Giovanni Travagliato

giovanni.travagliato@libero.it

Arti decorative di committenza arcivescovile nel tesoro della Cattedrale di Palermo

DOI: 10.7431/RIV07072013

Come è noto ed evidente, il legame indissolubile, sponsale, tra il vescovo e la Diocesi a lui affidata, palesato dall’anello episcopale indossato sul dito anulare destro durante il rito dell’ordinazione1, ha fondamenti scritturistici e patristici ed è da sempre regolato dal diritto canonico e dal magistero ordinario e straordinario della Chiesa Cattolica2. In particolare, il triplice ruolo di pastore, dottore e santificatore della sua Chiesa particolare, emerge innanzitutto nelle celebrazioni liturgiche: «Perciò bisogna che tutti diano la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi intorno al vescovo principalmente nella chiesa cattedrale; convinti che la principale manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dal suo presbiterio e dai ministri»3.

È questo il motivo principale per cui anche gli arcivescovi palermitani pro tempore hanno espresso una committenza di arte sacra – spesso particolarmente onerosa e prestigiosa per i materiali, i modelli e gli artefici scelti – che fosse al contempo funzionale alla liturgia, ma rigorosamente à la mode, affiancando o più spesso sostituendo opere esistenti. Si tratta di suppellettili metalliche, manoscritti o libri a stampa su pergamena e carta, parati confezionati in tessuto operato o ricamato, insegne vescovili, in uso nella cappella privata piuttosto che nella Cattedrale, recanti in bella mostra lo stemma del prelato, con le armi di famiglia o appositamente creato (accollato a croce astile semplice o doppio-traversa, sormontato dal galeno, tipico copricapo ecclesiastico da cui scendono due cordoni simmetrici terminanti in fiocchi o nappe, e talora accompagnato in basso dal pallio metropolitano e dal cartiglio col motto latino), indicandolo espressamente come proprio mecenate, possessore, o semplicemente per fissare gli anni del suo governo come estremi cronologici per la datazione.

Ove presente, il colore di cappello cordone e nappe è verde per vescovi e arcivescovi e rosso con parti dorate per i cardinali, mentre il numero di queste ultime, disposte su più ordini crescenti verso il basso, varia a seconda della dignità ecclesiastica: 6 (ordinate 1, 2, 3) per vescovi, 10 (1, 2, 3, 4) per arcivescovi, 15 (1, 2, 3, 4, 5) per cardinali4. Va però precisato che non sempre queste regole sono rispettate (così come si registra spesso la presenza tollerata di corone, elmi, collari cavallereschi ed altri ornamenti laici poco confacenti al ministero ordinato), dato che alcuni oggetti appartenevano ai presuli già prima della promozione ad arcivescovo e/o a cardinale, mentre spesso erano essi stessi a voler usare il medesimo stemma per tutta la carriera ecclesiastica; inoltre, solo 18 arcivescovi, dalla fine del ‘300 ad oggi (rispetto ad altre diocesi isolane, come la vicina Monreale, che ne conta qualcuno di meno, dalla seconda metà del XIV alla prima del XVIII secolo), hanno ricevuto la porpora cardinalizia, come è invece ormai ininterrotta consuetudine – fanno eccezione gli arcivescovi Mormile e Naselli – dagli inizi del XIX secolo5.

La gran parte delle opere giungono alla sagrestia della Cattedrale, in potere del canonico tesoriere pro tempore, in sede vacante per la morte o il trasferimento dell’arcivescovo, in virtù del cosiddetto diritto di spoglio 6 esercitato dalla Reverenda Camera Apostolica romana – in tal senso si pronuncia la «reintegratio constitutionis PII V vi cuius paramenta sacra adhibita ab episcopis devolvuntur post eorum obitum ad ecclesias cathedrales, quibus praefuerunt» promulgata da Pio VII in data 23 giugno 18077 – o per legato testamentario.

Ad esempio, il 21 giugno 1306, l’arcivescovo Bartolomeo Antiochia8 e il Capitolo della Cattedrale ricevono dagli esecutori testamentari (Ferrando Sancii per conto di Pietro Rodríguez o Roderici, già vescovo di Burgos, cardinale vescovo di Sabina, forse Camerario pontificio, e Sancius Dominici portionarius della Chiesa di Toledo) del defunto Pietro Garsia de Sancta Fide, congiunto dell’omonimo arcivescovo precedessore (1277-1284ca.), una serie di oggetti per il valore complessivo di 420 fiorini d’oro; tra questi, 14 codici manoscritti, ma anche parati, insegne e suppellettili: «pluviale de panno scavonato foderatum cyndato ialino munitum perlis, et smaltis super folia argenti deaurati; amictum cum perlis; buccola de auro unam cum lapidibus pretiosis; pannum unum vocatum barbanum raccamiatum ad sitam et aurum; petiam unam de panno de sita vocatum camuca, annulos de auro decem cum lapidibus pretiosis; guarnachiam unam de panno de sita cum camuca foderata; pemna de variis; item mantum et guarnachiam, et tunicam de chamillocto foderatam ciudato viridi; tapetum unum dictum abracipa; sellam unam novam cum freno et pectorali uno; […] item bunetum unum de panno camuca foderatum cindato iallino»9.

Verosimilmente, qualcuno dei citati smalti sarà stato riusato nella fascia superiore del cosiddetto “paliotto Carandolet”, sontuoso arredo liturgico indicato così dalla metà del ‘700 perché erroneamente descritto dal Regio Visitatore De Ciocchis10 come dono nel 1527 di quell’arcivescovo fiammingo, di nome Giovanni (1520-†1544, ma mai fisicamente presente in sede), alla sua Cattedrale lontana, ma più correttamente indagato dagli studi di Claudia Guastella e Maurizio Vitella come accorpamento – effettuato secondo Mongitore dalle monache del locale monastero di San Vito per volontà o comunque sotto il governo dall’arcivescovo Giacomo Palafox (1677-1684) – di un «frondaglium impernatum seu raccamatum pernis […]» con un «pallium ex brocato riczo, cum otto columnis ex serico biloso carmesino adornatum perlis, cum insigniis fabricae Ecclesiae foderatum tela incarnata», già esistenti e censiti rispettivamente nell’ultimo ventennio del XVI e nel primo decennio del XVII secolo, in occasione delle Regie Visite di Francesco Del Pozzo e Filippo Jordio11 (Fig. 1).

