maurosebastianelli@hotmail.com – franco.palla@unipa.it
Arti decorative tra scienza e restauro – Le sculture lignee siciliane
DOI: 10.7431/RIV02052010
La conoscenza dell’opera d’arte
Un corretto approccio richiede un’approfondita fase di studio su base scientifica e articolata in: contestualizzazione storico-artistica (epoca, autore, committente) mediante confronto tra fonti antiche (a stampa o manoscritte) e studi più recenti; identificazione dei materiali impiegati da artisti e artigiani, per verificarne l’eventuale provenienza (supporti, strati preparatori, pigmenti, leganti, dorature, strati di finitura e vernici); riconoscimento degli strumenti utilizzati e delle tecniche esecutive; valutazione dello stato di conservazione; l’individuazione di eventuali interventi precedenti.
Appare dunque evidente l’importanza della conoscenza sia dei processi tecnici seguiti da artisti diversi per la realizzazione dei loro capolavori, sia dell’evoluzione e dello sviluppo nel tempo dei metodi, che a volte rimangono molto legati alla tradizione, altre volte sono profondamente rinnovate come frutto di continui cambiamenti e sperimentazioni.
Proprio per queste ragioni, attraverso confronti e valutazioni tecniche aggiunte a quelle di tipo stilistico e figurativo, spesso si possono chiarire alcuni dubbi circa l’attribuzione incerta di un’opera a un autore, piuttosto che a una scuola o al contesto artistico.
Nel caso dei manufatti di arte decorativa, lo studio deve essere condotto su più livelli partendo da una prima e generale distinzione in merito alla natura, organica o inorganica, dei diversi materiali e procedendo in modo sempre più approfondito e dettagliato, soprattutto per opere polimateriche e manufatti arricchiti da raffinate finiture e decorazioni, che richiedono particolare cura nell’affrontare i problemi legati alla loro conservazione. Quindi per una completa valutazione delle opere d’arte si deve considerare anche l’epoca di realizzazione strettamente connessa alla tecnica esecutiva; infatti, uno stesso materiale può mostrare comportamenti differenti in relazione alle modalità di impiego, alla lavorazione, al tipo di tecnica costruttiva, alla combinazione con altri materiali, ecc.
Inoltre, è indispensabile riconoscere le diverse forme di alterazione e soprattutto le cause che le hanno determinate, al fine di elaborare una strategia corretta per arrestare o rallentare i processi di deterioramento.
Analogamente è di fondamentale il riconoscimento di passati interventi in quanto, in determinate condizioni, i materiali impiegati possono innescare nuovi fenomeni di degrado ed essere non adeguati o conformi ai criteri del restauro moderno1.
Ai fini conoscitivi è molto importante anche il contributo da indagini scientifiche che, nell’ambito della diagnostica applicata ai beni culturali, rappresentano un ulteriore momento di acquisizione di informazioni e costituiscono un valido supporto per il buon esito di un intervento di restauro2.
Infatti, mentre in passato l’approccio era principalmente di natura storico-artistica, oggi esistono varie metodologie specifiche che permettono di indagare la materia, la sua evoluzione e trasformazione nel tempo e i fenomeni chimici, fisici e biologici che ne causano il degrado, ricorrendo all’impiego di indagini non invasive3. La scelta del numero e della tipologia di analisi deriva dalla concreta esigenza di ottenere informazioni specifiche in merito al manufatto in esame, preferendo quelle effettivamente utili per lo studio dell’opera e programmando opportunamente i punti di prelievo per il campionamento; è necessario prelevare il minor numero di campioni, che siano al tempo stesso di dimensioni minime e rappresentativi.
Un aspetto importante è l’elaborazione dei dati ottenuti, che devono essere contestualizzati e messi in relazione al manufatto in esame; infatti, qualsiasi analisi sarebbe priva di significato se non venissero considerate le trasformazioni indotte sia dal naturale ed inevitabile invecchiamento, che da interventi effettuati in passato.
In questa prospettiva la documentazione dei dati acquisiti si pone come il naturale completamento della fase conoscitiva, da intendersi quindi come un momento preliminare all’intervento conservativo e non come sterile registrazione di informazioni a conclusione del restauro.
Essa inoltre può rappresentare anche un utile strumento di divulgazione e correlazione tra i vari settori disciplinari, attraverso pubblicazioni e convegni scientifici; in tal senso è auspicabile l’utilizzo di un linguaggio il più possibile universale e, in ambito grafico, l’adozione di un sistema di segni e simboli codificati, per agevolare la lettura e la comprensione dei dati4.
Una documentazione completa deve essere schedografica, grafica e fotografica; l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro di Roma (ex ICR) ha elaborato un modello di scheda, anche informatizzata5.
La scheda è articolata in una ricca e dettagliata serie di campi suddivisi per categorie, in cui le voci riportate si riferiscono a specifiche tipologie di materiale, prendendo in considerazione: i dati di riferimento dell’opera, la modalità di ispezione e indagini diagnostiche, le caratteristiche di esposizione, i dati tecnico-conservativi, la descrizione dei materiali e delle procedure di restauro, l’identificabilità degli interventi.
La documentazione grafica consiste nell’elaborazione, mediante l’utilizzo di software specifici (ad esempio AutoCAD), di rilievi grafici e tavole tematiche dettagliate, finalizzata alla rappresentazione e alla visione immediata di tutti i dati relativi agli aspetti formali, tecnici e conservativi di un’opera6.
Similmente alla scheda e secondo un criterio scientifico, le tavole tematiche di accompagnamento alla documentazione sono sviluppate secondo la divisione in quattro principali categorie: tecniche esecutive, stato di conservazione, interventi precedenti e intervento di restauro (eventualmente con campionamenti e indagini diagnostiche); ciascuna di esse può essere suddivisa nei sottoinsiemi comprendenti il supporto e gli strati preparatori e pittorici7.
Infine, è necessaria una completa indagine fotografica realizzata, con luce diffusa e radente sia nel visibile sia nell’ultravioletta sia nell’infrarosso, oltre a documentare le diverse operazioni svolte durante l’intervento di restauro e (Figg. 1–2).
