Ciro D’Arpa

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La Madonna di Ravanusa nei Raguagli di padre Ottavio Gaetani: l’incisione di Giovanni Federico Greuter tra istanze civiche e ragioni artistiche

DOI: 10.7431/RIV08022013

Le stampe che illustrano i Raguagli delli ritratti della Santissima Vergine Nostra Signora (1664)1 – tratte da incisioni di Giovanni Federico Greuter ed altri – formano un corpus omogeneo d’immagini devozionali di interesse rilevante non solo per gli studi di iconografia sacra siciliana ma anche per quelli storico-artistici2. L’ispiratore di questa opera è stato il gesuita Ottavio Gaetani (Siracusa 1566- Palermo 1620), padre dell’agiografia siciliana e storico del cristianesimo dell’Isola3. Questi dedicò gran parte della vita alla stesura di un’opera monumentale, le Vitae Sanctorum Siculorum, primo martirologio regionale compilato su basi documentarie attendibili. Opera che però il Gesuita non ebbe la possibilità di vedere pubblicata perché edita postuma nel 16574. Tuttavia nel 1617 il Gaetani aveva dato alle stampe l’Idea operis5 con la quale, in anteprima, presentava alla Chiesa siciliana il compendio del suo costituendo martirologio siculo, già comprensivo di un primo elenco di 29 culti mariani. Nel rispetto della impostazione voluta dall’autore, le Vitae Sanctorum Siculorum comprendono un capitolo interamente dedicato all’approfondimento dei culti mariani in Sicilia. Lo stesso Gaetani, probabilmente, aveva avuto l’idea di estrapolare questo capitolo per farne una pubblicazione autonoma6, per la quale aveva dato incarico alla bottega romana dell’incisore Greuter di realizzare le matrici per le  stampe, matrici utilizzate solo molti anni dopo la sua morte per illustrare i Raguagli7. L’opera del Gaetani s’inserisce nella produzione agiografica postridentina contrassegnata dal rigore filologico-documentario voluto dal cardinale Cesare Baronio, autore degli Annales Ecclesiastici8. L’influenza baroniana sul lavoro del Gaetani è attestata da egli stesso dato che, nella prefazione alle Vitae Sanctorum Siculorum, dichiara di essersi avvalso dei preziosi consigli di quell’autorevole storico. Baronio fu il più celebre dei figli spirituali di Filippo Neri, fondatore della Congregazione dell’Oratorio di Santa Maria in Vallicella a Roma. Padre Gaetani, durante la sua lunga permanenza a Roma9, di certo ebbe modo di conoscere Filippo Neri e molti dei suoi primi sodali, quali appunto il Baronio e, probabilmente, anche il palermitano padre Pietro Pozzo. Su iniziativa di quest’ultimo si deve la nascita della comunità filippina di Palermo nel 159210 . Soggetti autorevoli di questa comunità religiosa, come diremo, a diverso titolo hanno dato un contributo al progetto editoriale dei Raguagli.

