Andrea Massimo Basana

feone@hotmail.it

La ditta Fratelli Testolini

DOI: 10.7431/RIV12092015

La storia

Premessa indispensabile alla stesura di questo articolo è lo sfortunato smarrimento, dal fondo della Camera di Commercio di Venezia, della busta contenente la documentazione inerente l’azienda Testolini. Questa carenza risulta piuttosto rilevante nella ricostruzione della storia della ditta, ma nonostante ciò proveremo comunque a delineare una sua evoluzione temporale ricavabile dalle fonti che citano il suo nome.

Già dai suo primordi tale azienda risulta nella propria dicitura alquanto ambigua, ci troviamo infatti difronte a due nominativi: la ditta “M. Q. Testolini” e la ditta “Fratelli Testolini”. Con ogni probabilità i due nome devono invero identificarsi con la medesima azienda, la quale plausibilmente, passando di generazione in generazione, mutò lievemente la dicitura del proprio nome. Se infatti stiamo alla notizia riportata in una cartolina pubblicitaria della M.Q. Testolini, in cui si dichiara come anno di fondazione dell’impresa il 18471, ci è assolutamente lecito pensare che essa non sia rimasta nelle medesime mani dei fondatori, ma che sia probabilmente passata ai suoi successori più prossimi, com’era da tradizione nel XIX secolo.

Analizzando una serie di dati siamo portati a trarre la conclusione che tale dicotomia fosse a tutti gli effetti solo nominale e non effettiva. Assai interessante da notare in primis è come dalla data di fondazione della M.Q. Testolini riportata sulla cartolina appaia invece nelle guide commerciali veneziane l’azienda dei Fratelli Testolini non facendo mai la sua apparizione invece la prima. Ulteriori dati ci provengono dalle immagini della sopracitata cartolina dove si può identificare Palazzo Labia quale sede produttiva, stessa sede produttiva della Fratelli Testolini.  Medesime inoltre risultano sia la sede espositiva sita nelle procuratie vecchie a piazza S. Marco, sia  l’officina situata nel sestiere di S. Marco dietro Palazzo Reale, dove si eseguivano perle, mosaici e oggetti in vetro filato. Altro dato a suffragio di tale tesi è l’ambiguità con la quale si indicava una delle due fornaci per la produzione di oggetti in vetro a Murano, sita sulla fondamenta sinistra al principio di Rio dei Vetrai. Dove in una foto d’epoca si notano due cartelli l’uno con la scritta “Testolini” e l’altro con la scritta “Testolini frères”2 mettendo in risalto come tale ditta fosse avvezza a piccole variazioni nella propria dicitura. Ultimo dato a favore di tale ipotesi è la recente comparsa sul mercato inglese di un vaso portabiglietti in vetro violetto guarnito di una decorazione vitrea imitante il pizzo, firmato alla base “M. Q. Testolini”3 (Fig. 1); cosa importante di tal oggetto è che esso viene descritto come opera di produzione della Fratelli Testolini all’esposizione di Murano del 1895: <<…una coppa per carte da visita con un fazzoletto di pizzo buttato dentro…>>4.

Nel medesimo anno la M.Q. Testolini pubblica un catalogo inerente i prezzi della produzione in vetro, in tale catalogo appaiono anche le raffigurazione delle sedi di produzione, tra le quali si vede nuovamente palazzo Labia, e si cita la produzione di mobilia scolpita e in stile neorinascimentale, identica produzione della ditta dei Fratelli Testolini5.

Cosa molto interessante risulta anche la lamentela di Giacomo A. Ronco, per la mancata presenza all’esposizione milanese del 1881 delle creazioni in vetro della <<ditta Testolini>>,  il cui nome privo di specifiche fa intendere che non vi fossero ditte omonime operanti nel medesimo settore. Stessa mancanza di distinzione si ha nella citazione di un acquisto da parte del governo di una specchiera all’esposizione di Torino del 1884.  Nella relazione della giuria di tale evento, citando la Testolini, si elogia anche un mosaico con il ritratto del sovrano, la cui paternità risulta legata al solo nome Testolini privo di altre specifiche6. Fatto ancor più rilevante a conferma di tale ipotesi è il dato che riferisce la proprietà nel 1910 della Compagnia Venezia Murano , nota più semplicemente come C.V.M., a Marco Testolini legato alla M.Q. Testolini. Compagnia poi assorbita dalla Pauly & C., la quale  proporrà sino agl’anni ’30 la mobilia a grotta della produzione Fratelli Testolini7 fatto inspiegabile se la M.Q. Testolini non fosse la medesima ditta Fratelli Testolini.

