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“Cammini” mariani per i tesori di Sicilia – Parte I
DOI: 10.7431/RIV01012010
Il sottile filo che lega il cammino dei santuari mariani in Sicilia, oltre a segnare la via della devozione nell’isola, svela anche raccolte di monili donati nei secoli come ex voto.
Queste preziose collezioni, a lungo gelosamente custodite, hanno formato il nucleo principale dei gioielli che sono stati individuati per la ricostruzione della storia dell’oreficeria siciliana. Dettagliati inventari, dove scrupolosamente venivano annotati i doni, hanno fornito elementi fondamentali per la conoscenza della produzione orafa siciliana: tra i tanti elementi che emergono dalla lettura dei repertori d’archivio compare, ad esempio, l’ambito cronologico, poiché tale registrazione diventa immediatamente un termine ante quem per la realizzazione del monile1.
I documenti d’archivio hanno rivelato inoltre nomi di donatori e committenti, fornito talora preziose informazioni sulle tecniche, sulle gemme, sulle tipologie e a volte riportato anche nomi di orafi e argentieri, raramente autori dei medesimi monili donati, più spesso maestri chiamati per la loro stima.
Attraverso coinvolgenti fonti, che tramandano emblematici messaggi di iconografia e iconologia, si propone un percorso d’arte e devozione che diviene lo stesso “cammino” che ha svelato celati tesori di rari monili.
Il tema delle immagini mariane più venerate in Sicilia ha la prima fondamentale trattazione generale da parte del Gesuita Ottavio Caietano, preziosa fonte che si sceglie come emblematica “guida” per questo simbolico “cammino” a ritroso nel tempo in cui passato e presente, mito pagano e fede cristiana si fondono trasformando vecchie e nuove tradizioni2. Nel 1664 per i tipi di Andrea Colicchia viene pubblicato in Palermo il volumetto sui Raguagli delli ritratti della Santissima Vergine Nostra Signora più celebri, che si riveriscono in varie Chiese nell’isola di Sicilia3.
Ottavio Caietano della famiglia dei Marchesi di Sortino e dei Principi di Cassaro, “uomo dotto ed erudito”, come commenta Rosario La Duca, nella presentazione dell’opera di cui la Facoltà Teologica di Sicilia ha curato la ristampa anastatica nel 1991, nasceva a Siracusa nel 1566, nel 1602 entrava a far parte della Compagnia di Gesù e moriva nel 16204. È nel 1664 che, per volere di Tommaso Tamburino da Caltanissetta, l’opera veniva edita con alcune incisioni dovute a Giovanni Federico Greuter, attivo a Roma, e altre a Giuseppe Lentini, della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri all’Olivella di Palermo.
Cataldo Naro, nella stessa presentazione dell’opera, sottolinea come “il frutto della prima diffusione della devozione mariana in Sicilia è stato, secondo il nostro autore, di avere scacciato lo scelerato culto della falsa deità”, “non è, perciò, un caso se la devozione a Maria risale agli inizi della storia del cristianesimo in Sicilia e poi si è sempre più incrementata” “e si deve a questa devozione… se la Madre della Misericordia mossa da cotanta pietà del popolo siciliano lo liberò dalla dominazione mussulmana. Lo straordinario incremento della devozione mariana del secondo millennio sarebbe stata la risposta di gratitudine della Sicilia alla Madre di Dio”5.
Cosi il Caietano, attivo rappresentante della profonda azione operata dai Padri Gesuiti nel mettere in opera i dettami della Controriforma anche in Sicilia, raccoglie tutte le immagini più venerate dell’isola in una sorta di progressione cronologica, riferita al primo miracolo, con l’intento da un lato di una rinnovata diffusione delle antiche devozioni mariane, con l’auspicio dall’altro della nascita di nuove.
Si ritrovano peraltro in Sicilia, spigolando tra le immagini di Maria, le più svariate iconografie mariane, testimoniate anche nel variare attraverso i tempi. La controriforma con le sue indicazioni anche relative all’iconografia delle opere d’arte sacra si viene a porre come un punto di cesura, definendo alcune tipologie e tematiche, mutandone altre e favorendone alcune, piuttosto che altre6.
Il Caietano inizia ricordando Nostra Signora di Valverde a Mongibello presso a Iaci, la cui origine fa risalire al 1040, quando la Madonna apparve a Dionigi, un soldato sceso in Sicilia con i Normanni e per discordie divenuto un malfattore dedito a “fare scorrerie e ladronecci”, in soccorso di un suo devoto. A Dionigi pentito apparve poi la Vergine “circondata da chiara luce, più che di sole di mezzo giorno, accompagnata da gran frequenza d’Angeli” e gli chiese di “fabbricare in questo medesimo luogo un tempio” e di invitare “il Clero, e gli Officiali, perché vengano con solenne processione in questa stessa valle, e dove vedranno una schiera di gru, che volando formino una rotanda corona, ivi dovrassi fabbricare il nostro tempio”. Così Dionigi fece e fu costruito il Santuario dove “comparve” “una bellissima imagine della Santissima Vergine, e parve dipinta di mano Greca. Essa sedeva vestita di manto azzurro ricamato a punti d’oro: dalla parte destra stringeva in braccio il suo caro pegno, il quale con la mano alquanto innalzata pareva, che ad altri desse benedittione. Teneva in oltre la Vergine colla mano sinistra una Gru, e due Angiolini dell’uno, e l’altro lato le coronavano con tre corone d’oro il capo. Con quanta divotione, e meraviglia, fosse stata accolta tal celeste pittura, e con qual frequenza da indi innanzi riverita, spiegarlo difficilmente il potrei”7.
La descrizione del Caietano corrisponde all’incisione di Giovanni Federico Greuter che illustra il volume (Fig. 1).
L’affresco raffigurante l’Incoronazione della Madonna con il Bambino, detta Madonna di Valverde, si trova oggi nel nuovo Santuario di Valverde, fortemente ridipinto attraverso i secoli. Venne liberato intatto con il vetro che lo proteggeva dalle rovine del Santuario, crollato nel terremoto del 1693, e oggi si presenta con alcune lacune dovute allo strappo da parte di ladri nel 1970 di taluni monili ex voto che l’ornavano e che dovevano verosimilmente costituire l’ultimo residuo di un “tesoro” ormai perduto8.
Il Caietano passa poi a ricordare Nostra Signora di Piazza Stendardo del Conte Ruggiero (Fig. 2), riportando la data 1165 che si riferisce al primo miracolo, “quella Bandiera, nella quale era dipinta l’immagine della Santissima Vergine, adoperata dall’invittissimo, e degno di eterna memoria, il Conte Ruggiero nelle battaglie, colle quali vinse e cacciò dall’isola i Saraceni, fu, dopo la compita vittoria riposta nella città di Piazza, dove, qual vittoriosa Insegna, conservossi riverita da’ Fedeli”. Quando per una ribellione contro Guglielmo il Malo la città di Piazza venne rasa al suolo lo stendardo venne nascosto sotto terra e vi rimase fino al 1345, quando, nella nuova città di Piazza imperversava una pestilenza e la Madonna apparve in sogno ad “un Sacerdote di vita innocente” e gli mostrò il luogo dove era nascosto lo stendardo. Quivi recatisi in “solenne processione” “truovarono la Santa Imagine, dipinta in tela di lino, o, come ad altri appare, di seta cruda ed incollata sopra una tavola: ed era così intera e senza nessuna macchia”9.
Uno dei temi ricorrenti nelle apparizioni della Madonna, così come vengono tramandate per tradizione, è il riferimento a fedeli “di vita innocente”, semplice, quei “poveri di spirito”, beati, “perché di essi è il Regno dei Cieli” (Matteo, 5,3). La Madonna del Vessillo di Piazza Armerina, ancor oggi venerata nella Cattedrale della città, non solo liberò i suoi devoti da quella pestilenza, e da un’altra del 1479, ma anche da diverse siccità, essendo appunto, definita “Saccara” cioè “Apportatrice di acqua”. Ciò avvenne anche per quel miracolo della pioggia del 1628, che, non poté ricordare il Caietano, morto nel 1620, quando piovve la sera prima che la Madonna fosse portata in processione. Fu in quell’occasione che venne commissionata all’abile orafo smaltatore siciliano Don Camillo Barbavara la manta d’oro, smalti e gemme per la tavola della Madonna del Vessillo (Fig. 3)10. L’opera, consegnata nel 1632, costituì uno dei capolavori dell’oreficeria siciliana del XVII secolo, tutta rilucente di smalti e gemme policrome secondo le caratteristiche dei monili barocchi nell’isola, e recava in basso tre medaglioni: quello centrale con il miracolo della pioggia, e quelli laterali, da un lato con il Conte Ruggero che sconfigge i Musulmani sventolando in mano il vessillo della Madonna, e dall’altro con una veduta della città di Piazza Armerina che è posta sotto la protezione della Madonna. La tavola databile tra la fine del XII – inizi del XIII secolo è custodita in luogo riservato e ne viene esposta una copia. Dopo un primo furto nella seconda metà del secolo scorso che ha privato la manta di tutti i preziosi monili che le erano stati donati e che la ricoprivano quasi totalmente, costituendo un incredibile tesoro, di cui resta solo testimonianza fotografica (Fig. 4), anche la preziosissima copertina di immagine sacra capolavoro dell’oreficeria siciliana è stata rubata e solo pochi frammenti sono stati recuperati, triste segno dello smembramento dell’opera11. Per la diffusione della devozione nei confronti dell’immagine è significativo ricordare anche opere come il raro gruppo equestre in argento e bronzo dorato, raffigurante Ruggero a cavallo che sconfigge i Saraceni con in mano il vessillo della Madonna su cui riluce uno smalto dipinto raffigurante, appunto, la Madonna della Vittoria di Piazza Armerina, opera di abile argentiere siciliano del 1703, custodita nel tesoro della Cattedrale della città (Fig. 5)12. In Ruggero viene esaltata la funzione di baluardo della fede. È l’emblematica rappresentazione della vittoria del bene sul male, lo stereotipo che analogamente si riscontra nell’iconografia di San Giorgio13: l’eroe vincitore che sovrasta il malvagio sconfitto, mentre una vergine ispiratrice assiste il cavaliere. Il tema traslato adombra l’intento religioso, anche se trae spunto da un personaggio storico sacralizzato e non direttamente dalla tradizione mistica. Il drago è qui il Saraceno, fonte pagana delle ostilità e delle avversità, che tuttavia l’eroe, secondo reminiscenze mitologiche, assistito dalla sfera divina, dalla Vergine Maria, riesce, sempre in virtù della superiorità morale, a sconfiggere.
