Maria Concetta Di Natale

mariaconcetta.dinatale@unipa.it

“Cammini” mariani per i tesori di Sicilia – Parte I

DOI: 10.7431/RIV01012010

Il sottile filo che lega il cammino dei santuari mariani in Sicilia, oltre a segnare la via della devozione nell’isola, svela anche raccolte di monili donati nei secoli come ex voto.

Queste preziose collezioni, a lungo gelosamente custodite, hanno formato il nucleo principale dei gioielli che sono stati individuati per la ricostruzione della storia dell’oreficeria siciliana. Dettagliati inventari, dove scrupolosamente venivano annotati i doni, hanno fornito elementi fondamentali per la conoscenza della produzione orafa siciliana: tra i tanti elementi che emergono dalla lettura dei repertori d’archivio compare, ad esempio, l’ambito cronologico, poiché tale registrazione diventa immediatamente un termine ante quem per la realizzazione del monile1.

I documenti d’archivio hanno rivelato inoltre nomi di donatori e committenti, fornito talora preziose informazioni sulle tecniche, sulle gemme, sulle tipologie e a volte riportato anche nomi di orafi e argentieri, raramente autori dei medesimi monili donati, più spesso maestri chiamati per la loro stima.

Attraverso coinvolgenti fonti, che tramandano emblematici messaggi di iconografia e iconologia, si propone un percorso d’arte e devozione che diviene lo stesso “cammino” che ha svelato celati tesori di rari monili.

Il tema delle immagini mariane più venerate in Sici­lia ha la prima fondamentale trattazione generale da parte del Gesuita Ottavio Caietano, preziosa fonte che si sceglie come emblematica “guida” per questo simbolico “cammino” a ritroso nel tempo in cui passato e presente, mito pagano e fede cristiana si fondono trasformando vecchie e nuove tradizioni2. Nel 1664 per i tipi di Andrea Colicchia viene pubblicato in Paler­mo il volumetto sui Raguagli delli ritratti della San­tissima Vergine Nostra Signora più celebri, che si rive­riscono in varie Chiese nell’isola di Sicilia3.

Ottavio Caietano della famiglia dei Marchesi di Sortino e dei Principi di Cassaro, “uomo dotto ed eru­dito”, come commenta Rosario La Duca, nella pre­sentazione dell’opera di cui la Facoltà Teologica di Sicilia ha curato la ristampa anastatica nel 1991, na­sceva a Siracusa nel 1566, nel 1602 entrava a far par­te della Compagnia di Gesù e moriva nel 16204. È nel 1664 che, per volere di Tommaso Tamburino da Caltanissetta, l’opera veniva edita con alcune inci­sioni dovute a Giovanni Federico Greuter, attivo a Roma, e altre a Giuseppe Lentini, della Congrega­zione dell’Oratorio di San Filippo Neri all’Olivella di Palermo.

Cataldo Naro, nella stessa presentazione dell’opera, sottolinea come “il frutto della prima diffusione del­la devozione mariana in Sicilia è stato, secondo il no­stro autore, di avere scacciato lo scelerato culto della falsa deità, “non è, perciò, un caso se la devozione a Maria risale agli inizi della storia del cristianesimo in Sicilia e poi si è sempre più incrementata” “e si de­ve a questa devozione… se la Madre della Miseri­cordia mossa da cotanta pietà del popolo siciliano lo liberò dalla dominazione mussulmana. Lo straordi­nario incremento della devozione mariana del se­condo millennio sarebbe stata la risposta di gratitu­dine della Sicilia alla Madre di Dio”5.

Cosi il Caietano, attivo rappresentante della profon­da azione operata dai Padri Gesuiti nel mettere in opera i dettami della Controriforma anche in Sicilia, raccoglie tutte le immagini più venerate dell’isola in una sorta di progressione cronologica, riferita al pri­mo miracolo, con l’intento da un lato di una rinno­vata diffusione delle antiche devozioni mariane, con l’auspicio dall’altro della nascita di nuove.

Si ritrovano peraltro in Sicilia, spigolando tra le im­magini di Maria, le più svariate iconografie mariane, testimoniate anche nel variare attraverso i tempi. La controriforma con le sue indicazioni anche rela­tive all’iconografia delle opere d’arte sacra si viene a porre come un punto di cesura, definendo alcune ti­pologie e tematiche, mutandone altre e favorendone alcune, piuttosto che altre6.

Il Caietano inizia ricordando Nostra Signora di Valverde a Mongibello presso a Iaci, la cui origine fa risalire al 1040, quando la Madonna apparve a Dionigi, un soldato sceso in Sicilia con i Normanni e per discordie divenuto un malfattore dedito a “fare scor­rerie e ladronecci”, in soccorso di un suo devoto. A Dionigi pentito apparve poi la Vergine “circondata da chiara luce, più che di sole di mezzo giorno, ac­compagnata da gran frequenza d’Angeli” e gli chie­se di “fabbricare in questo medesimo luogo un tem­pio” e di invitare “il Clero, e gli Officiali, perché ven­gano con solenne processione in questa stessa valle, e dove vedranno una schiera di gru, che volando for­mino una rotanda corona, ivi dovrassi fabbricare il nostro tempio”. Così Dionigi fece e fu costruito il Santuario dove “comparve” “una bellissima imagine della Santissima Vergine, e parve dipinta di mano Greca. Essa sedeva vestita di manto azzurro ricama­to a punti d’oro: dalla parte destra stringeva in brac­cio il suo caro pegno, il quale con la mano alquanto innalzata pareva, che ad altri desse benedittione. Te­neva in oltre la Vergine colla mano sinistra una Gru, e due Angiolini dell’uno, e l’altro lato le coronavano con tre corone d’oro il capo. Con quanta divotione, e meraviglia, fosse stata accolta tal celeste pittura, e con qual frequenza da indi innanzi riverita, spiegar­lo difficilmente il potrei”7.

La descrizione del Caietano corrisponde all’incisio­ne di Giovanni Federico Greuter che illustra il volu­me (Fig. 1).

L’affresco raffigurante l’Incoronazione della Madonna con il Bambino, detta Madonna di Valverde, si trova oggi nel nuovo Santuario di Valverde, fortemente ri­dipinto attraverso i secoli. Venne liberato intatto con il vetro che lo proteggeva dalle rovine del Santuario, crollato nel terremoto del 1693, e oggi si presenta con alcune lacune dovute allo strappo da parte di ladri nel 1970 di taluni monili ex voto che l’ornavano e che dovevano verosimilmente costituire l’ultimo residuo di un “tesoro” ormai perduto8.

Il Caietano passa poi a ricordare Nostra Signora di Piazza Stendardo del Conte Ruggiero (Fig. 2), riportando la da­ta 1165 che si riferisce al primo miracolo, “quella Ban­diera, nella quale era dipinta l’immagine della Santis­sima Vergine, adoperata dall’invittissimo, e degno di eterna memoria, il Conte Ruggiero nelle battaglie, col­le quali vinse e cacciò dall’isola i Saraceni, fu, dopo la compita vittoria riposta nella città di Piazza, dove, qual vittoriosa Insegna, conservossi riverita da’ Fe­deli”. Quando per una ribellione contro Guglielmo il Malo la città di Piazza venne rasa al suolo lo sten­dardo venne nascosto sotto terra e vi rimase fino al 1345, quando, nella nuova città di Piazza imperver­sava una pestilenza e la Madonna apparve in sogno ad “un Sacerdote di vita innocente” e gli mostrò il luo­go dove era nascosto lo stendardo. Quivi recatisi in “solenne processione” “truovarono la Santa Imagine, dipinta in tela di lino, o, come ad altri appare, di seta cruda ed incollata sopra una tavola: ed era così inte­ra e senza nessuna macchia”9.

Uno dei temi ricorren­ti nelle apparizioni della Madonna, così come vengo­no tramandate per tradizione, è il riferimento a fede­li “di vita innocente”, semplice, quei “poveri di spiri­to”, beati, “perché di essi è il Regno dei Cieli” (Matteo, 5,3). La Madonna del Vessillo di Piazza Armerina, ancor oggi venerata nella Cattedrale della città, non solo liberò i suoi devoti da quella pestilenza, e da un’altra del 1479, ma anche da diverse siccità, essen­do appunto, definita “Saccara” cioè “Apportatrice di acqua”. Ciò avvenne anche per quel miracolo della pioggia del 1628, che, non poté ricordare il Caietano, morto nel 1620, quando piovve la sera prima che la Madonna fosse portata in processione. Fu in quell’occasione che venne commissionata all’abile orafo smaltatore sici­liano Don Camillo Barbavara la manta d’oro, smalti e gemme per la tavola della Madonna del Vessillo (Fig. 3)10. L’opera, consegnata nel 1632, costituì uno dei capolavori dell’oreficeria si­ciliana del XVII secolo, tutta rilucente di smalti e gem­me policrome secondo le caratteristiche dei monili barocchi nell’isola, e recava in basso tre medaglioni: quello centrale con il miracolo della pioggia, e quelli laterali, da un lato con il Conte Ruggero che sconfigge i Musulmani sventolando in mano il vessillo della Madonna, e dall’altro con una veduta della città di Piazza Armerina che è posta sotto la protezione del­la Madonna. La tavola databile tra la fine del XII – inizi  del XIII se­colo è custodita in luogo riservato e ne viene esposta una copia. Dopo un primo furto nella seconda metà del secolo scorso che ha privato la manta di tutti i preziosi monili che le erano stati donati e che la ricoprivano quasi totalmente, costituendo un incredibile tesoro, di cui resta solo testimonianza fotografica (Fig. 4), anche la preziosissima copertina di immagine sacra capolavoro dell’oreficeria siciliana è stata rubata e solo pochi frammenti sono stati recuperati, triste segno dello smembramento dell’opera11. Per la diffusione della devozione nei con­fronti dell’immagine è significativo ricordare anche opere come il raro gruppo equestre in argento e bron­zo dorato, raffigurante Ruggero a cavallo che scon­figge i Saraceni con in mano il vessillo della Madon­na su cui riluce uno smalto dipinto raffigurante, ap­punto, la Madonna della Vittoria di Piazza Armerina, opera di abile argentiere siciliano del 1703, custodita nel tesoro della Cattedrale della città (Fig. 5)12. In Ruggero vie­ne esaltata la funzione di baluardo della fede. È l’em­blematica rappresentazione della vittoria del bene sul male, lo stereotipo che analogamente si riscontra nell’iconografia di San Giorgio13: l’eroe vincitore che so­vrasta il malvagio sconfitto, mentre una vergine ispi­ratrice assiste il cavaliere. Il tema traslato adombra l’intento religioso, anche se trae spunto da un perso­naggio storico sacralizzato e non direttamente dalla tradizione mistica. Il drago è qui il Saraceno, fonte pa­gana delle ostilità e delle avversità, che tuttavia l’eroe, secondo reminiscenze mitologiche, assistito dal­la sfera divina, dalla Vergine Maria, riesce, sempre in virtù della superiorità morale, a sconfiggere.