La Biblioteca centrale della Regione Siciliana di Palermo custodisce, rilegati in volumi, parte dei materiali agiografici raccolti dal Gaetani per il suo martirologio11. Uno di questi volumi forma il corpus dei documenti sui culti mariani in Sicilia12 tra i quali figura anche quello molto antico della Madonna di Ravanusa, in provincia di Agrigento13, legato alla figura del Gran Conte Ruggero14. L’incartamento concernente Ravanusa è formato da cinque documenti dei quali, quelli maggiormente utili al nostro studio sono: una breve nota descrittiva del santuario, non datata, inviata al Gaetani dal priore preposto al convento di Ravanusa e una missiva di Giacomo Perconte da Licata, con disegni allegati, datata 25 agosto 161915. L’incartamento è di particolare interesse non solo per lo studio storico-documentario del tema mariologico in esame ma anche per quello artistico e iconografico. I sette disegni ad inchiostro inseriti nella lettera del Perconte16, infatti, riproducono le molteplici immagini che documentavano un tempo il culto della Madonna di Ravanusa all’interno del non più esistente santuario17, immagini che, come diremo, servirono a definire l’iconografia ufficializzata dall’incisione di Giovanni Federico Greuter (Fig. 1). Ognuno dei disegni è supportato da un proprio breve testo di commento esplicativo, posto a margine, nel quale sono intercalate lettere alfabetiche maiuscole che rimandano puntualmente a quanto ivi rappresentato18 (Fig. 2). I primi cinque disegni riproducono le immagini a rilievo che ornavano il «tabernacolo della Madonna». In questi s’illustrava, per episodi, l’evento miracoloso accaduto a Ravanusa ai tempi del Conte Ruggero. Nel territorio dell’antica Gela19, in occasione di una delle battaglie combattute dal Conte Ruggero per la liberazione della Sicilia dagli infedeli, apparve a questo in sogno la Madonna, invocata per intercedere a favore del suo esercito, stremato dalla sete, nonché per la morte del fratello Roberto. Fu così che la Beata Vergine compiva un duplice miracolo facendo risuscitare il congiunto e indicando a Ruggero il luogo dove trovare l’acqua (Fig. 3). In prossimità dell’accampamento, nella località in seguito detta di Ravanusa, sotto un albero di fico fu trovata la sorgente alla quale poté dissetarsi l’esercito normanno (Fig. 4). I soldati così ritemprati ebbero le forze necessarie per dare l’assalto alla roccaforte nemica su Monte Saraceno che, con l’incitazione del Conte Ruggero e la protezione dello «stendardo della beata vergine», fu facilmente espugnata (Fig. 5). Subito dopo la vittoria conseguita sugli infedeli, puniti con la totale distruzione della loro città, Ruggero e il suo esercito fecero solenne atto di ringraziamento alla Madonna che apparve loro chiedendo l’edificazione in quel luogo di un santuario (Fig. 6). Il Conte prontamente fece allora erigere presso il distrutto abitato degli infedeli la chiesa richiesta dalla Madonna, da allora appellata “S. Maria di Ravanosa” (Fig. 7). Il sesto disegno (Fig. 8) riproduce invece il quadro che era posto al tempo del Perconti sopra la porta della sacrestia della chiesa, il quale, a detta dello stesso, era opera di un pittore licatese – non meglio specificato – suo contemporaneo. In questo dipinto vi era illustrato, in un’unica grande scena, quanto singolarmente narrato nei rilievi del “tabernacolo”. Nel perduto dipinto vi avremmo potuto apprezzare una delle più antiche iconografie del Conte Ruggero, quella che lo raffigura come un condottiero a cavallo che atterra l’infedele sotto le insegne del vessillo miracoloso affidatogli dalla Madonna20. Il settimo ed ultimo disegno (Fig. 9) riproduce la statua della Madonna che si venerava nel santuario, unica opera superstite tra quelle documentate dal Perconte (Fig. 10). Dalla sua testimonianza apprendiamo che la statua è stata realizzata in creta21 da un artista licatese circa “ottantacinque” anni prima (1534?). L’iconografia della statua è assimilabile alla Madonna delle Grazie perché riproduce  la Vergine nell’atto di porgere il seno al Bambino Gesù, a sua volta raffigurato con un uccellino (cardellino?) tra le mani, similmente a quanto rappresentato nel trittico quattrocentesco oggi custodito presso il Municipio