Gioacchino Di Marzo nelle Belle Arti in Sicilia (1858-1862), sottolinea l’importante funzione di divulgazione del Cristianesimo svolta dalle diverse immagini su tavola dopo la conquista Normanna, mentre prima era maggiormente diffuso l’affresco14.
Passa poi il Caietano a trattare di Santa Maria di Ravenosa, narrando come nell’anno 1080 la Vergine apparve al Conte Ruggero ancora una volta campione della fede cristiana, indicandogli dove avrebbe trovato acqua per le sue truppe mentre era impegnato nell’assalto alla città, allora saracena, di Licata. “Il grato Capitano per memoria del favore ricevuto, edificò nel medesimo luogo un Tempio, e alla Vergine il consagrò, con far dipingere tutto il fatto nella medesima Chiesa, la qual dipintura poi, per l’antichità, non poco scolorita, si rifece per non perdersi del tutto con l’ingiuria del tempo”15. L’inesorabile scorrere del tempo distrugge anche i simboli più significativi e più importanti per la vita spirituale di diverse generazioni; l’affresco con la Visione del Conte Ruggero è andato perduto insieme alla Chiesa del Monastero della Madonna del Fico, negli anni quaranta dell’Ottocento, tuttavia, ancora oggi grazie agli studiosi del passato, se ne può conservare la memoria e l’immagine attraverso l’incisione, del volume del Caietano, di Giovanni Federico Greuter (Fig. 6), ma non si ha più traccia del tesoro che lì si era verosimilmente raccolto.
Ancora ad un altro episodio della conquista normanna si lega poi la Madonna della Vittoria di Palermo, che guidò l’esercito di Ruggero entro la città attraverso la porta della Vittoria. Quivi fu edificata una Chiesa, e, come narra il Caietano, vi si collocò “l’imagine della medesima Signora che stringe lo stendardo nelle mani” con un’iscrizione che ricorda il miracoloso accaduto16. Così la propone l’incisione del libro del Caietano (Fig. 7). Il Mongitore nel suo Palermo Divoto di Maria Vergine e Maria Vergine protettrice di Palermo, fondamentale testo edito nel 1719, che testimonia la devozione mariana a Palermo, continuando la tradizione degli analoghi scritti del XVII secolo, ritiene che quella della Vergine della Vittoria sia la prima immagine della Madonna venerata a Palermo17. L’affresco, già ritenuto perduto, è stato recentemente recuperato e ci giunge frammentario, ridipinto nei secoli e fortemente ripreso nel Settecento, privato del suo originario aspetto. Si tratta della lunetta sita al di sopra della porta lignea da cui passò Ruggero, oggi attigua ai locali dell’Oratorio dei Bianchi, che è stato restaurato dalla competente Soprintendenza e adibito ad ulteriore sede espositiva della Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis18. Anche per quest’opera si è perduta la memoria di eventuali monili donati nei secoli. Al Museo Diocesano di Palermo è una tela di Antonino Manno raffigurante la Madonna della Vittoria, già nell’omonima Chiesa di Palermo19.
A proposito di Nostra Signora del Tindaro (Fig. 8), il Caietano narra come il simulacro si trovasse sopra una nave e passando da quel sito, malgrado i venti favorevoli, l’imbarcazione non potesse più muoversi finché non venne scesa la statua, che lasciò impressa nella terra toccata una miracolosa impronta che fu conservata, “incastrata in una tavoletta di marmo”20. La statua, posta nella Chiesa sul colle, era stata spostata più volte nel nuovo oratorio appositamente realizzato, ma vi si fermò stabilmente solo quando vi fu portata con “una solenne processione”. Il tema delle solenni processioni alla presenza ufficiale dell’alto Clero e delle autorità cittadine, è una significativa costante che tende a rafforzare la credibilità delle tradizioni tramandate.
Il Caietano parla di una “statua di marmo” della “Regina degli Angeli”21, si tratta invece di una scultura lignea databile tra l’XI e il XII secolo, che è stata recentemente restaurata22, non risultando più nera, come si riteneva fosse, anche in riferimento al Cantico dei Cantici, (1, 6) Nigra sum, ma che con rinnovata luce accoglie ancora i suoi fedeli (Fig. 9).
Ricorda poi Santa Maria di Nova Luce in Trapani, (1211), sita già sul muro di una porta della città di Trapani, poi portata nella Chiesetta che da Lei prese il nome della Madonna della Porta23. Nel 1633 venne trasferita nella Chiesa di San Giuliano, detta poi della Madonna di Nuova Luce, e oggi è custodita nel vescovado di Trapani e considerata, dopo il recente restauro, opera degli inizi del XV secolo24. Nel volume di Caietano è illustrata da una incisione di Giovanni Federico Greuter (Fig. 10).
Si dilunga poi a trattare di Nostra Signora di Trapani (1250) (Fig. 11). Già nel primo capitolo il Caietano aveva notato come “nel monte Erice, oggi detto Monte di Trapani, antichissima Città perché v’era nella parte d’Oriente eretto già ab antiquo un tempio a Venere Ericina, eressero i fedeli all’incontro dalla parte d’occidente una Chiesa alla purissima Vergine, accioché con la purità di questa, s’andassero distaccando gli amatori dell’impudicitia, da quello”25. La stessa tematica viene ripresa da Vincenzo Nobile nel suo Tesoro Nascoso del 1698 che, a proposito della Madonna di Trapani, scrive: “Nella città d’Afrodisio trasse i suoi natali Venere, che però a lei fu consacrata l’isola di Cipro”, “hor in detta isola fu scolpita la divotissima immagine in un castello di nome Enditet”, “Parte della terra di Venere scolpì una Vergine per insegnarci che Dio dall’incarnato del genere umano espresse una più che Angela. Non istupisco più di veder si bella quest’immagine, con sembrar idea di celeste purissima beltà, perché fu opposta alla falsa impura Dea di bellezza Venere da Gentili cotanto a Cipro venerata. E se da Cipro si propagò in Sicilia sul rinomato Monte Ericino la diabolica Venere… da Cipro ancora non tanto per accidente di fortuna, quanto per disegno del Cielo la sua origine riconobbe la sacrosanta Effigie che poi venne in Trapani dall’orientali contrade, e dimorare volle a pie dell’Erice a fine di abolire le vestigie di quell’infame Nume de’ Fedeli della Chiesa Romana, siccome fatto avea in quei della Grecia. Elesse la Maestra dell’Umiltà il pie più basso del Monte per mostrar quanto odiasse la superbia, e le nebbie di quella maladorata sommità”26. Il Nobile fa dunque riferimento all’“umiltà”, attributo della Madonna divenuto peraltro diffuso tema iconografico che trova, nella tavola della Madonna dell’Umiltà di Bartolomeo da Camogli del 1346 della Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis, proveniente dalla Basilica di San Francesco d’Assisi di Palermo, significativo esempio27. La Madonna, dipinta dal pittore ligure alla fine del Trecento, si presenta seduta umilmente sul pavimento e non su ricchi cuscini o troni.