Gioacchino Di Marzo nelle Belle Arti in Sicilia (1858-1862), sottolinea l’importante funzione di divulga­zione del Cristianesimo svolta dalle diverse immagi­ni su tavola dopo la conquista Normanna, mentre pri­ma era maggiormente diffuso l’affresco14.

Passa poi il Caietano a trattare di Santa Maria di Ravenosa, narrando come nell’anno 1080 la Vergine ap­parve al Conte Ruggero ancora una volta campione della fede cristiana, indicandogli dove avrebbe trovato acqua per le sue truppe mentre era impegnato nell’assalto alla città, allora saracena, di Licata. “Il grato Capitano per memoria del favore ricevuto, edi­ficò nel medesimo luogo un Tempio, e alla Vergine il consagrò, con far dipingere tutto il fatto nella mede­sima Chiesa, la qual dipintura poi, per l’antichità, non poco scolorita, si rifece per non perdersi del tutto con l’ingiuria del tempo”15. L’inesorabile scorrere del tem­po distrugge anche i simboli più significativi e più importanti per la vita spirituale di diverse generazio­ni; l’affresco con la Visione del Conte Ruggero è an­dato perduto insieme alla Chiesa del Monastero del­la Madonna del Fico, negli anni quaranta dell’Otto­cento, tuttavia, ancora oggi grazie agli studiosi del passato, se ne può conservare la memoria e l’imma­gine attraverso l’incisione, del volume del Caietano, di Giovanni Federico Greuter (Fig. 6), ma non si ha più traccia del tesoro che lì si era verosimilmente raccolto.

Ancora ad un altro episodio della conquista normanna si le­ga poi la Madonna della Vittoria di Palermo, che guidò l’esercito di Ruggero entro la città attraverso la porta della Vittoria. Quivi fu edificata una Chiesa, e, co­me narra il Caietano, vi si collocò “l’imagine della medesima Signora che stringe lo stendardo nelle ma­ni” con un’iscrizione che ricorda il miracoloso acca­duto16. Così la propone l’incisione del libro del Caie­tano (Fig. 7). Il Mongitore nel suo Palermo Divoto di Maria Vergine e Maria Vergine protettrice di Palermo, fondamentale testo edito nel 1719, che testimonia la devozione mariana a Palermo, continuando la tradi­zione degli analoghi scritti del XVII secolo, ritiene che quella della Vergine della Vittoria sia la prima im­magine della Madonna venerata a Palermo17. L’affre­sco, già ritenuto perduto, è stato recentemente recu­perato e ci giunge frammentario, ridipinto nei seco­li e fortemente ripreso nel Settecento, privato del suo originario aspetto. Si tratta della lunetta sita al di sopra della porta lignea da cui passò Ruggero, oggi at­tigua ai locali dell’Oratorio dei Bianchi, che è stato restaurato dalla competente Soprintendenza e adibito ad ulteriore sede espositiva della Galleria Regionale del­la Sicilia di Palazzo Abatellis18. Anche per quest’opera si è perduta la memoria di eventuali monili donati nei secoli. Al Museo Diocesano di Palermo è una tela di Antonino Manno raffigu­rante la Madonna della Vittoria, già nell’omonima Chiesa di Palermo19.

A proposito di Nostra Signora del Tindaro (Fig. 8), il Caietano narra come il simulacro si trovasse sopra una na­ve e passando da quel sito, malgrado i venti favore­voli, l’imbarcazione non potesse più muoversi finché non venne scesa la statua, che lasciò impressa nella terra toccata una miracolosa impronta che fu con­servata, “incastrata in una tavoletta di marmo”20. La statua, posta nella Chiesa sul colle, era stata spostata più volte nel nuovo oratorio appositamente rea­lizzato, ma vi si fermò stabilmente solo quando vi fu portata con “una solenne processione”. Il tema del­le solenni processioni alla presenza ufficiale dell’alto Clero e delle autorità cittadine, è una significativa co­stante che tende a rafforzare la credibilità delle tra­dizioni tramandate.

Il Caietano parla di una “statua di marmo” della “Re­gina degli Angeli”21, si tratta invece di una scultura li­gnea databile tra l’XI e il XII secolo, che è stata re­centemente restaurata22, non risultando più nera, co­me si riteneva fosse, anche in riferimento al Cantico dei Cantici, (1, 6) Nigra sum, ma che con rinnovata luce accoglie ancora i suoi fedeli (Fig. 9).

Ricorda poi Santa Maria di Nova Luce in Trapani, (1211), sita già sul muro di una porta della città di Trapani, poi portata nella Chiesetta che da Lei pre­se il nome della Madonna della Porta23. Nel 1633 ven­ne trasferita nella Chiesa di San Giuliano, detta poi della Madonna di Nuova Luce, e oggi è custodita nel vescovado di Trapani e considerata, dopo il recente restauro, opera degli inizi del XV secolo24. Nel volu­me di Caietano è illustrata da una incisione di Gio­vanni Federico Greuter (Fig. 10).

Si dilunga poi a trattare di Nostra Signora di Trapani (1250) (Fig. 11). Già nel primo capitolo il Caietano aveva no­tato come “nel monte Erice, oggi detto Monte di Tra­pani, antichissima Città perché v’era nella parte d’O­riente eretto già ab antiquo un tempio a Venere Ericina, eressero i fedeli all’incontro dalla parte d’occi­dente una Chiesa alla purissima Vergine, accioché con la purità di questa, s’andassero distaccando gli amatori dell’impudicitia, da quello”25. La stessa tema­tica viene ripresa da Vincenzo Nobile nel suo Tesoro Nascoso del 1698 che, a proposito della Madonna di Trapani, scrive: “Nella città d’Afrodisio trasse i suoi natali Venere, che però a lei fu consacrata l’isola di Cipro”, “hor in detta isola fu scolpita la divotissima immagine in un castello di nome Enditet”, “Parte del­la terra di Venere scolpì una Vergine per insegnarci che Dio dall’incarnato del genere umano espresse una più che Angela. Non istupisco più di veder si bel­la quest’immagine, con sembrar idea di celeste pu­rissima beltà, perché fu opposta alla falsa impura Dea di bellezza Venere da Gentili cotanto a Cipro vene­rata. E se da Cipro si propagò in Sicilia sul rinomato Monte Ericino la diabolica Venere… da Cipro an­cora non tanto per accidente di fortuna, quanto per disegno del Cielo la sua origine riconobbe la sacro­santa Effigie che poi venne in Trapani dall’orientali contrade, e dimorare volle a pie dell’Erice a fine di abolire le vestigie di quell’infame Nume de’ Fedeli della Chiesa Romana, siccome fatto avea in quei del­la Grecia. Elesse la Maestra dell’Umiltà il pie più bas­so del Monte per mostrar quanto odiasse la superbia, e le nebbie di quella maladorata sommità”26. Il Nobi­le fa dunque riferimento all’“umiltà”, attributo del­la Madonna divenuto peraltro diffuso tema icono­grafico che trova, nella tavola della Madonna dell’Umiltà di Bartolomeo da Camogli del 1346 della Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis, proveniente dalla Basilica di San Francesco d’Assisi di Palermo, significativo esempio27. La Ma­donna, dipinta dal pittore ligure alla fine del Trecento, si presenta seduta umilmente sul pavimento e non su ricchi cuscini o troni.