di Licata (Fig. 11)22. Le informazioni fornite dal Perconte nel 1619 integrano quelle del priore del convento, la cui nota manoscritta, prima citata, dovrebbe essere di qualche anno precedente. Da questo apprendiamo che l’altare maggiore nel presbiterio era ornato da una grande ancona lignea intagliata e dorata di dodici palmi per otto (3×2 m circa) che incorniciava due dipinti di soggetto religioso non attinente al culto della Madonna di Ravanusa23. La memoria dell’antico culto mariano, a suo dire, era dunque testimoniata soltanto da immagini recenti quali le cinque storie che ornavano la custodia della statua in creta della Madonna24, posta in una sua cappella a parte e, soprattutto, dal dipinto appeso sopra la porta della sacrestia25. Il Gaetani dando credito alla testimonianza resa dal priore, laconicamente lamentava che: «di tal memorabile miracolo altra notizia n’habbiamo, salvo la prefata pittura, e la fama per tradizione portata á posteri»26. La lettera del Perconte (1619) segue di pochi anni la pubblicazione dell’Idea Operis (1617), una operazione editoriale direttamente promossa dal Gaetani  con l’intento di potersi avvalere dell’aiuto dei lettori – studiosi ed eruditi di tutta la Sicilia – dai quali sperava di ricevere quante più notizie utili alla compilazione della sua opera agiografica che, evidentemente, comportava per lui un grande impegno. La missiva del Perconte, a ben leggere, è la risposta all’appello da parte dei licatesi. Con questa, infatti, il Gesuita era messo a conoscenza anche su tutte quelle altre notizie che riguardavano il legame storico che univa la loro città con il luogo che accoglie la Madonna di Ravanusa27. Il territorio di Ravanusa, e quindi anche il santuario, da molti secoli ricadeva sotto la giurisdizione di Licata, città demaniale che vantava d’essere l’antica Gela di greca memoria. Non di meno il territorio di Ravanusa, in epoche più recenti, era divenuto un feudo, nel 1449 venuto in possesso del nobile Andrea de Crescenzo28. La nascita dell’abitato di Ravanusa si doveva proprio a questo soggetto che, nel 1472, aveva ottenuto da re Giovanni d’Aragona l’elevazione del feudo a baronia. Lo sviluppo del nuovo centro abitato, che ambiva ad una sua riconosciuta indipendenza, evidentemente ledeva gli interessi di Licata che in quel territorio aveva investito risorse proprie29. Il lento ma inesorabile processo di affrancazione di Ravanusa30 dalla giurisdizione della vicina Licata aveva indotto i maggiorenti di quest’ultima a rivendicare se non altro il prestigioso e antico culto mariano. Nella prima metà del Cinquecento i giurati di Licata, approfittando del fatto che nel santuario di Ravanusa non vi era alcuna antica sacra immagine legata alla Madonna, fecero realizzare a loro spese il simulacro in creta per quel santuario. Da quel momento il culto della Madonna di Ravanusa, con la relativa festività del 15 agosto, oltre al nome del luogo, veniva indissolubilmente legato alla nuova statua, amovibile e, dunque, rivendicabile31. Tali ragioni non solo sono palesi nella lettera del Perconte ma ne costituiscono anche la vera ragione; dimostrazione n’è che questo raccomanda al suo interlocutore di dare «credito più alle mie che ad altri»32. Il destinatario della lettera del Perconte non è padre Gaetani ma un personaggio eminente – del quale però non è menzionato il nome – che doveva fare da tramite con il Gesuita33. Il Perconte, a nome anche dell’intera cittadinanza licatese34, si appella a questo soggetto dichiarandosi suo “creato”, ovvero familiare. Questo indizio induce a credere che il misterioso interlocutore sia stato egli stesso un licatese, forse da individuare nel nobile Antonino Formica35, un sacerdote della comunità oratoriana di Palermo ben introdotto nella curia vescovile del cardinale Giannettino Doria36. Le istanze del Perconte e dell’intera cittadinanza licatese, grazie forse anche all’influenza del personaggio rimasto anonimo, non furono deluse, così che la Madonna di Ravanusa è stata rappresentata nella stampa relativa dei Raguagli con le fattezze della statua fittile fatta realizzare da loro37 e con l’aggiunta all’antico titolo di “S. Maria di Ravanosa” della specificazione topografica “presso all’Alicata”.