Quando Vincenzo Cadorin cita la ditta dei Fratelli Testolini,  inoltre, per dei lavori da essa ricevuti in subappalto, non accompagna a questa nessuna specifica, nominandola semplicemente <<Testolini>>, dando per assodato che non ne esistesse più d’una8.

Volendo azzardare un’ipotesi si potrebbe pensare che le iniziali M.Q. fossero in realtà la malriuscita trascrizione dovuta, o alla poca alfabetizzazione dell’operaio addetto all’incisione delle firme, o alla difficoltà di realizzazione della lettera “g”, delle iniziali M.G., dove la M. avrebbe indicato Marco Testolini mentre la G. Gregoretti, ultimi soci della Fratelli Testolini, prima che questa si fondesse nella Salviati-Jesurum & Co.9.

La ditta dei Fratelli Testolini nella sua lunga storia con molta probabilità deve aver intessuto uno stretto rapporto con Antonio Salviati e la Compagnia Venezia Murano, tale dato spiegherebbe molto plausibilmente il perché tale azienda commerciasse vetrerie, seppur inizialmente non risultasse proprietaria di fornaci, tanto che nelle tre edizioni della guida di Francesco Zanetti, a suo nome non viene citata nessuna fabbrica adibita a tali creazioni10; e allo stesso tempo renderebbe palese la presenza della mobilia da essa creata negli stand delle esposizioni della ditta Salviati. Tali legami ci permettono di comprendere le motivazioni della copiosa presenza di tale mobilia in Inghilterra ed in maniera minore in Francia, dove con ogni probabilità veniva venduta negli show room della Salviati & Co. siti in Regen Street a Londra ed in Avenue de l’Operà a Parigi11. La ditta lavorò certamente sia per la società per azioni fondata a Londra nel 1866 da Antonio Salviati, dal diplomatico sir Austen Henry Layard e dallo storico William Drake12, che mutò poi nel 1877 nome da Salviati & Co., in Compagnia Venezia Murano, sia anche per Antonio Salviati quando venne liquidato da essa. Confrontando i dati possiamo ipotizzare in maniera plausibile che la Fratelli Testolini anche dopo la morte di Antonio Salviati sia in qualche modo rimasta legata ai figli di questi, risulterebbe in altro caso assai arduo spiegare come nel 1902 la Testolini e la Salviati & C., fondata nel 1896 dal figlio di Antonio Salviati, Giulio, e da Maurizio Camerino per la vendita di manufatti non vetrari13, insieme ad altre ditte si fondino nella Salviati-Jesurum & Co.14.

Palese dato di questa connubio tra la ditta Testolini  e la C.V.M. Ci viene da “La Voce di Murano”, in cui si conferma il fatto che la C.V.M. inizialmente fornisca alla Testolini gli oggetti in vetro. In tali pagine si aggiunge inoltre che ad essa la compagnia londinese ha ceduto i negozi sotto le procuratie vecchie a piazza S. Marco siti ai numeri 68 e 68 B15, tale stretto legame fa inoltre ben comprendere le motivazioni di una tal diffusione dei prodotti della ditta Fratelli Testolini nel Regno Unito.

La Fratelli Testolini fu assai attiva nella promozione della propria attività partecipando a tutte le esposizioni nazionali ed internazionali e a quelle universali, venendo in moltissime occasioni premiata, come evinciamo dai frontespizi di cataloghi a stampa, biglietti da visita e  cartoline dove vengono riportate le medaglie vinte accompagnate dal luogo e dalla data di assegnazione16.

La ditta dei Fratelli Testolini, dopo l’assorbimento sotto la Salviati-Jesurum & Co. dovuto a quanto riferisce “La voce di Muranoalla morte del Socio Gregoretti, vede smembrate le sue botteghe di cui quelle site ai numeri 11 e 12 in fondamenta dei vetrai a Murano passano alla Pauly & C. mentre le rimanenti tre passano alla Salviati-Jesurum & Co.17.

Ma ancora la Testolini non è destinata ad uscir di scena infatti nel 1909 Marco Testolini acquisisce la C.V.M., per la quale con ogni probabilità aveva continuato a fornire mobilia, risultando esserne l’unico proprietario nel 191018.