Continua il Nobile a proposito delle origini della Ma­donna di Trapani: “L’immagine rimase in Cipro ri­verita dal 733, in quell’anno fu scalpellata, fino al… 1130” e “da Cipro nel 1130 all’incirca fu l’Immagi­ne trasportata dalli templari nella Palestina”28, da do­ve la tradizione vuole che provenisse alla città di Tra­pani, dalla Terra Santa dopo la conquista del 1187 da parte del “Saladino Soldano d’Egitto”, secondo quan­to scrive nel 1634 Padre Giovanni Manno Carmeli­tano della città di Trapani, nella sua Breve descrittione dell’effigie della Gloriosissima sempre Vergine Ma­dre di Dio Signora Nostra29. Affine a quanto narra il Manno è la tradizione riportata da Caietano che scri­ve: “Adunque nel predetto tempo era nella Siria un Cavaliere Italiano dell’Ordine dei Templari, il quale tenea il governo di una Chiesa, dove si riveriva quel­la Imagine o Statua della Regina de’ Cieli… Questi si chiamava Guerregio… antivedendo le future vit­torie de’ Saraceni, concepì ragionevolissimo timore, che la Sacra Statua della Gloriosissima Vergine a lui raccomandata, fosse per venire in potestà di quei ne­mici di Christo… e però volle toglierla dalle mani di quelli, e ponendola bene acconcia in cassa di tavole strettamente commesse, l’inviò verso paesi più for­tunati… verso Pisa città nobile d’Italia dove era na­to il Cavaliere. Ma il Cielo e il mare, i venti, e maggiormente la medesima Regina, e Stella del Mare, e delle tempeste favorirono la nostra Isola di Sicilia… Rinforzando la medesima tempesta… fu mestiere… far getto delle mercantie… le quali… si scaricavano, non molto lungi dalla Città… Attendevano al predetto luogo alla pesca… alquanti pescatori, li quali ve­dendo venire a galla una cassa… la tirarono alla spiag­gia… dove avendo trovato una bellissima Statua di marmo bianco della Regina de’ Cieli, non è credibi­le con quanta letizia accolsero un tanto Tesoro, sti­mandosi, con tal dono venutogli dal Cielo, assai più ricchi di quello, che avrebbero potuto sperare da qua­lunque altra pretiosa mercantia”30. Viene qui dunque espresso il concetto di “tesoro” che per i Trapanesi fu quella Madonna, come sottolinea ancora Vincen­zo Nobile: “Ospite gloriosa vi riceviamo tutti nel pet­to, ogniun vi saluta de’ Trapanesi, perché a tutti loro voi portate la salute, e tutti i tesori, cioè voi medesi­ma, che siete quel tesoro fin hora nascoso, più ricco di tutti i tesori della terra, che senza di voi nulla vagliono”. E ancora il Nobile scrive, ribadendo i con­cetti precedentemente espressi: “In questo mar di Trapani finser i Gentili esser nata Venere”31. Così Ma­ria, che viene a sostituire e a soppiantare il culto di Venere, fu poi assimilata, secondo la tradizione cri­stiana, al Sole e alla Luna. Così Nobile: “disciusa la cassa o che tesoro rinvennero… una Luna sì vaga, un Sole sì bello”32. Già peraltro, precedentemente, era­no stati sottolineati dallo stesso Nobile altri titoli mariani: Regina Coeli, Stella maris. La stella compare sull’omero della Madonna in numerose tavole tardo-trecentesche d’importazione pisana, in Sicilia e a Pa­lermo in particolare. Non a caso per quella repub­blica marinara la Madonna era la guida delle lunghe rotte navali. Si ricorda, ad esempio, il trittico del­la Madonna con il Bambino e Santi di Turino Vanni della Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis della fine del Trecento33.  Il racconto del Caietano sulla Madonna di Trapani così prosegue: “essendosi divulgata per tutto la fama della ritrovata Imagine, corse a gara la frequenza de’ popoli a riverirla, ne senza gran miracoli operati… Però i cittadini deliberarono di condurla dentro alla Città; onde posero all’ordine un Carro, sul quale alcuni ve­nerandi Sacerdoti… agiatamente la collocarono”34. Ri­torna sempre la solennità del trasporto di questi si­mulacri alla presenza del Clero ufficiale e in grande processione. “In arrivando al luogo, dove è la Chie­sa della Santissima Vergine sotto il titolo dell’Annunziata, hoggi da tanto tempo in qua la posseggo­no i Padri Carmelitani, s’arrestarono i buoi che tira­vano la carretta, e in tal guisa fermarono i piedi nel suolo, che ne a forza di gridi ne di bastoni… potero­no essere rimossi dal luogo. Si avvisarono all’hora i Cittadini, che la Signora, di cui si portava l’effigie… in quella Chiesa volesse albergare… nella predetta Chiesa divotamente l’accomodarono, e arrivato in­tanto a Trapani il padrone della nave, che portava la Santa Imagine per la città di Pisa, uditi i maravigliosi prodigi accaduti, fu forzato a lasciarla nella prefata Chiesa dell’Annunziata”35. Quest’ultimo episodio è riferito diversamente dal Nobile che narra come il Guerreggio rivendicasse a sé la statua, ma la nave non riusciva a partire da Trapani fino a quando egli non decise di lasciarvi la statua per farla imbarcare su al­tra nave. A Trapani si ebbe allora quasi una rivolta popolare cosicché il Senato affidò la statua ad un car­ro di buoi, che non si diressero verso il mare, ma verso la campagna36. Significativo è ancora quanto il Nobile poeticamente scrive del carro di Maria: “O simile all’Orsa celeste, detta dagli astrologi comunemente carro stel­lato. O simile al profetico carro d’Ezechiello guida­to da quattro animali, o simile al carro solare, dentro cui sta la Vergine, regendo a guisa d’un Santificato Fetonte, potendosi quella campagna, per dove pas­sava intitolar un nuovo epiciclo, giacché ivi si vide stazionario col suo carro il Sole”37. Ancora una volta, mondo pagano e cristiano si fondono ponendosi l’u­no come “santificata” continuazione dell’altro. No­bile peraltro conosce bene le simili narrazioni, rela­tive ad altre miracolose immagini, e ricorda ad esem­pio quanto riporta il “Samperio”38 a proposito dell’immagine della Vergine del Monastero di Santa Ma­ria La Scala di Messina, che verrà ricordata pure dal Caietano. A proposito poi della scelta della Chiesa dell’Annunziata, Nobile sottolinea “quanto ama Ma­ria i Carmelitani”, predisponendo “che venisser pri­ma di lei dall’istessa Terra Santa, dove ancor ella si ritrovava, per apparecchiare i figli alla Madre il luo­go. E fu convenevole, che si gran gioia ad altri non si consegnasse che alli Carmelitani, per la loro religio­ne è stata sempre fidelissima, depositarla delle im­magini più miracolose di Maria”39. Il Nobile parago­na poi ancora Maria ad un’altra Dea pagana, Diana, riproponendo peraltro il riferimento alla luna, così come aveva già fatto per il sole, entrambi ricordati attributi mariani: “siccome Diana sedendo nei bivij drizzava coloro, che passavan per colà, per qual delli due sentieri incaminar si dovessero per non errare, così vi metteste voi nella pubblica strada per istra­darci al Paradiso”40.

Fede, devozione, leggenda e tradizione si legano sem­pre ai culti dei grandi Santuari e quello della Ma­donna di Trapani, attraverso i secoli, diviene fulcro di circolazione di fede e cultura, simbolico elemen­to catalizzatore di pellegrinaggi, indubbiamente tra l’altro favorendo artigianato e commercio, significa­tiva fonte di ricchezza per la città.

Notava, infatti, il Nobile come “non viene in Trapa­ni forestiero che non riporti seco alla patria qualche statuetta o di corallo o d’alabastro di Nostra Signo­ra per provvedere alla devotione sua e de’ paesani. Vi è perciò un’honoratissima maestranza d’eccel­lentissimi scultori… insigni nel lavoro dell’arte loro, cioè di scarpellare coralli”41. Emblematico è a tal pro­posito il capezzale con al centro la Madonna di Tra­pani in corallo del Museo Regionale Pepoli (Fig. 12). Verosimilmente è l’opera che venne donata a Vittorio Amedeo di Savoia nel 1713, in oc­casione della sua incoronazione a Re di Sicilia nella Cattedrale di Palermo, ideata da Paolo o Giacomo Amato, architetti del Senato palermitano42. Innume­revole è poi il numero delle copie della Madonna di Trapani, di dimensioni diverse sia in marmo, sia in alabastro, sia in avorio, presenti non solo in Sicilia, ma anche ben oltre i confini dell’isola43.

Nei diversi racconti, appare pressoché costante del­la tradizione il rapporto con la città di Pisa, lasciando supporre che anche la scultura della Madonna di Trapani s’inserisca nel flusso migratorio d’importa­zione di opere richieste dai committenti pisani, che avevano i loro centri commerciali nella Sicilia occi­dentale e che a Palermo, come a Trapani, facevano giungere non solo mercanzie, ma anche opere d’ar­te. Già quel grande studioso d’arte siciliana che fu Gioacchino Di Marzo notava a proposito del simu­lacro che “dicesi colà venuto su nave pisana nel 1291, ond’è più agevolmente a tenerlo siccome opera di pi­sana scultura”44. La statua dovette giungere a Trapani tra il 1332, data della costruzione della Chiesa tre­centesca dell’Annunziata, e il 1363, anno in cui Federico III d’Aragona concesse alla Chiesa un privi­legio45. L’opera è ormai concordemente attribuita a Ni­no Pisano che muore nel 1368 (Fig. 13). Nei secoli si è raccolto intorno alla Madonna di Trapani un vero tesoro di gioielli donati da re, viceré, regine, vicere­gine, cardinali, vescovi, alti prelati e ricchi borghesi,  già in parte segnalati dal Nobile, che costituiscono non solo testimonianza significativa della fede e della devozione del popolo siciliano, ma sono segno tangibile anche dell’alto livello artistico raggiunto dai mae­stri orafi isolani (Fig. 14). Proprio il tesoro della Madonna di Trapani ha costituito, infatti, uno dei tasselli fondamentali per la ricostruzione dell’oreficeria siciliana46. Il Tesoro è diviso tra il Museo Regionale Pepoli, dove è rimasto in esposizione permanente dopo la mostra del 1995, e il santuario dei Padri Carmelitani, che conserva solo una piccola parte celata alla confisca dovuta alle leggi sulla soppressione dei beni degli ordini monastici del 1866 e che fu esposto solo in occasione della ricordata mostra. Certo i monili sopravvissuti sono solo una parte molto esigua del ricchissimo tesoro della Madonna di Trapani di cui forniscono dettagliate notizie gli inventari minuziosamente redatti dai Padri Carmelitani47. La raccolta presenta tuttavia numerosi preziosi gioielli dal XVI al XIX secolo dalle più svariate tipologie (catene, bracciali, pendenti, collane, agnus dei, pietre stregonie etc.), tra cui emergono quelli ornati con coralli e smalti policromi affini all’analoga produzione dei maestri corallari del XVI e XVII secolo. Le caratteristiche della lavorazione dello smalto nelle cornici di rame dorato dei capezzali in corallo realizzati dalla maestranza trapanese sono state, infatti, un punto di riferimento fondamentale per l’analoga produzione in oro smalto e corallo degli orafi trapanesi. Le tipologie tecniche e stilistiche della lavorazione delle prime non solo hanno consentito di individuare le realizzazioni degli altri, ma anche di evidenziare elementi comuni in tutta l’oreficeria siciliana.