Lo stesso Jordio aveva peraltro individuato un presunto stemma Carandolet «in campo petroso quaedam vulpis depicta»12 – riferibile piuttosto come ‘parlante’ alla locale famiglia De Vulpis, attestata certamente in città agli inizi del ‘500 -, mentre sappiamo dalle indagini del canonico Francesco Marchese presso il Capitolo di Besançon13 (Fig. 2) e da altre fonti iconografiche che il prelato armasse con un inquartato: il primo e quarto di rosso, all’aquila bicipite spiegata d’oro lampassata rostrata e membrata d’azzurro; il secondo e terzo d’azzurro, con una banda d’oro costeggiata da sei bisanti, tre in capo e tre in punta14 su un paliotto di damasco azzurro ancora integro, mentre frissa – ovvero fregi, ricami – già ai suoi tempi staccati da una «casubula […] foderatam tela viridi» riferita a Jean de Carondelet, erano ormai riportati su un nuovo parato ternario «matisato cum insigniis ecclesiae»; sappiamo infine di un secondo paliotto serico «bombosini bilosi cremesini» dell’arcivescovo fiammingo, già ricamato «cum figuris misterii Virginis Matris Mariae», i cui ricami sono confluiti in una nuova «capilla ex brocato elaborata, et auri ad instar panni rubei»15.

Ma l’elenco delle dotazioni arcivescovili a partire dagli inventari in nostro possesso potrebbe essere molto lungo e, per certi versi, deprimente, se pensiamo che gran parte dei manufatti citati non è più rintracciabile in situ, talora già da secoli; ci occuperemo pertanto solo del patrimonio identificato ancora esistente, fruibile dal 2006 nei suggestivi ambienti della sagrestia vecchia – già cappella di Santa Maria Maddalena – e dell’antico Thesaurum, restaurati (1982-1999) sotto la direzione di Guido Meli, all’interno di vetrine progettate da Lina Bellanca nell’ambito del moderno allestimento curato scientificamente da Maria Concetta Di Natale16.

A Simone Beccadelli di Bologna (1445-†1465), committente della risistemazione del portico meridionale e del piano antistante la Cattedrale, nonché della costruzione del nuovo palazzo arcivescovile, con relativi portale tardo-gotico di ascendenza napoletana ed elegante trifora flamboyant prospicienti la via Matteo Bonello17, sono riferiti anche due importanti manoscritti liturgici vergati su pergamena e destinati all’uso corale in Cattedrale, oggi conservati presso l’Archivio Storico Diocesano: il Breviarium secundum consuetudinem Panormitanae Ecclesiae (ms. 12, che alla carta 127r riporta la data 18 marzo 1453), illustrato da ricche e preziose miniature dorate e policrome di gusto tardogotico con motivi fito-zoomorfi e drôleries dovute a più mani variamente riconosciute18 (Fig. 3), per anni esposto nell’ambito del Tesoro, e il meno noto Leccionarium (ms. 11), già in due volumi (il secondo era già scomparso nel 1728), sul frontespizio del quale è abbozzato il disegno di una ricca decorazione anch’essa tardo-gotica mai completata, con lo stemma del presule19 tra i Santi Pietro e Paolo a datare l’intervento20.

Recentemente, il ritrovamento sopra una falsa volta ad incannucciato ottocentesca dismessa ed il conseguente necessario restauro di travi dipinte quattrocentesche del soffitto di un ambiente del piano nobile del Palazzo Arcivescovile, ha dato allo scrivente l’opportunità di verificare la coesistenza, entro medaglioni a compasso formati da nastri, e sulle mensole di sostegno fissate alle estremità, decorate a motivi fitomorfi a colori accesi, degli stemmi di enti e personalità impegnati nella committenza dei lavori, e non solo – come ci si aspettava – quello citato del Beccadelli, ma anche quelli della Maramma della Cattedrale (aquila bicipite d’oro coronata su entrambe le teste dello stesso), quello ‘parlante’ del canonico tesoriere Antonio Columba (d’azzurro, alla banda d’oro costeggiata da due colombe d’argento, presente ma finora non riconosciuto anche nel bas-de-page della c. VIv del Breviarium come co-finanziatore), e del Senato cittadino (di rosso, all’aquila spiegata d’oro coronata dello stesso), sotto il pontificato (1447-1455) di Nicolò V Parentucelli (di rosso, alle chiavi pontificie, una d’oro e l’altra d’argento, decussate, con gli ingegni rivolti verso i lati dello scudo e legate tra loro da un cordone)21.

Il benedettino catanese Giovanni Paternò (1490-†1511), già vescovo di Malta, la cui liberalità è nota soprattutto per aver commissionato ad Antonello Gagini nel 1507 la tribuna marmorea a rivestimento interno dell’abside centrale22, commissiona anche – a giudicare dallo stemma23 su una placchetta d’argento smaltata applicata mediante due perni sul verso – una pace argentea di ambito iberico o napoletano di fine XV – inizi XVI secolo (marchio illeggibile sotto corona) raffigurante l’incoronazione della Vergine da parte di Cristo con angeli e 12 santi, 6 per lato, in basso, entro un’edicola architettonica con cuspidi e pinnacoli oggi ripiegati verso l’interno, che parrebbe rispondere a modelli di Mathes Roriczer24 (Figg. 45).

