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L’ultimo Valadier: il fonte battesimale della Basilica di Santa Maria Maggiore e annotazioni sulla «Custodia della Sacra Culla»
DOI: 10.7431/RIV21102020
Nel 1833 Giuseppe Valadier (1762-1839) pubblicò a Roma un piccolo volume di 32 pagine di testo e 20 tavole grafiche dal titolo Opere di architettura e di ornamento1 (Fig. 1). Si tratta dell’ultimo scritto che il famoso architetto diede alle stampe di una serie di testi tra i quali la raccolta, in cinque tomi, delle lezioni impartite tra il 1828 ed il 1839, dal titolo L’architettura pratica dettata nella scuola e cattedra dell’insigne Accademia di S. Luca»2.
Nella breve introduzione di «Opere di architettura e di ornamento», dal tono malinconico di un uomo di 71 anni che tanto aveva vissuto e realizzato, l’autore spiega «l’idea dell’opera» nel presentare i suoi i «più notabili [lavori] che sottopongo al savio giudizio dei cultori dell’arte». Tra questi troviamo la «Facciata della chiesa di San Pantaleo» e il prospetto di casa Lezzani a via del Corso, il totale rifacimento dell’antico «Teatro Valle in Roma» assieme alla realizzazione dello sperone di consolidamento del «Anfiteatro Flavio detto Colosseo», seguono quindi la «Narrazione artistica dell’operato del restauro dell’Arco di Tito eseguito nel 1821» ed il «Progetto per la riedificazione della basilica di S. Paolo». Accanto a queste opere di così largo respiro sono solo due le attestazioni di un’attività che non può e non deve essere considerata minore nel fare del celebre architetto: il «Catafalco eretto nella basilica di San Pietro in Vaticano per la morte dell’immortale pontefice Pio VII» ed infine la «Custodia della Sacra Culla di Nostro Signore Gesù Cristo».
Nella prefazione Valadier appunta: «siccome per avventura ho dovuto dirigere eziandio parecchie opere di ornato condotte in vari metalli così anche di queste ne darò un [solo] saggio con tavole e spiegazioni». In questo volumetto, che possiamo quasi considerare un taccuino di ricordi di una folgorante carriera, appare quale opera più rappresentativa della intera produzione di oreficeria e argenteria del famoso atelier di Via del Babuino la «Custodia della Sacra Culla» (Fig. 2) e non il fonte battesimale per la Basilica di Santa Maria Maggiore in marmi preziosi, rame, ottone e bronzi dorati, voluto da papa Leone XII (1823-1829) ed inaugurato il 2 giugno del 1827 (Fig. 3)3. Un’opera che assume un particolare valore sia per le caratteristiche formali e tecniche, che verranno meglio dettagliate in seguito, che sottendono alla sensibilità del celebre architetto per le testimonianze di età classica sia in quanto è da considerarsi l’ultima realizzazione di Giuseppe Valadier quale proprietario della bottega che ereditò all’età di 23 anni nel 1785 dal padre Luigi e che diresse per quasi quaranta anni sino al 30 giugno del 1827, quando la vendette al cognato e noto argentiere Giuseppe Spagna, già da tempo ivi impegnato alla creazione dei manufatti in bronzo e metalli preziosi4. Il fonte battesimale (Fig. 4), inoltre, si pone come conclusivo di una serie di lavori eseguiti per la Basilica di Santa Maria Maggiore, nel solco della tradizione di famiglia iniziata più di 75 anni prima nel 1746, allorquando il nonno André Valadier (1695-1759), argentiere di nazionalità francese, assieme al giovanissimo figlio Luigi (1726-1785), eseguirono lavori di restauro e ammodernamento in vista del giubileo del 1750; attività che proseguì in più riprese, e in modo particolare con commissioni dei principi Borghese all’interno della cappella voluta da papa Paolo V per l’immagine della Salus Popoli Romani, con la realizzazione tra il 1759 ed il 1762 di un nuovo altare in metalli dorati, pietre dure e lapislazzuli, delle celebri tre cartegloria. A questi lavori seguirono la realizzazione di quattro lampade di argento nel 1763, oggi purtroppo scomparse, ed ancora nel 1777 il restauro della cornice della sacra icona oltre a interventi di manutenzione di argenti e di realizzazioni di strutture cerimoniali. Giuseppe oltre alla realizzazione del Reliquiario della Sacra Culla, ideò nel 1823 le decorazioni fitomorfe in metallo dorato che avvolgono le grandi colonne in porfido del baldacchino, progettato da Ferdinando Fuga (1699-1781), per il quale il padre nel 1749 aveva fuso e dorato quattro grandi stemmi bronzei di papa Benedetto XIV (1740-1758).