Continua il Nobile a proposito delle origini della Madonna di Trapani: “L’immagine rimase in Cipro riverita dal 733, in quell’anno fu scalpellata, fino al… 1130” e “da Cipro nel 1130 all’incirca fu l’Immagine trasportata dalli templari nella Palestina”28, da dove la tradizione vuole che provenisse alla città di Trapani, dalla Terra Santa dopo la conquista del 1187 da parte del “Saladino Soldano d’Egitto”, secondo quanto scrive nel 1634 Padre Giovanni Manno Carmelitano della città di Trapani, nella sua Breve descrittione dell’effigie della Gloriosissima sempre Vergine Madre di Dio Signora Nostra29. Affine a quanto narra il Manno è la tradizione riportata da Caietano che scrive: “Adunque nel predetto tempo era nella Siria un Cavaliere Italiano dell’Ordine dei Templari, il quale tenea il governo di una Chiesa, dove si riveriva quella Imagine o Statua della Regina de’ Cieli… Questi si chiamava Guerregio… antivedendo le future vittorie de’ Saraceni, concepì ragionevolissimo timore, che la Sacra Statua della Gloriosissima Vergine a lui raccomandata, fosse per venire in potestà di quei nemici di Christo… e però volle toglierla dalle mani di quelli, e ponendola bene acconcia in cassa di tavole strettamente commesse, l’inviò verso paesi più fortunati… verso Pisa città nobile d’Italia dove era nato il Cavaliere. Ma il Cielo e il mare, i venti, e maggiormente la medesima Regina, e Stella del Mare, e delle tempeste favorirono la nostra Isola di Sicilia… Rinforzando la medesima tempesta… fu mestiere… far getto delle mercantie… le quali… si scaricavano, non molto lungi dalla Città… Attendevano al predetto luogo alla pesca… alquanti pescatori, li quali vedendo venire a galla una cassa… la tirarono alla spiaggia… dove avendo trovato una bellissima Statua di marmo bianco della Regina de’ Cieli, non è credibile con quanta letizia accolsero un tanto Tesoro, stimandosi, con tal dono venutogli dal Cielo, assai più ricchi di quello, che avrebbero potuto sperare da qualunque altra pretiosa mercantia”30. Viene qui dunque espresso il concetto di “tesoro” che per i Trapanesi fu quella Madonna, come sottolinea ancora Vincenzo Nobile: “Ospite gloriosa vi riceviamo tutti nel petto, ogniun vi saluta de’ Trapanesi, perché a tutti loro voi portate la salute, e tutti i tesori, cioè voi medesima, che siete quel tesoro fin hora nascoso, più ricco di tutti i tesori della terra, che senza di voi nulla vagliono”. E ancora il Nobile scrive, ribadendo i concetti precedentemente espressi: “In questo mar di Trapani finser i Gentili esser nata Venere”31. Così Maria, che viene a sostituire e a soppiantare il culto di Venere, fu poi assimilata, secondo la tradizione cristiana, al Sole e alla Luna. Così Nobile: “disciusa la cassa o che tesoro rinvennero… una Luna sì vaga, un Sole sì bello”32. Già peraltro, precedentemente, erano stati sottolineati dallo stesso Nobile altri titoli mariani: Regina Coeli, Stella maris. La stella compare sull’omero della Madonna in numerose tavole tardo-trecentesche d’importazione pisana, in Sicilia e a Palermo in particolare. Non a caso per quella repubblica marinara la Madonna era la guida delle lunghe rotte navali. Si ricorda, ad esempio, il trittico della Madonna con il Bambino e Santi di Turino Vanni della Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis della fine del Trecento33. Il racconto del Caietano sulla Madonna di Trapani così prosegue: “essendosi divulgata per tutto la fama della ritrovata Imagine, corse a gara la frequenza de’ popoli a riverirla, ne senza gran miracoli operati… Però i cittadini deliberarono di condurla dentro alla Città; onde posero all’ordine un Carro, sul quale alcuni venerandi Sacerdoti… agiatamente la collocarono”34. Ritorna sempre la solennità del trasporto di questi simulacri alla presenza del Clero ufficiale e in grande processione. “In arrivando al luogo, dove è la Chiesa della Santissima Vergine sotto il titolo dell’Annunziata, hoggi da tanto tempo in qua la posseggono i Padri Carmelitani, s’arrestarono i buoi che tiravano la carretta, e in tal guisa fermarono i piedi nel suolo, che ne a forza di gridi ne di bastoni… poterono essere rimossi dal luogo. Si avvisarono all’hora i Cittadini, che la Signora, di cui si portava l’effigie… in quella Chiesa volesse albergare… nella predetta Chiesa divotamente l’accomodarono, e arrivato intanto a Trapani il padrone della nave, che portava la Santa Imagine per la città di Pisa, uditi i maravigliosi prodigi accaduti, fu forzato a lasciarla nella prefata Chiesa dell’Annunziata”35. Quest’ultimo episodio è riferito diversamente dal Nobile che narra come il Guerreggio rivendicasse a sé la statua, ma la nave non riusciva a partire da Trapani fino a quando egli non decise di lasciarvi la statua per farla imbarcare su altra nave. A Trapani si ebbe allora quasi una rivolta popolare cosicché il Senato affidò la statua ad un carro di buoi, che non si diressero verso il mare, ma verso la campagna36. Significativo è ancora quanto il Nobile poeticamente scrive del carro di Maria: “O simile all’Orsa celeste, detta dagli astrologi comunemente carro stellato. O simile al profetico carro d’Ezechiello guidato da quattro animali, o simile al carro solare, dentro cui sta la Vergine, regendo a guisa d’un Santificato Fetonte, potendosi quella campagna, per dove passava intitolar un nuovo epiciclo, giacché ivi si vide stazionario col suo carro il Sole”37. Ancora una volta, mondo pagano e cristiano si fondono ponendosi l’uno come “santificata” continuazione dell’altro. Nobile peraltro conosce bene le simili narrazioni, relative ad altre miracolose immagini, e ricorda ad esempio quanto riporta il “Samperio”38 a proposito dell’immagine della Vergine del Monastero di Santa Maria La Scala di Messina, che verrà ricordata pure dal Caietano. A proposito poi della scelta della Chiesa dell’Annunziata, Nobile sottolinea “quanto ama Maria i Carmelitani”, predisponendo “che venisser prima di lei dall’istessa Terra Santa, dove ancor ella si ritrovava, per apparecchiare i figli alla Madre il luogo. E fu convenevole, che si gran gioia ad altri non si consegnasse che alli Carmelitani, per la loro religione è stata sempre fidelissima, depositarla delle immagini più miracolose di Maria”39. Il Nobile paragona poi ancora Maria ad un’altra Dea pagana, Diana, riproponendo peraltro il riferimento alla luna, così come aveva già fatto per il sole, entrambi ricordati attributi mariani: “siccome Diana sedendo nei bivij drizzava coloro, che passavan per colà, per qual delli due sentieri incaminar si dovessero per non errare, così vi metteste voi nella pubblica strada per istradarci al Paradiso”40.
Fede, devozione, leggenda e tradizione si legano sempre ai culti dei grandi Santuari e quello della Madonna di Trapani, attraverso i secoli, diviene fulcro di circolazione di fede e cultura, simbolico elemento catalizzatore di pellegrinaggi, indubbiamente tra l’altro favorendo artigianato e commercio, significativa fonte di ricchezza per la città.
Notava, infatti, il Nobile come “non viene in Trapani forestiero che non riporti seco alla patria qualche statuetta o di corallo o d’alabastro di Nostra Signora per provvedere alla devotione sua e de’ paesani. Vi è perciò un’honoratissima maestranza d’eccellentissimi scultori… insigni nel lavoro dell’arte loro, cioè di scarpellare coralli”41. Emblematico è a tal proposito il capezzale con al centro la Madonna di Trapani in corallo del Museo Regionale Pepoli (Fig. 12). Verosimilmente è l’opera che venne donata a Vittorio Amedeo di Savoia nel 1713, in occasione della sua incoronazione a Re di Sicilia nella Cattedrale di Palermo, ideata da Paolo o Giacomo Amato, architetti del Senato palermitano42. Innumerevole è poi il numero delle copie della Madonna di Trapani, di dimensioni diverse sia in marmo, sia in alabastro, sia in avorio, presenti non solo in Sicilia, ma anche ben oltre i confini dell’isola43.
Nei diversi racconti, appare pressoché costante della tradizione il rapporto con la città di Pisa, lasciando supporre che anche la scultura della Madonna di Trapani s’inserisca nel flusso migratorio d’importazione di opere richieste dai committenti pisani, che avevano i loro centri commerciali nella Sicilia occidentale e che a Palermo, come a Trapani, facevano giungere non solo mercanzie, ma anche opere d’arte. Già quel grande studioso d’arte siciliana che fu Gioacchino Di Marzo notava a proposito del simulacro che “dicesi colà venuto su nave pisana nel 1291, ond’è più agevolmente a tenerlo siccome opera di pisana scultura”44. La statua dovette giungere a Trapani tra il 1332, data della costruzione della Chiesa trecentesca dell’Annunziata, e il 1363, anno in cui Federico III d’Aragona concesse alla Chiesa un privilegio45. L’opera è ormai concordemente attribuita a Nino Pisano che muore nel 1368 (Fig. 13). Nei secoli si è raccolto intorno alla Madonna di Trapani un vero tesoro di gioielli donati da re, viceré, regine, viceregine, cardinali, vescovi, alti prelati e ricchi borghesi, già in parte segnalati dal Nobile, che costituiscono non solo testimonianza significativa della fede e della devozione del popolo siciliano, ma sono segno tangibile anche dell’alto livello artistico raggiunto dai maestri orafi isolani (Fig. 14). Proprio il tesoro della Madonna di Trapani ha costituito, infatti, uno dei tasselli fondamentali per la ricostruzione dell’oreficeria siciliana46. Il Tesoro è diviso tra il Museo Regionale Pepoli, dove è rimasto in esposizione permanente dopo la mostra del 1995, e il santuario dei Padri Carmelitani, che conserva solo una piccola parte celata alla confisca dovuta alle leggi sulla soppressione dei beni degli ordini monastici del 1866 e che fu esposto solo in occasione della ricordata mostra. Certo i monili sopravvissuti sono solo una parte molto esigua del ricchissimo tesoro della Madonna di Trapani di cui forniscono dettagliate notizie gli inventari minuziosamente redatti dai Padri Carmelitani47. La raccolta presenta tuttavia numerosi preziosi gioielli dal XVI al XIX secolo dalle più svariate tipologie (catene, bracciali, pendenti, collane, agnus dei, pietre stregonie etc.), tra cui emergono quelli ornati con coralli e smalti policromi affini all’analoga produzione dei maestri corallari del XVI e XVII secolo. Le caratteristiche della lavorazione dello smalto nelle cornici di rame dorato dei capezzali in corallo realizzati dalla maestranza trapanese sono state, infatti, un punto di riferimento fondamentale per l’analoga produzione in oro smalto e corallo degli orafi trapanesi. Le tipologie tecniche e stilistiche della lavorazione delle prime non solo hanno consentito di individuare le realizzazioni degli altri, ma anche di evidenziare elementi comuni in tutta l’oreficeria siciliana.