Non prendo qui in considerazione il lungo, complesso ed articolato governo episcopale del cardinale Giannettino Doria (1608-†1642), meritevole di un prossimo corposo intervento già in elaborazione, ma, spiccando un salto temporale e stilistico fino alla metà del ‘600 barocco, lo stemma dell’agostiniano scalzo di Spagna fra’ Martino Leon y Cardines (1650-†1655)25, che nel 1653 aveva commissionato il ciborio in lapislazzuli su disegno di Cosimo Fansago per la nuova cappella del SS. Sacramento e già dal 1650 si era proposto la mutazione in barocco dell’aspetto della navata centrale del tempio26, è presente inciso sul coperchio di una teca eucaristica cilindrica in argento priva di marchi tuttavia riferibile ad argentiere palermitano27 (Fig. 6) e sui plinti delle sei statue delle sante Vergini nel piano della Cattedrale, dovute allo scalpello degli scultori Gaspare Guercio e Carlo d’Aprile (1655-1656)28, così come ricamato in seta policroma e oro sullo stolone dei due piviali in taffétas (uno rosso e uno violaceo) e sulla colonna nel verso di una pianeta rossa in raso già elencati da De Ciocchis29 e studiati da Roberta Civiletto e Maurizio Vitella30 (Fig. 7); lo stesso è impresso in oro, inoltre, sui piatti di coperte di libri liturgici evidentemente acquistati dal presule per la sua biblioteca, ovvero per le solenni celebrazioni pontificali nella stessa Cattedrale, oggi nei depositi dell’ASDPa, come le Missae propriae Sanctorum Ordinis Eremitarum Sancti Augustini […], Venetiis, apud Cieras, 1647 (Fig. 8).

Del corposo corredo «delle robbe pontificali et altri» costituente lo spoglio ecclesiastico del defunto arcivescovo Pietro Martinez y Rubio (1656-†1667)31, che in continuità col predecessore intervenne nella ridefinizione barocca della Cattedrale32, resta visibile traccia in un particolarissimo piviale di manifattura italiana o spagnola, dove, inserito all’interno di uno scudo perale coi bordi delineati da gigli di giardino, è stato identificato dallo scrivente lo stemma dei Servi di Maria (allo stelo di giglio sradicato fiorito di tre pezzi, attraversato da SM gotiche d’oro, posto dentro una corona all’antica), ordine religioso cui potrebbe esser appartenuto il prelato (Fig. 9), emblema che appare al centro del suo stemma episcopale33.

Descritta dal De Ciocchis come un «piviale di tela d’oro murato, tessuto tutto un pezzo con sua stola, foderato di terzanello murato, e crocchi di rame argentati»34, l’opera era stata precedentemente attribuita alla manifattura dei Los Molero di Toledo, specializzata nella confezione di strutture tessili di particolare ampiezza, e datata al primo quarto del XVIII secolo, anche se in quella occasione si era già notato il particolare modulo disegnativo degli ornati (motivo isolato a rametti fioriti dalla resa ormai naturalistica) diffuso in Italia nella seconda metà del Seicento35. Lo stesso stemma compare inciso in oro sui piatti decorati di legature di libri liturgici, come l’Ufficiatura della Settimana Santa (Fig. 10), un lussuoso codice manoscritto su pergamena della metà del ‘600 con miniature e incisioni acquerellate oggi conservato presso l’ASDPa (ms. 14)36.

Inoltre, in uno dei sei balconi del piano nobile del Palazzo Arcivescovile, ad evidenziare i lavori di ampliamento promossi dallo stesso arcivescovo (ma pagati nel 1659 dal fratello di lui, Egidio, Abate di Centrovennigo, Tesoriere della Cattedrale di Tirasona e Giudice della Regia Monarchia), per la realizzazione di quattro saloni ed il completamento della facciata meridionale37, è ancora visibile un pavimento composto da 20 mattonelle maiolicate di piccolo formato (cm 14×14,5), opera di maestranze palermitane, con lo stesso stemma all’interno di una robbiana a mandorla, accompagnata da uccelli, frutta e motivi fitomorfi38 (Fig. 11).

Tra le opere tardo-barocche di committente noto pertinenti al tesoro della Cattedrale, è una pianeta in raso con applicazioni in trina a motivi floreali con, sulla colonna nel verso, lo stemma ricamato di Domenico Rosso (1737-†1747)39, della congregazione benedettina dei Celestini40 (Fig. 12), che ne permette appunto l’identificazione e ne favorisce la datazione, comunque post 1744 in quanto l’opera non è citata dal De Ciocchis41; stessa provenienza hanno una teca porta-particole di argentiere palermitano monogrammista GR del 1738, con iscrizione dedicatoria al nuovo arcivescovo da parte dei prefetti della Fabbrica Canonico Lorenzo Migliaccio e Barone Giovanni Zappino, ed un calice traforato con simboli della Passione, privo di marchi, di argentiere palermitano o, più probabilmente, italo-meridionale, che, a conferma della datazione fissata su base stilistica da Maria Concetta Di Natale a fine XVII – inizi XVIII secolo, reca inciso sotto la base lo stemma originario semplificato dei Rosso (barbazzale d’oro sotto il lambello)42 (Fig. 13).

Il corredo liturgico dovuto al successore Giuseppe Alonzo Melendez (1748-†1753), francescano, consta invece di un calice e di una legatura di messale argentei (il libro contenuto all’interno è pubblicato nel 1735)43, entrambi senza marchi, ma databili indirettamente alla prima metà del ‘700 anche grazie al riconoscimento dello stemma, che si vede in un medaglione applicato sulla base del primo e realizzato a sbalzo e cesello in una placca centrale sui piatti della seconda44 (Figg. 1415).