Ritornando alla prefazione del volumetto «Opere di architettura e di ornamento», Giuseppe delineando in breve la sua biografia, accenna ai suoi primi anni di vita e ricorda con affetto il padre «rinomato fonditore di metalli Luigi Valadier, oriundo francese, creato cavaliere dal Sommo Pontefice Pio VI, mecenate della mia famiglia» ma soprattutto che «dal mio amorevole genitore venni destinato fin da bambino alla stessa via tenuta da lui. E perché sapeva che non può essere buon artefice chi è privo del disegno e delle cognizioni dell’arte, non tralasciò cosa alcuna onde il figlio suo venisse iniziato nelle matematiche, nel disegno di figura, di architettura, e prospettiva, e nella scultura, cose tutte che per vari anni essendo ancor giovanetto mi dilettai grandemente di fare». Luigi quindi fece impartire una solida educazione al figlio nell’idea che questi proseguisse la tradizione di famiglia nel campo dell’argenteria e della produzione di manufatti suntuosi ma, continua la narrazione autobiografica, «nell’età di anni tredici concorrendo ai premi del concorso Clementino nell’Accademia di San Luca, in architettura, ne riportare la medaglia [d’oro], il che mi animò e mi decise a seguire interamente l’architettura, rinunciando alla via aperta e accreditata della produzione del mio bravo e buon genitore». Il futuro architetto dovette tuttavia assecondare per alcuni anni la volontà del padre nell’esercizio della professione dell’argentiere in quanto Luigi «che quasi contro sua voglia vedeva il figlio partirsi dalle prime tracce per correre su quelle dell’architettura, volle forse per provarlo, che esercitasse per qualche tempo ogni arte meccanica, usando dire che colui che non sa fare non sa comandare». Il testo prosegue con una riflessione da parte dell’ormai anziano architetto «quindi fu che a queste prove volentieri mi accinsi con grande fatica ed incomodo, e in tal modo acquistai da giovane quella pratica, da me sperimentata poi tanto utile e necessaria in questa professione». Una formazione teorica e pratica quindi che gli permise di ideare, disegnare e far realizzare, sotto la sua direzione per quasi quaranta anni, dai numerosissimi orafi ed argentieri, fonditori e doratori, intagliatori di gemme, pietre dure e marmi preziosi attivi nel suo atelier un ingentissimo numero di opere quali: preziosi servizi da tavola e da scrittoio, lampade e orologi, cornici e specchiere nonché consolle, tavoli e mobili in legni e marmi pregiati con decorazioni, maniglie e serrature in metallo dorato. Accanto a questi manufatti ne furono realizzati numerosi altri di carattere ecclesiastico come: croci d’altare, calici e pissidi, elaborati ostensori e carte gloria, reliquiari e lampade votive. Ne sono la riprova i molti disegni, a china, matita, carboncino e pastelli colorati, quasi un prontuario di oggetti in vendita su commissione, già pubblicati da tempo come ad esempio i 248 esemplari dell’Album Valadier della Pinacoteca comunale di Faenza5, ai quali nel 2017 si è aggiunto un più numeroso e cospicuo corpus di 346 esemplari pubblicati nel volume di The Art of the Valadiers6.
Il reliquiario della Sacra Culla
La «Custodia della Sacra Culla di Nostro Signore Gesù Cristo»7 (Fig. 5), citata nel volumetto, fu realizzata nell’atelier di Valadier nel 1802 ed è attentamente descritta nel volumetto del 1833, sin dalle motivazioni della sua genesi: «Sono venerati nella Basilica Liberiana di S. Maria Maggiore alcuni sagri pezzi di legno, impiegato alla formazione della Culla di Nostro Signore Gesù Cristo. La pietà della Sig. Duchessa di Villermosa Spagnuola mossa da esemplare devozione, volle che questo sagro avanzo fosse posto in una preziosa custodia di oro e in parte di argento; per cui avendone pregato il Nunzio Apostolico, allora Mons. Benedetto Capelletti, oggi Eminentissimo Cardinale, questi volle onorarmi coll’affidare a me la direzione di tale ornamento». La commissione di Maria Manuela Pignatelli de Aragón y Gonzaga, duchessa di Villahermosa (1753-1816) di un nuovo reliquiario venne a supplire la mancanza di un precedente grande prezioso manufatto, fatto realizzare nel 1606 su commissione di Margherita d’Austria8 (Fig. 6), consorte di Filippo II d’Asburgo re di Spagna, disciolto, come centinaia di altre opere in metallo prezioso appartenenti alla Basilica Liberiana, a seguito delle requisizioni di papa Pio VI (1775-1799) per assolvere al Trattato di Tolentino ma anche durante la successiva occupazione giacobina della Città Eterna. L’opera seicentesca ci è nota dal frontespizio (Fig. 7) del volume di Paolo De Angelis del 1621 dal titolo Basilicae S. Mariae Maioris De Urbe9 nel quale si può osservare un reliquario in forma di culla (Fig. 8) con aperture sui lati, al fine di potere osservare il legno della Sacra Culla, tra cherubini mentre al centro del coperchio è la figura sdraiata del Bambino tra angeli oranti. Una iscrizione accompagna l’immagine del reliquiario facendo riferimento alla donatrice e al prezioso metallo con il quale fu realizzato.
Come emerge da un documento dell’archivio della Basilica Liberiana, il vero artefice della commissione del nuovo reliquiario fu il reatino Benedetto Capelletti (1764-1834), nominato da Pio VI canonico coadiutore del Capitolo della basilica di Santa Maria Maggiore10 ed invitato in Spagna in missione diplomatica e al contempo incaricato dal canonici di chiedere a re Carlo IV di Borbone il pagamento delle prebende annuali provenienti dalla Sicilia e destinate al sostentamento del clero liberiano; contestualmente, e su iniziata personale11, Capelletti cercò un finanziamento per far realizzare un nuovo reliquario per la Sacra Culla in quanto «nell’invasione francese rimasero le [tutte] Reliquie della nostra Basilica nella loro integrità ed autenticità, […] ma essendo spogliate dei convenienti ornati, non poteronsi più esporre alla pubblica venerazione. Non poteva il Capitolo supplire ad una tanta spesa e ciò che maggiormente importava, era la Reliquia della S. Culla, che sebbene provveduta di una urna di legno, non poteva però esporsi con quella decenza che si richiedeva, dovendosi considerare una tale reliquia per uno dei principali monumenti di nostra Redenzione». Grazie all’interessamento di Capelletti, Maria Manuela Pignatelli si fece carico delle spese per «gli ornati a tre delle principali Reliquie che conservansi in Roma: cioè questa della Culla, quella del legno della S. Croce in S. Croce in Gerusalemme, e l’altra delle Teste dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo, che conservarsi in S. Giovanni in Laterano, ed alla direzione di questi tre ornati destinò lo stesso Monsignor Capelletti, acciò a suo arbitrio li facesse eseguire colla maggiore magnificenza»12. In tutti e tre i casi Capelletti incaricò Valadier delle realizzazioni, avvenute tra il 1802 ed il 1804, e ne seguì personalmente la progettazione che sottopose all’approvazione a papa Pio VII13.