Nel 1693 fu fatta realizzare un’immagine della città di Trapani in argento da Don Marcello Sieripepoli e Carafa, destinata ad essere posta alla base della statua della Madonna (Fig. 15)48. Si evidenzia così da un lato la devozione dei cittadini, cui corrispondeva dall’altro la particolare protezione della Vergine. Immagini della Madonna con il Bambino, che sovrastano la città che proteggono, sono diffuse in Sicilia, come ad esempio, la Madonna e Santi con la veduta di Palermo, tavola dipinta da Mario di Laurito oggi al Museo Diocesano49. L’opera, che venne commissionata dal Senato della città come ex voto perché Palermo era stata risparmiata dall’epidemia che aveva colpito Messina e altri centri dell’Isola, presenta intorno alla Vergine con il Bambino Santi patroni e protettori contro la peste e fu portata solennemente nella chiesa di Santa Venera il 26 luglio 1530, come informa il Manganante nel suo Sacro Teatro palermitano, manoscritto della prima metà del XVII secolo50.
Il Caietano accenna anche alla Madonna della Visitazione di Enna che si pone a sostituzione del culto della Dea pagana Cerere (Fig. 16). Scrive in proposito: “Di più in Enna, ora detta Castrogiovanni, città molto nobile, e famosa, v’era un celebre tempio dedicato alla favolosa Dea Cerere, inventrice, come si crede, del tormento, le cui rovine giacciono nella Montagna verso Levante. Hor li novelli Christiani ivi, per contra foco, fabricarono un ampio Oratorio alla Gran Madre del Mistico tormento: e pure con tal rimedio non cadde del tutto estinta la superstizione. Restava ancora nelle insegne della città dipinta Cerere col solito adornamento di sue spighe. Di più l’avanzo di quell’antico tempio, quantunque distrutto, sollecitava gli animi de’ mal fondati nella Fede, e si celebrava da altri nel mese di Luglio la costumata festa a Cerere. E perciò il Clero, gli Officiali della Città rivolti alla novella Cerere, che porse il pane del Cielo, le istituirono solennissima festa da celebrarsi ogni anno nel secondo giorno di Luglio, accresciuta da una divota, e pomposa processione, nella quale si conducesse la Statua della Santissima Vergine dalla Chiesa Maggiore alla Chiesa di Portosalvo, quella situata nella parte estrema della Città verso Levante, questa nell’opposta parte verso ponente. Oltre a ciò scancellarono la falsa Dea dalle insegne, riponendoci invece di quella, l’Imagine della Vergine, e in tal guisa spensero affatto la superstitione, onde si fattamente era fomentata l’idolatria”51. Scrive in proposito il Littara nel suo manoscritto Hennensis Historiae del 1588: “un tempo ad Enna si fu soliti coniare monete che mostravano sul recto l’effigie di Cerere e sul verso una spiga di grano… Queste monete erano denominate ennesi… proprio da esse sin dai tempi antichi, si ricavarono le insegne della città e… esse rappresentano appunto Cerere vicino la base del castello fornito di tre torri (con cui si allude ai tre Valli dell’isola) sovrastate in cima dall’immagine della gloriosa Vergine, affinché, come … Enna si diceva sacra a Cerere, così essa, subentrata la religione cristiana, votata ad uno stato più felice, si mostrasse dedicata alla Vergine Madre di Dio”52. Il più antico stemma cittadino divenne anche il simbolo della Collegiata di Enna. Così, mentre in alcune suppellettili liturgiche, come l’ostensorio architettonico di Paolo Gili (1534), compaiono separatamente in tre scudi diversi il Castello di Enna, le tre spighe e la Madonna, in altre successive si può vedere la Madonna raffigurata sul Castello turrito nell’atto di reggere in mano tre spighe, elemento primario dell’iconografia di Cerere, come ad esempio nella Croce reliquiaria (Fig. 17) e nel Reliquiario a braccio di San Martino di Scipione di Blasi (1573-1577) (Fig. 18), nella mazza del capitolo (Fig. 19) e nella pace d’argento del XVII secolo53 (Fig. 20). Significativa compresenza poi in una stessa opera dell’immagine della Madonna con il Bambino sul Castello, con le spighe in mano, e di Cerere con spighe e cornucopia, offrono i candelieri di Nibilio Gagini del 1596 (Figg. 21 e 22)54. Ecco dunque trionfalmente effigiate, entro ghirlande, in opere d’arte sacra, destinate ad ornare l’altare cristiano, le figure della dea pagana Cerere e della Vergine Maria che simbolicamente le subentra nel culto. Significativa appare in proposito la statuina della Vergine con il Bambino e la cornucopia, che rappresenta la Provvidenza, della Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis, che ripropone proprio quel simbolo di abbondanza legato alla Dea pagana55. Sulle vicende della devozione nei confronti della Madonna della Visitazione di Enna è esplicito Vincenzo Petroso che scrive nel 1795 le Meditazioni per l’Ottavario che si celebra in onore di Maria Santissima sotto il titolo della Visitazione in occasione dell’incoronazione del simulacro della Madonna da parte del Capitolo vaticano. Egli nota che “come facevano in onore di Cerere altre feste in luglio per esser ne’ tempi della messe; così i lor nipoti adoratori del vero Dio scelsero il dì due Luglio dedicato alla gran Vergine vera apportatrice del celeste pane; qual è il Divin Verbo fatt’Uomo”56. Si ribadisce così lo stesso concetto già espresso dal Caietano.
Singolare è il fatto che anche la statua della Madonna della Visitazione, pur dovendo raggiungere il centro della Sicilia pervenisse ad Enna attraverso i flutti del mare, quasi a simboleggiare la nascita di un nuovo credo o la rinascita spirituale di una gente, per l’azione vitalizzante e purificatrice dell’acqua. Fu così che nel 1412 una delegazione di notabili, religiosi e mastri si partirono da Enna alla ricerca di un simulacro degno della devozione dei cittadini. Secondo la tradizione essi lo trovarono a Venezia nella bottega del maestro Alvise Gennazin, in Campo dei Frari, ne disposero l’invio in Sicilia e tornarono, per altra via, a dare la notizia del prossimo arrivo. La nave che doveva portare ad Enna la statua per una tempesta affondò e la cassa con la scultura si arenò sul litorale di Messina, dove, raccolta da alcuni marinai, venne riposta nei depositi del porto. Giunse intanto ad Enna la notizia di tal straordinario ritrovamento e alcuni cittadini si recarono a Messina e, riconosciuto il simulacro, lo riportarono nella loro città in trionfo. La sacra immagine fu dunque, secondo la tradizione, posta su un carro trainato da giovenche alla volta di Enna. Non è certo casuale che proprio ad Enna la statua di Cerere fosse portata in processione su bianche giovenche. Sempre in tema con l’usanza di trasformare eventi pagani in tradizioni di valenze cristiane, è ancora da notare come, in occasione dell’arrivo della statua ad Enna, non fossero riusciti i notabili e gli alti prelati a sostenere il peso del sacro fercolo. Sopraggiunsero quindi i contadini del luogo, addetti in quel periodo alla mietitura delle messi, coperti solo da una camiciola leggera e bianca e con i piedi scalzi. Il nuovo simulacro venne così portato a spalla da quei giovani mietitori, detti, “nudi”, la cui presenza è ancora oggi insostituibile nell’annuale rievocazione dell’ingresso in città, in occasione della festività patronale57. Così narra Vincenzo Petroso l’episodio: “si rese questa di peso enormissimo a’ Nobili del pari, che Ecclesiastici, i quali l’onore ambivano di portarla sulle spalle loro, e leggerissima a Villani. Per lo che rimasero questi sin d’allora in possesso di tanto onore, essendo ad ogniun di loro assegnato il posto per portarla nelle anzidette processioni, e passa da padre in figlio per eredità più che un tesoro”58. Ecco ritornare il concetto di “tesoro” riferito a simulacri mariani oggetto di grande devozione. I “nudi” vengono rifocillati ancora oggi in questa ricorrenza con i tipici “mustazzola”, particolari dolci che venivano distribuiti in occasioni delle festività pagane dei Cerealia. Più che i rappresentanti della nobiltà e del clero sono i lavoratori dei campi di grano, la cui coltivazione è dovuta agli insegnamenti della dea pagana, a farsi portatori del carro-fercolo, non più di Cerere, ma di Maria, trasferendo a questa ormai la devozione, rendendo palese il grato assoggettamento della gente di Cerere, alla nuova Cerere, Maria, dispensatrice del salvifico nutrimento spirituale. A proposito dei nudi scrive il Petroso: “Vann’eglino vestiti d’abito talare bianco di lino, di merletti guarnito, e di fettuccie, co’ piedi ignudi, e con una santa allegrezza, che muove a tenera divozione. E qui si rifletta, che essendovi stata pria la superstiziosa statua di Cerere, con in mano un simulacro della Vittoria…quegli onori, che facevansi già pe’ loro Antenati infedeli a quella Deità falsa, a Maria da lor si fanno vera Madre di Dio, lor Padrona, con in braccio non già la falsa Vittoria, ma il vero Vincitore della morte, del peccato e dell’inferno”59. E così non solo collegato il culto di Cerere a quello di Maria, ma si considera l’immagine di Cristo, come quella dell’unica e vera vittoria.