Ad oggi manca uno studio critico sulle stampe dei Raguagli. Da quel poco che c’è stato tramandato è noto che furono commissionate a Roma su indicazione dello stesso padre Gaetani, ma non sappiamo quando. Il testo è corredato da 36 immagini di Madonne delle quali, 23 sono a firma del Greuter, che sigla anche la bella immagine dell’antiporta38, 2 sono di Giuseppe Lentini, fratello laico della comunità oratoriana di Palermo39, che è anche l’autore dell’interessante immagine allegorica della Sicilia, mentre le restanti 11 non riportano alcuna indicazione utile per individuare il loro autore. La stampe del Greuter sono state tutte riferite a Giovanni Federico (Strasburgo 1590/93 – Roma 1662), un figlio d’arte formatosi presso la bottega del padre, Matteo Greuter (Strasburgo 1565/66- Roma 1638)40. Ma esaminando con attenzione ciascuna delle firme e delle cifre poste in calce a queste immagini si evince che una è inequivocabilmente del padre Matteo Greuter (Fig. 12)41. Questo indizio aiuta a chiarire, sebbene  solo in parte, le modalità e i tempi della loro committenza. L’attività artistica autonoma di Giovanni Federico Greuter è documentata con stampe successive al 1616, dunque la commessa del Gaetani dovette avvenire prima di questa data, indirizzandosi naturalmente sulla bottega di Matteo dove ancora operava il figlio come apprendista42. La commessa siciliana non necessitava di un particolare impegno creativo da parte dell’incisore dato che le matrici per le stampe dovevano riprodurre, quanto più fedelmente, le effigie delle sacre immagini mariane inviate dal Gaetani, o da chi per lui. Inoltre l’invio alla bottega dei Greuter delle specifiche iconografie di riferimento dovette avvenire volta per volta e, probabilmente, anche anni dopo la morte del Gaetani. Queste circostanze potrebbero essere dunque le ragioni per le quali Matteo, in seguito, ha ceduto l’incarico al figlio che nel frattempo si era affrancato dalla bottega paterna43. Tra tutte le stampe – di vari autori – che illustrano i Raguagli, quelle dei Greuter sono indubbiamente le più apprezzabili dal punto di vista sia artistico che esecutivo, sebbene condizionate dai rispettivi modelli originali, sia essi pittorici che scultorei. Tra queste immagini, poi, quella della Madonna di Ravanusa è indubbiamente la più interessante. Sappiamo solo ora che prima dell’incisione non esisteva di questa Madonna una più antica iconografia distintiva. L’immagine composta ex novo nella stampa del Greuter (cm 13×8,5) combina una pluralità di immagini diverse. In primo piano il Conte Ruggero è inginocchiato davanti alla Vergine apparsagli presso la sorgente e l’albero di fico ai cui lati, sullo sfondo, rispettivamente sono rappresentati la battaglia di Monte Saraceno, a sinistra, e il santuario di Ravanusa, a destra. L’incisione è chiaramente una rielaborazione delle informazioni grafiche prodotte dal Perconte. Questo nella sua lettera scrive che in occasione della visita fatta al santuario di Ravanusa, dopo avere celebrato Messa, aveva «incomenzato a designare (…) tutto quello che in quella chiesa vi è dipinto tanto nel quatro grande sopra la sacrestia quanto nel tabernacolo della Madonna»44. Da ciò potremmo dedurre che i sette piccoli disegni ad inchiostro allegati sono di sua mano. Invece l’esecuzione accurata di questi fa nascere un dubbio, infatti, i disegni più che gli appunti grafici eseguiti da un dilettante sembrano piuttosto opere di un professionista. In quegli anni risiedeva a Licata Giovanni Portaluni, un pittore di buona mano, noto alla