Metodologia di intervento per i manufatti di arte decorativa
La conservazione dei manufatti d’arte decorativa, spesso connotati da un carattere devozionale, si inserisce in un quadro piuttosto complesso, soprattutto per i casi in cui l’intervento preveda anche il recupero della funzionalità dell’opera. I manufatti lignei, ad esempio, costituiscono una categoria molto ampia che comprende oggetti con funzioni differenti e specifiche, quali elementi architettonici (coperture, soffitti, porte, infissi), arredi civili (sedie, divani, cornici, tavoli, librerie) o ecclesiastici (altari, simulacri, macchine processionali), strumenti musicali (organi, strumenti a fiato e a corda), attrezzi da lavoro, ecc.
La varietà tipologica di queste opere, le condizioni conservative e le differenti destinazioni d’uso ne rendono complessa la conservazione, che mira al recupero del pregio artistico ma anche del prezioso valore storico e antropologico.
Tuttavia, in passato, questa categoria di beni, troppo a lungo considerata una forma d’arte “minore”, è stata sottoposta a interventi conservativi molto invasivi e impensabili per le opere di stampo più tradizionale. Si tratta, infatti, di veri e propri rifacimenti di parti mancanti, di complete sostituzioni o di estese ridipinture, giustificate dalla ricerca dell’originario splendore o dell’antica funzione devozionale dell’opera.
Al contrario, quando si eseguono operazioni di conservazione e restauro su un manufatto storico-artistico, bisogna mantenere sempre il medesimo approccio, indipendentemente dalla categoria di appartenenza del bene su cui s’interviene, sia esso un dipinto su tavola o tela, una scultura in marmo, un affresco o un oggetto d’arte decorativa, applicando di volta in volta i concetti delle principali teorie, prima tra tutte quella di Cesare Brandi, uniti ai moderni criteri scientifici.
Fortunatamente in tempi recenti si è finalmente posta la giusta attenzione ai manufatti di arte decorativa, che mostrano spesso un precario stato di conservazione spesso legato al cambiamento della destinazione d’uso8.
La progettazione della metodologia da seguire per le diverse fasi di un restauro viene effettuata in seguito ad un approfondito studio delle varie soluzioni possibili, per giungere all’individuazione dei sistemi meno invasivi e più compatibili, e per garantire le condizioni necessarie per un’adeguata conservazione del manufatto negli ambienti di custodia.
Il corretto restauro conservativo di un’opera d’arte dovrebbe prevedere interventi mirati sulle varie forme di degrado manifeste, oltre che sulle cause che le hanno provocate, in modo da prevenire il più possibile alterazioni future, spesso evitabili con un’adeguata manutenzione. Talvolta, però, s’ignora che l’intervento di restauro è di per sé un atto traumatico per l’opera proprio perché si va ad agire con materiali e metodologie, che sebbene compatibili e non invasive, sono estranei ai materiali costitutivi del manufatto stesso.
La stessa pulitura, finalizzata alla rimozione di materiali alterati e di sostanze accumulate nel tempo o soprammesse, che ostacolano la leggibilità dell’opera, può avere effetti negativi sul manufatto; quest’operazione molto delicata è intrinsecamente irreversibile9. Per garantire un intervento selettivo è doveroso eseguire numerosi test preliminari per la scelta del sistema più efficace, escludendo a priori i prodotti caratterizzati da una forte aggressività nei confronti del manufatto e da un alto grado di tossicità per l’operatore (Fig. 3).
Non meno importante è l’aspetto della conservazione preventiva, realizzata mediante il mantenimento delle adeguate condizioni climatiche e microclimatiche per l’opera e per l’ambiente di conservazione/fruizione10.
I recenti restauri di alcune statue lignee realizzate in Sicilia offrono un esempio di un possibile corretto intervento su opere d’arte decorativa, mostrando il pregio di tali manufatti oltre che la complessità delle problematiche affrontate, che certamente possono essere paragonate a quelle da affrontare per le opere d’arte “maggiore”.
Attraverso questi esempi si può comprendere la necessità di conoscere in modo completo il manufatto prima di procedere all’intervento, di scegliere opportunamente le indagini scientifiche adatte a ciascun caso specifico, di rispettare le caratteristiche storiche del manufatto e al tempo stesso di restituire un’immagine godibile, di impiegare prodotti ampiamente studiati e sempre compatibili con la materia antica, di seguire costantemente i criteri di selettività, riconoscibilità e reversibilità dell’intervento (Figg. 4–5a e b).
San Nicola di Mira del Museo Diocesano di Palermo
Il restauro della statua lignea di San Nicola di Mira del Museo Diocesano di Palermo è il risultato di una collaborazione tra diverse professionalità, che evidenzia l’importanza del contributo offerto dalle indagini scientifiche per l’acquisizione d’informazioni di tipo storico, per la caratterizzazione dei materiali e delle tecniche impiegate, per la diagnosi delle cause e delle forme di degrado. Tutto ciò ha permesso di eseguire un intervento basato sulle moderne teorie del restauro e ha consentito il recupero dell’originalità dell’opera, mantenendone inalterati i segni del tempo (Figg. 6–7)11.
La statua lignea, proveniente dalla Chiesa di San Nicolò Lo Gurgo e datata alla prima metà del XVI secolo, è attribuita allo scultore palermitano Giovanni Gili e al pittore napoletano Mario di Laurito.
L’opera raffigura il santo in posizione eretta, in atteggiamento benedicente e il sacro testo sostenuto lungo il fianco, vestito con un abito liturgico dorato e dipinto, accuratamente definito e ricco di dettagli.
Il manufatto è scolpito e finemente intagliato, come dimostrano i numerosi segni di lavorazione lasciati sulla superficie dagli strumenti utilizzati, quali lo scalpello e la sgorbia. Lo studio dei materiali e delle tecniche ha mostrato il particolare pregio della statua, realizzata secondo le procedure indicate dalle principali fonti artistiche12. È possibile rilevare la presenza di colle e resine per impermeabilizzare il legno di supporto, oltre che gli strati preparatori noti con i nomi di impannatura 13 e ammannitura 14.
Allo stesso modo le tecniche pittoriche sembrano conformi alle metodologie dei secoli XV-XVI riportate nei manuali15. Per l’incarnato si riscontra l’uso di una base di giallo ocra, la cui analisi mostra una tecnica particolarmente elaborata per il periodo, e di stesure successive per velatura di tutte le gradazioni tonali dal bianco al rosso, per la definizione e la verosimiglianza dei modellati.