Come le tavole delle venerate Madonne erano spesso ricoperte di mante d’argento e talora persino d’oro, smalti e gemme, reminescenza delle preziose “rize” che rivestivano le icone bizantine, come la già ricordata Madonna del Vessillo di Piazza Armerina, così le statue venivano incoronate da preziose corone. La scultura lignea della Madonna della Visitazione di Enna (Fig. 23) fu ornata nel 1653 da una splendida corona di smalti e gemme policrome, massimo esempio dello sfarzo cromatico dell’oreficeria siciliana barocca, realizzata ad Enna dagli orafi palermitani Leonardo e Giuseppe Montalbano e Michele Castellani (Fig. 24)60. Vincenzo Petroso così la descrive: “superba corona di oro di tanti castoni composta, quanti sono i di lei Misteri, espressi tutti in vivaci smalti, e contornati ed adorni di grossi brillanti, e d’altre pietre rare e preziose”61. La corona reca infatti in smalti raffigurate scene dei Misteri gaudiosi e gloriosi: l’Annunciazione, la Visitazione, l’Adorazione dei Pastori, l’Adorazione dei Magi, la Disputa con i Dottori e la Resurrezione, accompagnati da altrettanti puttini alati, smaltati di bianco con la legenda della relativa scena (Figg. 25 – 26 – 27 – 28)62. Oltre alla emblematica corona la Madonna della Visitazione di Enna ha raccolto nei secoli e conserva ancora in significativa parte un tesoro di monili, come lo splendido pellicano ornato dai caratteristici smalti siciliani e dalle screziature auree esposto al Museo Alessi e tanti altri importanti gioielli ancora gelosamente custoditi in banca, ma non negati alla indagine degli studiosi63. Un’antica immagine fotografica mostra la statua ricoperta di tutti i monili donati dai fedeli nei secoli come ex voto (Fig. 29).
Il Caietano peraltro tralascia di trattare “di altre molte Chiese dedicate alla Vergine, a fine di scacciare dall’isola lo scelerato culto della falsa Deità”, attestandone per contro la loro numerosa esistenza64. Così ad esempio a Palermo si ha la sovrapposizione alla festa di Cerere di quella dell’Assunzione di Maria, quando, ancora nel XVII secolo, la processione dei devoti usava spingersi fino alla fonte di Mare Dolce, e cioè in quello stesso sito, dove si celebrava la festività di Cerere65. Una chiesa dedicata alla Vergine sostituì a Bitalemi, alla foce del fiume Gela, in età cristiana il culto delle divinità ctonie Demetra e Kore, mantenendo singolari analogie rituali66. La religione cristiana tende sin dalle origini ad assimilare e trasformare, adattandoli alle nuove esigenze, culti cari alle genti del passato. Così proprio all’immagine della Dea Egiziana Iside con in grembo il figlio Oro, che in area mediterranea continuerà a sopravvivere anche dopo l’avvento della fede cristiana, si ispirano le prime raffigurazioni della Madonna con il Bambino67. Ulteriore esempio fornisce lo stemma di Termini Imerese nel medaglione dell’urna reliquiaria di Santa Basilla della Chiesa Madre della città68. Qui viene accompagnata la figura dell’Immacolata a quella di San Calogero, che caratterizza lo stemma civico di Termini Imerese, insieme al poeta Stesicoro con un libro in mano e a Cerere con la cornucopia ricolma di spighe (Fig. 30). Ecco così, ancora insieme, l’Immacolata e Cerere. Il profondo sentimento religioso nei confronti dell’Immacolata a Termini Imerese resta segnato dalla tappa fondamentale del 1624, ancora oggi ricordata non a caso da una lapide della Chiesa Madre, dove la cittadinanza apertamente dichiara “perpetua devozione” “all’Immacolata Concezione di Maria”69. Dei primi anni del Seicento è peraltro la statua marmorea dell’Immacolata, tutta avvolta in un ricco manto aureo, scosso da un palese fremito di arte barocca, inserita in un altare che altresì esprime le peculiari caratteristiche dell’epoca nei suoi marmi mischi, tipicamente siciliani, e nello scenografico paliotto dall’esplicita simbologia mariana. Oggi oggetto di viva devozione è l’altra Immacolata della stessa Chiesa, la scultura lignea di Filippo Quattrocchi del 1799, opera recentemente restaurata, ricca di doni ex voto, come nella tradizione dei miracolosi simulacri mariani (Fig. 31)70. I monili del XVIII e XIX secolo offerti all’Immacolata sono stati riuniti in pannelli destinati all’esposizione nel Museo della Chiesa Madre di prossima apertura71.
Tra le principali Cattedrali siciliane ove viene riverita la Santissima Vergine, Caietano ricorda ancora Nostra Signora Santa Maria nella Chiesa Metropolitana di Palermo (Fig. 32). In proposito scrive: “Nell’anno di nostra salute 1219 si conservava in Alessandria nella Chiesa di S. Giovanni Battista con altre Sacre reliquie una piccola Imagine della Gloriosa Madre di Dio dipinta da S. Luca, per molta e divota istanza fattagli da S. Teda discepola dell’Apostolo S. Paolo. E nel medesimo anno, che appunto fu poco prima che Alessandria fosse da’ Barbari desolata, habitava S. Angelo honore e gloria della Religione de’ Carmelitani… Hor a questo apparve… Christo Signor Nostro… e gli comandò che indi partito, si conducesse infino a Sicilia a predicare il Santo Evangelio… Gli aggiunse in oltre, volendo senz’altro provedere alla gloria di sua benedetta Madre, e de’ suoi Santi, che prima portasse in Roma alcune Sacre Reliquie, le quali gliel’havrebbe consegnato Atanasio Patriarca d’Alessandria e fra quelle vi sarebbe un’Immagine della Santissima Vergine…Obedì…Atanasio e diede ad Angelo quel ricco e sacro tesoro: il quale felicemente arrivato a Roma, espose al Sommo Pontefice, che era Honorio Secondo, l’ambasciata datagli dal cielo, e gli porse le Sacre Reliquie. Si ritrovava allora in Roma Federico, fratello del detto Patriarca, e erano amendue della città di Palermo, il quale percioché era molto confidente del Papa, impetrò da lui che la Santa Imagine si rendesse ad Angelo, per portarla in Palermo in dono pretioso alla sua Patria. Così si fece, e ella hora si conserva fra le altre gioie più pretiose nella Chiesa Catedrale, e con gran riverenza si suole nelle solenni processioni esporre alla devotione del Popolo”72.
Si tratta di una piccola icona con una Madonna bizantineggiante, oggi esposta nel tesoro della Cattedrale di Palermo, che reca una coperta d’argento del XII secolo, dovuta a orafo bizantino, caratterizzata da quegli elementi cuoriformi che dal repertorio decorativo bizantino passarono a quello normanno73. L’opera fu trasformata in pace alla fine del XVI secolo da un argentiere siciliano che trasse ispirazione da modelli gaginiani74. Il Canonico Antonino Mongitore, nel suo manoscritto sulla Cattedrale di Palermo della prima metà del XVIII secolo, a proposito dell’opera scrive: “Si conserva l’immagine della SS. Vergine dipinta da S. Luca… sopra tavola a forma greca”75, riportando la tradizione, già narrata dal Caietano, relativa alla visione di Sant’Angelo e all’intervento dei palermitani Atanasio e Federico Chiaramonte. Aggiunge inoltre: “Ogn’anno alla Domenica in Albis e giorni seguenti sta esposta per un’intiera novena sopra l’aitar maggiore, celebrandosi la novena ordinata da Re Filippo IV con sue lettere a 30 maggio 1643 per impetrar dalla celeste Regina la pace ai suoi regni. Ogni giorno in questa novena si porta processionalmente ai pie della Vergine un degli Ordini Regolari che per la strada va cantando la litania della gran Regina, portando sotto ricco baldacchino un’immagine della Vergine. Mattina e sera v’ha sermone delle lodi della Sovrana Signora: termina la novena con solenne processione, portandosi la sacratissima immagine per la città accompagnata dagli Ordini Regolari, clero e Capitolo della Cattedrale, seguita dal Senato. Con questa immagine si dava prima la pace nelle messe solenni agli arcivescovi e nelle processioni si portava in petto dell’Arcivescovo, come s’ha dalla lettera spedita dall’Arcivescovo D. Diego Haedo per la Corte Arcivescovile al 13 marzo 1595 da D. Giovanni La Rosa nella vita di S. Angelo Carmelitano”76. Questa data 1595 si pone dunque come termine ante quem per la trasformazione dell’icona in pace. L’ispirazione gaginiana bene si accorda con tale periodo di realizzazione della cornice esterna dell’opera che reca alla base due aquile bicipiti, simbolo della “Maramma”, la Fabbriceria della Cattedrale di Palermo (Fig. 33)77.