La memoria di Francesco Ferdinando Sanseverino (1776-†1793), della congregazione clericale dei Pii Operai, il cui monumento funebre col ritratto del presule inginocchiato in adorazione si ammira sulla parete destra della cappella del SS. Sacramento della stessa Cattedrale, è legata oggi solo alla trasformazione e conseguente riuso come fibula da piviale di un monile aureo con smeraldi e diamanti tardo-secentesco a forma di mazzo di tulipani legati da un fiocco alla base45, in passato riferito solo su base stilistica e cronologicamente al governo dell’arcivescovo Ferdinando Bazan (1685-†1702), oggi esposta in una vetrina del Tesoro, testimoniata invece dallo stemma del primo inciso sul verso46 (Fig. 16); si registra inoltre la presenza di un’altrettanto preziosa croce pettorale con diamanti e zaffiri, anch’essa esposta nell’odierno allestimento, e di un libro liturgico (Pontificale Romanum, Pars secunda, s.d., oggi nell’ASDPa) recante lo stemma citato inciso sui piatti.

Passando all’‘800, l’arcivescovo Raffaele Mormile (1803-†1813), dei Chierici Regolari Teatini47, è donatore di libri liturgici (Epistolae totius anni […] ed Evangelia totius anni […], Romae, Salvioni 1746, conservati presso l’ASDPa) e di un calice baccellato tardo-settecentesco in argento dorato privo di marchi ma verosimilmente napoletano48, sotto la cui base, così come sui piatti delle legature, figura come di consueto lo stemma inciso del presule49 (Fig. 17).

Cardinale del titolo di San Lorenzo in Panisperna, Pietro Gravina dei Principi di Montevago (1816-†1830)50 lega alla Cappella del SS. Sacramento nella Cattedrale la sua portantina, databile al terzo quarto del XVIII secolo, dorata e dipinta (oggi nei depositi del Museo Diocesano)51, insieme a «un Pontificale bianco, due piviali, quattro tonicelle, un bacile con boccale d’argento, e altro ancora»52, un calice dorato neoclassico, esposto nel Tesoro ma ancora in uso per le celebrazioni, con putti a fusione recanti simboli della Passione e, sulla base, tre medaglioni con l’Ecce Homo, l’Addolorata, S. Giuseppe e il Bambino, su fondo smaltato blu cobalto53 (Fig. 18).

Ancora, alla liberalità del successore, l’arcivescovo Gaetano Trigona (1833-†1837)54, rampollo di una potente e ricca famiglia di Piazza Armerina, si deve il dono di un calice figurato di argentiere catanese del 1820, detto tradizionalmente della Religione proprio per la figura allegorica che ne costituisce il fusto, a base quadrata con angoli smussati su cui poggiano le microfusioni dei quattro simboli degli Evangelisti e dell’Agnus Dei centrale55 (Fig. 19).

Giovanni Battista Naselli (1853-†1870) fa ricamare invece il proprio stemma56 in basso sulla colonna nel verso di una raffinatissima pianeta a rete d’oro a motivi fitomorfi e sulle infule di una mitria, anch’essa ricamata in oro e con gemme policrome, opere non esposte ma conservate nella sagrestia della Cattedrale (Fig. 20).

Una serie di quattro vasi per frasche d’argento esposti nella vetrina davanti l’abside destra della Cattedrale (Fig. 21) sono privi di marchi ma recano lo stemma del benedettino cassinese Michelangelo Celesia (1871-†1904 )57 non ancora cardinale – sappiamo infatti che ricevette la porpora e il primo titolo di Santa Prisca nel novembre 1884, ma anche il numero e gli ordini di nappe del galero ce lo confermano-. Vi è messa in evidenza tutt’intorno un’iscrizione latina al genitivo di possesso e la data di acquisto («ARCHIEPISCOPI PANORMITANI DOMINI MICHAELIS ANGELI CELESIA 1883»), mentre ho ritrovato incise sulla parte interna della base le generalità dell’originaria committente e/o proprietaria, signora o suora, che li dovette vendere o donare al prelato, tale «S. VINCENZA BAPTISTA RUGGIERI 1854»; qualora si trattasse di una religiosa, l’arcivescovo avrebbe potuto anche in questo caso acquistarli dal Demanio o sul mercato antiquario dopo le leggi eversive del 1866 che ne avrebbero determinato l’esproprio, come per l’Immacolata d’argento già dei Padri Mercedari, di cui fece donò alla Cattedrale.

Al citato Celesia e ai più vicini arcivescovi defunti del ‘900, Lualdi58, Lavitrano59, Ruffini60, Carpino61, Pappalardo62 e talora ai loro vescovi ausiliari titolari in partibus, sono dovute ulteriori donazioni di suppellettili, insegne e parati sacri  – riconoscibili tramite i rispettivi stemmi -, nei quali, se non sempre si raggiungono gli alti livelli estetici e tecnici dell’alto artigianato artistico precedente, o se raramente equivalgono quelli più antichi in oro e pietre preziose, tuttavia, li riteniamo comunque degni di attenzione in quanto ‘doni sponsali’, teneramente consegnati dal Vescovo alla sua Sposa mistica come pegno d’amore e di fedeltà.