Le vesti sono invece interamente decorate con lamina d’oro, applicata su un’apprettatura a guazzo sopra di uno strato di bolo armeno; sono inoltre visibili i segni di una raffinata lavorazione secondo la tecnica graffita e quell’incisoria, eseguita con l’ausilio di ceselli, ad una e a quatto punte, per definire il disegno e le campiture.
Infine, si riscontra l’impiego di pigmenti trasparenti, come le lacche, per impreziosire ulteriormente alcuni particolari, oltre a una vera e propria velatura di gommalacca sull’intera superficie.
Le numerose analisi preliminari eseguite su frammenti della statua di San Nicola di Mira hanno avuto lo scopo di verificarne lo stato di conservazione e acquisire una maggiore e più approfondita conoscenza dell’opera, sia per quanto riguarda la tecnica di esecuzione dell’apparato scultoreo sia per le numerose lavorazioni superficiali, policrome e dorate.
La campionatura per il riconoscimento delle essenze lignee è stata effettuata su frammenti di materiale originale prelevato dalle vistose lacune del manufatto, le analisi chimiche e stratigrafiche invece sono state condotte sui numerosi frammenti di materiale preparatorio e pittorico che, raccolti alla base del manufatto, non presentavano le condizioni per una ricollocazione nella loro sede originaria.
L’identificazione della specie legnosa è stata eseguita tramite osservazioni al Microscopio Ottico (MO) e al Microscopio Elettronico a Scansione (SEM), che hanno consentito di indicare il legno come appartenente ad una Latifoglia, in particolare al genere Tilia sp., famiglia Tiliaceae, comunemente denominato Tiglio. Dalle immagini SEM è altresì evidente il profondo stato di disgregazione della cellulosa e dei vasi xilematici (Fig. 8)16.
Le indagini mirate alla caratterizzazione dei materiali pittorici (pigmenti, strato di preparazione e vernici) sono state effettuate mediante la spettroscopia vibrazionale infrarossa in Trasformata di Fourier (FT-IR): è stato quindi possibile confermare che lo strato rosso, rinvenuto sotto la doratura, è costituito da bolo armeno contenente anche piccole quantità di ossalato di calcio e gesso e che la preparazione bianca sottostante è costituita da gesso e materiale proteico (colla). Inoltre, tramite l’osservazione al MO delle sezioni stratigrafiche, si sono potuti determinare il numero e gli spessori dei diversi strati preparatori e pittorici (da due a tre strati, inferiori a 1mm) (Fig. 9); il pigmento azzurro presente su un campione analizzato è stato identificato come azzurrite, con la presenza anche di un altro minerale, probabilmente atacamite o paratacamite (minerali contenenti rame, di colore verde scuro, che potrebbero essere mescolati con altri pigmenti per dare riflessi verdastri)17.
San Vito del Museo Diocesano di Palermo
Lo studio e il restauro conservativo della statua lignea raffigurante San Vito, del Museo Diocesano di Palermo (Fig. 10), ha permesso di contestualizzare l’opera e di inserirla nell’ambito della produzione locale che risente di forti influenze (in particolare del Cinquecento) sia spagnole sia napoletane tipiche dell’area mediterranea e siciliana.
Riguardo le tecniche di esecuzione, è stata riscontrata una notevole abilità da parte di chi ha eseguito sia la parte scultorea sia quella pittorica, ed in particolare è stato possibile approfondire lo studio della decorazione eseguita tramite ceselli di diversa forma e dimensione.
Inoltre, l’intervento di restauro ha consentito il recupero e la messa in sicurezza dell’opera, nel rispetto della storia e dei segni del tempo restituendo la leggibilità della materia originale, riportando alla luce i contrasti cromatici, la brillantezza dell’oro, la ricchezza delle decorazioni e la raffinatezza degli intagli18.
La scultura lignea policroma e dorata, datata 1532, proveniente dall’oratorio di San Vito di Palermo è opera dello scultore Giovanni Gili.
Il santo, raffigurato in posizione eretta e frontale sopra una base ottagonale, affiancato da un cane e un leone, indossa ricche vesti rinascimentali secondo la tradizionale iconografia latina.
L’artista ha utilizzato come supporto due differenti essenze lignee appartenenti alla Latifoglie: Tiglio (genere Tilia, famiglia delle Tiliaceae) per la statua e i due animali, Pioppo (genere Populus, famiglia delle Salicaceae) per la base ottagonale19. L’intero manufatto è costituito da numerosi elementi assemblati e vincolati tramite una serie di perni lignei a sezione piramidale e chiodi metallici di fattura artigianale. Il supporto, scolpito e intagliato con scalpelli e sgorbie, presenta un trattamento con colle animali, allo scopo di dotare il legno di uno strato impermeabilizzante preliminare alla stesura della preparazione.
L’opera presenta una parziale impannatura in tela di lino ad armatura tela 20, applicata con colla animale in corrispondenza delle commettiture degli elementi assemblati, e un’ammannitura di colore bianco, applicata a pennello su tutta la superficie. Per le parti interessate dalla decorazione con foglia d’oro, sopra gli strati preparatori, è presente una stesura di bolo armeno di colore rosso-bruno, sottile e di spessore variabile.
La base e le vesti sono decorate mediante foglia d’oro secondo la tecnica della doratura a guazzo 21, come confermato dalle analisi. In seguito, l’artista ha realizzato le decorazioni tramite la sovrapposizione di stesure pittoriche spesse e uniformi, con pigmenti stemperati in legante oleoso22.
Per la scultura di San Vito si è rivelato particolarmente interessante lo studio del prezioso decoro a motivi vegetali e floreali, relativo al ricco abbigliamento tipicamente rinascimentale, che mostra un trattamento pittorico conforme alla tradizionale tecnica a estofado, molto frequente in altri esempi coevi prodotti nell’Italia meridionale23.
L’abilità dell’autore si apprezza dalla particolare resa realistica dei ricami che appaiono spesso irregolari o non perfettamente combacianti nelle cuciture della veste, alla ricerca di un verismo che nasce da un attento studio di tessuti ricamati.