Nel 1693 fu fatta realizzare un’immagine della città di Trapani in argento da Don Marcello Sieripepoli e Carafa, destinata ad essere posta alla base della sta­tua della Madonna (Fig. 15)48. Si evidenzia così da un lato la de­vozione dei cittadini, cui corrispondeva dall’altro la particolare protezione della Vergine. Immagini del­la Madonna con il Bambino, che sovrastano la città che proteggono, sono diffuse in Sicilia, come ad esem­pio, la Madonna e Santi con la veduta di Palermo, ta­vola dipinta da Mario di Laurito oggi al Museo Dio­cesano49. L’opera, che venne commissionata dal Senato della città come ex voto perché Palermo era stata risparmiata dall’epidemia che aveva colpito Messina e altri centri dell’Isola, presenta intorno al­la Vergine con il Bambino Santi patroni e protettori contro la peste e fu portata solennemente nella chie­sa di Santa Venera il 26 luglio 1530, come informa il Manganante nel suo Sacro Teatro palermitano, mano­scritto della prima metà del XVII secolo50.

Il Caietano accenna anche alla Madonna della Visitazione di Enna che si pone a sostituzione del culto della Dea pagana Cerere (Fig. 16). Scrive in proposito: “Di più in Enna, ora detta Castrogiovanni, città molto no­bile, e famosa, v’era un celebre tempio dedicato alla favolosa Dea Cerere, inventrice, come si crede, del tormento, le cui rovine giacciono nella Montagna ver­so Levante. Hor li novelli Christiani ivi, per contra foco, fabricarono un ampio Oratorio alla Gran Ma­dre del Mistico tormento: e pure con tal rimedio non cadde del tutto estinta la superstizione. Restava an­cora nelle insegne della città dipinta Cerere col soli­to adornamento di sue spighe. Di più l’avanzo di quell’antico tempio, quantunque distrutto, sollecitava gli animi de’ mal fondati nella Fede, e si celebrava da al­tri nel mese di Luglio la costumata festa a Cerere. E perciò il Clero, gli Officiali della Città rivolti alla no­vella Cerere, che porse il pane del Cielo, le istituiro­no solennissima festa da celebrarsi ogni anno nel se­condo giorno di Luglio, accresciuta da una divota, e pomposa processione, nella quale si conducesse la Statua della Santissima Vergine dalla Chiesa Mag­giore alla Chiesa di Portosalvo, quella situata nella parte estrema della Città verso Levante, questa nel­l’opposta parte verso ponente. Oltre a ciò scancella­rono la falsa Dea dalle insegne, riponendoci invece di quella, l’Imagine della Vergine, e in tal guisa spen­sero affatto la superstitione, onde si fattamente era fomentata l’idolatria”51. Scrive in proposito il Littara nel suo manoscritto Hennensis Historiae del 1588: “un tempo ad Enna si fu soliti coniare monete che mostravano sul recto l’effigie di Cerere e sul verso una spiga di grano… Queste monete erano denomi­nate ennesi… proprio da esse sin dai tempi antichi, si ricavarono le insegne della città e… esse rappre­sentano appunto Cerere vicino la base del castello fornito di tre torri (con cui si allude ai tre Valli dell’isola) sovrastate in cima dall’immagine della gloriosa Vergine, affinché, come … Enna si diceva sacra a Ce­rere, così essa, subentrata la religione cristiana, vota­ta ad uno stato più felice, si mostrasse dedicata alla Vergine Madre di Dio”52. Il più antico stemma citta­dino divenne anche il simbolo della Collegiata di En­na. Così, mentre in alcune suppellettili liturgiche, co­me l’ostensorio architettonico di Paolo Gili (1534), compaiono separatamente in tre scudi diversi il Ca­stello di Enna, le tre spighe e la Madonna, in altre successive si può vedere la Madonna raffigurata sul Castello turrito nell’atto di reggere in mano tre spi­ghe, elemento primario dell’iconografia di Cerere, come ad esempio nella Croce reliquiaria (Fig. 17) e nel Reli­quiario a braccio di San Martino di Scipione di Blasi (1573-1577) (Fig. 18), nella mazza del capitolo (Fig. 19) e nella pace d’argento del XVII secolo53 (Fig. 20). Significativa com­presenza poi in una stessa opera dell’immagine del­la Madonna con il Bambino sul Castello, con le spi­ghe in mano, e di Cerere con spighe e cornucopia, offrono i candelieri di Nibilio Gagini del 1596 (Figg. 21 e 22)54. Ecco dunque trionfalmente effigiate, entro ghirlande, in opere d’arte sacra, destinate ad ornare l’altare cri­stiano, le figure della dea pagana Cerere e della Ver­gine Maria che simbolicamente le subentra nel cul­to. Significativa appare in proposito la statuina della Vergine con il Bambino e la cornucopia, che rappre­senta la Provvidenza, della Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis, che ripropone proprio quel simbolo di abbondanza legato alla Dea pagana55. Sulle vicende della devozione nei confronti della Ma­donna della Visitazione di Enna è esplicito Vincen­zo Petroso che scrive nel 1795 le Meditazioni per l’Ottavario che si celebra in onore di Maria Santissima sot­to il titolo della Visitazione in occasione dell’incoronazio­ne del simulacro della Madonna da parte del Capi­tolo vaticano. Egli nota che “come facevano in onore di Cerere altre feste in luglio per esser ne’ tempi della messe; così i lor nipoti adoratori del vero Dio scelsero il dì due Luglio dedicato alla gran Vergine vera apportatrice del celeste pane; qual è il Divin Ver­bo fatt’Uomo”56. Si ribadisce così lo stesso concetto già espresso dal Caietano.

Singolare è il fatto che anche la statua della Madon­na della Visitazione, pur dovendo raggiungere il cen­tro della Sicilia pervenisse ad Enna attraverso i flut­ti del mare, quasi a simboleggiare la nascita di un nuovo credo o la rinascita spirituale di una gente, per l’azione vitalizzante e purificatrice dell’acqua. Fu co­sì che nel 1412 una delegazione di notabili, religiosi e mastri si partirono da Enna alla ricerca di un si­mulacro degno della devozione dei cittadini. Secon­do la tradizione essi lo trovarono a Venezia nella bot­tega del maestro Alvise Gennazin, in Campo dei Frari, ne disposero l’invio in Sicilia e tornarono, per al­tra via, a dare la notizia del prossimo arrivo. La na­ve che doveva portare ad Enna la statua per una tem­pesta affondò e la cassa con la scultura si arenò sul litorale di Messina, dove, raccolta da alcuni marinai, venne riposta nei depositi del porto. Giunse intanto ad Enna la notizia di tal straordinario ritrovamento e alcuni cittadini si recarono a Messina e, ricono­sciuto il simulacro, lo riportarono nella loro città in trionfo. La sacra immagine fu dunque, secondo la tradizione, posta su un carro trainato da giovenche alla volta di Enna. Non è certo casuale che proprio ad Enna la statua di Cerere fosse portata in proces­sione su bianche giovenche. Sempre in tema con l’u­sanza di trasformare eventi pagani in tradizioni di va­lenze cristiane, è ancora da notare come, in occasio­ne dell’arrivo della statua ad Enna, non fossero riu­sciti i notabili e gli alti prelati a sostenere il peso del sacro fercolo. Sopraggiunsero quindi i contadini del luogo, addetti in quel periodo alla mietitura delle messi, coperti solo da una camiciola leggera e bian­ca e con i piedi scalzi. Il nuovo simulacro venne così portato a spalla da quei giovani mietitori, detti, “nudi”, la cui presenza è ancora oggi insostituibile nell’annuale rievocazione dell’ingresso in città, in oc­casione della festività patronale57. Così narra Vincen­zo Petroso l’episodio: “si rese questa di peso enormissimo a’ Nobili del pari, che Ecclesiastici, i quali l’onore ambivano di portarla sulle spalle loro, e leggerissima a Villani. Per lo che rimasero questi sin d’al­lora in possesso di tanto onore, essendo ad ogniun di loro assegnato il posto per portarla nelle anzidette processioni, e passa da padre in figlio per eredità più che un tesoro”58. Ecco ritornare il concetto di “te­soro” riferito a simulacri mariani oggetto di grande devozione. I “nudi” vengono rifocillati ancora oggi in questa ricorrenza con i tipici “mustazzola”, parti­colari dolci che venivano distribuiti in occasioni del­le festività pagane dei Cerealia. Più che i rappresen­tanti della nobiltà e del clero sono i lavoratori dei campi di grano, la cui coltivazione è dovuta agli in­segnamenti della dea pagana, a farsi portatori del carro-fercolo, non più di Cerere, ma di Maria, trasfe­rendo a questa ormai la devozione, rendendo palese il grato assoggettamento della gente di Cerere, alla nuova Cerere, Maria, dispensatrice del salvifico nu­trimento spirituale. A proposito dei nudi scrive il Pe­troso: “Vann’eglino vestiti d’abito talare bianco di li­no, di merletti guarnito, e di fettuccie, co’ piedi ignu­di, e con una santa allegrezza, che muove a tenera di­vozione. E qui si rifletta, che essendovi stata pria la superstiziosa statua di Cerere, con in mano un si­mulacro della Vittoria…quegli onori, che facevansi già pe’ loro Antenati infedeli a quella Deità falsa, a Maria da lor si fanno vera Madre di Dio, lor Padro­na, con in braccio non già la falsa Vittoria, ma il ve­ro Vincitore della morte, del peccato e dell’inferno”59. E così non solo collegato il culto di Cerere a quello di Maria, ma si considera l’immagine di Cristo, co­me quella dell’unica e vera vittoria.