  1. B. MONTEVECCHI, Le insegne ecclesiastiche, in B. MONTEVECCHI – S. VASCO ROCCA (a cura di), Suppellettile ecclesiastica. I, Firenze 1988, p. 357. []
  2. La bibliografia a riguardo è amplissima. Si vedano, essenzialmente: Concilio Vaticano II, Decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi, Christus Dominus, Roma 1965; IDEM, Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, Roma 1975. []
  3. Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia, Sacrosanctun Concilium, Roma 1964, n. 41; Concilio Vaticano II, Cæremoniale Episcoporum […], Città del Vaticano 1984 (reimpressio 1985, 1995; reimpressio emendata 2008), n. 11 (per la traduzione in italiano: https://www.liturgia.it/Cerimoniale.pdf). []
  4. Per quanto riguarda l’araldica ecclesiastica, si fa riferimento a B.B. HEIM, L’araldica nella Chiesa Cattolica. Origini, usi, legislazione, Città del Vaticano 2000. Esempi di raccolte di stemmi episcopali in G. TRAVAGLIATO, L’araldica dei vescovi agrigentini dal Medioevo ai nostri giorni, in G. INGAGLIO (a cura di), La Cattedrale di Agrigento tra storia, arte, architettura, Atti del convegno La cattedra di Gerlando (Agrigento, 30-31 ottobre 2007), Palermo 2010, pp. 231-247, con relativa bibliografia. []
  5. Per le vicende biografiche dei cardinali siciliani, di nascita o di residenza [Acquaviva (d’) Aragona (d’) Traiano; Arezzo Tommaso Maria Raimondo; Astalli Pamphilj Camillo; Bertoli Enrico; Bessarione Giovanni; Boccamazza Giovanni; Boneto Ludovico; Caracciolo Marino; Cardona (de) Enrico Giovanni; Carpino Francesco; Celesia don Pietro Geremia Michelangelo; Cervantes (de) Gaeta Gaspare; Chiaromonte Nicolò; Cibo (o Cybo) Innocenzo; Cienfuegos Villazon Alvaro; Colonna Branciforte Antonino; Colonna Pompeo; Colonna Romano Giovanni; d’Aragona Giovanni; de Castelar Giovanni; de Castro Giovanni; de Foix Pietro; de la Cerda Antonio; de Spuiz de Pozio Ausia; della Rovere Giuliano; di Santo Spirito Carlo; Donato Ludovico; Doria (d’Oria) Giovanni (o Giannettino); Dusmet don Melchiorre Giuseppe Maria Benedetto; Farnese Alessandro jr.; Ferreri Filippo; Francica Nava (di Bontifé) Giuseppe; Giudice (del) Cellamare (di) Francesco; Gonzaga fra’ Giovanni Vincenzo; Gonzaga Francesco jr.; Grassellini Gaspare; Gravina (di Montevago) Pietro; Gregorio (De o Di) Emanuele; Gregorio (De o Di) Giovanni; Guarino Giuseppe; Isvaglies (o Usvelle) Pietro; Lanzol y Borja Giovanni senior; Lualdi Alessandro; Luca (De) Antonino Saverio; Medici (de’) Ippolito; Mercurio (de) Giovanni Andrea; Misquino Caracciolo Niccolò; Moles Giovanni; Moncada Aragona (d’) Luigi Guglielmo; Nidhard (o Neidhardt) Giovanni Everardo Graf; Orsini Matteo; Panebianco fra’Antonio Maria; Paternò Giovanni; Peretti (o Perretti) e Montalto Francesco; Pignatelli (di Belmonte) Domenico; Pignatelli (di Monteroduni) Ferdinando Maria; Pio di Carpi Rodolfo; Primo Giovanni; Rampolla (del Tindaro) Mariano; Rebiba Scipione; Remolini (o Remolino o Romelini) Francesco, detto Elvense; Rodolfo (o Ridolfi) Ottavio; Spinola Giovanni Domenico; Tagliavia e Aragona Pietro; Tagliavia-Aragona e Ventimiglia Simone; Tedeschi Niccolò; Torres (de) Cosimo; Torres (de) Ludovico jr. (o II); Trigona e Parisi Gaetano Maria; Umberto (di Lorena); Venerio Giacomo Antonio; Vich Raimondo Gualtiero (o Guiglielmo); Villadicani Francesco Paolo; Vio (de) fra’ Tommaso (al secolo Giacomo); Visconti Vitaliano], si rimanda ai rispettivi lemmi di G. TRAVAGLIATO, in Enciclopedia della Sicilia a cura di C. NAPOLEONE, Parma 2006, pp. pp. 71-72, 126-127, 132, 163, 169, 173, 225, 228, 235-236, 272, 275, 278, 279, 281, 293, 325, 332-333, 334, 339, 341, 349, 357-358, 364, 390-391, 403, 424, 455, 462, 462, 466-467,470-472, 475, 507, 525, 548, 595, 599, 619, 623-624, 660, 679, 756, 770, 774, 787-788, 803, 824, 828-829, 833, 840, 934, 945-946, 952, 967-968, 977, 980, 991, 1000, 1010, 1012, 1018, 1019. []
  6. Si veda a riguardo G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica […], Venezia 1854, vol. LXIX, pp. 3-19, ad vocem “Spogli ecclesiastici (degli)”. []
  7. Cfr. A. BARBERI (a cura di), Bullarii Romani continuatio […]. Pius PP. Septimus anno septimo, Roma 1847, tomo XII, pp. 167-168. []
  8. Per la cronotassi episcopale palermitana, pur controversa per il periodo antico e medievale, si è seguito il testo di F.M. STABILE, in G. ZITO (a cura di), Storia delle Chiese di Sicilia, Città del Vaticano 2009, pp. 655-657, con relativa aggiornata bibliografia. []
  9. Il documento, conservato presso l’ Archivio Storico Diocesano di Palermo (da questo momento ASDPa) con segnatura Tabulario, I, n. 73, è stato trascritto integralmente ma con errori da V. MORTILLARO, Catalogo ragionato dei diplomi della Cattedrale di Palermo, Palermo 1842, pp. 96-99, e relativamente ai codici da H. BRESC, Livres et société en Sicile (1299-1499), Palermo 1971, pp. 110-111. Si veda inoltre C. TRISTANO, Famuli, famule. Segni di autorità femminile nel Sacramentario dell’ASDPa, ms. 3, in G. TRAVAGLIATO (a cura di), Storia & Arte nella scrittura. L’Archivio Storico Diocesano di Palermo a 10 anni dalla riapertura al pubblico (1997-2007), Atti del Convegno Internazionale di Studi, Santa Flavia (PA) 2008, p. 371. []