Ultima nota da legare alla storia di tale ditta, il cui nome ormai compariva nei documenti solo come affiliato della Salviati-Jesurum, è quella inerente il 1919, anno in cui la C.V.M, e la Pauly &.C. che strana beffa della sorte era nata nell’anno in cui i Fratelli Testolini perdevano formalmente la loro autonomia, vengono acquistate dalla Società Anonima Sanitaria di Milano, la quale le cede nel 1920 al commendatore della medesima città Gaetano Ceschina che fuse le due compagnie nella Pauly & C. C.V.M.19, che ultima erede delle produzioni dei Fratelli Testolini ne sarà rivenditrici sino agli anni ’30 periodo in cui costretta al trasferimento della propria sede di produzione e complice il mutamento della moda, l’azienda abbandonerà le creazioni in stile eclettico, limitandosi alla realizzazione di mobilia neo-secentesca.

La Produzione

La produzione della ditta Fratelli Testolini fu assai variegata ed eclettica, essa comprendeva tutti i settori delle arti applicate legate alla casa e alla persona, ma quella che di certo la rese celebre fu la sua produzione di mobilia scolpita. Possiamo notare come tali realizzazioni  abbracciassero un ventaglio di tipologie stilistiche vastissimo, che andavano dal neo-barocco all’art nouveau.. Questa produzione sfruttava gli aspetti che da sempre avevano caratterizzato l’artigianato del mobile veneziano, cioè l’arte dell’intaglio. Ogni arredo risulta estremamente scolpito, spesso la sua struttura viene bombata e sagomata a rendere ancor più complicata l’opera di realizzazione. Molti pezzi dovevano poi esser rifiniti a lacca o a foglia d’oro, mentre altri semplicemente lucidati a stoppino per esaltarne la dura essenza di noce.

Se inizialmente la produzione risulta estremamente curata e rifinita, con l’incedere del tempo essa muta, divenendo sempre più approssimativa. Le figure  vanno man mano appiattendosi divenendo quasi bidimensionali e la finitura diviene sbrigativa, facendo sì che i minuziosi dettagli scolpiti, che tanto devono aver affascinato i compratori ottocenteschi, venissero eliminati, non ci si curava più nemmeno di levigare i segni meccanici lasciati dai macchinari20.

Tralasciando il declino artistico dei manufatti sarà cosa maggiormente produttiva affrontare il periodo aulico di vita dell’azienda.

Una così vasta produzione tanto elaborata e impegnativa dal punto di vista della manodopera deve aver impegnato un elevato numero di operai che in molti casi non devono sempre essere riusciti a far fronte alla richiesta, facendo si che si delegasse in sub-appalto la produzione di determinati capi a terzi. Ciò può essere suffragato sia dal fatto che l’intaglio di singoli pezzi di medesima tipologia ed epoca presenti sul mercato risulta spesso assai diverso, sia per la presenza nelle immagini del catalogo di capi attribuibili ad altri artigiani noti a Venezia in quel periodo. Nel catalogo, un unicum di 108 pagine dalla lussuosa legatura densamente popolato delle riproduzioni fotografiche dei pezzi prodotti, è infatti presente una cassapanca attribuibile a Francesco Toso (Fig. 2) e un più strano gruppo di pezzi attribuibili al fiorentino Luigi Frullini che tra breve analizzeremo (Fig. 3).

A suffragio dell’ipotesi formulata in precedenza è presente nelle breve autobiografia scritta da Vincenzo Cadorin una frase in cui lamentandosi della penuria di lavoro dichiara di aver accettato di realizzare per la ditta Testolini alcuni <<…lavoracci…>>, in un periodo che va dal 1898 al 1901, ma si deve presumere che tali subappalti continuarono ad essere accettati e realizzati ben oltre tali anni. Sfortunatamente sono stati smarriti molti dei registri contabili della bottega Cadorin nei quali venivano inseriti i nomi dei committenti, ma ancora nel 1913 compare il nome della ditta Salviati, il che ci fa presupporre una continuità protrattasi anche dopo i passaggi di proprietà della ditta Testolini21.