In una lastra calcografica conservata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana14 (Fig. 9), databile ai primi decenni del XVIII secolo ed attribuibile all’ambito di Pier Leone Ghezzi, il reliquiario seicentesco appare, come da tradizione, portato in processione e sostanzialmente modificato con la rimozione della parte alta e l’aggiunta di pareti in cristallo per poter meglio osservare la reliquia in esso contenuta, mentre in una immagine a stampa presso l’Archivio della Basilica Liberiana raffigurante le celebrazioni del Natale da parte di papa Clemente XI, databile tra il 1700 ed il 1721, sulla parte alta delle reliquario appare la sola figura dell’Infante15.
La forma a culla e la figuretta del Bimbo in atto benedicente che caratterizzavano il reliquiario seicentesco furono d’ispirazione alla realizzazione del nuovo prezioso manufatto del 1802 così come la sua conformazione, per massima parte in cristallo, che sembra rispondere a precise esigenze di culto sono elementi che attestano un’attenta sensibilità culturale e al tempo stesso un preciso risvolto pratico, da parte dell’architetto, del momento della nuova ideazione. Valadier, proseguendo la descrizione nel volumetto, fornisce numerosi dettagli «siccome questa insigne reliquia viene posta alla pubblica venerazione con la massima pompa ecclesiastica in detta Basilica nella notte e successivo giorno di Natale, così immaginai di rappresentare sopra la custodia il S. Bambino appena nato, il quale in sembiante umano unisse la dignità divina di Creatore, e che perciò assiso su di un cuscino benedicesse il popolo (Fig. 10). Questo cuscino è posto sopra un materazzetto posato fra il fieno (Fig. 11), che allude a quello contenuto nella Culla. La custodia è guarnita di cristalli, dai quali si vendono i preziosi antichi avanzi della sagra Culla ed è sostenuta da quattro putti che terminano in vaghi fogliami (Fig. 12), e reggono leggiadramente alcuni festoni di gigli, che l’adornano. Nelle testate della custodia sono due Cherubini, portanti ciascheduno un vaso di cristallo, in uno de’ quali viene contenuto il fieno prezioso del Santo Presepe, e nell’altro un frammento del velo di Maria Santissima (Fig. 13). Posano i succennati putti, che cambiano la metà inferiore del loro corpo in fogliami e zampe di leone, sopra una base ovale corrispondente alla forma della custodia, colla quale termina la parte superiore contenente la insigne reliquia. Tutto questo lavoro venne eseguito in argento, in parte dorato, ed il Bambino è di oro puro, come di oro sono gli ornamenti dei due vasi». Ulteriori informazioni sono altresì apportate dal già citato documento del Capitolo Liberiano «la machina è di altezza palmi 9, e sebbene ancora manchi qualche piccolo pezzo nel piedistallo, vi sono state impiegate sopra 160 libre d’argento, oltre l’oro di cui è composto il bambino di grandezza naturale».
La narrazione del Valadier prosegue con la descrizione della base rettangolare del reliquiario da utilizzarsi come fercolo, tutt’oggi conservata presso il Museo Liberiano e sostanzialmente inedita, «quest’urna che racchiude la sagra Culla è posata sopra un piedistallo con base e cimase ornate, sugli specchi del qual piedistallo vi sono quattro bassorilievi. Uno de’ due più lunghi rappresenta la Nascita del S. Bambino, e l’altro la Cena del Signore coi dodici Apostoli; nei due altri bassorilievi men lunghi che sono nelle testate, fu espresso in uno la Fuga in Egitto, nell’altro l’adorazione dei Magi. Negli angoli vi furono collocati quattro Cherubini, su’ quali nascono altrettanti fanali di tre ceri l’uno, da ardere in venerazione della reliquia. Il piedistallo ancora fu eseguito tutto di argento, parte di colore naturale e parte dorato; e posa sopra un dado, ove nei quattro lati vi sono delle epigrafi allusive ai rispettivi bassorilievi in lettere dorate. I rosoni che sono vicini agli angoli sono alla testa di un’asta di ferro, che esce orizzontalmente nei detti quattro angoli, acciò che quattro persone possano portare il sagro monumento sopra le spalle processionalmente»16.
La lunga descrizione si conclude con una notizia particolarmente importante «i modelli dei bassorilievi ed è il S. Bambino furono eseguiti tutti dal signor Luigi Acquisti scultore celebre». Quest’ultimo nacque a Forlì17 nel 1745 e studiò scultura presso l’Accademia bolognese di Belle Arti; produsse le sue prime opere tra il capoluogo emiliano e la città natale e nel 1792 si trasferì a Roma ove cambiò sostanzialmente il suo stile nel più aggiornato linguaggio neoclassico, come attestato dalle opere a soggetto mitologico nello scalone di palazzo Braschi. Il 15 maggio del 1803 Acquisti divenne membro dell’Accademia di San Luca; troviamo nei primi anni del secolo i due artisti impegnati assieme per la chiesa di San Pantaleo ove l’architetto realizzò la nuova facciata e lo scultore eseguì il rilievo in stucco dell’altare maggiore raffigurante San Giuseppe Calasanzio che presenta dei fanciulli alla Madonna. Scultore di un certo successo venne chiamato nel 1809 a Milano a partecipare alle decorazioni della facciata del Duomo e, sempre nel capoluogo lombardo, eseguì due grandi gruppi scultorei e figure allegoriche per l’Arco del Sempione; si spense nella città di Bologna nel 1823 dove si era trasferito continuando la sua attività.
Purtroppo dei quattro rilievi per il basamento del Reliquiario della Sacra Culla descritti dal Valadier ne resta uno soltanto a seguito del furto avvenuto nel 1983 e del successivo ritrovamento da parte dei Carabinieri del Nucleo Tutela. Il bel rilievo inedito raffigura più che «la nascita del S. Bambino», come indicato dall’architetto nel suo testo, una scena di Adorazione dei pastori (Fig. 14)18 con la Vergine seduta sul ciglio della capanna e il Bimbo sulle ginocchia, sulla destra è san Giuseppe mentre pastori e figure femminili rendono omaggio recando doni. L’opera, che figurativamente riprende un modello iconografico già largamente utilizzato fin dalla metà del XVII secolo, è priva di punzone in quanto tutti i bordi furono malamente tagliati nel momento del furto19.