  10. G.A. DE CIOCCHIS, Sacrae Regiae Visitationis per Siciliam […] Acta decretaque omnia, Palermo <1743> 1836, p. 72. []
  11. C. GUASTELLA, scheda 21, Tre serie di smalti applicati al paliotto detto dell’arcivescovo Carandolet, in Federico e la Sicilia dalla terra alla corona. Arti decorative e arti suntuarie, catalogo mostra a cura di M. ANDALORO, Siracusa – Palermo 1995, pp. 123-133, in part. p. 125; EADEM, scheda VII.7, Tre serie di smalti riutilizzati con aquile, composizioni vegetali e figure sacre, in Nobiles officinae. Perle, filigrane e trame di seta dal Palazzo Reale di Palermo, catalogo mostra a cura di M. ANDALORO, Catania – Palermo 2006, I, pp. 470-477; M. VITELLA, I manufatti tessili della Cattedrale di Palermo, in M.C. DI NATALE – M. VITELLA, Il Tesoro della Cattedrale di Palermo, Palermo 2010, pp. 112-114. []
  12. Cfr. Archivio di Stato di Palermo, Conservatoria di Registro, n. 1330, c. 8v, citato in C. GUASTELLA, scheda 21…, 1995, p. 123. []
  13. Epistola responsiva Reverendissimorum Dominorum Decani Majoris, Capituli et Canonicorum Sanctae Metropolitanae Ecclesiae Bisuntinae ad Franciscum Marchese […], Panormi, Apud Angelum Felicella MDCCXVI, in ASDPa, Archivio Capitolare, n. 27 (già XXV). Il documento testé citato, insieme al testamento del prelato con legati a favore del Capitolo Metropolitano palermitano, sarà oggetto di prossima pubblicazione da parte dello scrivente. []
  14. Blasonatura in G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte. L’araldica come scienza ausiliaria per lo studio delle arti decorative in Sicilia, Tesi di dottorato di ricerca in Storia dell’Arte Medievale e Moderna in Sicilia (XV ciclo), Università degli Studi di Palermo, 2003, p. 86, dove sono tra gli altri raccolti e descritti gli stemmi degli arcivescovi palermitani, in corso di pubblicazione. Da questo momento si è preferito spostare in nota la descrizione degli stemmi, per agevolare la lettura del testo. []
  15. Cfr. Archivio di Stato di Palermo, Conservatoria di Registro, n. 1330, cc. 8v-10v, documenti citati in C. GUASTELLA, scheda 21…, 1995, pp. 123-125. []
  16. Si veda a riguardo L. BELLANCA – G. MELI, I luoghi del tesoro, in M.C. DI NATALE – M. VITELLA, Il Tesoro…, 2010, pp. 9-37. []
  17. A. MONGITORE, Dell’istoria sacra di tutte le chiese […]. La Cattedrale, tomo primo, ms. del XVIII sec. presso la Biblioteca Comunale di Palermo, ai segni Qq.  E 3, cc. 103r-117v. Si veda inoltre D. SUTERA, Interventi nella Cattedrale di Palermo tra XIV e XV secolo, in E. GAROFALO – M.R. NOBILE (a cura di), Palermo e il gotico, Palermo 2007, pp. 107-112, che riporta la precedente bibliografia. []
  18. La bibliografia è ampia, anche se non ancora esaustiva; per tutti si rimanda a: M.G. PAOLINI, Il breviario di Simone da Bologna della Cattedrale di Palermo, Firenze 1985; M.C. Di NATALE, Dall’esegesi biblica al codice miniato: motivi iconografici nell’adorazione dei Magi in Sicilia, in In Epiphania Domini. L’adorazione dei Magi nell’arte siciliana, catalogo mostra a cura di M.C. DI NATALE e V. ABBATE, Palermo1992, pp. 32-34; G. TRAVAGLIATO, Palermo – Archivio Storico Diocesano, e C. OLIVA, scheda 20 e tav. 24, in M.M. MILAZZO – M. PALMA – G. SINAGRA – S. ZAMPONI (a cura di), I manoscritti datati della Sicilia, Firenze 2003, pp. 43-54, 93. []
  19. Arma: d’azzurro, con tre mezzi voli destri abbassati sostenuti da artigli d’oro, male ordinati 1, 2 (G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte…, 2003, p. 83). []
  20. G. TRAVAGLIATO, L’ASDPa com’era, com’è, come potrebbe essere: storia e prospettive, in Storia & Arte nella scrittura…, 2008, pp. 13-38, e relativa bibliografia. []
  21. G. TRAVAGLIATO, Il “palazzo nuovo” di Simone Beccadelli Bologna (1460-1465), in Museo Diocesano di Palermo. Ambienti e mostre a cantiere aperto, Palermo 2011, pp. 40-43. []
  22. G. DI MARZO, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI, Palermo 1880, I, pp. 217-218. []
  23. Arma: inquartato: nel primo e quarto d’oro, a quattro pali di rosso, caricati di una banda d’azzurro attraversante; nel secondo e terzo contro inquartato: nel primo e quarto, a sei bisanti o torte; nel secondo e terzo, alla caldara scaccata (G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte…, 2003, p. 85). []
  24. Si rimanda essenzialmente a: M.C. DI NATALE, Il Tesoro della Cattedrale di Palermo dal Rinascimento al Neoclassicismo, Palermo 2001, pp. 9-10; EADEM, Ori e argenti del Tesoro della Cattedrale di Palermo, in M.C. DI NATALE – M. VITELLA, Il Tesoro…, 2010, p. 60 e nota 32, da cui emerge che anche in questo caso il riconoscimento da parte dello scrivente dello stemma del committente ha consentito alla studiosa una più corretta datazione; F. SCADUTO, Il progetto: fonti e cantiere, in M.R. NOBILE (a cura di), Matteo Carnilivari – Pere Compte 1506-2006. Due maestri nel Mediterraneo, catalogo mostra, Palermo 2006, pp. 171, 179. []