I motivi decorativi sono stati disegnati mediante una lavorazione incisoria della lamina d’oro, seguendo un disegno preparatorio realizzato con l’ausilio di un’incisione diretta (Figg. 11–12). Sono stati impiegati tre diversi ceselli a punta singola con testa arrotondata, di diversa grandezza: il cesello a punta circolare singola con diametro › di 1mm è stato impiegato per definire il disegno principale del motivo floreale; con diametro ‹1 mm per realizzare le campiture interne; il terzo con testa tonda a quattro vertici a sezione triangolare e un diametro di 2mm per arricchire alcuni dettagli.
Un’ulteriore decorazione è stata eseguita sia nei motivi floreali sia in alcune porzioni del fondo impiegando un cesello a doppia punta piatta, che lascia sulla superficie coppie di piccoli segmenti paralleli di circa 2mm di lunghezza e distanti tra loro poco meno di 1mm (Fig. 13).
Infine, il disegno floreale è stato impreziosito con velature di lacca rossa leggere e trasparenti, mentre per le maniche e la cinta è stato impiegato un pigmento verde brillante.
Per il mantello, invece, è riconoscibile una decorazione a motivi floreali realizzati sul risvolto interno mediante la tecnica graffita: essa consiste in una raffinata procedura in cui, per la resa del decoro nelle aree interessate, viene sfruttata la combinazione di due colori, in particolare l’oro della foglia e il pigmento azzurro24, applicato al di sopra con diverse e leggere stesure. L’autore ha quindi asportato meccanicamente parte del colore asciutto, recuperando la doratura secondo uno schema predefinito, così da ottenere il disegno per sottrazione del colore.
La medesima tecnica è riscontrabile nella decorazione del libro e nell’iscrizione diretta non originale, realizzata con caratteri latini.
Questa procedura prevede, infine, l’applicazione di uno o più strati di resine naturali applicati su tutta la superficie, con funzione decorativa oltre che protettiva25.
Madonna di Monserrato del Museo Diocesano di Palermo
La scultura lignea, oggetto di studio e restauro26, raffigura la Madonna di Monserrato seduta sul trono con il Bambino Gesù (Fig. 14). Essa, di autore ignoto e databile tra la fine del XVI secolo e gli inizi del XVII, non rivela aspetti puramente localistici e provinciali della realtà siciliana, ma sembra essere frutto di una molteplicità di influenze tipiche del Mediterraneo, per le affinità con alcune componenti artistiche importate dalla dominazione spagnola.
La statua, interamente dorata e dipinta, è poggiata su un basamento a base esagonale la cui irregolarità nelle dimensioni suggerisce una correzione prospettica, per facilitarne la lettura dal basso all’interno dell’originaria collocazione in una nicchia a volta semicircolare, nell’abside della chiesa della Madonna di Monserrato nei pressi del Castello a mare di Palermo27. Il Bambino, seduto sulle ginocchia della Madonna, tiene il Globo nella mano sinistra, mentre la destra è alzata in segno di benedizione. La Madonna tiene la mano sinistra sulla spalla del Bambino e il pomo imperiale nella mano destra.
In epoca successiva, probabilmente alla fine del XVII secolo, è stato dipinto sul verso del trono il simbolo della Madonna di Monserrato: il monastero-santuario di Montserrat ai piedi di un monte dalle cime aguzze simbolicamente tagliate da una sega retta da angeli.
L’opera si trova oggi esposta in una sala del Museo Diocesano di Palermo, dove fu trasferita a seguito del bombardamento americano del 9 maggio del 1943, che distrusse la chiesa eponima, suo luogo d’origine28.
Il manufatto scolpito e intagliato è costituito da diversi elementi in legno di Pioppo (Populus sp.) assemblati tra loro mediante l’impiego di colla, chiodi e perni metallici. La statua è costituita probabilmente da un tronco centrale relativo alla Madonna, da un blocco più piccolo, da cui è stato ricavato il Bambino e da tavole di dimensioni e spessori diversi, utilizzate per la base e il trono; a questi elementi principali si aggiungono porzioni più piccole impiegate per la realizzazione del pomo, del braccio benedicente del Bambino e della mano della Madonna.
Anche in questo caso la statua presenta una preparazione, probabilmente a base di gesso e colla animale, di colore giallino o con una pigmentazione di rosa per gli incarnati e, attraverso l’osservazione di alcune lacune, è stata riscontrata anche l’operazione di impannatura in tela.
Le vesti e i lati del trono sono decorati con lamina composta da oro impuro, argento e rame, visibile mediante sottrazione con tecnica graffita a estofado di un pigmento verde-blu di tonalità scura.
Questa tecnica prevede l’applicazione di foglia d’argento, pigmentata con velature di colore giallo e successive stesure di resine naturali per conferire alla superficie tonalità dorate, alternate a fasi pittoriche per la realizzazione dei decori tessili (Fig. 15). Si trovano analogie in decorazioni policrome coeve a imitazione di stoffe pregiate (velluti cesellati, damaschi classici e broccati) adottate in Spagna e nell’Italia vicereale, in cui però i moduli più ricorrenti (a rete, a formella, a maglia, a motivi geometrici, a ramages, a fiore) non rispettano fedelmente i motivi della manifattura tessile29.
Altre informazioni derivano dai motivi vegetali e geometrici dipinti su materiali particolari come la pelle e il cuoio, ornati con ceselli30, opera di abili artisti e artigiani della Spagna (Toledo, Barcellona e Cordoba) del XVI secolo, la cui produzione si diffuse anche in Olanda e in Italia (Fig. 16)31.
Si può affermare che gli artisti rispettavano in modo abbastanza dettagliato le forme e gli accessori dell’abbigliamento liturgico per la rappresentazione dei panneggi, mentre a livello decorativo maggiore spazio era lasciato alla fantasia, in linea con lo spirito della controriforma che animava questo tipo di produzione funzionale in occasione delle frequenti manifestazioni devozionali.
Nella statua della Madonna di Monserrato le decorazioni tessili a motivi vegetali e geometrici sono realizzate mediante incisioni dirette per la definizione dei disegni e un puntuale trattamento a cesellatura tramite punta circolare media nelle linee principali; il manto presenta inoltre un simbolo mariano, la stella a otto punte, entro maglie a trama larga (Fig. 17).
Anche nel manto del Bambino e il colletto della veste si riscontrano sottili incisioni superficiali, leggere e approssimative, che hanno la funzione di disegno guida per la successiva cesellatura, eseguita con uno strumento sottile e a quattro punte.