Come le tavole delle venerate Madonne erano spes­so ricoperte di mante d’argento e talora persino d’o­ro, smalti e gemme, reminescenza delle preziose “rize” che rivestivano le icone bizantine, come la già ri­cordata Madonna del Vessillo di Piazza Armerina, così le statue venivano incoronate da preziose coro­ne. La scultura lignea della Madonna della Visitazione di Enna (Fig. 23) fu ornata nel 1653 da una splendida corona di smalti e gemme policrome, massimo esempio dello sfarzo cromatico dell’oreficeria sici­liana barocca, realizzata ad Enna dagli orafi paler­mitani Leonardo e Giuseppe Montalbano e Miche­le Castellani (Fig. 24)60. Vincenzo Petroso così la descrive: “su­perba corona di oro di tanti castoni composta, quan­ti sono i di lei Misteri, espressi tutti in vivaci smalti, e contornati ed adorni di grossi brillanti, e d’altre pie­tre rare e preziose”61. La corona reca infatti in smalti raffigurate scene dei Misteri gaudiosi e gloriosi: l’An­nunciazione, la Visitazione, l’Adorazione dei Pasto­ri, l’Adorazione dei Magi, la Disputa con i Dottori e la Resurrezione, accompagnati da altrettanti puttini alati, smaltati di bianco con la legenda della relativa scena (Figg. 25262728)62. Oltre alla emblematica corona la Madonna della Visitazione di Enna ha raccolto nei secoli e conserva ancora in significativa parte un tesoro di monili, come lo splendido pellicano ornato dai caratteristici smalti siciliani e dalle screziature auree esposto al Museo Alessi e tanti altri importanti gioielli ancora gelosamente custoditi in banca, ma non negati alla indagine degli studiosi63. Un’antica immagine fotografica mostra la statua ricoperta di tutti i monili donati dai fedeli nei secoli come ex voto (Fig. 29).

Il Caietano peraltro tralascia di trattare “di altre mol­te Chiese dedicate alla Vergine, a fine di scacciare dall’isola lo scelerato culto della falsa Deità”, attestan­done per contro la loro numerosa esistenza64. Così ad esempio a Palermo si ha la sovrapposizione alla festa di Cerere di quella dell’Assunzione di Maria, quan­do, ancora nel XVII secolo, la processione dei devo­ti usava spingersi fino alla fonte di Mare Dolce, e cioè in quello stesso sito, dove si celebrava la festività di Cerere65. Una chiesa dedicata alla Vergine sostituì a Bitalemi, alla foce del fiume Gela, in età cristiana il cul­to delle divinità ctonie Demetra e Kore, mantenen­do singolari analogie rituali66. La religione cristiana ten­de sin dalle origini ad assimilare e trasformare, adattandoli alle nuove esigenze, culti cari alle genti del pas­sato. Così proprio all’immagine della Dea Egiziana Iside con in grembo il figlio Oro, che in area medi­terranea continuerà a sopravvivere anche dopo l’av­vento della fede cristiana, si ispirano le prime raffi­gurazioni della Madonna con il Bambino67. Ulteriore esempio fornisce lo stemma di Termini Imerese nel medaglione dell’urna reliquiaria di Santa Basilla del­la Chiesa Madre della città68. Qui viene accompagnata la fi­gura dell’Immacolata a quella di San Calogero, che caratterizza lo stemma civico di Termini Imerese, in­sieme al poeta Stesicoro con un libro in mano e a Ce­rere con la cornucopia ricolma di spighe (Fig. 30). Ec­co così, ancora insieme, l’Immacolata e Cerere. Il profondo sentimento religioso nei confronti dell’Immacolata a Termini Imerese resta segnato dalla tappa fondamentale del 1624, ancora oggi ricordata non a caso da una lapide della Chiesa Madre, dove la cittadinanza apertamente dichiara “perpetua de­vozione” “all’Immacolata Concezione di Maria”69. Dei primi anni del Seicento è peraltro la statua marmo­rea dell’Immacolata, tutta avvolta in un ricco manto aureo, scosso da un palese fremito di arte barocca, inserita in un altare che altresì esprime le peculiari caratteristiche dell’epoca nei suoi marmi mischi, ti­picamente siciliani, e nello scenografico paliotto dall’esplicita simbologia mariana. Oggi oggetto di viva devozione è l’altra Immacolata della stessa Chiesa, la scultura lignea di Filippo Quattrocchi del 1799, ope­ra recentemente restaurata, ricca di doni ex voto, co­me nella tradizione dei miracolosi simulacri mariani (Fig. 31)70. I monili del XVIII e XIX secolo offerti all’Immacolata sono stati riuniti in pannelli destinati all’esposizione nel Museo della Chiesa Madre di prossima apertura71.

Tra le principali Cattedrali siciliane ove viene riveri­ta la Santissima Vergine, Caietano ricorda ancora Nostra Signora Santa Maria nella Chiesa Metropolitana di Palermo (Fig. 32). In proposito scrive: “Nell’anno di nostra salute 1219 si conservava in Alessandria nella Chie­sa di S. Giovanni Battista con altre Sacre reliquie una piccola Imagine della Gloriosa Madre di Dio dipin­ta da S. Luca, per molta e divota istanza fattagli da S. Teda discepola dell’Apostolo S. Paolo. E nel mede­simo anno, che appunto fu poco prima che Alessandria fosse da’ Barbari desolata, habitava S. Angelo honore e gloria della Religione de’ Carmelitani… Hor a questo apparve… Christo Signor Nostro… e gli comandò che indi partito, si conducesse infino a Si­cilia a predicare il Santo Evangelio… Gli aggiunse in oltre, volendo senz’altro provedere alla gloria di sua benedetta Madre, e de’ suoi Santi, che prima portasse in Roma alcune Sacre Reliquie, le quali gliel’havrebbe consegnato Atanasio Patriarca d’Alessandria e fra quelle vi sarebbe un’Immagine della Santissima Ver­gine…Obedì…Atanasio e diede ad Angelo quel ricco e sacro tesoro: il quale felicemente arrivato a Roma, espose al Sommo Pontefice, che era Honorio Secondo, l’ambasciata datagli dal cielo, e gli porse le Sacre Reliquie. Si ritrovava allora in Roma Federico, fratello del detto Patriarca, e erano amendue della città di Palermo, il quale percioché era molto confi­dente del Papa, impetrò da lui che la Santa Imagine si rendesse ad Angelo, per portarla in Palermo in do­no pretioso alla sua Patria. Così si fece, e ella hora si conserva fra le altre gioie più pretiose nella Chiesa Catedrale, e con gran riverenza si suole nelle solenni processioni esporre alla devotione del Popolo”72.

Si tratta di una piccola icona con una Madonna bizantineggiante, oggi esposta nel tesoro della Catte­drale di Palermo, che reca una coperta d’argento del XII secolo, dovuta a orafo bizantino, caratterizzata da quegli elementi cuoriformi che dal re­pertorio decorativo bizantino passarono a quello nor­manno73. L’opera fu trasformata in pace alla fine del XVI secolo da un argentiere siciliano che trasse ispi­razione da modelli gaginiani74. Il Canonico Antonino Mongitore, nel suo manoscritto sulla Cattedrale di Palermo della prima metà del XVIII secolo, a pro­posito dell’opera scrive: “Si conserva l’immagine del­la SS. Vergine dipinta da S. Luca… sopra tavola a forma greca”75, riportando la tradizione, già narrata dal Caietano, relativa alla visione di Sant’Angelo e al­l’intervento dei palermitani Atanasio e Federico Chia­ramonte. Aggiunge inoltre: “Ogn’anno alla Dome­nica in Albis e giorni seguenti sta esposta per un’in­tiera novena sopra l’aitar maggiore, celebrandosi la novena ordinata da Re Filippo IV con sue lettere a 30 maggio 1643 per impetrar dalla celeste Regina la pace ai suoi regni. Ogni giorno in questa novena si porta processionalmente ai pie della Vergine un de­gli Ordini Regolari che per la strada va cantando la litania della gran Regina, portando sotto ricco bal­dacchino un’immagine della Vergine. Mattina e sera v’ha sermone delle lodi della Sovrana Signora: ter­mina la novena con solenne processione, portando­si la sacratissima immagine per la città accompagna­ta dagli Ordini Regolari, clero e Capitolo della Cat­tedrale, seguita dal Senato. Con questa immagine si dava prima la pace nelle messe solenni agli arcive­scovi e nelle processioni si portava in petto dell’Ar­civescovo, come s’ha dalla lettera spedita dall’Arci­vescovo D. Diego Haedo per la Corte Arcivescovile al 13 marzo 1595 da D. Giovanni La Rosa nella vita di S. Angelo Carmelitano”76. Questa data 1595 si po­ne dunque come termine ante quem per la trasfor­mazione dell’icona in pace. L’ispirazione gaginiana bene si accorda con tale periodo di realizzazione del­la cornice esterna dell’opera che reca alla base due aquile bicipiti, simbolo della “Maramma”, la Fab­briceria della Cattedrale di Palermo (Fig. 33)77.