Per quanto inerente Toso, la cassapanca in questione è assolutamente simile ,per non dire identica, per tipologia ed ornato agli sgabelli acquistati da Antonio Borgogna alla fine del XIX secolo ed ora al museo Borgogna di Vercelli: la cosa non deve stupirci, infatti Toso, lavorava anche per altre ditte come la Sarfatti22, perciò con ogni probabilità egli eseguiva mobilia anche per altre grandi aziende del mobile site a Venezia tra le quali vi era con certezza anche la Testolini.

Esaminando invece la mobilia di Frullini presente nel catalogo, non ci deve stupire essa sia presente in numero nutrito. Frullini infatti fu apprezzatissimo a livello internazionale, molte furono le medaglie  e i riconoscimenti assegnati alla sua persona. Attivissima anche nel campo delle arti applicate, egli fece parte del comitato direttivo che decretò a Firenze l’apertura d’una scuola dedicata all’arte del legno applicata agli arredi23. Nel 1880 pubblicò insieme a Gaiani  l’album illustrato “Panneaux et ornaments en bois  sculptés” 24. Si può perciò facilmente concludere che le rappresentazioni fotografiche delle sue creazioni circolassero liberamente tra gli ebanisti dediti alla creazione di mobilia neo-rinascimentale, e che venendo tanto apprezzato dal pubblico europeo gli artigiani non trovassero riprovevole proporre i modelli più gettonati ricavandone in tal modo guadagno.

Ad esclusione di tali casi il resto della produzione risulta originale; seppur rientri in quella tipologia di creazione data dalla rielaborazione di antichi modelli adattati alle nuove forme, in un elaborato stile revivalistico-eclettico; non si può  ad essi però non assegnarle il giusto merito dovuto alla magnifica e virtuosistica lavorazione.

Una sola tipologia si distacca totalmente da tale riproposizioni di antichi stili ed è quella della mobilia in stile marino, definita dal pubblico britannico “a grotta”, essa infatti usa il soggetto marino della conchiglia e delle concrezioni marine creando una nuova tipologia decorativa che fu molto apprezzata e che mai prima era apparsa (Fig. 4).

Data la carenza di materiale inerente il laboratorio di mobilia della ditta, possiamo solo supporre quali essenze fossero predilette per la realizzazione dei pezzi proposti nel catalogo. A tale penuria sopperiscono in maniera parziale i cataloghi d’asta, che in alcuni casi ci danno notizia dell’essenza usata, ma spesso si deve far presente che le notizie riportate risultano fallaci o poco chiare; si confonde di sovente il noce satin25 con il noce autentico, o lo si nomina in maniera approssimativa definendolo legno da frutto. Assai spesso la produzione in mogano africano viene confusa con la produzione in noce, e il legno di cirmolo subisce la medesima sorte del noce satin, venendo definito o semplicemente legno di conifera, o ancor meno chiaramente legno di frutto26.

Nonostante tale carenza di informazioni e la confusione generata dalle case d’asta, risulta semplice l’attribuzione dei vari materiali impiegati per le diverse tipologie di mobilia, essi sono assai simili in ogni regione, seguendo una medesima evoluzione data dalla maggiore o minore reperibilità delle essenze o dalla facilità di lavorazione dell’una piuttosto che dell’altra, tenendo inoltre presente che molte delle essenze impiegate si sono mantenute inalterate sino ai nostri giorni.

Tutti gli arredi che non appartenessero al mobilio da seduta erano costituiti da una carcassa in legno tenero, solitamente abete, sul quale si applicavano poi pannellature, rivestimenti e ornamentazione scultorea in legno di noce, questa tecnica era usata per la mobilia neo-rinascimentale e neo-barocca. Essa costituita da poderose decorazione scultoree poteva venir resa leggermente più economica tramite l’uso di pannelli in legno dolce impiallacciati in noce. I ripiani erano sempre eseguiti in legno di noce massello e quando questo non era impiegato venivano usate lastre in marmo ad incasso contornate da cornici con decorazioni ad intaglio.

Il noce verrà sostituito verso la fine del XIX secolo dal noce satin, esso considerato un essenza non pregevole veniva impiegato inizialmente per la costruzione delle fodere interne, ma essendo di più facile lavorazione e molto più economico, lo si impiegherà in seguito anche per l’apparato decorativo a tuttotondo; il suo sempre maggior impiego si accompagna alla sempre minor ricercatezza ed alleggerimento dell’insieme delle decorazioni. Interessante è notare come si usasse anche il legno di rovere, essenza che, non amata dai veneziani, senza dubbio fu usata per l’apprezzamento che il pubblico inglese, americano e francese riversavano su essa.