Gioacchino Di Marzo, nelle Belle Arti in Sicilia, relativamente alla tradizione risalente al Canonico Giovan Battista La Rosa Spatafora, secondo il quale tale opera, come diverse altre, era stata dipinta da San Luca, tende, come altri studiosi, a sfatare questa opinione, dando significativo segno della sua maturità di colto religioso rispetto ai tempi78.
A Messina il Caietano ricorda poi Santa Maria dell’Alto (1294) (Fig. 34), cui il luogo e l’ampiezza del Tempio vennero indicate da una colomba bianca inviata dalla Vergine79. Placido Samperi, anche lui Gesuita, tratta delle immagini della Madonna più venerate a Messina nella sua Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio Maria Protettrice di Messina divisa in cinque libri, edita nel 164480. Quest’opera, dunque, si inserisce nella trattatistica prodotta dalla stessa temperie culturale del volume del Caietano. Questi narra che la tavola con la Madonna dell’Alto, nera, giunse da una nave orientale a Messina e la considera antichissima. Il Santuario fu affidato alle suore cistercensi. La tavola della Madonna detta di Montalto, finita sotto le macerie del terremoto del 1908, un tempo protetta dalla manta d’argento riferita a Pietro Juvara, è stata recentemente restaurata81.
La tavola si trova al Museo Regionale di Messina, mentre nel Santuario, ricostruito nel 1915 è una copia in tela proveniente da una Chiesa della Madonna di Montalto in Ortoliuzzo, frazione di Gesso, in provincia di Messina82. La manta d’argento che riveste la tela del santuario reca il marchio della città di Messina (lo scudo con corona e le lettere MS, Messanensis Senatus) e quello dell’argentiere Pietro Juvara83.
Il Caietano passa poi a narrare della Santa Maria della Scala (1220), la cui “Imagine della Regina de’ Cieli dipinta in tavola” era arrivata dalla Palestina su di una nave nel porto di Messina, che, malgrado venti favorevoli, non poteva più ripartire dal porto84. Commenta il Caietano: “Ma che può la forza umana contro al volere della potente Reina? In nessuna maniera poterono… rimuoverla dal porto. Il Piloto e gli altri tutti stupefatti a si nuovo avvenimento, si avvisarono, essere volontà della Vergine, che l’Imagine altrove destinata rimanesse in Messina”. “Ne diedero notizia all’Arcivescovo, e questi il comunicò col Re Federico… discesero tutti con gran pompa alla marina… condussero con somma devotione il dipinto quadro in terra cantando hinni e lodi alla Gran Madre di Dio. Si tosto come la nave diede alla città l’immagine, così con histupore di tutti si vide speditamente far vela. Ne qui si fermano i prodigi”, l’opera infatti non si poteva “indi rimuovere un passo”. “Vennero in deliberazione l’Arcivescovo, il Re e i primi della città, d’imitare quello che nelle sacre carte si legge esssere stato fatto per l’arca del Signore da’ Filistei. Si mise all’ordine un carro adornato con pretiosissimi drappi, al quale si acconciarono un par di buoi, e collocarono l’Imagine ivi sopra… abbandonando senza guida gli animali, acciocché essi facessero quel cammino che a Dio e alla Santissima Vergine fosse venuto a grado. E nelle falde della Montagna, che si chiamava volgarmente Sanrizzo, una Chiesa dedicata alla Madonna sotto nome di Santa Maria della Valle, a cui era allora congionto un Monastero di Sacre Vergini osservanti la Regola di S. Benedetto. Qua dunque da loro medesimi si condussero i buoi, dove pervenuti si arrestarono” e da allora quella Chiesa prese il nome di Santa Maria della Scala “perché nel quadro v’è dipinta una scala, come significasse, che la Gloriosa Regina Nostra è la vera scala, col mezzo di cui, salire possiamo sicuri al Paradiso”85. Ancora una volta, come per la Madonna di Trapani e per tanti altri simulacri, è Maria stessa che guida simbolicamente il carro con i buoi verso il luogo prescelto.
Il Sampieri nella sua Iconologia fa un’analoga narrazione e aggiunge che per una pestilenza nel 1347 venne portata per le strade di Messina e vi restò fino alla costruzione della nuova Chiesa di Santa Maria della Scala86. L’opera è andata perduta nel terremoto del 1908. Particolare importanza ha pertanto l’incisione di Giovanni Federico Greuter del volume del Caietano (Fig. 35).
Un’altra venerata immagine, non ricordata dal Caietano, che per tradizione indicò il luogo ove desiderava fermarsi, affidata ancora una volta al carro dei buoi, fu la Madonna con il Bambino di Lentini detta Madonna del Castello. Si tratta di un’Odigitria a figura intera, opera della prima metà del XIII secolo, della Chiesa dei SS. Maria e Alfio di Lentini (Fig. 36)87. La tavola venne ritrovata, infatti, secondo la tradizione, sulla spiaggia di Agnone da alcuni marinai di Lentini e di Catania. Per dirimere la discordia nata tra i due gruppi l’immagine venne affidata ad un carro tirato da buoi che si diresse a Lentini, dove nel 1240 venne conservata nel Castello che sorgeva sul monte Latina, oggi Tirone, e prese il titolo di Santa Maria Maggiore del Castello, da dove scendeva per le solenni processioni annuali e in occasioni di grandi calamità. Dalla Chiesa di Santa Maria della Cava, la prima Chiesa Madre di Lentini, passò dopo il terremoto del 1693 alla nuova Matrice dei SS. Maria e Alfio, dove nel XVIII secolo venne ricoperta da una manta d’argento. Il dipinto ha subito diversi restauri. In quello del 1665 venne fuori la scritta Lucas ad Leontinos, non originale, che voleva attestare l’antichità della tavola che San Luca stesso avrebbe dipinto per i Lentinesi88.
Tornando al testo del Caietano, questi passa a trattare di Santa Maria del Soccorso in S. Agostino a Palermo (Fig. 37). Nel 1306 “un Padre Teologo, e eccellente predicatore chiamato Nicolò Bruno Priore del Convento di Sant’Agostino in Palermo, essendo tormentato da gravissimi dolori spesse volte si raccomandava ad una Imagine della Santissima Vergine… e la pregava che in quel disperato male la soccorresse. Una notte si compiacque la Madre della Pietà comparire in sogno all’afflitto Priore e rendendogli la sanità, così gl’impose… voglio che insegni li fedeli che invochino me per l’innanzi, in questa medesima Imagine, sotto il nome del Soccorso”89. L’opera, una tela su tavola, viene tradizionalmente riferita a pittore siculo-bizantino del XIII secolo (Fig. 38). La Madonna del Soccorso era la patrona degli Agostiniani e il Mongitore narra che “in ossequio della Madonna del Soccorso in questa cappella fu prima del 1484 fondata una Confraternita, che dal generale dell’Ordine… fu aggregata all’Arciconfraternita della Madonna della Consolazione di Bologna”90. La Confraternita si riuniva in una cappella sul lato sinistro della Chiesa di Sant’Agostino prima della famiglia Maida, poi dei Bellavisi, quindi passata ai Landolina91.