La «Custodia della Sacra Culla», per massima parte in cristallo al fine di poter meglio osservare la preziosa reliquia costituita da cinque barre in legno, è esposta ogni anno al culto il 25 ed il 26 dicembre di fronte all’altare papale ed è stata oggetto di una recente ricognizione in occasione del rito di apertura, presieduto dal cardinale Stanisław Ryłko, arciprete di Santa Basilica di Maria Maggiore, lo scorso 22 novembre, al fine di prelevare un frammento del Santo Legno, che papa Francesco ha voluto inviare a Betlemme dopo circa 14 secoli, e più precisamente, da quando san Sofronio, patriarca di Gerusalemme, inviò a papa Teodoro I (642-649) le preziose reliquie.
Il fonte battesimale
Papa Leone XII (1823-1829), già arciprete di Santa Maria Maggiore e vicario pontificio per la città di Roma, sino dal giorno della sua elezione a pontefice romano dedicò particolare attenzione alla Basilica Liberiana anche in previsione del Giubileo del 182520. Numerosi i lavori intrapresi dall’anno precedente al fine di consolidare e restaurare, sotto la direzione di Vincenzo Camuccini, gli affreschi e i mosaici sia all’interno dell’edificio, sia nella loggia che nella grande aula del coro (Fig. 15), voluta da papa Paolo V nei primi anni del XVII secolo, trasformata nel 1826 in battistero, allorquando venne conferito alla basilica il ruolo di parrocchia per la limitrofa area cittadina, all’interno di un più vasto programma di riorganizzazione delle chiese romane.
Ignazio Ciampi nella biografia di Giuseppe Valadier riporta la notizia «Leone XII volle da lui un nuovo fonte battesimale per la Basilica di Santa Maria Maggiore, presa perciò dal Museo Vaticano una ricca tazza di porfido, e guarnitala di metalli dorati, la collocò con suntuosa balaustra nella Cappella di Paolo V»21. Entusiastico il commento del Cracas nel Diario di Roma in data 2 Gennaio 1827 che meglio dettaglia il luogo per il quale l’opera di Valadier fu ideata e realizzata «il qual’lavoro essendo riuscito degno di quel Tempio maraviglioso, e della grandezza di Sua Santità, merita di essere descritto in questi fogli. È nella detta Basilica un luogo bellissimo, la metà del quale serve di accesso alla Sacrestia e l’altra metà vien detta Cappella dell’Assunta. Entrassi in questa per un grande arco sorretto da magnifiche colonne di granito orientale, e chiuso con cancellata di ferro. La cappella è ricca di stucchi, di bassirilievi, di colonne di verde antico, e di pitture del Passignano; e la luce non vi calando diretta ma temperata per dei trasparenti indotti alle finestre, quali dorati e quali verdi vi regna un giorno mistico e venerando. In questo luogo fu costruito il sacro Fonte»22.
Maggiori dettagli sulla realizzazione del fonte battesimale si hanno grazie ad un taccuino di appunti e disegni dello stesso Valadier, conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma, nel quale è presente uno schizzo con una lunga didascalia (Fig. 16) nel quale l’architetto ricorda «Nell’anno 1826 nella basilica di S.M.M. si è fatto un Fonte Battesimale del disegno presente fatto fare N.S. Papa Leone XII. La tazza antica di porfido, l’ornato di bronzi dorati, la balaustra di Breccia di Cori, li balaustri di alabastro di S. Felice. La tazza è di palmi 11 di diametro e la cappella venne ornata dall’imposta in giù»23 (Fig. 17). Rimossi gli scranni lignei seicenteschi24 del coro del Capitolo Liberiano, Valadier intervenne sull’aula, già suddivisa da due grandi colonne dalla sua fondazione, con la realizzazione di un cancello in ferro battuto e decorazioni in ottone. L’architetto definì l’area battesimale, di fronte alla pala marmorea raffigurante l’Assunta capolavoro di Pietro Bernini25, con la creazione di una transenna marmorea rotonda, caratterizzata dal colore rosso vivo della breccia di Cori e dai balaustri lattescenti dell’alabastro dal monte Circeo, suddivisa in quattro parti con altrettanti quattro piccoli cancelli in ottone segnati da grandi sfere di bronzo dorato su piedistalli torniti in marmo nero venato di Portovenere. Il Cracas aggiunse «essa ringhiera si schiude, discendessi per tre scaglioni di marmo lunense a un piano coperto di cipollino: il qual marmo per l’andamento delle sue venature, tiene somiglianza all’ondeggiare delle acque. Qui adunque, come sopra un piccolo laghetto, il grande battistero s’innalza»26 (Fig. 18). Al centro è posto il prezioso labrum di porfido proveniente, come già accennato, dai Musei Vaticani ma dall’età romana e fino al XVI secolo ubicato presso la basilica di San Giovanni Laterano quando venne trasportato nei Giardini del Quirinale ove rimase fino al 1818 quando passò nell’appartamento Borgia trasformato in pinacoteca per volontà di Papa Pio VII27.