  25. Arma: inquartato: il primo d’azzurro, con una stella [8] d’oro, e la doppia bordura cucita, la prima d’oro caricata di otto 8 o 10 rosette di rosso, e la seconda scaccata di rosso e d’argento; il secondo d’oro, al leone di nero linguato e osceno di rosso, e la bordura  cucita d’azzurro caricata di otto crocette decussate d’oro; il terzo d’oro, con due lupi d’azzurro passanti uno sull’altro, e la bordura cucita di rosso caricata di otto conchiglie d’oro alternate con altrettante lettere S maiuscole romane dello stesso; il quarto controfasciato d’oro e di nero, con un albero sradicato di verde attraversante; sul tutto, al cuore di rosso fiammeggiante traversato in sbarra e in banda da due frecce d’argento (G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte…, 2003, p. 85). Per lo stemma dell’ordine G. ZAMAGNI, Il valore del simbolo…, 2003, pp. 70-71. []
  26. G.M. AMATO, De principe templo Panormitano, Palermo 1728, pp. 98-106, 291; A. MONGITORE, Dell’istoria sacra…, cc. 130r-153v. []
  27. M.C. DI NATALE, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001, p. 22; EADEM, Ori e argenti del Tesoro…, 2010, pp. 79-80. Per lo stemma dell’ordine G. ZAMAGNI, Il valore del simbolo…, 2003, pp. 70-71. []
  28. G. DI MARZO-FERRO, Guida istruttiva per Palermo e suoi dintorni […], Palermo 1858, p. 640. []
  29. G.A. DE CIOCCHIS, Sacrae Regiae Visitationis…, 1836, pp. 83-84. []
  30. R. CIVILETTO – M. VITELLA, scheda n. 37, e R. CIVILETTO, scheda n. 38, in Splendori di Sicilia. Arti Decorative dal Rinascimento al Barocco, Milano 2001, pp. 575-577; M. VITELLA, I manufatti tessili…, 2010, pp. 123-126. []
  31. Tutto l’incartamento con la narrazione degli antefatti, l’accurata descrizione degli oggetti e la pratica per il loro riscatto dal Tribunale del Real Patrimonio, rintracciato presso l’ASDPa, sarà oggetto di prossima pubblicazione da parte dello scrivente. []
  32. G.M. AMATO, De principe…, 1728, p. 106. []
  33. Arma: inquartato: il primo di rosso, alla torre d’oro; il secondo d’argento, al T d’azzurro; il terzo d’argento, al leone di rosso coronato d’oro; il quarto fasciato d’oro e di rosso; sul tutto come sopra (G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte…, 2003, p. 90). Per lo stemma dell’ordine G. ZAMAGNI, Il valore del simbolo…, 2003, p. 75. []
  34. G.A. DE CIOCCHIS, Sacrae Regiae Visitationis…, 1836, p. 106. []
  35. M. VITELLA, Paramenti sacri di committenza vescovile: analisi storico-critica di alcuni manufatti tessili della Sicilia occidentale, e R. CIVILETTO, scheda n. 63, in Splendori di Sicilia…, 2001, pp. 231, 597-598; R. CIVILETTO, Tessuti spagnoli nelle chiese siciliane, in G. CANTELLI – S. RIZZO (a cura di), Magnificenza e bizzarria europea nell’arte tessile in Sicilia, catalogo mostra, Palermo 2003, pp. 207, 479. []
  36. G. TRAVAGLIATO, Archivio capitolare della Cattedrale di Palermo, in S. PALESE – E. BOAGA – F. DE LUCA – L. INGROSSO (a cura di), Guida degli Archivi  capitolari d’Italia. III, Roma 2006, pp. 119-126, in part. p. 121. []
  37. R. GARUFI, La fabbrica del Palazzo, in Arti decorative nel Museo Diocesano di Palermo. Dalla città al museo e dal museo alla città, catalogo mostra a cura di M.C. DI NATALE, Palermo 1999, p. 161. []
  38. M. REGINELLA, Le collezioni ceramiche nel Museo Diocesano e nel Palazzo Arcivescovile di Palermo, in M.C. DI NATALE (a cura di), Arti decorative…, 1999, p. 50, Fig. 17. []
  39. Arma: inquartato: il primo inquartato: primo e quarto diviso, nel primo scaccheggiato d’argento e di rosso di tre file, nel secondo di rosso, con una mezzaluna riversata d’argento; secondo e terzo sbarrato d’argento e di rosso, ed il leone d’azzurro attraversante sul tutto; il secondo di rosso, alla colonna d’argento, con base e capitello d’oro, coronata del secondo; il terzo d’oro, a tre bande d’azzurro, col capo cucito del primo, caricato di due uccelli affrontati di nero, guardanti una stella [6] o cometa di rosso; il quarto d’azzurro, al leone d’oro, tenente con le zampe anteriori un ramo di verde; sopra il tutto d’azzurro, al barbazzale d’oro, accompagnato nel capo da un lambello di tre pendenti di rosso (G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte…, 2003, p. 93). []
  40. V. CATTANA, ad vocem, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, diretto da G. PELLICCIA e G. ROCCA, vol. II, Roma 1975, col. 733. Per lo stemma dell’ordine G. ZAMAGNI, Il valore del simbolo…, 2003, pp. 53-54. []
  41. M. VITELLA, I manufatti tessili…, 2010, pp. 124-125. []
  42. M.C. DI NATALE, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001, pp. 28-29; EADEM, Ori e argenti…, 2010, pp. 89-90. []
  43. M.C. DI NATALE, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001, pp. 29-30; EADEM, Ori e argenti…, 2010, pp. 90-91. []
  44. Arma: d’azzurro, alla torre d’oro aperta e fenestrata di nero, fondata sul monte di tre cime al naturale movente dalla punta, cimata da corona pure d’oro, accompagnata a destra da un albero al naturale sormontato da una colomba appollaiata d’argento, ed a sinistra da un pastorale rivoltato d’argento o d’oro, posto in palo; il capo della religione francescana: d’azzurro, a un braccio nudo al naturale uscente da una nube d’argento, con il segno del chiodo alla palma della mano; l’altro braccio vestito del saio francescano, incrociante il primo, con lo stesso segno alla mano; una croce d’oro raggiante che emerge tra le due braccia (G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte…, 2003, p. 94). Per lo stemma dell’ordine G. ZAMAGNI, Il valore del simbolo…, 2003, pp. 67-68. []