Gioacchino Di Marzo, nelle Belle Arti in Sicilia, rela­tivamente alla tradizione risalente al Canonico Giovan Battista La Rosa Spatafora, secondo il quale tale opera, come diverse altre, era stata dipinta da San Luca, tende, come altri studiosi, a sfatare questa opi­nione, dando significativo segno della sua maturità di colto religioso rispetto ai tempi78.

A Messina il Caietano ricorda poi Santa Maria del­l’Alto (1294) (Fig. 34), cui il luogo e l’ampiezza del Tempio vennero indicate da una colomba bianca inviata dal­la Vergine79. Placido Samperi, anche lui Gesuita, trat­ta delle immagini della Madonna più venerate a Mes­sina nella sua Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio Maria Protettrice di Messina divisa in cinque li­bri, edita nel 164480. Quest’opera, dun­que, si inserisce nella trattatistica prodotta dalla stes­sa temperie culturale del volume del Caietano. Que­sti narra che la tavola con la Madonna dell’Alto, ne­ra, giunse da una nave orientale a Messina e la con­sidera antichissima. Il Santuario fu affidato alle suo­re cistercensi. La tavola della Madonna detta di Montalto, finita sotto le macerie del terremoto del 1908, un tempo protetta dalla manta d’argento riferita a Pietro Juvara, è sta­ta recentemente restaurata81.

La tavola si trova al Museo Regionale di Messina, men­tre nel Santuario, ricostruito nel 1915 è una copia in tela proveniente da una Chiesa della Madonna di Montalto in Ortoliuzzo, frazione di Gesso, in pro­vincia di Messina82. La manta d’argento che riveste la tela del santuario reca il marchio della città di Messina (lo scudo con corona e le lettere MS, Messanensis Senatus) e quel­lo dell’argentiere Pietro Juvara83.

Il Caietano passa poi a narrare della Santa Maria della Scala (1220), la cui “Imagine della Regina de’ Cieli dipinta in tavola” era arrivata dalla Palestina su di una nave nel porto di Messina, che, malgrado venti favorevoli, non poteva più ripartire dal porto84. Com­menta il Caietano: “Ma che può la forza umana con­tro al volere della potente Reina? In nessuna manie­ra poterono… rimuoverla dal porto. Il Piloto e gli al­tri tutti stupefatti a si nuovo avvenimento, si avvisa­rono, essere volontà della Vergine, che l’Imagine al­trove destinata rimanesse in Messina”. “Ne diedero notizia all’Arcivescovo, e questi il comunicò col Re Federico… discesero tutti con gran pompa alla ma­rina… condussero con somma devotione il dipinto quadro in terra cantando hinni e lodi alla Gran Ma­dre di Dio. Si tosto come la nave diede alla città l’im­magine, così con histupore di tutti si vide spedita­mente far vela. Ne qui si fermano i prodigi”, l’opera infatti non si poteva “indi rimuovere un passo”. “Ven­nero in deliberazione l’Arcivescovo, il Re e i primi della città, d’imitare quello che nelle sacre carte si leg­ge esssere stato fatto per l’arca del Signore da’ Fili­stei. Si mise all’ordine un carro adornato con pretiosissimi drappi, al quale si acconciarono un par di buoi, e collocarono l’Imagine ivi sopra… abbando­nando senza guida gli animali, acciocché essi facesse­ro quel cammino che a Dio e alla Santissima Vergine fosse venuto a grado. E nelle falde della Montagna, che si chiamava volgarmente Sanrizzo, una Chiesa de­dicata alla Madonna sotto nome di Santa Maria del­la Valle, a cui era allora congionto un Monastero di Sacre Vergini osservanti la Regola di S. Benedetto. Qua dunque da loro medesimi si condussero i buoi, dove pervenuti si arrestarono” e da allora quella Chie­sa prese il nome di Santa Maria della Scala “perché nel quadro v’è dipinta una scala, come significasse, che la Gloriosa Regina Nostra è la vera scala, col mez­zo di cui, salire possiamo sicuri al Paradiso”85. Ancora una volta, come per la Madonna di Trapani e per tan­ti altri simulacri, è Maria stessa che guida simbolica­mente il carro con i buoi verso il luogo prescelto.

Il Sampieri nella sua Iconologia fa un’analoga narra­zione e aggiunge che per una pestilenza nel 1347 ven­ne portata per le strade di Messina e vi restò fino al­la costruzione della nuova Chiesa di Santa Maria del­la Scala86. L’opera è andata perduta nel terremoto del 1908. Particolare importanza ha pertanto l’incisione di Giovanni Federico Greuter del volume del Caietano (Fig. 35).

Un’altra venerata immagine, non ricordata dal Caietano, che per tradizione indicò il luogo ove deside­rava fermarsi, affidata ancora una volta al carro dei buoi, fu la Madonna con il Bambino di Lentini det­ta Madonna del Castello. Si tratta di un’Odigitria a fi­gura intera, opera della prima metà del XIII secolo, della Chiesa dei SS. Maria e Alfio di Lentini (Fig. 36)87. La tavola venne ritrovata, infatti, secondo la tradizio­ne, sulla spiaggia di Agnone da alcuni marinai di Len­tini e di Catania. Per dirimere la discordia nata tra i due gruppi l’immagine venne affidata ad un carro ti­rato da buoi che si diresse a Lentini, dove nel 1240 venne conservata nel Castello che sorgeva sul monte Latina, oggi Tirone, e prese il titolo di Santa Maria Maggiore del Castello, da dove scendeva per le so­lenni processioni annuali e in occasioni di grandi ca­lamità. Dalla Chiesa di Santa Maria della Cava, la pri­ma Chiesa Madre di Lentini, passò dopo il terremo­to del 1693 alla nuova Matrice dei SS. Maria e Alfio, dove nel XVIII secolo venne ricoperta da una man­ta d’argento. Il dipinto ha subito diversi restauri. In quello del 1665 venne fuori la scritta Lucas ad Leontinos, non originale, che voleva attestare l’antichità della tavola che San Luca stesso avrebbe dipinto per i Lentinesi88.

Tornando al testo del Caietano, questi passa a trattare di Santa Maria del Soccorso in S. Agostino a Palermo (Fig. 37). Nel 1306 “un Padre Teologo, e eccellente predicatore chiamato Nicolò Bruno Priore del Convento di Sant’Agostino in Palermo, essendo tormentato da gravissimi dolori spesse volte si raccomandava ad una Imagine della Santissima Vergine… e la pregava che in quel disperato male la soccorresse. Una notte si compiacque la Madre della Pietà comparire in sogno all’afflitto Priore e rendendogli la sanità, così gl’impose… voglio che insegni li fedeli che invochino me per l’innanzi, in questa medesima Imagine, sotto il nome del Soccorso”89. L’opera, una tela su tavola, viene tradizionalmente riferita a pittore siculo-bizantino del XIII secolo (Fig. 38). La Madonna del Soccorso era la patrona degli Agostiniani e il Mongitore narra che “in ossequio della Madonna del Soccorso in questa cappella fu prima del 1484 fondata una Confraternita, che dal generale dell’Ordine… fu aggregata all’Arciconfraternita della Madonna della Consolazione di Bologna”90. La Confraternita si riuniva in una cappella sul lato sinistro della Chiesa di Sant’Agostino prima della famiglia Maida, poi dei Bellavisi, quindi passata ai Landolina91.