La preziosa tazza, giunta nella Basilica Liberiana è collocata al centro dell’aula, con «l’ornato» dall’apparenza piuttosto semplice ma che il recente restauro ha mostrato essere frutto di una articolata ideazione ad incastri di svariate centinaia di differenti elementi in rame dorato al mercurio. Grazie alla rimozione della figura apicale del San Giovanni Battista (Fig. 19), fusa in più sezioni perfettamente assemblate con saldature del tutto invisibili, e che Antonio Nibby ricorda essere stata eseguita su ideazione di Adamo Tadolini (1788-1868)28, è stato possibile osservare l’articolata struttura interna in ferri forgiati a incastri ideata da Valadier atta a sorreggere e supportare il peso della intera decorazione in metalli nel totale rispetto del bacino in porfido e delle sue superfici (Fig. 20). In quest’ottica gli elementi in metallo presentano raccordi e collegamenti in legno di noce, già a suo tempo estremamente stagionato e in perfette condizioni di conservazione, che svolgono funzione di cuscinetti negli inevitabili punti di appoggi alla pietra. L’intera articolata decorazione potrebbe idealmente essere sollevata in una unica soluzione senza che questa abbia in alcun modo interagito o minimamente danneggiato il granito, a riprova della sensibilità del Valadier che per anni ricoprì le più prestigiose e importanti cariche pubbliche nelle commissioni pontificie per la tutela del patrimonio e del valore che la grande tazza in prezioso marmo imperiale aveva assunto nei secoli e riscuoteva nel XIX. Si trattava infatti di un importante dono fatto alla Basilica Liberiana da parte di Leone XII, quale emblematico gesto che si inquadra perfettamente nella sua politica culturale tutta indirizzata al restauro e alla conservazione degli antichi monumenti e degli edifici ecclesiastici di Roma che aveva in Valadier uno dei massimo esponenti così come dimostrato nella creazione dello sperone del Colosseo o ancor più nel restauro dell’Arco di Tito ideato con una nuova ed innovativa sensibilità nella riconoscibilità delle reintegrazioni, caposaldo ante litteram del criteri brandiani del moderno restauro scientifico.
In quest’ottica la macchina decorativa in metalli dorati del fonte battesimale sembra “appoggiarsi” al bordo della tazza con una bordura alta 5 cm di ovuli e frecce dalle ombre profonde, con un effetto a traforo che alleggerisce otticamente il punto di contatto tra le due parti (Fig. 21); su tale cornice s’innesta il piano circolare in più lastre specchianti suddivise in otto riquadri trapezoidali delimitata da una serie di foglie lanceolate a racchiudere in quattro casi iscrizioni allusive al battesimo, intervallate tra semplici ghirlande a bassorilievo con gli stemmi papali e due raffigurazioni della Salus Popoli Romani. Sul lato verso la navata della basilica tre degli otto riquadri sono apribili con serrature a scomparse, perfettamente celate alla vista, e al loro interno sono collocati bacini in ottone atti a raccoglier l’acqua benedetta per impartire il Sacramento. Nastri e rosette completano il piano dal quale s’innalza una fascia delimitata da un cordone in perline e rocchetti, costituita da più fusioni di circa 30 cm di lunghezza; sull’alzato, dalle superfici specchianti, sono montate decine di elementi quali foglie d’acanto intervallate da cartocci a nastro, tutti fusi separatamente e assemblati per mezzo di viti e bulloni, con distanziatori interni in lastrine di rame o spessi strati di cuoio, secondo una precisa numerazione impressa sul retro di ogni singolo elemento. Una cornice sporgente e bombata che chiude la parte superiore, costituita da foglie stilizzate, funge da raccordo con l’alto cono rovesciato che si innalza al centro per circa un metro, realizzato da quattro grandi lastre dorate e decorate a scanalature, degradanti verso il basso, con effetti ove lucidi e ove satinati. Probabilmente ideati da Adamo Tadolini, sono seduti sul lato frontale del fonte battesimale due bei putti a sorreggere un ovale con la rappresentazione a bassorilievo della Santissima Trinità29 (Fig. 22). Quest’ultima raffigurazione, trafugata nel 1983 e successivamente rinvenuta senza la cornice, è oggi racchiusa da un nuovo manufatto realizzato nel 2012 ad imitazione di quello originale. I putti, costituiti da più fusioni in ottone dorato e assemblati alla base con grosse viti e dadi, presentono una lavorazione superficiale con vivi contrasti tra gli incarnati lucidi, i panni martellinati e le ali e le capigliature satinate con una precisa definizione dei dettagli eseguiti con cesello e bulino (Fig. 23) così come nel caso della statua del Precursore (Fig. 24).
L’alzata si conclude con una ghiera di ferro, non a vista, che funge da raccordo con un alto rocchetto dalle superfici lisce, terminante da un toro a bassorilievi a foglie lanceolate sul quale è impostata ad incastro la statua del Battista, all’interno è un alto supporto in ferro a quattro gambe che sorregge la statua e ne scarica il peso sull’armatura al centro della tazza senza gravare sull’intera struttura decorativa (Fig. 25).
Il massiccio peduccio scanalato è decorato con ricchi festoni di alloro e due grandi cherubini, fusi in bronzo a cera persa e successivamente dorato con sapienti effetti chiaroscurali. Anche in questo caso la decorazione è applicata nel totale rispetto del monolite senza fori e scassi nel prezioso granito rosso: i due cherubini sono infatti appesi ad un anello che cinge il peduccio nella parte alta (Fig. 26) e si chiude per mezzo di ganci mentre le due grandi ghirlande che cingono il peducci (Fig. 27) e le due che scendono dai sotto i due angeli sono sospese e bloccate per mezzo di viti alle ali dei due angeli; un raffinato espediente tecnico permette di sfilare a scorrimento un tassello (Fig. 28), decorato con due piume, che nasconde il punto di avvitatura dei due pesanti serti a foglie di quercia.
Perfettamente calzanti appaiono le parole a commento espresse dal Cracas «buono è lo stile di tutta questa fattura, ove risplende una squisita eleganza e convenienza in ogni parte. Ma soprattutto a noi piace encomiare la proporzione: impercciochè il lavoro è così appropriato al luogo, ed ha dimensioni così giuste, che riccamente adorna la Cappella, e non l’ingombra. Qui ancora si vede a qual punto di eccellenza sia giunta in Roma la lavorazione de’ metalli con tal misto di opacità e lucentezza da vincere le più belle manifatture in questo genere delle altre Capitali»30.