Il Caietano ricorda tra i miracoli della Vergine quello con cui scacciò il Diavolo con la mazza liberando un bambino, “il che fu cagione poi che i devoti dipingessero nella detta Imagine dalla parte sinistra il Demonio e dalla destra il fanciullo appresso le falde del vestimento della Gloriosa Santa Maria del Soccorso”92. Dovrebbe trattarsi per tradizione di un affresco di artista siciliano del XIV secolo, che fu posto accanto all’altra immagine della venerata Madonna, e restaurato nel 1992, risultando tuttavia privo dei citati attributi iconografici, compresa la mazza, tanto da far sospettare che non possa trattarsi dell’originaria Madonna della Mazza, così come viene tramandata nell’immagine del Caietano (Fig. 39)93. Questi così significativamente commenta l’episodio: “Temere non può chi sotto la difesa della Torre di David si ricovera”94, facendo riferimento ad uno dei diversi attributi mariani tratti dal Cantico dei Cantici (4,4). Ricorda ancora il miracolo della cintura, avvenuto nel 1504, con cui la Madonna del Soccorso cinse una giovane inferma guarendola insieme ad un padre agostiniano malato che la sciolse. Così conclude la narrazione del miracolo: “O meravigliosi incontri di varie vie, mà ad accertato termine indirizzati dalla divina provvidenza. Renderono tutti alla Regina del cielo quelle grazie, quali seppero maggiori, si cantò il Te Deum laudamus, si convocarono i fedeli a suono di campane, e la cintola si conservò, e pur oggidì si conserva nel detto convento di S. Agostino”95. Il Mongitore nel suo Palermo divoto di Maria Vergine annota come i Padri Agostiniani, non volendo che la cintura fosse custodita nella Cattedrale “per non restarne privi, l’occultarono, rimanendo per molto tempo come sepolta. Ma uno di loro cui doleva non poco che quella rimanesse nascosta senza il dovuto onore, celatamente la estrasse e seco la trasferì a Venezia, dove la fe’ incastrare in una nobilissima Croce di cristallo, e poscia la ritornò al suo Convento di Palermo. Dubitando però alcuni che il Religioso non fosse stato fedele in tal maneggio, volle la Santissima Vergine dissipare ogni sospetto con operare per mezzo di essa evidentissimi miracoli, giovando il suo salutifero tocco ad ogni sorta di infermi”96. La croce di cristallo di rocca (Fig. 40) è ancora oggi custodita dai Padri del Convento di Sant’Agostino e reca al centro due smalti dipinti raffiguranti uno la Madonna della mazza con il bambino attaccato alla sua veste, la madre che prega e il diavolo che fugge e reca la data 1606 (Fig. 41) e l’altro proprio il miracolo della cintura. Uno scritto, datato 1711, conservato pure nella croce e ritrovato dal Padre Biagio Ministeri Agostiniano nel 1992, attesta, facendo riferimento a manoscritti del 1504, il miracolo del 1307 e che l’argento della cintura venne trasformato in croce nel 160697. Che le parti in cristallo di rocca fossero d’importazione veneziana, come parrebbe denunciare la caratteristica molatura, è confermato anche da quanto è narrato dal Mongitore. La lavorazione del cristallo di rocca era tuttavia diffusa anche in Sicilia dove nel XVII secolo è documentata la presenza di orafi milanesi verosimilmente diffusori di tale arte98.
- Si vedano ad esempio gli inventari del tesoro della Madonna di Trapani in Il tesoro nascosto. Gioie e Argenti per la Madonna di Trapani, catalogo della mostra (Trapani – Museo Regionale Pepoli, 2 dicembre 1995 – 3 marzo 1996), a cura di M.C. Di Natale e V. Abbate, Palermo 1995, pp. 248-279. [↩]
- Per tale argomento cfr. anche M.C. DI NATALE, Ave Maria. La Madonna in Sicilia immagini e devozione, Palermo 2003, Edizione Flaccovio fuori commercio. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti della Santissima Vergine Nostra Signora più celebri, che si riveriscono in varie Chiese nell’isola di Sicilia. Aggiuntavi una breve relazione dell’Origine e miracoli di quelli. Opera posthuma del R. P. Ottavio Caietano della Compagnia di Giesu. Trasportata nella lingua Volgare da un Devoto Servo della medesima Santissima Vergine. E cresciuta con alcune pie meditazioni sopra ciascun passo della vita della medesima, Palermo 1664, rist. anast. Palermo 1991. [↩]
- R. LA DUCA, Presentazione, in O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, pp. V-VI. [↩]
- C. NARO, Presentazione, in O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, pp. VI-VII. [↩]
- Per un significativo esempio in Sicilia cfr. V. ABBATE, “Ad aliquid sanctum significandum”. Immagine della Purissima Reina tra Cinque e Seicento, in Bella come la luna pura come il sole. L’immacolata nell’arte in Sicilia, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale e M. Vitella, Palermo 2004, pp. 30-47. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, pp. 17-20. [↩]
- Cfr. M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 12. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, pp. 23-24. [↩]
- Cfr. M.C. DI NATALE, I monili della Madonna della Visitazione di Enna, nota introduttiva di T. Pugliatti, con un contributo di S. Barraja, Appendice documentaria di R. Lombardo e O. Trovato, Enna 1996. Cfr. pure M.C. DI NATALE, Gioielli di Sicilia, Palermo 2000, II ed. 2008. M.C. DI NATALE, Oro, argento e corallo tra committenza ecclesiastica e devozione laica, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001, pp. 22-69; M.C. DI NATALE, Montalbano, Barbavara e la produzione orafa a Palermo nella prima metà del Seicento, in La sfera d’oro. Il recupero di un capolavoro dell’oreficeria siciliana, a cura di V. Abbate – C. Innocenti, Napoli 2003; M.C. DI NATALE, Le comte Roger et la Madonna à l’étendard dans l’art sicilien, in Les Normands en Sicile. Histoire et Lègendes (XI-XXI siècls), Milano-Caen 2006, pp. 84-89, 173; M.C. DI NATALE, Don Camillo Barbavara e gli orafi e smaltatori nella Sicilia barocca e G. TRAVAGLIATO, Nuovi documenti a completamento della biografia di don Camillo Barbavara, in La Madonna delle Vittorie a Piazza Armerina dal Gran Conte Ruggero al Settecento, catalogo della mostra a cura di M.K. Guida, Napoli 2009, pp. 123-132. Della tavola di Piazza Armerina si è occupata Maria Andaloro, cfr. scheda V.III.18, in “Nobiles Officinae”. Perle, filigrane e trame di seta dal Palazzo Reale di Palermo, catalogo della mostra a cura di M. Andaloro, Catania 2006, vol. I, pp. 555-556. Si veda anche G. TRAVAGLIATO, Icona graece, latine imago dicitur: culture figurative a confronto in Sicilia (secc. XII-XIX), in Tracce d’Oriente. La tradizione liturgica greco-albanese e quella latina in Sicilia, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2007, p. 43 e più recentemente M.K. GUIDA, Madonna delle Vittorie, in La Madonna delle Vittorie…, 2009, pp. 53-55, che riporta la precedente bibliografia. [↩]
- Ibidem. [↩]
- M.C. DI NATALE, scheda n. II,110, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 1989, pp. 260-261; M.C. Di Natale, Le comte Roger…, in Les Normands…, 2006, pp. 84-89; M.C. DI NATALE, Ruggero vittorioso sui saraceni, in La Madonna delle Vittorie…, 2009, pp. 166-167. [↩]
- Per la diffusione dell’iconografia di San Giorgio in Sicilia cfr. M.C. DI NATALE, San Giorgio nella cultura artistica siciliana, in R. CEDRINI – M.C. DI NATALE, Il Santo e il drago, Caccamo 1993, pp. 46-154. [↩]
- G. DI MARZO, Delle Belle Arti in Sicilia, III voll., Palermo 1858-1862. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 27. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664. rist. anast. Palermo 1991, p. 29. [↩]
- A. MONGITORE, Palermo divoto di Maria Vergine e Maria Vergine protettrice di Palermo, II voll., Palermo 1719-1720. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 15. [↩]
- C. SIRACUSANO, La pittura del Settecento in Sicilia, saggio introduttivo di A. Marabottini, Roma 1986, pp. 345, 348, 351, tav LXXXVI, Fig. 4. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 31. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Cfr. Nigra sum sed formosa. Madonna di Tindari. Iter di un restauro, a cura di G. Bonanno, Tindari 1996. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 33; O. CAIETANO, Vitae sanctorum siculorum, Panormi 1657, tomo II, p. 287; G.M. DI FERRO, Guida per gli stranieri in Trapani, Trapani 1825, p. 256; V. FONTE, Storia della Chiesa di Maria SS. della Nuova Luce in Trapani, Trapani 1927, p. 72. [↩]
- F. NEGRI ARNOLDI, Museo Nazionale Pepoli. IV Mostra di opere restaurate, Trapani 1969, p. 7; V. SCUDERI, Arte medievale nel trapanese, Trapani 1978, p. 97. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 11. [↩]