  45. M.C. DI NATALE, scheda n. 59, in Splendori di Sicilia…, 2001, p. 347; EADEM, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001, pp. 23-24; EADEM, Ori e argenti…, 2010, pp. 82-83. []
  46. Arma: d’argento, alla fascia di rosso; supporto un’aquila bicipite di nero, armata e linguata di rosso; vi si accompagna l’arma dei Pii Operai, monogramma MA di Maria, con la A terminante in una croce, su un monte di tre cime, sormontato da una colomba raggiante (G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte…, 2003, p. 95). Per lo stemma dell’ordine G. ZAMAGNI, Il valore del simbolo…, 2003, pp. 115-116. []
  47. F. ANDREU, ad vocem, in Dizionario degli Istituti di Perfezione…, vol. II, Roma 1975, coll. 978-989.  Per lo stemma dell’ordine G. ZAMAGNI, Il valore del simbolo…, 2003, p. 81. []
  48. M.C. DI NATALE, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001, pp. 32-33; EADEM, Ori e argenti…, 2010, p. 95. []
  49. Arma: d’oro, alla banda d’argento filettata di nero, caricata di tre aquile dello stesso; vi si accompagna l’arma dei Teatini, d’oro o d’argento, alla croce latina di rosso o di nero, su monte di tre cime di verde o di nero) (G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte…, 2003, p. 96). []
  50. Arma: troncato: il primo d’azzurro, a due gemelle d’oro, accompagnate nel punto sinistro del capo da una stella [10] d’argento; il secondo d’azzurro, colla banda scaccata di due file d’argento e di rosso (G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte…, 2003, p. 96). []
  51. M.C. DI NATALE, Arti decorative nel Museo Diocesano. Dalla città al museo, dal museo alla città, in Arti decorative…, 1999, pp. 19-21. []
  52. Cfr. P. PALAZZOTTO, I Gravina di Montevago e la riscoperta di un monumento dimenticato, in P. PALAZZOTTO – M. SEBASTIANELLI, Il restauro del monumento Gravina Bonanno di Montevago nel Camposanto di S. Orsola a Palermo, Palermo 2013, pp. 13-14 e note 14 e 18, in cui si cita anche la cronaca di parte capitolare degli ultimi giorni terreni del cardinale e dei suoi legati alla Cattedrale (cfr. ASDPa, Archivio capitolare, n. 99, pp. IV-V). []
  53. M.C. DI NATALE, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001, pp. 32-33; EADEM, Ori e argenti…, 2010, p. 98. []
  54. Arma: partito: nel primo al triangolo sormontato da un sole radioso e tre fasce abbassate, il tutto d’oro; nel secondo d’azzurro al castello d’oro, sormontato da un giglio dello stesso, il tutto accollato all’aquila spiegata di nero, armata, imbeccata e coronata d’oro (G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte…, 2003, p. 96). []
  55. M.C. DI NATALE, Il Tesoro della Cattedrale…, 2001, p. 33; EADEM, Ori e argenti…, 2010, pp. 97-98. []
  56. Arma: inquartato: nel primo e quarto d’azzurro, con una fascia, sormontata da un leone nascente coronato, accompagnata in punta da tre bisanti allineati in fascia, il tutto d’oro; il secondo d’azzurro, con quattro sbarre d’argento, accompagnate da nove rose dello stesso, disposte 1, 2, 3, 2, 1; il terzo di rosso, al braccio vestito di verde movente dal capo, impugnante con la mano di carnagione un morso di cavallo d’oro (G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte…, 2003, p. 97). []
  57. Arma: partito: nel primo d’argento, alla croce trifogliata di due traverse, caricata dal PAX a lettere grandi di nero, piantata sul monte di tre cime dello stesso, che è dei Benedettini; nel secondo d’azzurro, al ciliegio sradicato di verde, sinistrato da un leone contro rampante, coronato d’oro e sormontato da tre stelle a sei raggi (G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte…, 2003, p. 98). Per lo stemma della congregazione dell’ordine, G. ZAMAGNI, Il valore del simbolo…, 2003, pp. 33-34. []
  58. Arma: d’azzurro, al monte di tre cime al naturale movente dalla punta, sormontato da un leone, accompagnato nel cantone destro del capo da una stella [6] e in quello sinistro da un giglio, il tutto d’oro) (G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte…, 2003, p. 98). []
  59. Arma: d’azzurro, allo scaglione d’argento accompagnato in capo e in punta da tre stelle [6], poste 2, 1, e la fascia pure d’argento attraversante sul tutto (G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte…, 2003, p. 98). []
  60. Arma: di rosso, a due grifoni di nero contro rampanti ad una colonna dorica d’argento, cimata da una corona d’oro, e la campagna diasprata o rabescata di verde (G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte…, 2003, p. 99). []
  61. Arma: di rosso, al ramo di carpine al naturale, fiorito d’oro, accompagnato da una stella [5] posta nel cantone destro del capo (G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte…, 2003, p. 99). []
  62. Arma: spaccato, di nero e d’argento, al leone dell’uno nell’altro, linguato di rosso, guardante un giglio d’oro (G. TRAVAGLIATO, Lo stemma e l’opera d’arte…, 2003, p. 99). []