A tali osservazioni andrebbe aggiunto che l’opera attesta anche l’alta sensibilità e il rispetto dell’architetto progettista, nelle scelte tecniche formali utilizzate per la creazione della decorazione in rame e bronzo dorati al fine di tutelare un manufatto in porfido di età classica di estremo valore storico e materiale.
Il fonte, come già accennato, fu consacrato con grande pompa da papa Leone XII il 2 giugno del 1827, e sei mesi il Cracas aveva già scritto «la Santità di Nostro Signore, oltre alle tante beneficenze usate con la Basilica Liberiana, per la quale dimostra particolare benevolenza, ha voluto ancora ch’ella avesse altro sublime monumento della sovrana sua munificenza: avvegnachè per opera del Cav. Valadier chiarissimo Architetto, e di Giuseppe Spagna nell’arte argentaria valente, ha fatto ivi erigere uno stupendo Battistero»31. Il cronista specificò che l’opera era da attribuirsi a Valadier come architetto e a Spagna quale realizzatore delle parti in metallo: quest’ultimo, come precedentemente accennato acquistò, la bottega dei Valadier nella quale già lavorava e assieme al figlio Pietro Paolo ne perpetuò la tradizione. Non a caso gli estimatori dello stile Valadier proseguirono a commissionare agli Spagna opere di particolare importanza, sicuri di ottenere manufatti di grande qualità come il canonico Giuseppe Antonio Sala32 che in occasione del Giubileo del 1825 commissionò a Giuseppe Spagna uno straordinario monumentale parato d’altare di sei candelieri e croce in bronzo dorato (Figg. 29 – 30), destinata alla cappella della Salus Popoli Romani, con due raffigurazioni della icona sulla base33. Altro esempio è il Reliquario del Velo del Santa Vergine, recentemente attributo a Giuseppe Valadier34 ma che può essere assegnato in via definitiva a Pietro Paolo Spagna, per l’identificazione (Figg. 31 – 32)35 su tutte le lamine che lo compongono del suo marco ed ancora, sempre con il punzone di quest’ultimo, il bel calice in oro36 commissionato dal cardinal Costantino Patrizi Naro, arciprete liberiano in occasione del giubileo del 1825.
Appendice documentaria
Archivio Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, Atti Capitolari 1751-1819, 838, 30 gennaio 1803, pp. 393-394
Destinato per Ablegalo in Madrid Mons. Benedetto Capelletti nostro Concanonico per presentare la beretta Cardinalizia all’Emo Sig. Card. Filippo Casoni, rimase incaricato lo stesso Capelletti di umiliare le nostre suppliche alla Maestà del Re di Spagna per la ripristinazione dei pagamenti delle annue pensioni, che si devono dalle due Mense Vescovili di Catania Mazara in Sicilia, e le quali costituiscono l’opera pia di Spagna a tenore della Bolla della Santa Memoria d’Innocenzo X. sospese al nostro Capitolo fin dal tempo dell’invasione dei Francesi. Incaricato egli a perorare la nostra causa, ne adempì puntualmente la commissione, avanzando direttamente le suppliche alla Maestà del Rè, ed avvalorando con la viva voce le ragioni, che assistono il nostro Capitolo. In vista di tali rappresentanze l’augusto Monarca delle Spagne diede gli ordini più pressanti, come rilevasi dal dispaccio ricevuto da Monsig. Capelletti nel mese di Settembre 1801. Il quale originalmente conservasi nel nostro archivio. Giunte le premure della Corte in Palermo, ne fu sul momento ripristinato il possesso al nostro Capitolo. Terminato felicemente questo affare si occupò il nostro Concanoniro ad altro interessante oggetto, il quale però non le era stato ordinato dal nostro Capitolo.
Nell’ invasione francese rimasero le Reliquie della nostra Basilica nella loro integrità ed autenticità, perché collocate da un Vescovo indecente Cassetta, e munite dei suoi sigilli, ma essendo spogliate dei convenienti ornati non poteronsi più esporre alla pubblica venerazione. Non poteva il Capitolo supplire ad una tanta spesa e ciò che maggiormente importava era la Reliquia della S. Culla, che sebbene provveduta di un Urna di legno, non poteva però esporsi con quella decenza che si richiedeva, dovendosi considerare una tale reliquia per uno dei principali monumenti di nostra Redenzione, e per la più insigne della nostra Basilica, la quale perciò si chiama S. Maria ad Praesepe. Contrasse servitù il nostro Collega con una delle principali Dame di Madrid, con la Sig. Duchessa di Villahermosa Matrona di singolare pietà, ed inesplicabile attaccamento alla Ss. Religione. Rammaricata l’accennata Signora dello spoglio seguito in Roma specialmente delle Ss. Reliquie, spesso si tratteneva con il detto Monsig. Capelletti sopra l’analisi delle medesime, a segno che si risolvette di rinnovare gli ornati a tre delle principali Reliquie che conservansi in Roma: cioè questa della Culla, quella del legno della S. Croce in S. Croce in Gerusalemme, e l’altra delle Teste dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo, che conservansi in S. Giovanni in Laterano, ed alla direzione di questi tre ornali destinò lo stesso Monsig. Capelletti, a ciò a suo arbitrio li facesse eseguire colla maggiore magnificenza.
Giunto ch’egli fu in Roma il primo suo pensiero si diresse alla rinovazione dell’Ornato della S. Culla. Ultimati i disegni, ed umiliati alla Santità di N. S. Pio Papa VII. Si fece eseguire quello che aveva incontrato la di Lni approvazione. Terminato il lavoro la santità Sua si trasferì alla nostra Basilica, e volle Egli medesimo collocare le Ss. Reliquie nella nuova Urna con apporci i suoi sigilli. È inutile di fare la descrizione di tale ornato esistendo questo nella nostra Basilica; basterà solo di accennare, che la machina è di altezza palmi 9, e sebbene ancora manchi qualche piccolo pezzo nel piedistallo, vi sono siate impiegale sopra 160 Libre d’argento, oltre l’Oro di cui è composto il bambino di grandezza naturale. Da sì magnifica machina potrà ricavarsi quale sia stata la spesa occorsa per l’esecuzione di tal lavoro, e quanto generoso sia stato il dono della lodata Sig. Duchessa D. Marcellina de Villahermosa, la quale ha dimostrato la maggior soddisfazione di quanto si è fatto eseguire.