Il Caietano ricorda tra i miracoli della Vergine quello con cui scacciò il Diavolo con la mazza liberando un bambino, “il che fu cagione poi che i devoti dipingessero nella detta Imagine dalla parte sinistra il Demonio e dalla destra il fanciullo appresso le falde del vestimento della Gloriosa Santa Maria del Soccorso”92. Dovrebbe trattarsi per tradizione di un affresco di artista siciliano del XIV secolo, che fu posto accanto all’altra immagine della venerata Madonna, e restaurato nel 1992, risultando tuttavia privo dei citati attributi iconografici, compresa la mazza, tanto da far sospettare che non possa trattarsi dell’originaria Madonna della Mazza, così come viene tramandata nell’immagine del Caietano (Fig. 39)93. Questi così significativamente commenta l’episodio: “Temere non può chi sotto la difesa della Torre di David si ricovera”94, facendo riferimento ad uno dei diversi attributi mariani tratti dal Cantico dei Cantici (4,4). Ricorda ancora il miracolo della cintura, avvenuto nel 1504, con cui la Madonna del Soccorso cinse una giovane inferma guarendola insieme ad un padre agostiniano malato che la sciolse. Così conclude la narrazione del miracolo: “O meravigliosi incontri di varie vie, mà ad accertato termine indirizzati dalla divina provvidenza. Renderono tutti alla Regina del cielo quelle grazie, quali seppero maggiori, si cantò il Te Deum laudamus, si convocarono i fedeli a suono di campane, e la cintola si conservò, e pur oggidì si conserva nel detto convento di S. Agostino”95. Il Mongitore nel suo Palermo divoto di Maria Vergine annota come i Padri Agostiniani, non volendo che la cintura fosse custodita nella Cattedrale “per non restarne privi, l’occultarono, rimanendo per molto tempo come sepolta. Ma uno di loro cui doleva non poco che quella rimanesse nascosta senza il dovuto onore, celatamente la estrasse e seco la trasferì a Venezia, dove la fe’ incastrare in una nobilissima Croce di cristallo, e poscia la ritornò al suo Convento di Palermo. Dubitando però alcuni che il Religioso non fosse stato fedele in tal maneggio, volle la Santissima Vergine dissipare ogni sospetto con operare per mezzo di essa evidentissimi miracoli, giovando il suo salutifero tocco ad ogni sorta di infermi”96. La croce di cristallo di rocca (Fig. 40) è ancora oggi custodita dai Padri del Convento di Sant’Agostino e reca al centro due smalti dipinti raffiguranti uno la Madonna della mazza con il bambino attaccato alla sua veste, la madre che prega e il diavolo che fugge e reca la data 1606  (Fig. 41) e l’altro proprio il miracolo della cintura. Uno scritto, datato 1711, conservato pure nella croce e ritrovato dal Padre Biagio Ministeri Agostiniano nel 1992, attesta, facendo riferimento a manoscritti del 1504, il miracolo del 1307 e che l’argento della cintura venne trasformato in croce nel 160697. Che le parti in cristallo di rocca fossero d’importazione veneziana, come parrebbe denunciare la caratteristica molatura, è confermato anche da quanto è narrato dal Mongitore. La lavorazione del cristallo di rocca era tuttavia diffusa anche in Sicilia dove nel XVII secolo è documentata la presenza di orafi milanesi verosimilmente diffusori di tale arte98.