Lo studio dei segni lasciati dai ceselli evidenzia una lavorazione pittorica particolarmente ricca, ma relativamente minuziosa, vicina a quella dei retablos catalani eseguiti da maestri come Jaume Huguet, Pere Garcìa de Benavarri o Joan Gascò, attivi tra il XV e il XVI secolo32.
San Nicola della chiesa di San Rocco di Partanna (TP)
L’intervento di restauro della statua lignea raffigurante San Nicola di Mira (Fig. 18) è stato un’occasione di studio che ha permesso di identificare alcuni interventi di rifacimento a livello strutturale e stilistico, che ne hanno modificato l’aspetto originario allo scopo di adeguarlo ai cambiamenti del gusto e alle nuove richieste iconografiche, adottate nel corso dei secoli in occasione delle frequenti trasformazioni dei manufatti liturgici33.
L’analisi dei materiali impiegati e delle tecniche di esecuzione è stata condotta in conformità a confronti stilistici e attraverso la documentazione di archivio. Ciò ha consentito una valutazione critica delle metodologie applicate e dell’evoluzione stilistica dell’opera, riconoscendo nello specifico due fasi d’intervento da riferire al XVII e al XIX secolo, a testimonianza dell’importanza delle regole artigianali tipiche della cultura artistica nella Sicilia occidentale.
In fase di restauro le metodologie da adottare per il recupero dell’opera sono state attentamente valutate, con l’obiettivo di poter ristabilire una più omogenea unità di lettura, eliminando le superfetazioni moderne, inutili dal punto di vista conservativo ed artistico. La presenza di una rilevante stratigrafia sull’opera ha indotto a eseguire una pulitura selettiva del manufatto, cercando di recuperare gli elementi stilistici di maggior rilievo, quale la foglia d’oro cesellata sul verso, accordandola alla ridipintura seicentesca mantenuta sul recto.
La scultura lignea policroma, conservata presso la chiesa di San Rocco del comune di Partanna (TP), è stata realizzata nel 1574 dallo scultore Antonino Rizzo di Chiusa Sclafani, per volere di Michele La Planeta, come dichiarato da un atto notarile.
Il santo è rappresentato in posizione eretta e frontale mentre impugna con la mano sinistra il pastorale, con il ginocchio destro inclinato e il braccio proteso in avanti in atteggiamento benedicente. Le sproporzioni anatomiche riscontrate nelle dimensioni di alcune parti del corpo (busto, mani, testa) sono da riferire probabilmente all’elevata sistemazione originaria dell’opera. La statua, prima dell’intervento di restauro, presentava una veste di colore beige chiaro, con decorazioni dorate giraliformi e cingolo, su cui poggia una lunga stola rossa orlata e decorata, e un ampio manto nero, il piviale, agganciato sul petto mediante una fibbia dorata.
La tipologia d’intaglio, le finiture policrome e la ricca lavorazione a ceselli denotano le capacità tecniche dell’artista, le esigenze religiose e il prestigio dell’agiata committenza dell’epoca.
L’opera è realizzata interamente in legno attraverso l’assemblaggio dei diversi elementi, in precedenza sbozzati e intagliati, mediante perni lignei, alcuni dei quali sostituiti o accompagnati da elementi metallici di diversa grandezza, impiegati nel corso dei successivi restauri.
Il supporto non presenta particolari trattamenti preparatori per la stesura della pellicola pittorica, fatta eccezione dell’impannatura in tela di lino ad armatura tela, con filato serrato o con riduzione più rada e spessa, tutto in relazione alle esigenze tecniche delle varie parti, alla resa dei volumi e degli elementi di natura essenzialmente decorativa.
L’intera superficie è stata originariamente trattata con una preparazione molto sottile a base di gesso e colla animale sotto le finiture pittoriche, anche queste di esiguo spessore. È inoltre presente una doratura a guazzo con foglia d’oro applicata su una preparazione a bolo, arricchita da una ricercata lavorazione della lamina metallica e visibile dalle limitate zone originali sul verso del mantello: s’individua una composizione a motivi floreali definiti con un cesello a punta singola, impiegato a 90°, 45° e 135° per creare maggiori effetti chiaroscurali34. Nel camice, nella mitra e sullo scudo le decorazioni sono state realizzate con la tecnica a sottrazione, impiegando luminose cromie quali verde, rosso e blu su fondo dorato.
Per quanto riguarda il recto della scultura, sono state rinvenute solo poche tracce della doratura originale a causa del pessimo stato di conservazione e probabilmente del mutato gusto devozionale, che ha comportato un cambiamento della decorazione attraverso l’applicazione di nuove fasi pittoriche con tecniche esecutive diverse, come la meccatura su lamina di argento, sostituita successivamente dall’impiego della porporina come rifinitura dei decori.
Il primo intervento di rifacimento eseguito sulla scultura risale al 4 gennaio del 1686 per opera dello scultore mazarese Silvestro Ratto. L’intervento ha determinato una trasformazione della decorazione sia nello stile sia nel colore e ha coinvolto solo gli strati pittorici, in particolare il recto e la mitra, mentre il verso probabilmente si manteneva ancora in buono stato di conservazione.
Le vesti, in origine dorate, sono state interamente ridipinte con uno spesso strato di pigmento bianco sul quale è stata realizzata la nuova decorazione giraliforme di colore rosso-bruno. Questa colorazione è stata impiegata come base per il successivo trattamento a meccatura con foglia d’argento, individuata per mezzo di alcuni frammenti ricoperti da gommalacca per riprodurre l’effetto dorato, ritrovati in prossimità dei profili (Fig. 19)35.
La mitra è stata pigmentata di rosso, lasciando in oro solo i bordi in rilievo, il piviale e la stola riportano una decorazione floreale ottenuta mediante la tecnica a sottrazione, mentre la parte interna del piviale presenta solamente una campitura dorata. I mutamenti del gusto estetico possono avere determinato un cambiamento nei motivi ornamentali del manto e della stola, che non riprendono il disegno sottostate, realizzati con pigmento rosso differenziandosi dalla policromia originale. Analogamente il volto, i capelli e la barba sono stati ridipinti senza l’interposizione di un nuovo strato preparatorio, ma in questo caso sono state rispettate le cromie originali, anche se i toni appaiono più corposi e opachi.