Grato il Rmo. Capitolo a tanta magnificenza ha creduto per mezzo di Monsig. Gravina Arcivescovo di Nicea nuovo Nuzio nelle Spagne di far presentare in suo nome all’ accennata Signora un ben travagliato Reliquiario ornato di lapislazzuli, ed altre pietre dure con entro la Reliquia della S. Culla, che Sua Santità si degnò munire con suo sigillo, e di accompagnare di sua Autentica. Iosepbus Merotti Can. Secr.
- G. Valadier, Opere di architettura e di ornamento, Roma 1833. [↩]
- Circa le note biografiche su Giuseppe Valadier si rimanda a: Luigi Valadier, catalogo della mostra a cura di A. González-Palacios, New York 2018, pp. 451-473. Allo studioso si deve un vivo ringraziamento per aver dedicato circa 40 anni di studi alla produzione dei Valadier grazie ai quali è oggi possibile apportare ulteriori approfondimenti. [↩]
- L.A. Cracas, Diario di Roma, 10 Giugno 1827, n. 46. [↩]
- R.Valeriani, Gli Spagna. La fine della bottega, in L’oro dei Valadier. Un genio nella Roma del Settecento, catalogo della mostra a cura di A. Gonzáles-Palacios, Roma 1987, pp. 246-250. [↩]
- F. Leone, Una raccolta di disegni diversi. L’album Valadier della pinacoteca comunale di Faenza, In Valadier. Splendore nella Roma del Settecento, catalogo della mostra a cura di G. Leardi, Milano 2019, pp. 68-183; si veda inoltre la pubblicazione di una sezione della raccolta di disegni del Museo Napoleonico in Rma : I Valadier: l’album dei disegni del Museo Napoleonico, catalogo della mostra a cura di A. González-Palacios, Roma 2015, con bibliografia precedente. [↩]
- The Arts of Valadiers, a cura di T.L.M.Vale, Torino 2017. [↩]
- L’opera di grande fascino e importanza nelle celebrazioni liturgiche del Natale non è mai stata oggetto di particolare attenzione in letteratura. [↩]
- Il cartiglio relativo ad un ritratto della sovrana databile ai primi anni del XVII secolo conservato presso la Sala dei Papi nella basilica Liberiana dettaglia l’informazione MARGARITA AUSTRIACA HISPANI/REGINA PHILIPPI III CONIUX/CUNARUM XPI BENEFICIO QUARUM Ex/HAC BASILICA PARTICULAM HABUIT FELICI/PUERPERIO SAEPIUS USA CUNAS IPSAS/ ARGENTEA THECA MIRIFICE/ ORNAVIT; si veda inoltre S. Guido – G. Mantella, Immagini della Monarchia spagnola in Santa Maria Maggiore nel XVI secolo: il “Filippo IV” di Gian Lorenzo Bernini e Girolamo Lucenti, in Studia Liberiana. Figure, Liturgia e Culto, Arte. Ricerche dall’archivio della Basilica Papale di Santa Maggiore, VIII, n.2 a cura di Michael Jagosz, 2013, pp. 213-236 in particolare p. 216-222. [↩]
- P. De Angelis, Basilicae S. Mariae Maioris De Urbe a Liberio Papa I usque ad Paulum V Pont. Max Descriptio et Delineatio, Roma 1621. [↩]
- G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, IX, Venezia 1841, p. 168. [↩]
- Archivio Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, Atti Capitolari 1751-1819, 838, 30 gennaio 1803, pp. 393-394. «il quale però non le era stato ordinato dal nostro Capitolo». Il documento riportato interamente in appendice è desunto da F. Liverani, Del nome di santa Maria ad Presepe e delle reliquie della Natività ed Infanzia del Salvatore che conserva, Roma, 1854. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Ibidem; si veda inoltre: G. Servi, Notizie intorno alla Vita del Cav. Giuseppe Valadier Architetto Romano, Bologna 1840, pp. 8-9. [↩]
- B. Jatta, Il Fondo Matrici della Biblioteca Apostolica Vaticana, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, 11, Città del Vaticano 2004, p. 626. [↩]
- S. F. Ostrow – C. M. S. Johns, Illuminations of S. Maria Maggiore in the Early Settecento, in “The Burlington Magazine”, 1049, Vol. 132, (Agosto, 1990), pp. 528-534. Si desidera ringraziare monsignor Giuseppe Maria Croce e il dottor Pier Giorgio Cataldi, rispettivamente Prefetto e sub archivista presso l’Archivio Capitolare della Basilica Liberiana. [↩]
- Il testo di Valadier prosegue con ulteriori interessanti informazioni «Immaginati che il piedistallo potesse servire eziandio per basamento di un Ostensorio per le grandi esposizioni, che con una controbase fra l’Ostensorio e questo che di questo piedistallo, sorgerebbe acconciamente in guisa di Piramide; ed in un altare isolato, come lo sono nelle basiliche, resterebbe assai dignitoso». [↩]
- G. Galeazzi, Luigi Acquisti. (Forlí 1747 – Bologna 1823): la scultura dal barocco al neoclassico, Bologna 2018. [↩]
- Si desidera ringrazia il cardinal Stanisław Ryłko, il Capitolo Liberiano e monsignor Luigi Veturi, Prefetto al Museo, per la concessione delle foto delle opere conservate presso la Basilica di Santa Maria Maggiore. [↩]
- Il basamento comprensivo delle decorazioni ed il rilievo furono restaurati e assemblati da parte dello scrivente assieme a Giuseppe Mantella nel 2000 in occasione dell’allestimento del Museo Liberiano; il reliquiario della Sacra Culla fu restaurato nel 2007 da parte dello staff del laboratorio di restauro di metalli e ceramiche dei Musei Vaticani, diretto da Flavia Callori di Vignale. [↩]
