
- Altri esempi sono la Madonna col Bambino di Benedetto da Maiano alla National Gallery di Washington, e alcune opere di Matteo Civitali. Dell’opera in fig. 10 sono note almeno dodici copie; a rigurado Matteo Civitali e il suo tempo. Pittori, scultori e orafi a Lucca nel tardo Quattrocento, Catalogo della Mostra, Lucca 2 aprile-11 luglio 2004 a cura di M.T. Filieri, Milano 2004, p. 241, p 248 e pp. 296-307. Si può notare che nei dipinti di Biagio il fermaglio con l’angelo ha sempre sei ali, così come si può vedere in alcune delle sculture menzionate. In altre troviamo quattro ali o due, e si ripresenta il problema di distinzione tra angeli propriamente detti, cherubini e serafini, per il quale si veda la nota 29. [↩]
- Si può invece constatare che i ritratti in marmo, oltre a quelli in terracotta e legno sono generalmente riproduzioni attendibili di gioielli e acconciature, analoghe a quelle riscontrabili in pittura: R. Levi Pisetzky, Storia del costume in Italia, in Enciclopedia della Moda, vol. I, Milano 2005, p. 348. Si vedano inoltre i ritratti in G. Galassi, La scultura fiorentina del Quattrocento, Milano 1949, pp. 195, 203, 208, 270. [↩]
- Iconograficamente la figura angelica rappresentata con la sola testa e le ali deriva dalle rappresentazioni tardo romane dei venti, che condividono con gli angeli cristiani alcune caratteristiche comuni, ad esempio il ruolo di trasportatori delle anime dei defunti. M. Bussagli, Storia degli angeli…, 2003, pp. 108-140. Dal xiv secolo si diffondono anche le rappresentazioni di angeli bambini, derivanti dagli antichi amorini e spesso denominati cherubini, non perché siano effettivamente identificabili con tale gerarchia angelica, ma per un caso di omonimia la cui origine non è chiara: H. Krauss, Angeli…, 2003, p. 87. [↩]
- In quell’anno San Francesco aveva avuto una visione di Cristo con alla sua destra la Vergine circondata di angeli. Il santo di Assisi chiese allora l’indulgenza per chi avesse visitato la chiesetta della Porziuncola, che fu confermata dal papa Onorio iii. Tuttora si celebra la festa di Santa Maria degli Angeli, nello stesso giorno del perdono di Assisi, il 2 agosto. J. Ratzinger, Il perdono di Assisi, Assisi 2005, pp. 15-17. [↩]
- G. Ravasi-A. Rovetta, Angeli. Spiritualità e arte a cura di N. Grubb, Milano 1996, p. 87. [↩]
- Il parallelo con le icone bizantine mi è stato suggerito da padre Alberto Fanton, bibliotecario responsabile della Pontificia Biblioteca Antoniana di Padova. Informazioni sull’iconografia della Madonna della Misericordia si trovano in C. Cieri Via, La Madonna della Misericordia: tradizione iconografica e tradizione culturale, in Ordini religiosi e produzione artistica, atti a cura di M.T. Mazzilli Savini, Pavia 1996, pp. 77-93. [↩]
- Si vedano ad esempio le figg. 7, 9 e 11. [↩]
- La Stella Virginis è attributo di Maria dai primi secoli del cristianesimo ed è simbolo della Grazia discesa su di essa. L’origine di questa iconografia rimanda alla stella dei Magi e alle rappresentazioni pagane in cui la stella indica la presenza della divinità, con dei riferimenti anche all’identificazione simbolica della Madonna stessa con la stella, nelle definizioni di stella maris, stella Jacobi, stella matutina e stella non erratica che sono legate alla Vergine. Per tutto il Quattrocento sarà rappresentata in pittura sulla spalla destra di Maria. L’Oreficeria…, 1977, pp. 338-339, 360. [↩]
- Bartolomeo Sanvito, 1469, Libro d’ore Carafa, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat Lat 9490, f 15r; l’immagine è reperibile in F. Toniolo, Oro e colori sulla porpora: valenze antiquarie e risonanze simboliche di una scelta antiquaria, in Il libro d’ore Durazzo. Volume di commento a cura di A. De Marchi, Modena 2008, p. 124. [↩]
- J. White, Donatello in Le sculture del Santo di Padova a cura di G. Lorenzoni, Vicenza 1984, p.75. [↩]
- Ibidem. [↩]
- C. Cieri Via, La Madonna della Misericordia…, 1996, pp. 79-81. [↩]
- C. Cieri Via, La Madonna della Misericordia…, 1996, pp. 77-80. [↩]
- L’altare di San Regolo si trova nella cattedrale di Lucca: Matteo Civitali e il suo tempo…, 2004, p. 45. La Carità, realizzata tra il 1469 e il 1481, è visibile nel Monumento al Conte Ugo di Toscana alla Badia fiorentina. [↩]
- Ricordo a titolo di esempio la figura militare nelle Storie di San Giacomo in cappella Ovetari, affrescata da Mantegna tra il 1448 e il 1457 nella chiesa degli Eremitani a Padova. Per San Michele arcangelo si veda la lunetta di Andrea della Robbia conservata al Metropolitan Museum di New York, realizzata verso la fine del xv secolo, in G. Gentilini, I della Robbia… vol. i, 1992, p. 209. [↩]
- Alcuni esempi si possono trovare in Repertorio della scultura fiorentina del Cinquecento, a cura di G. Pratesi, Torino 2003, Tavv. 135, 326, 732, 733,734 e in G. Gentilini, I della Robbia… vol. ii , 1992, pp. 301, 315, 324, 349, 375, 377, 441. [↩]
- Documenti contenenti menzioni al fermaglio con l’angelo sono attestati fino alla fine del xv secolo: P. Venturelli, Il “fermaglio cum l’angelo”…, 1995, p. 73. [↩]