Per la mobilia neorococò si usava il legno di cirmolo, proveniente dal pino cembro. Esso è il legno della tradizione veneziana usato da sempre per l’intaglio per via della sua facilità di lavorazione e della tenacia nel mantenere la laccatura. Si tratta di un legno molto leggero, il colore bianco a taglio fresco che tende con il tempo a scurire, possiede una vena molto compatta, è molto elastico ed abbastanza resistente, cosa che ben si presta alle complicate bombature e decorazioni degli arredi in stile neo-settecentesco. La carcassa di tali arredi è solitamente eseguita sempre in legno d’abete centinato sul quale si applicato poi gli elementi sagomati in tale legno destinati a venir dorati e laccati.

Il noce satin veniva usato soprattutto per la realizzazione della mobilia a grotta, e di alcuni piccoli mobili in stile eclettico decorati da putti. Probabilmente si prediligeva tale legno per il fatto che il cliente potesse scegliere la finitura desiderata, se vero è che quasi sempre esso veniva laccato, vi sono casi in cui esso è stato lasciato al naturale e valorizzato dalla lucidatura, e altri casi  in cui è stato scurito in modo da imitare il vero noce. Caso particolare è costituito dagli arredi costruiti in mogano27, essendo una tipologia di mogano, proveniente dall’Africa, nota come mogano Khaya28; tale mogano venne molto usato negli anni ’20 e ’30 del XX secolo, perciò tenendo presente tale fattore si può pensare che tale produzione appartenga all’ultima fase della Testolini29.

La mobilia da seduta ad eccezione di quella appena citata a grotta, era realizzata esclusivamente in legno di noce, per impedire che le giunture si allentassero troppo velocemente. Spesso per economizzare soprattutto nel primo quarto del ‘900 si usò il legno di faggio tinto ad imitazione del noce. Interessante risulta infine notare i metodi di montaggio della mobilia; se per quasi tutta la produzione essi si attenessero agli standard europei, tramite l’uso di incastri e di chiodature, ve ne era una tipologia che da essi si distaccava totalmente, ed era quella dei mobili a grotta. Essi venivano consolidati tramite l’uso di grosse viti in ferro occultate poi alla vista tramite stuccature celate dalle finiture decorative. Tale metodo risulta assai interessante perché può farci ipotizzare che tale mobilia venisse inviata smontata in Inghilterra Francia e America e lì montata per essere venduta negli stores della ditta o dai rivenditori; d’altro canto era ben presente l’esempio dei mobili della produzione Thonet inviati smontati per economizzare su costi di spedizioni e volumi, e montati dai rivenditori.

Lo stile a grotta

Se si dovesse scegliere una tipologia di mobilio che meglio rendesse palese al mondo la ditta Testolini, questa ricadrebbe di certo sul mobilio a forma marina definito nei paesi di lingua anglofona “a grotta”30 (Fig. 5).

Seppure questo genere di mobilia non sia il più rappresentato nella produzione della ditta e nemmeno quello che meglio offre la possibilità di una virtuosistica espressione, sembra tuttavia esser stato quello più apprezzato dal pubblico inglese e americano, e più tardi parigino.

Tale tipo di mobilia risulta assai originale ed estroso, e deve di certo aver soddisfatto il tipico sentimento borghese di fuga dalla realtà verso terre esotiche e fiabesche attuato senza spostarsi fisicamente dalla propria dimora, ma con l’acquisto di mobilia orientaleggiante e di carattere inconsueto31. Tale tendenza voleva stupire l’ospite e dare alla mente un libero sfogo alla pensante cappa di perbenismo su cui si imperniavano le regole che gestivano la società ottocentesca; non potendo perciò ad esse contravvenire si cercava in maniera pacata ed elegante di aggirare l’ostacolo introducendo del materiale innovativo che incuriosisse  per forma e decorazione.

Se per il XVIII secolo le cineserie avevano fatto da padrone quali rappresentanti di un oriente ammantato di leggenda, esse erano divenute dopo un secolo piuttosto desuete, tanto da far spingere le persone verso la ricerca di altre terre d’evasione quali la Turchia, la Persia, l’Egitto, il Giappone e in questo caso il fiabesco regno del mare32.

