Paola Venturelli

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Alfredo Ravasco: tra la Sicilia (Maria Accascina, Salvatore Corvaya) e Milano (la mostra a Villa Necchi Campiglio – FAI). Inediti e ritrovamenti

DOI: 10.7431/RIV12102015

La viva attenzione accordata dalla grande studiosa siciliana Maria Accascina (1898-1979)1 all’oreficeria milanese2, si tradusse anche in un appassionato commento scritto per “Il Giornale di Sicilia” riguardante le opere realizzate per la Biennale di Venezia del 1936 dall’orafo Alfredo Ravasco (1873-1958)3. Personalità di spicco, presente sia come autore sia come organizzatore alle importanti manifestazioni internazionali d’arti decorative che segnano la prima parte del XX secolo tra Monza, Milano e Venezia, Ravasco produsse strepitosi oggetti (scatole, coppe, soprammobili, centro tavola, ecc.), ricercati dai principali committenti del tempo, abbinando in modo fantasioso e personalissimo pietre dure, coralli, smalti e gemme preziose, all’insegna di una vocazione coloristica esuberante, governata da forme strutturate quali micro architetture. Fu autore di eleganti e scenografiche composizioni, alcune delle quali fruibili in questi giorni a Milano grazie alla mostra che gli è stata dedicata (14 ottobre 2015-6 gennaio 2016), voluta dal FAI e allestita negli ambienti di Villa Necchi Campiglio4.

Cogliendone con la consueta acutezza caratteristiche formali e poetiche5, Accascina ne parla infatti nel suo articolo del 23 agosto (Alla XX Biennale di Venezia. Le arti decorative)6, aperto proprio da osservazioni sugli esemplari ravaschiani e sul loro suggestivo allestimento7.

«Nell’immediato e violento contrasto, la stanza delle oreficerie di Ravasco, tutta buia a e notturna, con poche bacheche luminose, in cui stanno oggetti preziosi di stranissime forme, richiama l’acquaria di Napoli, e i colori di queste pietre dure, di questi coralli e gemme, che mano dell’orafo ha foggiato secondo fantasia, ridanno il senso di delizioso sgomento che destano in quel luogo le forme medusee che azzurre scivolano nell’azzurro.

Ravasco, orafo ormai celebre, certo rinnova, tutte le fantasie e le esperienze del pieno rinascimento italiano, tanta è la sua esperienza  nell’intagliare e accordare le pietre dure, nell’unire le perle ai coralli, nel sovrapporre la malachite, le agate, i lapislazzuli, i cristalli di rocca, a zone coloristiche graduate o alternate, o sfumate o contrastanti; tanto è il suo accorgimento nel semplicizzare per raffinatamente ornare, nel complicare per elegantemente risolvere […]; tanta è infine la sua fantasia nel creare motivi decorativi e fogge e tipi nuovi, architetto nel comporre con misura, pittore nella scelta dei colori, scultore nel garbo del modellato.

Egli presenta opere di una rarità di materie e di una preziosità di gemme quali pochi orefici possono concedersi di impiegare sicché veramente la sua è arte aulica, medicea […].»

Dei pezzi esposti, oltre a un curioso centro tavola in cristallo di rocca e a un raffinatissimo cofanetto in malachite8, Maria Accascina cita una «scatola scavata nell’agata grigia, con un pesce in corallo inciso e uno zampillo di perle orientali: un accordo delizioso di grigi lunari, di rosei rosseggianti, di bianchi perlacei e nel rendimento delle squame». Un esemplare noto oggi purtroppo solo da foto di repertorio9, a cui la studiosa pare alludere anche in un successivo articolo riguardante l’arte del corallo trapanese10, dove Ravasco sperimenta ancora una volta il prediletto tema degli animali acquatici11, in questo caso ricavati dal corallo (sicuramente da maestranze di Torre del Greco)12, nella versione naturalistica tipica delle sue ultime prove.

Una variante di questa scatola è emersa recentemente in Collezione privata (Fig. 1).

Ottenuta da un unico pezzo d’agata (9,8x 17x 11), presenta sul coperchio lavorato per simulare un mare ondoso, due plastici pesci in corallo, con occhi ottenuti da rubini cabochon e file di perline fuoriuscenti dalle bocche; sulle cerniere in oro bianco, fissate con ametiste anch’esse cabochon, è incisa la data, «6 febbraio 1939». Sfruttando abilmente le possibilità cromatiche offerte dai materiali impiegati, Ravasco gioca in modo molto raffinato tra i differenti toni del corallo e le sfumature grigio- ambrate dell’agata, impreziosendo il tutto con inserti di rubini e perle. Ne risulta un oggetto straordinario, di notevole effetto visivo, decisamente all’avanguardia.