Questi primi rifacimenti hanno determinato profonde modifiche, sia nella definizione cromatica del recto sia nella destinazione d’uso, non più legata all’antica funzione processionale.
Il secondo intervento individuato, sicuramente databile al XIX secolo e di cui non si conosce l’autore, ha interessato sia gli strati pittorici e preparatori, che i supporti tessili e lignei, differenziandosi dal precedente per i materiali impiegati e per le tecniche esecutive.
In questo caso le motivazioni sono da ricercare a livello strutturale più che devozionale: le cromie infatti ripropongono le decorazioni a girali del primo intervento, ma con toni più scuri ed elementi stilizzati.
Per migliorare le condizioni strutturali del manto sono state modificate le sagome delle due assi laterali, vincolate alla struttura adiacente mediante elementi metallici, rinforzando i punti di giunzione con fasce di tessuto36 , incollate direttamente al legno. In seguito la parte retrostante e i due lati del mantello sono stati interamente ridipinti con una stesura di tempera nera, applicata direttamente sulla superficie senza strati preparatori intermedi (Fig. 20).
Il recto dell’opera è stato ulteriormente ridipinto con nuove cromie, pur tenendo in considerazione le decorazioni sottostanti. In questo caso l’effetto dorato è dato dall’impiego della porporina37 anche sulla parte interna o sulle pieghe laterali del mantello e sulla mitra, in cui rimaneva ben poco delle decorazioni del XVII secolo (Fig. 21). Le chirothecae, i calzari e l’intero volto sono stati ridipinti secondo tonalità cromatiche poco più scure delle sottostanti, ma particolarmente evidenti a causa degli spessi strati di vernice protettiva soprammessi.
- Si tratta spesso di operazioni dal carattere prettamente artigianale, legate al rinnovamento dell’opera o al suo adeguamento a un nuovo gusto. Questo fenomeno è piuttosto diffuso, soprattutto nel caso di manufatti di natura devozionale o decorativa che spesso presentano una complessa stratificazione, determinata dalla stesure di varie ridipinture, allo scopo di riportare l’opera ad un aspetto sempre “nuovo”, occultando i segni naturali del trascorrere del tempo e modificandone profondamente l’aspetto originario. [↩]
- L. Campanella, A. Casoli, M.P. Colombini, R. Marini Bettolo, M. Matteini, L.M. Migneco, A. Montenero, L. Nodari, C. Piccioli, M. Plossi Zappala, G. Portalone, U. Russo, M.P. Sammartino, Chimica per l’arte, Milano 2007; M. Sebastianelli, L’intervento di recupero, in Chiesa delle Anime Sante. La “gioia di Bagaria” – Il Restauro – testimonianze storiche e diagnostiche, a cura di M. Rotolo – M. Sebastianelli, Palermo 2006, pp. 106-107. [↩]
- Si possono applicare alcuni sistemi analitici per valutare anche i materiali usati nel restauro (soprattutto quelli nuovi in fase di sperimentazione) e per controllare sia il mantenimento dell’intervento conservativo sia le condizioni microclimatiche e illuminotecniche in cui si trova il manufatto. M. Matteini – A. Moles, Scienza e restauro – Metodi di indagine, Firenze 2003, pp. 5-19. [↩]
- In questo modo si potrebbero evitare errori, fraintendimenti e contraddizioni, dovuti alla mancanza, ancora oggi, di una terminologia standard di riferimento per la definizione sia delle tecniche esecutive sia delle forme di degrado. Ad esempio nel caso dei manufatti lignei è ancora assente un linguaggio Normal da considerare come riferimento, a differenza di quanto avviene per i materiali lapidei. [↩]
- In molte realtà museali spesso la catalogazione delle opere, quando presente, non risulta aggiornata, perché non va oltre il semplice inventario o è basata su “personali note discorsive”, a cui in passato si era fatto ricorso ma che oggi risultano di non facile consultazione e soprattutto non correlabili, in quanto soggette alla discrezione, alla capacità di analisi e di sintesi del singolo individuo. Nel corso degli anni e delle esperienze il primo prototipo di scheda tecnica è stato sviluppato ed elaborato, adeguandolo alle diverse esigenze ed alle nuove apparecchiature disponibili. [↩]
- I vantaggi di questi rilievi informatizzati sono rappresentati, ad esempio, dalla possibilità di localizzare con estrema precisione tutti i particolari infinitesimali anche su manufatto di grandi dimensioni e di indicare le diverse informazioni singolarmente o in sovrapposizione ad altre per mezzo di un sistema di simboli grafici sempre riconoscibili. [↩]
- M. Sebastianelli, L’intervento di recupero, 2006, pp. 99-106. [↩]
- Già nel 1988 Maria Concetta Di Natale aveva evidenziato la necessità di includere questa tipologia di manufatti nell’ambito della conservazione e restauro: Arti decorative a Palermo. Problemi di conservazione e restauro, a cura di M.C. Di Natale, Palermo 1988. sull’argomento si veda anche: Il mobile barocco in Italia. Arredi e decorazioni d’interni dal1600 al 1738, a cura E. Colle, Milano 2000; La cornice italiana, a cura di F. Sabatelli, Milano 1992; Dizionari terminologici. Suppellettile ecclesiastica I, a cura di B. Montevecchi – S. Vasco Rocca, Firenze 1988; Splendori di Sicilia. Arti decorative in Sicilia dal Rinascimento al Barocco, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001. [↩]
- La pulitura è infatti un’operazione critica finalizzata a restituire la leggibilità di un’opera d’arte: essa consiste nella rimozione di materiali alterati che potrebbero compromettere l’integrità strutturale degli strati sottostanti senza però provocare interazioni negative con i materiali costitutivi originali. [↩]