Ma un annotazione va fatta per tale tipologia di fornimento, esso risulta assai originale nella fattura, ciò è innegabile, ma non nel modello, ricalcando infatti una tradizione britannica ormai da secoli affermatasi, rielaborando in chiave fantastica un tipo di decorazione, quella della  conchiglia, molto usuale nel territorio d’oltremanica, secondo il sopracitato pensiero borghese di voglia di casalingo esotismo.

Fa sorridere l’ingenuità con la quale Newman assegni l’elaborazione di tale forma a Venezia, per la sua posizione e conformazione geografico-territoriale,  ritenendo che solo in una città portuale e marina si sarebbe potuta usare la conchiglia e le forme marine per la creazione di mobilia33. Sarebbe bastato lui scorrere qualche volume inerente la storia del mobile veneziano per constatare l’erroneità di tale affermazione, notando come le decorazioni della mobilia lagunare evitino ogni riferimento al mare e alla sua vita, e anche quando la forma decorativa richiami la valva di qualche mollusco essa invero non lo sia mai, ma risulti sempre data  dell’accostamento di petali, volute, foglie o rocailles, d’altronde impossibile sarebbe evitarne il richiamo essendo il mobile veneziano costantemente protratto alla civettuola natura rococò la cui struttura decorativa deriva dalla rielaborazione di rocce e conchiglie34.

Da studi più approfonditi sul mobile inglese si nota invece come la conchiglia sia un diffusissimo motivo decorativo in tal paese e come essa sia soventemente usata nella decorazione di sedili e arredi. Newmann cita infatti i sedili eseguiti per Holland House a Londra nel 1625, in cui lo schienale della poltrona-sgabello di derivazione rinascimentale è costituito da una valva di mollusco, ma tralascia poi tutta la tradizione succedutasi per tale tipologia decorativa in Inghilterra (Fig. 6).

Assai diffuse erano infatti le sedie da ingresso con schienale a conchiglia; questa tipologia di mobile tipicamente inglese, eseguita interamente in legno possedeva una seduta piuttosto bassa e assai stretta, create appositamente per brevi soste affinché i servitori o i visitatori per affari, che attendevano in questi spazi di passaggio non si assopissero accomodandosi in sedili troppo confortevoli35. Un bell’esempio ne sono le sedie apparse sul mercato antiquario nei primi anni ’90 appartenute ai conti di Rochford, il cui stemma campeggia dipinto sullo schienale, eseguite intorno al 1750, in cui un bivalve in mogano dall’ampia spalliera si erge su gambe a capriolo (Fig. 7).

Altro lampante esempio, seppur sfortunatamente l’originale sia andato disperso, ne è il sedile da giardino ideato da Horace Walpole per Strawberry Hill nel 175936, esso appare quasi come una grande bergere en confessional la cui copertura risulta costituita da una grande conchiglia dalle bordo fortemente frastagliato (Fig. 8).

Lo stile neo-palladiano di cui la nobile e ricca popolazione inglese fece largo uso per la costruzione di maestose ville di campagna, prevedeva per la decorazione dei suoi interni ricchi arredi in cui sovente era facile trovare conchiglie e creature marine, ne sono esempio i  divani forniti da Jhon Linell per Keldeston Hall nel 1765 in cui tritoni e nereidi sorreggono e si poggiano al tempo stesso sulle cerulee imbottiture37.  Altro esempio ne è buona parte della mobilia prodotta da Jhon Vardy e ancor più da Giles Grenday in cui si ritrovano un po ovunque grandi conchiglie a decorazione di cimase e schienali38.

Tale tipologia decorativa non cadde in disuso nemmeno quando le schematiche forme dei primi ‘800 fecero sì che la mobilia tendesse ad un sobrio rigore formale. Questi anni videro il motivo decorativo della conchiglia traslare alla parte alta dello schienale, consentendo così alla restante struttura il tipico irrigidimento delle forme della mobilia inglese in tal periodo.

Interessante notare è come in tal periodo non solo il motivo a conchiglia venga applicato alla mobilia ma migri anche verso altre forme di arti applicate, quali l’argenteria; questi sono gli anni che vedono la nascita per i servizi da tavola dello stile Queen e del più semplificato King il cui motivo decorativo centrale è la conchiglia, la quale comparirà verso il 1840 ad ornare  anche il classico Fiddle Thread39 (Fig. 9).