  1. Si vedano ad esempio gli inventari del tesoro della Madonna di Trapani in Il tesoro nascosto. Gioie e Argenti per la Madonna di Trapani, catalogo della mostra (Trapani – Museo Regionale Pepoli, 2 dicembre 1995 – 3 marzo 1996),  a cura di M.C. Di Natale e V. Abbate, Palermo 1995, pp. 248-279. []
  2. Per tale argomento cfr. anche M.C. DI NATALE, Ave Maria. La Madonna in Sicilia immagini e devozione, Palermo 2003, Edizione Flaccovio fuori commercio. []
  3. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti della San­tissima Vergine Nostra Signora più celebri, che si rive­riscono in varie Chiese nell’isola di Sicilia. Aggiunta­vi una breve relazione dell’Origine e miracoli di quel­li. Opera posthuma del R. P. Ottavio Caietano della Compagnia di Giesu. Trasportata nella lingua Volgare da un Devoto Servo della medesima Santissima Vergine. E cresciuta con alcune pie meditazioni sopra ciascun passo della vita della medesima, Palermo 1664, rist. anast. Palermo 1991. []
  4. R. LA DUCA, Presentazione,  in O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, pp. V-VI. []
  5. C. NARO, Presentazione, in O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, pp. VI-VII. []
  6. Per un significativo esempio in Sicilia cfr. V. ABBATE, “Ad aliquid sanctum significandum”. Immagine della Purissima Reina tra Cinque e Seicento, in Bella come la luna pura come il sole. L’immacolata nell’arte in Sicilia, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale e M. Vitella, Palermo 2004, pp. 30-47. []
  7. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, pp. 17-20. []
  8. Cfr. M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 12. []
  9. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, pp. 23-24. []
  10. Cfr. M.C. DI NATALE, I monili della Madonna della Visitazione di Enna, nota introduttiva di T. Pugliatti, con un contributo di S. Barraja, Appendice documentaria di R. Lombardo e O. Trovato, Enna 1996. Cfr. pure M.C. DI NATALE, Gioielli di Sicilia, Palermo 2000, II ed. 2008. M.C. DI NATALE, Oro, argento e corallo tra committenza ecclesiastica e devozione laica, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001, pp. 22-69; M.C. DI NATALE, Montalbano, Barbavara e la produzione orafa a Palermo nella prima metà del Seicento, in La sfera d’oro. Il recupero di un capolavoro dell’oreficeria siciliana, a cura di V. Abbate – C. Innocenti, Napoli 2003; M.C. DI NATALE, Le comte Roger et la Madonna à l’étendard dans l’art sicilien, in Les Normands en Sicile. Histoire et Lègendes (XI-XXI siècls), Milano-Caen 2006, pp. 84-89, 173; M.C. DI NATALE, Don Camillo Barbavara e gli orafi e smaltatori nella Sicilia barocca e G. TRAVAGLIATO, Nuovi documenti a completamento della biografia di don Camillo Barbavara, in La Madonna delle Vittorie a Piazza Armerina dal Gran Conte Ruggero al Settecento, catalogo della mostra a cura di M.K. Guida, Napoli 2009, pp. 123-132. Della tavola di Piazza Armerina si è occupata Maria Andaloro, cfr. scheda V.III.18, in “Nobiles Officinae”. Perle, filigrane e trame di seta dal Palazzo Reale di Palermo, catalogo della mostra a cura di M. Andaloro, Catania 2006, vol. I, pp. 555-556. Si veda anche G. TRAVAGLIATO, Icona graece, latine imago dicitur: culture figurative a confronto in Sicilia (secc. XII-XIX), in Tracce d’Oriente. La tradizione liturgica greco-albanese e quella latina in Sicilia, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2007, p. 43 e più recentemente M.K. GUIDA, Madonna delle Vittorie, in La Madonna delle Vittorie…, 2009, pp. 53-55, che riporta la precedente bibliografia. []
  11. Ibidem. []
  12. M.C. DI NATALE, scheda n. II,110, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 1989, pp. 260-261; M.C. Di Natale, Le comte Roger…, in Les Normands…, 2006, pp. 84-89; M.C. DI NATALE, Ruggero vittorioso sui saraceni, in La Madonna delle Vittorie…, 2009, pp. 166-167. []
  13. Per la diffusione dell’iconografia di San Giorgio in Sicilia cfr. M.C. DI NATALE, San Giorgio nella cultura artistica siciliana, in R. CEDRINI – M.C. DI NATALE, Il Santo e il drago, Caccamo 1993, pp. 46-154. []
  14. G. DI MARZO, Delle Belle Arti in Sicilia, III voll., Palermo 1858-1862. []
  15. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 27. []
  16. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664. rist. anast. Palermo 1991, p. 29. []
  17. A. MONGITORE, Palermo divoto di Maria Vergine e Maria Vergine protettrice di Palermo, II voll., Palermo 1719-1720. []
  18. M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003, p. 15. []
  19. C. SIRACUSANO, La pittura del Settecento in Sicilia, saggio introduttivo di A. Marabottini, Roma 1986, pp. 345, 348, 351, tav LXXXVI, Fig. 4. []
  20. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 31. []
  21. Ibidem. []
  22. Cfr. Nigra sum sed formosa. Madonna di Tindari. Iter di un restauro, a cura di G. Bonanno, Tindari 1996. []
  23. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 33; O. CAIETANO, Vitae sanctorum siculorum, Panormi 1657, tomo II, p. 287; G.M. DI FERRO, Guida per gli stranieri in Trapani, Trapani  1825, p. 256; V. FONTE, Storia della Chiesa di Maria SS. della Nuova Luce in Trapani, Trapani 1927, p. 72. []
  24. F. NEGRI ARNOLDI, Museo Nazionale Pepoli. IV Mostra di opere restaurate, Trapani 1969, p. 7; V. SCUDERI, Arte medievale nel trapanese, Trapani 1978, p. 97. []
  25. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 11. []
  26. V. NOBILE, Il tesoro nascoso. Discoperto a’ tempi nostri dalla consacrata penna di D. Vincenzo Nobile trapanese. Cioè le gratie, glorie et eccellenze del Religiosissimo Santuario di Nostra Signora di Trapani, ignorate fin’ hora da tutti, all’orbe battezzato fedelmente si palesano, Palermo 1698. Cfr. anche M.C. DI NATALE, “Coll’entrar di Maria entraron tutti i beni nella città”, in Il tesoro nascosto…, 1995, pp. 12-45. []
  27. M.G. PAOLINI, Pittori genovesi in Sicilia: rapporti tra le culture ligure e siciliana, in Genova e i genovesi a Palermo, Atti delle manifestazioni culturali tenutesi a Genova (13 dicembre 1978/13 gennaio 1979), Genova 1980. []
  28. V. NOBILE, Il tesoro nascoso…, 1698. []
  29. P. G. MANNO, Breve descrittione dell’effigie della Gloriosissima sempre Vergine Ma­dre di Dio Signora Nostra…, Palermo 1634. []
  30. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, pp. 37-38. []
  31. V. NOBILE, Il tesoro nascoso…, 1698. []
  32. V. NOBILE, Il tesoro nascoso…, 1698. []
  33. M.C. DI NATALE, La pittura pisana del Trecento e dei primi del Quattrocento in Sicilia, in Immagini di Pisa a Palermo, Atti del convegno, Palermo 1983, pp. 267-334. []
  34. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 39. []
  35. Ibidem. []
  36. V. NOBILE, Il tesoro nascoso…, 1698. []
  37. V. NOBILE, Il tesoro nascoso…, 1698. []
  38. P. SAMPERI, Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio Maria Protettrice di Messina divisa in cinque li­bri, ove si ragiona delle imagini di Nostra Signora che si riveriscono nei Tempii, e Cappelle più famose della città di Messina, delle loro Origini, fondazioni e sin­golari avvenimenti con alcune digressioni sulle perso­ne segnalate nelle virtù appartenenti a quel luogo, di cui si fa menzione, Messina 1644. []
  39. V. NOBILE, Il tesoro nascoso…, 1698. []
  40. V. NOBILE, Il tesoro nascoso…, 1698. []
  41. V. NOBILE, Il tesoro nascoso…, 1698. []
  42. V. ABBATE, scheda n. 55, in Splendori di Sicilia…, 2001, pp. 509-510, che riporta la precedente bibliografia. []
  43. G. CASSATA, Le copie “piccole e preziose: della Madonna di Trapani”, in Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo, catalogo della mostra (Trapani – Museo Regionale “A. Pepoli”, 15 febbraio – 30 settembre 2003),  a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2003, pp. 109-114, che riporta la precedente bibliografia. Si veda anche B. MONTEVECCHI, Note su alcune opere trapanesi nelle Marche, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento: un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale, Atti del Convegno Internazionale di Studi, a cura di M.C. Di Natale, Caltanissetta 2007, pp. 253-260. []
  44. G. DI MARZO, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI. Memorie storiche e documenti, Palermo 1880-1883. []
  45. V. SCUDERI, La Madonna di Trapani, in Il tesoro nascosto…, 1995, pp. 46-60. []
  46. M.C. DI NATALE, I gioielli della Madonna di Trapani, in Ori e argenti…, 1989, pp. 63-82; Il tesoro nascosto…, 1995, passim. Cfr. pure M.C. DI NATALE, Gioielli di Sicilia, 2000, II ed. 2008. []
  47. Cfr. Il tesoro nascosto…,  1995, pp. 248-279. []
  48. M. VITELLA, scheda II,20, in Il Tesoro nascosto…, 1995, pp. 215-216. []
  49. M.C. DI NATALE, Il Museo Diocesano di Palermo, Palermo 2006, II ed. 2010. []
  50. O. MANGANANTI, Sacro teatro palermitano cioè notizie delle chiese tanto dentro tanto fuori le porte della città come anco delle antiche distrutte, co’ loro tumoli, tabelle, iscrizioni ed alcune lapidi sepolcrali, parte raccolte da diversi scrittori, e parte osservate, (1693 ca.), ms. del XVII sec. della Biblioteca Comunale di Palermo ai segni QqD12. []
  51. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 11. []
  52. V. LITTARA, Hennensis Historiae libri duo, ms. del 1588 della Biblioteca Comunale di Enna ai segni  En 1-2-99 si riporta la trascrizione di R. Lombardo. Esiste un’altra copia manoscritta presso la Biblioteca Comunale di Palermo Historia Hennensis ai segni QqD66f. []
  53. M.C. DI NATALE, I monili della Madonna…, 1996, pp. 13-31, che riporta la precedente bibliografia. []
  54. Ibidem. []
  55. M. GUTTILLA, Monumenti e mito. Cultura antiquariale, restauri e simbologie in Sicilia dalla seconda metà del ‘500 alla fine del ‘700 , in “Restauro e società”, n. 4, Palermo 1982, p. 22. []
  56. V. PETROSO, Meditazioni per l’Ottavario che si celebra in onore di Maria Santissima sotto il titolo della Visitazione nella Chiesa Collegiata di Castrogiovanni coronata dal R.mo Capitolo di S. Pietro in Vaticano in quest’anno…, Roma 1795. []
  57. M.C. DI NATALE, I monili della Madonna…, 1996, p. 21. []
  58. V. PETROSO, Meditazioni per l’ottavario…, 1795. []
  59. V. PETROSO, Meditazioni per l’ottavario…, 1795. []
  60. M.C. DI NATALE, I monili della Madonna…, 1996, pp. 39-46. []
  61. V. PETROSO, Meditazioni per l’ottavario…, 1795. []
  62. Per la corona della Madonna della Visitazione di Enna cfr. E. MAUCERI, Le oreficerie della Chiesa Madre di Castrogiovanni, in “L’Arte”, anno XVII, 1914, pp. 379-81; M. ACCASCINA, Oreficeria…, in “Dedalo”, fasc. III, a. XI, agosto 1930; C. SCARLATA, Le oreficerie della Chiesa Madre di Enna, tesi di laurea, relatore prof. S. Bottari, Università degli studi di Catania, anno acc. 1952-53; M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974; M.C. DI NATALE, Le vie dell’oro dalla dispersione alla collezione, in Ori e argenti…, 1989, pp. 22-44; M.C. DI NATALE, I monili della Madonna…, 1996, pp. 39-46; M.C. DI NATALE, Gioielli di Sicilia, 2000, II ed. 2009, pp. 133, 135. []
  63. Per i gioielli della Madonna della Visitazione di Enna cfr. M. ACCASCINA, Oreficeria siciliana. Il tesoro di Enna, in “Dedalo”, fasc. III, anno XI, agosto 1930. Cfr. pure M.C. DI NATALE, I monili della Madonna…, 1996, che riporta la precedente bibliografia; Eadem, Gioielli…, 2000, II ed. 2008. []
  64. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 12. []
  65. E. CIACERI, Culti e miti nella storia dell’antica Sicilia, Catania 1911, rist. anast. Catania 1993, p. 212. []
  66. P. ORLANDINI, Lo scavo del tesmophorion di Bitalemi e il culto delle divinità ctomie a Gela, in “Kokalos”, a. XII, 1966, pp. 8-35. []
  67. G. LA MONICA, Sicilia misterica. Fondazioni e restauri di monumenti tra Rinascimento e Barocco, Palermo 1982. []
  68. M.C. DI NATALE, I gioielli dell’Immacolata segni di arte e devozione, in M.C. DI NATALE – M. VITELLA, Ori e stoffe della Maggior Chiesa di Termini Imerese, Palermo 1997, pp. 13-38. []
  69. Ibidem. []
  70. Ibidem. Cfr. pure A. CUCCIA, scheda III, 33, in Le Confraternite dell’Arcidiocesi di Palermo. Storia e arte, catalogo della mostra a cura di M.C. DI NATALE, Palermo 1994, pp. 212-214. []
  71. M.C. DI NATALE, I gioielli…, in M.C. DI NATALE – M. VITELLA, Ori e stoffe…, 1997, pp. 13-38. []
  72. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, pp. 35-36. []
  73. M.C. DI NATALE, Il tesoro della Cattedrale di Palermo dal Rinascimento al Neoclassicismo, Prolusione all’Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti già del Buon Gusto di Palermo, inaugurazione dell’anno accademico 2001-2002, Palermo 2001, p. 6. Cfr. pure G. TRAVAGLIATO, Icona graece…, in Tracce d’Oriente…, 2007, p. 44. []
  74. Ibidem. []
  75. A. MONGITORE, La Cattedrale di Palermo, ms. della prima metà del XVIII secolo della Biblioteca Comunale di Palermo ai segni QqE3, cap. 61, c. 581r. []
  76. Ibidem. []
  77. M.C. DI NATALE, Il tesoro della Cattedrale…, 2001, p. 6. []
  78. G. DI MARZO, Delle Belle Arti…,  1858-1862. []
  79. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 45. []
  80. P. SAMPERI, Iconologia della gloriosa Vergine…, 1644. []
  81. M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003. []
  82. Per l’opera si veda M.P. PAVONE ALAJMO, scheda 13, in Orafi e argentieri al Monte di Pietà. Artefici e botteghe messinesi del sec. XVII, catalogo della mostra (Messina, Monte di Pietà 18 giugno – 18 luglio 1988) a cura di C. CIOLINO, Messina 1988, pp. 180-181; G. MUSOLINO, Argentieri messinesi tra XVII e XVIII secolo, Messina 2001, p. 90. []
  83. Ibidem. []
  84. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 49. []
  85. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 85. []
  86. P. SAMPERI, Iconologia della gloriosa…, 1644. []
  87. G. BARBERA, scheda n. 119, in Federico e la Sicilia. Le arti figurative e le arti suntuarie, vol. II,  a cura di M. Andaloro, Palermo 1995, pp. 453-456. []
  88. Ibidem. []
  89. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 51. []
  90. A. MONGITORE, Palermo divoto…, 1719-1720. []
  91. M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003. []
  92. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 52. []
  93. M.C. DI NATALE, Ave Maria…, 2003. []
  94. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 52. []
  95. O. CAIETANO, Raguagli delli ritratti…, 1664, rist. anast. Palermo 1991, p. 53. []
  96. A. MONGITORE, Palermo divoto…, 1719-1720. Per la confraternita abolita nel XIX secolo cfr. F. LO PICCOLO, scheda VII, 39, in Le Confraternite…, 1994, p. 299. []
  97. B. MINISTERI, La chiesa e il convento di Sant’Agostino di Palermo, premessa di M.C. Di Natale, Palermo 1994, pp. 37-38. []
  98. M.C. DI NATALE, Oro, argento e corallo…, in  Splendori…, 2001, pp. 41-42. []