storiografia artistica per alcune opere autografe45 e per avere fornito i disegni delle scene che ornano l’urna in argento del santo patrono di Licata, il frate carmelitano Angelo da Gerusalemme46 (Fig. 13). Lo stesso perduto «quatro grande» che raffigurava il miracolo di Ravanusa, documentato da uno dei disegni, probabilmente era opera di questo artista giacché Perconte, a tale riguardo, riporta che il pittore che lo ha dipinto «è qua alla licata»47. Non sarebbe dunque infondato credere che anche i disegni allegati alla lettera del Perconte possano essere degli inediti di Giovanni Portaluni48. Tale ipotesi, di conseguenza, supporta anche l’attribuzione al Portaluni del disegno dal quale è stata tratta l’incisione del Grauter. È molto probabile infatti che la sua ideazione compositiva sia avvenuta in Sicilia prima dell’invio a Roma. Alla luce di quanto sopra esposto, non possiamo escludere il coinvolgimento diretto dei maggiorenti di Licata con l’invio al Gesuita di un disegno eseguito dal pittore loro concittadino; disegno che potrebbe avere ricevuto l’approvazione del prima ricordato padre oratoriano Antonino Formica49. Questo ragionamento a catena trova un fondamento critico nel fatto che, sia il perduto dipinto del santuario di Ravanusa, qui attribuito al Portaluni, che l’immagine riprodotta nella stampa del Greuter ricordano, nell’affollata composizione di personaggi in primo e secondo piano, alcune opere attribuite al Portaluni50 (Fig. 14). Diversamente, nel caso in cui il disegno preparatorio fosse stato delineato a Roma nella bottega del Greuter – sebbene sulla scorta delle indicazioni della committenza – dovremmo allora considerarlo frutto di una collaborazione. Giovanni Federico Greuter, infatti, fu un eccelso maestro nella tecnica del bulino ma con il limite artistico però d’essere solo interprete di disegni altrui, a differenza del padre che fu anche inventore delle sue opere. Oltre che con il padre, sono note e documentate le numerose collaborazioni di Giovanni Federico con i maggiori pittori barocchi suoi contemporanei. Quella con il pittore Giovanni Francesco Romanelli ha dato luogo, tra le altre immagini, alla stampa Socrate e i suoi allievi (Fig. 15) nella quale si evidenziano interessanti analogie con quella della Madonna di Ravanusa. In entrambe, infatti, il tema figurativo dell’albero, dal quale sgorga una sorgente, costituisce l’elemento naturale sul quale si focalizza l’intera immagine composta da scene e personaggi posti sia in primo che secondo piano.

Lo studio della piccola stampa devozionale della Madonna di Ravanusa ha aperto un’orizzonte d’indagine molto vasto che, oltre all’iconografia, all’iconologia e all’arte, ha toccato aspetti della storia sacra di Sicilia e della storia civile locale. E’ noto come in passato i culti abbiano costituito per le collettività il principale simbolo di identità ed appartenenza e, come nel caso di Ravanusa, anche l’incipit per una fondazione urbana. Tanta più risonanza aveva un culto oltre i ristretti confini comunali, tanto maggiore era il prestigio della comunità che lo accoglieva e promuoveva. In tal senso i Raguagli del Gaetani costituirono per le diverse municipalità un mezzo efficace di propaganda che Licata seppe maggiormente sfruttare a suo favore anche grazie alla bella stampa del Greuter. Questa, infatti, sancisce il legame che tale comunità ha avuto e continuava a volere avere con il culto di Santa Maria di Ravanusa51 che, oltretutto, rimandava ad un passato epico, quello della conquista normanna del Conte Ruggero.