Per tutto l’ottocento la conchiglia continuerà ad essere presente come motivo decorativo sulla mobilia, sugli argenti e sulle porcellane, comparirà in maniera più o meno discreta, ma non sparirà mai, tanto che un famoso e diffuso motivo decorativo inglese ad intarsio di fine secolo ritrae un gasteropode.

In tale filone si inserisce la produzione Testolini che eseguirà intere forniture da salotto o singoli pezzi. La produzione prevedeva ogni tipo di mobile da seduta e complemento d’arredo utili a soddisfare ogni esigenza: poltrone, divani, tavolini, mensole, specchiere, mantovane, sedie a dondolo (Fig. 10).

Si tratta di una produzione assai varia la cui finitura poteva essere altrettanto varia. La più comune consisteva nel trattare i piani di seduta e d’appoggio con foglia d’argento e vernici madreperlacee e le restanti parti con una finitura bruno-violacea, ritoccate poi con lumeggiature dorate, soprattutto sui braccioli in forma di tritone e nei particolari delle gambe, costituite da  conchiglie di gasteropodi per il mobilio da seduta, mentre da tritoni o cavallucci marini per i mobili d’appoggio. Dai mobili pervenutici possiamo notare come questa finitura non fosse che una di molte possibili.  Ci sono giunti infatti mobili interamente dorati, altri argentati, alcuni laccati privi di decorazioni ad iridescenza o metalliche ed infine altri lasciati al naturale il cui legno trattato con vernici poteva essere scurito ad imitazione del noce o mantenere una bella chiara tonalità.

Risulta infine molto interessante notare come tale tipologia abbia continuato ad influire sulle scelte di designer e costruttori tanto che negli anni ’70 Matilda Smith ne riproponga una copia totalmente in lacca gialla40, e che in Florida, più precisamente a Palm Beach, se ne venda una versione in plastica bianca da giardino41, e di certo anche il designer Christofer Guy deve aver avuto presenti le sedie Testolini quando ha ideato la sua Venus shell chair42, di cui se ne ricalca oltre che la composizione anche la foglia d’oro con la quale è stata ammantata la superficie lignea.

La popolarita di tali mobili ha fatto sì che apparissero anche sul grande schermo nei film: Scarface (1983, Brian De Palma), Riccardo III (1996, Richard Locarine), Cheri (2009, Stephen Frears), Moonacre (2009, Gabor Csupo) e, solo per citarne alcuni,  in tutti i casi si voleva ricreare uno ambiente opulento o che tale  era stato, che il carattere di tali arredi oggi come allora tende a donare.

Referenze fotografiche

Fig. 1: https://www.glassmessages.com/index.php?topic=18156.0
Fig. 5:  https://www.art-conservation.org/?page_id=1192
Fig. 6: Victoria & Albert Museum
Fig. 7: Fenice 2000, Milano (Mobile Europeo del Settecento)
Fig. 8: Lewis Walpole Library, Yale University
Fig. 9: https://www.silvervaultcharleston.com/british.htm
Fig. 10: https://www.sothebys.com/en/auctions/ecatalogue/2013/19th-century-furniture-n08983/lot.244.html