- R. Conlapietra – I. Fiumi Sermattei, “si dirà quel che si dirà: si ha da fare il giubileo”. Leone XII, la città di Roma e il giubileo del 1825. Catalogo della mostra, Genga, castello 5 – 31 agosto 2014, Ancona 2014, pp79-80; I. Fiumi Sermattei, Alcuni aspetti della committenza artistica di Leone XII, in Il pontificato di Leone XII. Restaurazione e riforme della Chiesa e dello Stato, atti del convegno a cura di G. Piccinini, Ancona 2012, Genga, castello5 – 31 agosto 2014. [↩]
- I. Ciampi, Vita di Giuseppe Valadier architetto romano, Roma 1870, p. 50. Il fonte battesimale e la balaustra che lo circonda sono stati restaurati dallo scrivente nel 2014 assieme a Giuseppe Mantella con la collaborazione di Elisabetta De Narda, Silvia Orsi, Carlotta Diana. [↩]
- L.A. Cracas, Dario di Roma, I, 3 gennaio 1827, p.1. [↩]
- Il disegno è all’interno del Taccuino 480 Vittorio Emanuele, f. 17. Si deva a riguardo: E. De benedetti, Tre taccuini in editi di Giuseppe Valadier, in Quaderni del neoclassico, IV, Roma 1979, pp. 147-171, fig. 25; E. De Benedetti, Segno e architettura, in E. De Benedetti (a cura di), catalogo della mostra, Roma 1985, p. 337, fig. 485. Un disegno pubblicato da A. Gonzales Palacios in L’album dei disegni del Museo Napoleonico, catalogo della mostra Roma a cura di A. Gonzalez Palacios, Roma 2015, p. 38. [↩]
- Realizzati nel secondo decennio del XVII, gli scranni vennero risistemati nella cappella Sforza, sul lato sinistro della basilica, ove rimasero fino al 1995 quando vennero nuovamente rimossi e donati alla parrocchia di San Massimiliano Kolbe ad Amelia (Terni). [↩]
- S. Guido – G. Mantella, Pietro Bernini e la “Assunzione della Beata Vergine” nella Basilica di Santa Maria Maggiore, in “Studia liberiana” a cura di M. Jagosz, 10, 2005, pp. 297-319, con bibliografi precedete. [↩]
- L.A. Cracas, Dario…, 1827, p. 3. [↩]
- Per un dettagliato studio sulle vicende della grande tazza imposti do e sulla sua successiva trasformazione in fonte battesimale si rimanda al saggio di Francesco Colalucci e Alessandra Rodolfo, La doppia vita di una tazza in porfido: da arredo da giardino a fonte battesimale, in Lusingare la vista. Il colore e la magnificenza a Roma tra tardo Rinascimento e Barocco, a cura di Adriano Amendola, Città del Vaticano 2017, pp. 205-234. [↩]
- A.Nibby, Roma Nell’anno MDCCCXXXVIII, 4 voll., Roma 1838-1841, p. 988. [↩]
- A. Imbellone, Medaglione con la Santissima Trinità, in Valadier…, 2019, pp. 262-263. [↩]
- L.A. Cracas, Diario…, 1827, p. 5. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Nato a Roma il 27 ottobre 1762, Giuseppe Antonio Sala, canonico liberiano, fu particolarmente inviso a papa Pio VII mentre dall’elezione a pontefice nel 1823 del cardinale arciprete di Santa Maria Maggiore, Annibale della Genga, ricoprì numerosi incarichi curiali fino alla concessione della berretta cardinalizia nel 1832 da parte di papa Gregorio XVI; il 16 dicembre 1838 venne nominato arciprete della basilica di Santa Maggiore, dignità che mantenne fino al 23 giugno 1839 giorno della morte. M. Jagosz, Clero liberiano a servizio della Salus Populi Romani. 1800-2010, in “Studia liberiana”, a cura di M. Jagosz, 2, Roma 2011, pp. 113. [↩]
- L. Cardilli Alloisi, Muta d’altare di sei candelieri e una croce, in L’Arte degli Anni Santi. Roma 1300-1875, catalogo della mostra a cura di M. Fagiolo – M.L. Madonna, Roma 1984, p. 163; la studiosa attribuisce le sette opere in metallo dorato a Giuseppe Spagna e genericamente riconosce il Capitolo Liberiano quale committente in base ad alcuni documenti rintracciati presso archivio liberiano mentre tali manufatti di sono qui riconosciuti quali doni di Giuseppe Antonio Sala grazie alla sommaria notizia riportata da Gaetano Moroni (Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesistica, vol. XII, Venezia 1841, p. 133) ma soprattutto alla identificazione e lettura dell’acronimo a rilievo sulle base delle sette opere VERGINI GENITRICI I.A.S.C.D.D. (Alla Vergine Genitrice Giuseppe Antonio Sala canonico diede in dono); sul lato apposto compare l’iscrizione SAC. BAS. LIBERIANA AN. IUB. MDCCCXXV. [↩]
- T. L. M. Vale, Reliquiario del velo della Vergine, in Valadier …, 2019, pp. 258-261. [↩]
- C. Bulgari, Argentieri Gemmari e Orafi d’Italia. Parti prima Roma, II, Roma 1959, p.428, n. 985; A. Calissoni Bulgari, Maestri argentieri gemmari e orafi di Roma, Roma 1987, p. 401. [↩]
- M. Andaloro, Calice, in Tesori d’arte sacra di Roma e del Lazio dal Medioevo all’Ottocento, Catalogo della mostra a cura di M. Andaloro, Roma 1975, p. 91, tav. C; il calice è stato restaurato dallo scrivente per conto dei Musei vaticani nel 2001. [↩]