  1. O. GAETANI, Raguagli delli ritratti della Santissima Vergine Nostra Signora più celebri, che si riveriscono in varie chiese nell’isola di Sicilia, Palermo 1664, rist. an. Palermo 1991 []
  2. M.C. DI NATALE, Ave Maria. La Madonna in Sicilia: immagini e devozione, Palermo 2003; EADEM, “Cammini” mariani per i tesori di Sicilia, in «OADI  – Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia», I Parte, 1, giugno 2010, pp.15-57; II Parte,  2, dicembre 2010, pp.13-39. []
  3. R. CONTARINO, ad vocem Gaetani, Ottavio, in Dizionario biografico degli italiani, vol.51, Roma 1998, pp.195-197. []
  4. O. GAETANI, Vitae Sanctorum Siculorum ex antiquis Graecis Latinisque Monumentis, et ut plurimum ex MSS. Codicibus nondum editis collectae aut scriptae, digeste iuxta seriem annorum Christianae Epochae, et Animadversionibus illustratae a R. P. Octavio Caietano Siracusano S. I., Palermo 1657. []
  5. O. GAETANI, Idea operis de vitis siculorum sanctorum famaue sanctitatis illustrium Deo volente bonis iuvantibus in lucem prodituri, Palermo 1617 []
  6. Il capitolo, che amplia la trattazione dei culti mariani da 29 a 31, è stato pubblicato in forma autonoma contemporaneamente alle Vitae Sanctorum Siculorum. O. GAETANI, Icones aliquot et origines illustrium aedium Sanctissimae Deiparae Mariae quae in Sicilia  insula coluntur, Palermo 1657. []
  7. Tommaso Tamburino, curatore dell’opera, nella prefazione dichiara che padre Gaetani si era rivolto a lui per soprintendere alla esecuzione dei rami in quanto ai tempi dimorante a Roma per motivi di studio. O. GAETANI, Raguagli delli ritratti…, 1991, pp. 5-6. []
  8. Di Cesare Baronio oltre agli Annels Ecclesiastici, opera in dodici volumi pubblicati a Roma dal 1588 al 1607, ricordiamo anche la revisione del Martyrologium romanum pubblicato a Roma nel 1583. []
  9. Ottavio Gaetani dopo avere pronunciato i primi voti a Palermo, nel 1592, chiamato dal padre Generale Claudio Acquaviva, si era trasferito a Roma per completare gli studi. Divenuto sacerdote nel 1595 fu attivo prima presso il Collegio Romano e poi presso la casa di Sant’Andrea al Quirinale. Nel 1597 padre Gaetani rientrava definitivamente in Sicilia. []
  10. Padre Pozzo era entrato a fare parte dei sodali di Filippo Neri nel 1580. Dopo avere prestato il suo servizio sacerdotale da oratoriano sia presso la casa romana che in quella napoletana, nel 1599, concluso un impegnativo triennio di attività alla Vallicella come deputato coadiutore del padre preposto, era tornato definitivamente a Palermo. Con il suo decisivo sostegno la giovane comunità oratoriana dell’Olivella, in pochi anni, divenne una delle più importanti forze riformatrici di Palermo attirando a se soggetti provenienti da altri comuni siciliani; cfr. C. D’ARPA, Architettura e arte religiosa a Palermo: il complesso degli Oratoriali all’Olivella, Palermo 2012, ad indicem. []
  11. M. Stelladoro, Le “Vitae Sanctorum Siculorum” di Ottavio Gaetani: i manoscritti conservati a Palermo e a Roma, Roma 2006, Supplemento a Studi sull’Oriente Cristiano 10/1. []
  12. Biblioteca Centrale della Regione Siciliana “A. Bombace” (da questo momento BCRS), Ottavio Cajtani S.I., Sulle Madonne di Sicilia, ms. del XVII sec., ai segni X.F.5, ff. 181v-191r. []
  13. A. NOTO, Ravanusa. Novecento anni di storia religiosa 1086-1985, Agrigento 1985, pp.13-17. []
  14. Per tale ragione il Gaetani lo ha incluso tra quelli citati nell’Idea Operis: «D.Virgo, cui nomen Ravenasae, quae Comitis Rogerij militibus, dum siti, & Sarracenorum copijs urgentur, acquam divinitus, & vittoriam de hoste concessit». Cfr. O. GAETANI, Idea operis…, 1617, p.98. []
  15. L’incartamento contiene inoltre i seguenti documenti: la trascrizione della autorizzazione del vescovo di Agrigento, concessa in data 10 febbraio 1446, al nobile Andrea de Crescenzo, barone di Caniccattì, per potere quest’ultimo istituire e dotare un convento di presbiteri secolari a servizio del santuario di Ravanusa; una