- Per la scelta degli interventi da adottare si fa riferimento ai suggerimenti forniti dai documenti accettati dalla comunità internazionale, attraverso indicazioni della Commissione Tecnica Uni-Normal Beni Culturali, dai dispositivi nazionali ed internazionali come le Carte del Restauro (nelle loro diverse e successive stesure), oltre che dai numerosi convegni sull’argomento e iniziative. Cfr. M. Sebastianelli – M.E.Volpes – R. Lucido – F. Palla, Palazzo Mirto: da dimora aristocratica a museo regionale di Palermo. Limiti e vantaggi nella conservazione preventiva, atti del Congresso Nazionale IGIIC “Lo Stato dell’Arte 8”, Venezia 16-18 settembre 2010, pp. 423-432. [↩]
- Cfr. M.C. Di Natale – M. Sebastianelli, La statua di San Nicola di Mira del Museo Diocesano di Palermo – Studi e restauro, Palermo 2006; M.L. Amadori – M. Camaiti – M.C. Di Natale – S. Lazzeri – A. Maccotta – F. Palla – M. Sebastianelli, Indagini diagnostiche e restauro della statua lignea di San Nicola di Mira, in Arkos – Scienza e restauro dell’architettura, n. 13, Firenze 2006, pp. 40-47; M.L. Amadori – M. Camaiti – M.C. Di Natale – P. Fantazzini – C. Garavaglia – S. Lazzeri – A. Maccotta – F. Palla – M. Sebastianelli – A. Tognazzi – Approccio multidisciplinare al restauro della statua di San Nicola di Mira: un caso studio, in “PRIN 2003, La Diagnostica e la Conservazione di Manufatti Lignei” [CD-Rom], Atti del Congresso, Museo Archeologico Regionale Baglio Anselmi, Marsala, Firenze 9-11 Dicembre 2005. [↩]
- C. Cennini, Il libro dell’arte, a cura di F. Brunello – L. Magagnato, Vicenza 1971. [↩]
- L’impannatura consiste nell’applicazione di una tela sull’intera superficie o in corrispondenza delle giunzioni tra gli elementi al fine di attutire i movimenti del supporto ligneo, attenuare le incongruenze e favorire la resa dei volumi. Cfr. C. Cennini, Il libro…Capitolo CXIV. [↩]
- Questa operazione prevede l’applicazione da uno a tre strati di stucco, di spessore variabile, tra 0,5 e 1,5 mm, composto da gesso e colla animale. Lo strato più profondo, a volte costituito da due stesure, prende il nome di “gesso grosso” e risulta di maggiore spessore, poroso e composto da inerti a diversa granulometria, mentre quello più superficiale a granulometria sottile è chiamato “gesso sottile” e si presenta più coeso e compatto per la presenza di una quantità maggiore di colla. Cfr. C. Cennini, Il libro dell’arte…Capitoli CXV-CXVI. [↩]
- Per lo studio delle superfici policrome: Anonimo, Il libro dei colori – segreti del sec. XV, a cura di O. Guerrini e C. Ricci, Bologna 1969; L.B. Alberti, De pictura, a cura di C. Grayson, Bari 1975; G.P. Armenini, De’ veri precetti della pittura, in Ammaestramenti per la pittura tratti da vari scrittori, Venezia 1839. [↩]
- I campioni lignei sono stati analizzati dalla Dott.ssa A. Maccotta, Università degli Studi di Siena, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche e dei Biosistemi e dalla Dott.ssa S. Lazzeri, Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree, IVALSA-C.N.R., Sesto Fiorentino (FI). [↩]
- Le indagini sulle sezioni stratigrafiche sono state condotte dalla dott.ssa Maria Letizia Amadori, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bò”, Istituto di Scienze Chimiche. [↩]
- M. Sebastianelli, La statua lignea dorata e dipinta raffigurante San Vito. Studio e restauro, in P. Palazzotto, M. Sebastianelli , Andrea del Brescianino e Giovanni Gili restaurati al Museo Diocesano di Palermo, Museo Diocesano di Palermo. Studi e restauri, Palermo 2009, pp. 57-92. [↩]
- Le analisi sono state condotte dalla Dott.ssa Simona Lazzeri presso il CNR-IVALSA di Sesto Fiorentino (Fi). [↩]
- Le esigue porzioni di tela osservate dalle lacune degli strati pittorici non hanno reso possibile una precisa valutazione della lavorazione del filato e della riduzione del tessuto. [↩]
- «[…] Piglia una pezza di lesca di panno lino, e va’ brunendo questo bolio con una santa ragione. Ancora brunendolo con dentello, non può altro che giovare. Quando l’hai così brunito e ben netto, togli un migliuolo, presso a pieno d’acqua chiara ben netta, e mettivi dentro un’ poca di quella tempera di quella chiara dell’uovo. […] togli il tuo oro fine, e con un paio di mollette o vero pinzette piglia gentilmente il pezzo dell’oro. Abbi una carta tagliata di quadro, maggiore che ‘l pezzo dell’oro, scantonata da ogni cantone. […] E gualivamente bagna, che non sia più quantità d’acqua più in un luogo che in un altro; poi gentilmente accosta l’oro all’acqua sopra il bolio […]». C. Cennini, Il libro…, Capitolo CXXXIV. [↩]
- Sono state effettuate microanalisi al SEM/EDS e test microchimici su sezioni stratigrafiche dal Dott. Stefano Volpin (Chimico diagnosta del CESMAR7, Centro per lo Studio dei Materiali per il Restauro, Padova). Per il riconoscimento dei materiali costitutivi è stata eseguita anche la Spettroscopia Raman dal Prof. Giovanni Rizzo e l’Ing. Bartolomeo Megna, Dipartimento di Ingegneria Chimica dei Processi e dei Materiali – Università degli Studi di Palermo. [↩]