- V. NOBILE, Il tesoro nascoso. Discoperto a’ tempi nostri dalla consacrata penna di D. Vincenzo Nobile trapanese. Cioè le gratie, glorie et eccellenze del Religiosissimo Santuario di Nostra Signora di Trapani, ignorate fin’ hora da tutti, all’orbe battezzato fedelmente si palesano, Palermo 1698. Cfr. anche M.C. DI NATALE, “Coll’entrar di Maria entraron tutti i beni nella città”, in Il tesoro nascosto…, 1995, pp. 12-45. [↩]
- M.G. PAOLINI, Pittori genovesi in Sicilia: rapporti tra le culture ligure e siciliana, in Genova e i genovesi a Palermo, Atti delle manifestazioni culturali tenutesi a Genova (13 dicembre 1978/13 gennaio 1979), Genova 1980. [↩]
- V. NOBILE, Il tesoro nascoso…, 1698. [↩]
- P. G. MANNO, Breve descrittione dell’effigie della Gloriosissima sempre Vergine Madre di Dio Signora Nostra…, Palermo 1634. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, pp. 37-38. [↩]
- V. NOBILE, Il tesoro nascoso…, 1698. [↩]
- V. NOBILE, Il tesoro nascoso…, 1698. [↩]
- M.C. DI NATALE, La pittura pisana del Trecento e dei primi del Quattrocento in Sicilia, in Immagini di Pisa a Palermo, Atti del convegno, Palermo 1983, pp. 267-334. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 39. [↩]
- Ibidem. [↩]
- V. NOBILE, Il tesoro nascoso…, 1698. [↩]
- V. NOBILE, Il tesoro nascoso…, 1698. [↩]
- P. SAMPERI, Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio Maria Protettrice di Messina divisa in cinque libri, ove si ragiona delle imagini di Nostra Signora che si riveriscono nei Tempii, e Cappelle più famose della città di Messina, delle loro Origini, fondazioni e singolari avvenimenti con alcune digressioni sulle persone segnalate nelle virtù appartenenti a quel luogo, di cui si fa menzione, Messina 1644. [↩]
- V. NOBILE, Il tesoro nascoso…, 1698. [↩]
- V. NOBILE, Il tesoro nascoso…, 1698. [↩]
- V. NOBILE, Il tesoro nascoso…, 1698. [↩]
- V. ABBATE, scheda n. 55, in Splendori di Sicilia…, 2001, pp. 509-510, che riporta la precedente bibliografia. [↩]
- G. CASSATA, Le copie “piccole e preziose: della Madonna di Trapani”, in Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo, catalogo della mostra (Trapani – Museo Regionale “A. Pepoli”, 15 febbraio – 30 settembre 2003), a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2003, pp. 109-114, che riporta la precedente bibliografia. Si veda anche B. MONTEVECCHI, Note su alcune opere trapanesi nelle Marche, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento: un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale, Atti del Convegno Internazionale di Studi, a cura di M.C. Di Natale, Caltanissetta 2007, pp. 253-260. [↩]
- G. DI MARZO, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI. Memorie storiche e documenti, Palermo 1880-1883. [↩]
- V. SCUDERI, La Madonna di Trapani, in Il tesoro nascosto…, 1995, pp. 46-60. [↩]
- M.C. DI NATALE, I gioielli della Madonna di Trapani, in Ori e argenti…, 1989, pp. 63-82; Il tesoro nascosto…, 1995, passim. Cfr. pure M.C. DI NATALE, Gioielli di Sicilia, 2000, II ed. 2008. [↩]
- Cfr. Il tesoro nascosto…, 1995, pp. 248-279. [↩]
- M. VITELLA, scheda II,20, in Il Tesoro nascosto…, 1995, pp. 215-216. [↩]
- M.C. DI NATALE, Il Museo Diocesano di Palermo, Palermo 2006, II ed. 2010. [↩]
- O. MANGANANTI, Sacro teatro palermitano cioè notizie delle chiese tanto dentro tanto fuori le porte della città come anco delle antiche distrutte, co’ loro tumoli, tabelle, iscrizioni ed alcune lapidi sepolcrali, parte raccolte da diversi scrittori, e parte osservate, (1693 ca.), ms. del XVII sec. della Biblioteca Comunale di Palermo ai segni QqD12. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 11. [↩]
- V. LITTARA, Hennensis Historiae libri duo, ms. del 1588 della Biblioteca Comunale di Enna ai segni En 1-2-99 si riporta la trascrizione di R. Lombardo. Esiste un’altra copia manoscritta presso la Biblioteca Comunale di Palermo Historia Hennensis ai segni QqD66f. [↩]
- M.C. DI NATALE, I monili della Madonna…, 1996, pp. 13-31, che riporta la precedente bibliografia. [↩]
- Ibidem. [↩]
- M. GUTTILLA, Monumenti e mito. Cultura antiquariale, restauri e simbologie in Sicilia dalla seconda metà del ‘500 alla fine del ‘700 , in “Restauro e società”, n. 4, Palermo 1982, p. 22. [↩]
- V. PETROSO, Meditazioni per l’Ottavario che si celebra in onore di Maria Santissima sotto il titolo della Visitazione nella Chiesa Collegiata di Castrogiovanni coronata dal R.mo Capitolo di S. Pietro in Vaticano in quest’anno…, Roma 1795. [↩]
- M.C. DI NATALE, I monili della Madonna…, 1996, p. 21. [↩]
- V. PETROSO, Meditazioni per l’ottavario…, 1795. [↩]
- V. PETROSO, Meditazioni per l’ottavario…, 1795. [↩]
- M.C. DI NATALE, I monili della Madonna…, 1996, pp. 39-46. [↩]
- V. PETROSO, Meditazioni per l’ottavario…, 1795. [↩]
- Per la corona della Madonna della Visitazione di Enna cfr. E. MAUCERI, Le oreficerie della Chiesa Madre di Castrogiovanni, in “L’Arte”, anno XVII, 1914, pp. 379-81; M. ACCASCINA, Oreficeria…, in “Dedalo”, fasc. III, a. XI, agosto 1930; C. SCARLATA, Le oreficerie della Chiesa Madre di Enna, tesi di laurea, relatore prof. S. Bottari, Università degli studi di Catania, anno acc. 1952-53; M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974; M.C. DI NATALE, Le vie dell’oro dalla dispersione alla collezione, in Ori e argenti…, 1989, pp. 22-44; M.C. DI NATALE, I monili della Madonna…, 1996, pp. 39-46; M.C. DI NATALE, Gioielli di Sicilia, 2000, II ed. 2009, pp. 133, 135. [↩]
- Per i gioielli della Madonna della Visitazione di Enna cfr. M. ACCASCINA, Oreficeria siciliana. Il tesoro di Enna, in “Dedalo”, fasc. III, anno XI, agosto 1930. Cfr. pure M.C. DI NATALE, I monili della Madonna…, 1996, che riporta la precedente bibliografia; Eadem, Gioielli…, 2000, II ed. 2008. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 12. [↩]
- E. CIACERI, Culti e miti nella storia dell’antica Sicilia, Catania 1911, rist. anast. Catania 1993, p. 212. [↩]
- P. ORLANDINI, Lo scavo del tesmophorion di Bitalemi e il culto delle divinità ctomie a Gela, in “Kokalos”, a. XII, 1966, pp. 8-35. [↩]
- G. LA MONICA, Sicilia misterica. Fondazioni e restauri di monumenti tra Rinascimento e Barocco, Palermo 1982. [↩]
- M.C. DI NATALE, I gioielli dell’Immacolata segni di arte e devozione, in M.C. DI NATALE – M. VITELLA, Ori e stoffe della Maggior Chiesa di Termini Imerese, Palermo 1997, pp. 13-38. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Ibidem. Cfr. pure A. CUCCIA, scheda III, 33, in Le Confraternite dell’Arcidiocesi di Palermo. Storia e arte, catalogo della mostra a cura di M.C. DI NATALE, Palermo 1994, pp. 212-214. [↩]
- M.C. DI NATALE, I gioielli…, in M.C. DI NATALE – M. VITELLA, Ori e stoffe…, 1997, pp. 13-38. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, pp. 35-36. [↩]
- M.C. DI NATALE, Il tesoro della Cattedrale di Palermo dal Rinascimento al Neoclassicismo, Prolusione all’Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti già del Buon Gusto di Palermo, inaugurazione dell’anno accademico 2001-2002, Palermo 2001, p. 6. Cfr. pure G. TRAVAGLIATO, Icona graece…, in Tracce d’Oriente…, 2007, p. 44. [↩]
- Ibidem. [↩]
- A. MONGITORE, La Cattedrale di Palermo, ms. della prima metà del XVIII secolo della Biblioteca Comunale di Palermo ai segni QqE3, cap. 61, c. 581r. [↩]
- Ibidem. [↩]
- M.C. DI NATALE, Il tesoro della Cattedrale…, 2001, p. 6. [↩]
- G. DI MARZO, Delle Belle Arti…, 1858-1862. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 45. [↩]
- P. SAMPERI, Iconologia della gloriosa Vergine…, 1644. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003. [↩]
- Per l’opera si veda M.P. PAVONE ALAJMO, scheda 13, in Orafi e argentieri al Monte di Pietà. Artefici e botteghe messinesi del sec. XVII, catalogo della mostra (Messina, Monte di Pietà 18 giugno – 18 luglio 1988) a cura di C. CIOLINO, Messina 1988, pp. 180-181; G. MUSOLINO, Argentieri messinesi tra XVII e XVIII secolo, Messina 2001, p. 90. [↩]
- Ibidem. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 49. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 85. [↩]
- P. SAMPERI, Iconologia della gloriosa…, 1644. [↩]
- G. BARBERA, scheda n. 119, in Federico e la Sicilia. Le arti figurative e le arti suntuarie, vol. II, a cura di M. Andaloro, Palermo 1995, pp. 453-456. [↩]
- Ibidem. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 51. [↩]
- A. MONGITORE, Palermo divoto…, 1719-1720. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 52. [↩]
- M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 52. [↩]
- O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 53. [↩]
- A. MONGITORE, Palermo divoto…, 1719-1720. Per la confraternita abolita nel XIX secolo cfr. F. LO PICCOLO, scheda VII, 39, in Le Confraternite…, 1994, p. 299. [↩]
- B. MINISTERI, La chiesa e il convento di Sant’Agostino di Palermo, premessa di M.C. Di Natale, Palermo 1994, pp. 37-38. [↩]
- M.C. DI NATALE, Oro, argento e corallo…, in Splendori…, 2001, pp. 41-42. [↩]