  1. A.Bova-R. Junk-P. Migliaccio, I colori di Murano nell’800, Venezia 1999, p. 47. []
  2. A. Bova- R. Junk-P. Migliaccio, I colori…, 1999, pp 45-48. []
  3. https://www.glassmessages.com/index.php?topic=18156.0 consultato in data 15-01-2014. []
  4. A. Bova- R. Junk-P. Migliaccio, I colori…, 1999, p. 46. []
  5. A. Bova- R. Junk-P. Migliaccio, I colori…, 1999, p.47. []
  6. A. Bova- R. Junk-P. Migliaccio, I colori…, 1999, p. 45. []
  7. B.M. Newmann, Mobili di fantasia, Milano 1989, p. 63. []
  8. Archivio Cadorin: Autobiografia di Vincenzo Cadorin, 1925. []
  9. A. Bovo-P. Migliaccio, Vetri artistici, Antonio Salviati e la Compagnia Venezia Murano, Venezia 2011, p. 23. []
  10. A. Bova- R. Junk-P. Migliaccio, I colori…, 1999, p. 48. []
  11. A. Bova- R. Junk-P. Migliaccio, I colori…, 1999, p. 45. []
  12. A. Bova-P. Migliaccio, Vetri artistici…, 2011, p. 17. []
  13. A. Bova- R. Junk-P. Migliaccio, I colori…, 1999, p. 45. []
  14. Statistica industriale, 1906, pag 81. https://lipari.istat.it/digibib/StatisticaIndustriale/CUB616130Statistica_industriale_P1+OCRottimizz.pdf consultato in data 15-01-2014. []
  15. CVM e Testolini, In “La Voce di Murano”, n. 10, 30 maggio 1891, p. 37. []
  16. CVM e Testolini…, 1891, p.47. []
  17. “La voce di Murano”, n.10, 13 giugno 1902; A. Bovo-P. Migliaccio, Vetri artistici…, 2011, p. 23. []
  18. A. Bova- R. Junk-P. Migliaccio, I colori…, 1999, p. 48. []
  19. https://www.pauly.it/cms/default.asp?9864946A9E63A4695151986592649E6A consultato in data 20-01-2014. []
  20. B. M. Newmann, Mobili, 1989, pp. 62-65. []
  21. Cfr. Archivio Cadorin, Venezia. []
  22. E. Colle,Il mobile dell’800 in Italia, Milano 2007., p. 332. []
  23. Dizionario biografico degli italiani vol. 50, Roma 1988, pp.644-649. []
  24. C. Polini – A. Ponte – O. Selvafolta, Il bello ritrovato, Novara 1990, p. 580. []
  25. Il noce satin è una tenera essenza importata dall’India e dall’Africa del sud, all’aspetto risulta similissima al noce sia per venatura che per compattezza del poro, ma allo scalpello è di assai facile lavorazione e il suo peso specifico è assai leggero. []
  26. Cfr. https://www.christies.com/lotfinder/furniture-lighting/a-venetian-walnut-piano-stool-late-19th-5554613-details.aspx, https://www.christies.com/lotfinder/furniture-lighting/a-venetian-carved-walnut-grotto-armchair-circa-5401887-details.aspx, https://www.1stdibs.com/furniture/seating/armchairs/19th-c-venetian-grotto-fruitwood-armchair/id-f_856361/ consultati in data 20-01-2014. []
  27. Tale produzione è riferita ad alcune poltrone a grotta apparse sul mercato antiquario realizzate in tale essenza. []
  28. Si tratta di una varietà di legno la cui venatura risulta assai simile al mogano ma inferiore ad esso per peso e durezza. []
  29. Cfr. https://www.1stdibs.com/furniture/seating/armchairs/rare-pair-of-pauly-et-cie-grotto-chairs-from-aileen-getty-collection/id-f_794522/,https://www.pinterest.com/pin/542402348842639981/ ,https://www.christies.com/lotfinder/furniture-lighting/a-north-italian-parcel-gilt-polychrome-decorated-and-silvered-5640409-details.aspx consultati in data 20-01-2014. []
  30. Cfr. https://www.christies.com/lotfinder/furniture-lighting/a-venetian-polychrome-decorated-eight-piece-suite-of-grotto-4942189-details.aspx consultato in data 21-01-2014. []
  31. C. Paolini, Mobili e arredi dell’800, Novara 1999, p. 272. []
  32. C. Paolini, Mobili e arredi, 1999, p. 274. []
  33. B.M. Newmann, Mobili…, 1989, pp. 62-63. []
  34. B. Borngasser, Barocco e rococò, Milano 2003, pp. 144-145. []
  35. J. Miller, Il mobile, Milano 2007, p. 185. []
  36. https://www.richmond.gov.uk/local_history_h_walpole.pdf consultato in data 20-01-2014 Cfr. J. Bryant, Apsley House, Londra 2005. []
  37. https://nttreasurehunt.wordpress.com/category/kedleston-hall/ consultato in data 20-01-2014. []
  38. J. Miller, Il mobile…, 2007, pp. 96-101. []
  39. T. Forrest, Antiche porcellane e argenterie, Milano 1998, pp. 60-61. []
  40. https://www.1stdibs.com/furniture/seating/armchairs/maitland-smith-carved-wood-grotto-chair-dolphin-arms/id-f_999526/ consultato in data 20-01-2014. []
  41. https://www.summerthorntondesign.com/inspiration/ consultato in data 20-01-2014. []
  42. https://www.christopherguy.com/details_search.phpidt_product=3513&finish_id=203&idt_tag=2&idt_tag_child=2 consultato in data 20-01-2014. []