- Si osservano specifiche affinità nell’intaglio e nella raffinatezza decorativa con altri preziosi manufatti che risentono della cultura iberica, prodotti da maestranze locali in Campania, in Sicilia e in Sardegna, come per la Madonna di Bonaria, conservata nel santuario di Nostra Signora di Bonaria a Cagliari, in R. Serra, Scultura tardogotico di estrazione iberica, in Pittura e scultura dall’età romanica alla fine del ‘500, Nuoro 1990, pp. 72-75; la statua dell’Immacolata di S. Li Volsi, conservata nella chiesa di Sant’Elena di Nicosia, A. Pettineo, P. Ragonese, Dopo i Gagini prima dei Serpotta e Li Volsi, Palermo 2007, p. 163; le statue di San Vito della chiesa di Santa Maria e il San Giovanni Battista, conservata nella chiesa eponima a Corleone, così come il San Ludovico conservato nel Duomo, M.C. Di Natale, Il San Nicola di Mira del museo Diocesano, in M.C. Di Natale, M. Sebastianelli, La statua di San Nicola…, Palermo 2006, pp. 10-11; la statua di Santa Lucia, conservata nella chiesa madre di Mirto, in T. Pugliatti, Culture auliche e stile locale. Alcuni esempi di statuaria lignea siciliana fra XVI e XVII secolo, in L’arte del legno in Italia: esperienze e indagini a confronto, atti del convegno (Pergola, Palazzo Comunale, Duomo, Museo dei Bronzi Dorati, Chiesa di San Giacomo; Frontone, Castello, 2002), Perugia 2005, pp. 250-251; il busto dell’Ecce Homo, conservato nella chiesa di San Nicola di Bari, Nocara (Cs), P.L. de Castris, Sculture in legno in Calabria. Dal Medioevo al Settecento, catalogo della mostra (Altomonte, Museo Civico, 30 Luglio – 31 Ottobre 2008), Reggio Calabria 2009, pp. 163-166. Per approfondimenti sulle maestranze locali si veda: P. Palazzotto, Per uno studio sulla maestranza dei falegnami di Palermo e G. Travagliato – D. Ruffino, Gli archivi per le Arti Decorative in Sicilia dal Rinascimento al Barocco, in particolare regesti e indici della sez. II (fabri lignarii), curati da G. Travagliato, in Splendori di Sicilia…Milano 2001, pp. 678-703, 764-774. [↩]
- La Spettroscopia Raman del campione analizzato (San Vito n. 5), proveniente dalla fodera interna del mantello, ha confermato la presenza di Azzurrite. [↩]
- La gommalacca è una resina naturale applicata in passato su manufatti lignei sia dipinti che dorati; oltre a svolgere una funzione protettiva, la natura trasparente e rossastra garantiva dei risultati cromatici volti a migliorare l’effetto complessivo dell’oro. Per tale ragione gli strati protettivi sono da considerarsi come parte costitutiva dell’opera, pertanto vanno individuati e mantenuti in fase di restauro. G. Giachi, Materiali e tecniche per la qualificazione e la finitura della superficie del legno, in G. Borghini – M.G. Massafra, Legni da ebanisteria, Roma 2002, p. 331. [↩]
- M. Sebastianelli – M.L. Amadori – M. Camaiti –A. Maccotta – F. Palla, Tracce di cultura devozionale spagnola nella Palermo del ‘600: studio e restauro, Congresso Nazionale IGIIC “Lo Stato dell’Arte 5”, Cremona 11-13 ottobre 2007, pp. 411-418; M.L. Amadori – S. Barcelli – M. Camaiti – A. Maccotta – F. Palla – M. Sebastianelli – A. Tognazzi, Indagini diagnostiche della statua lignea della Madonna di Monserrato, atti del convegno La Materia e i Segni della Storia, III Convegno Internazionale di Studi “Scienza e patrimonio culturale nel Mediterraneo” Diagnostica e conservazione: esperienze e proposte per una Carta del Rischio, Palermo 18-21 ottobre 2007, in c.d.s. [↩]
- G. Palermo, Guida istruttiva per Palermo e i suoi dintorni, Palermo 1858, rist. anast. Palermo 1984, pp. 209-211. [↩]
- F. Pottino, Chiese di Palermo distrutte a causa della guerra negli anni 1941-1943, Palermo 1974, pag. 32; S. La Barbera, La scultura lignea, Palermo 1998, p. 83. [↩]
- M. Carmignani, Tessuti, ricami e merletti in Italia dal Rinascimento al Liberty, Milano 2005; P. Russo, Realitat i símbol en els vestits daurats de les escultures de fusta entre els segles setze i disset a Sícilia, in Magnificència i extravagància europea en l’art tèxtil a Sicìlia, catalogo della mostra (Palermo, Museo Diocesano di Barcellona, 2003) a cura di G. Cantelli e S. Rizzo, Palermo 2003, pp. 315- 335; M. Vitella, in Magnificència…, Palermo 2003, schede nn. 13, 53, 84, 98, pp. 598-599, 690-693, 768-769, 808-809; M.G. Messina – A. Pasolini, Modelli veri per tessuti finti. Tipologie decorative nelle stoffe dipinte, in Estofado de oro. La statuaria lignea nella Sardegna spagnola, catalogo della mostra a cura di M.G. Scano Naitza e L. Siddi, Cagliari 2001, pp. 85-93; R. Civiletto – M. Vitella, schede nn. 12, 16, Splendori di Sicilia…Milano 2001, pp. 553-554, 558. [↩]
- M.C. Berardi – M. Nimmo – M. Paris, Il cuoio dorato e dipinto, ricerche e conservazione, in Materiali e Strutture, 1993, III, 3, pp. 95-130; G.A. Bravo, Storia del cuoio e dell’arte conciaria, Associazione Italiana chimici del Cuoio, Torino 1964. [↩]
- Nel 1529 fu anche emanata una legge che imponeva ad ogni artigiano di produrre il proprio brocado, motivo riconoscibile della maestranza o della provenienza. [↩]
- F. Ruiz i Quesada, schede 36, 42, M.R. Padròs i Costa, scheda 37, in Bagliori del Medioevo. Arte Romanica e Gotica dal Museu Nacional d’Art de Catalunya, catalogo della mostra a cura di M.R. Manote i Clivilles, Roma 1999, pp. 138-145, 158-161. [↩]
- M. Sebastianelli – A. Alescio – M. Zazzeroni, Studio degli interventi di rifacimento del San Nicola di Bari: tecniche esecutive e materiali costitutivi a confronto, Congresso nazionale IGIIC “Lo Stato dell’Arte 7”, Napoli 8-10 ottobre 2009, pp. 649-660. [↩]
- M.G. Scano Naitza, Percorsi della scultura lignea in estofado de oro dal tardo Quattrocento alla fine del Seicento in Sardegna, in Estofado de oro… 2001, pp. 21-55. [↩]
- La tecnica a finto oro permetteva di riprodurre le finiture originarie impiegando materiali differenti e più economici. [↩]
- In questo caso sono state rinvenute tele di lino ad armatura a losanghe, alcune delle quali sovrapposte ai frammenti di oro originale. [↩]
- Tale tecnica pittorica, diffusa in epoca moderna, semplifica il procedimento della doratura tramite l’utilizzo di pigmenti metallici che conferiscono un effetto brillante, simile a quello della foglia d’oro. [↩]