Siciliano è anche Salvatore Corvaya (1872-1962)13, il ritrattista, paesaggista e miniaturista originario di Licata (Ag)14, stabilitosi definitivamente a Milano dopo il servizio di leva, nel 1894,

che firma e data (1938) la miniatura circolare (10 cm) raffigurante il busto di un ragazzo prematuramente scomparso, Gennarino Baroni (1919-1938)15, le fattezze del quale ci sono restituite con resa lenticolare e penetrante realismo. Posta a completare un porta ritratto da viaggio (12,5×14,2×15) (Fig. 2), è inserita in un medaglione con profilatura d’argento dorata, vivacizzato nell’emiciclo superiore da perline susseguenti in lapislazzuli; la miniatura risulta alloggiata in una struttura verticale d’agata sagomata ornata da tre mazzetti fioriti di zaffiri, poggiante su una base parimente d’agata. Sistemato in una custodia in pelle a trittico, decorata sulla parte interna dei due sportelli da due minuscoli cuori tempestati di zaffiri, il porta ritratto costituisce una declinazione profana delle «Madonnine» ravaschiane: piccoli altarini con immagini a soggetto mariano (statuette o lastrine di cristallo di rocca inciso), contenute in astucci di pelle apribili, da tenere nelle camere da letto, su comò e comodini16.

Due anni prima, alla sua personale milanese tenutasi nel dicembre 1936 presso la Bottega d’Arte alla Galleria Salvetti, con ottanta quadri, cinquanta miniature e un catalogo con saggio introduttivo di Giorgio Nicodemi (1891-1967)17, Corvaya aveva presentato una miniatura su avorio con il  ritratto del padre di Alfredo, l’orafo Giacomo (1846-1928), originario di Genova, trasferitosi a Milano tra la fine del 1874 e gli inizi del 187518.

Certamente esito dell’ intensa attività di ritrattista del pittore siciliano e del successo presso la clientela del capoluogo lombardo, il dipinto venne rintracciato tra gli oggetti inventariati nella villa di Ghiffa (Verbania), sul lago Maggiore, dove Alfredo Ravasco si ritirò intorno al 1943, lasciata per volontà testamentaria all’orfanatrofio femminile delle «Stelline» -uno dei più antichi e importanti luoghi caritatevoli della capitale lombarda-, unitamente a tutto il suo ingentissimo patrimonio19. Durante le operazioni di stima seguite alla morte dell’orafo, avvenuta il 3 novembre 1958, il ritratto fu descritto nella stanza da letto di Alfredo insieme ad un’altra miniatura rappresentante la madre, Caterina Salomone (1848-1913), anch’essa eseguita da Salvatore Corvaya, autore pure di quelle con un «Tacchino» e con «2 cammei romani»20, collocate invece nella «Sala Ottagonale» della villa.

Se dei dipinti realizzati dall’artista siciliano e custoditi nella villa di Ghiffa si sono perse le tracce,

dopo l’inaugurazione della mostra milanese (14 ottobre 2015) sono state invece state ritrovate nei depositi del Museo della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci di Milano due opere di Alfredo Ravasco, note fino ad ora solo da immagini di repertorio21.

Si tratta di un vasetto (8,8x 4,8 diam.) (Fig. 3) in cristallo di rocca, con coperchio d’oro smaltato e cesellato lavorato a giorno, completato da gocce di smeraldo pendenti e da piccole sferette perimetrali di onice, nonché di un cofanetto ad urna (6,7×5,8x,4) (Fig. 4), in oro e smalto, con lavorazione anche a giorno, ornato da quattro colonnette di topazio e da una grossa gemma (topazio ?) sul coperchio bombato.

Giunte in museo grazie alla donazione dei coniugi Mauro22, appartengono alla tipologia  dei piccoli contenitori porta profumo, una categoria sperimentata da Ravasco principalmente tra il 1923 e il 192723, che ebbe grande successo all’ Exposition internationale des Arts Décoratifs di Parigi del 1925, ricevendo tra gli altri gli elogi di Margherita Sarfatti e Roberto Papini24. Vennero entrambi regalati da Francesco Mauro alla moglie Edi in occasione dell’anniversario del loro matrimonio, come ricorda l’iscrizione incisa all’interno del coperchio del vasetto (A EDI FRANCESCO XVI- III- MCMXXIV).

Per ricchezza di dettagli decorativi e qualità del repertorio ornamentale ancora in parte legato a moduli neo- manieristici, i due esemplari si situano stilisticamente al di qua della grande svolta che segna la produzione di Ravasco nel passaggio tra la seconda (1925) e la terza (1927) Biennale monzese di arti decorative25, Si distanziano infatti notevolmente dal sigillo (Collezione privata) presentato alla terza Biennale di Monza (1927), un sobrio parallelepipedo in agata grigia con due cavallucci marini in corallo arrampicati ai fianchi, che si fronteggiano osservando una perla (7x 6x 2,3), altra opera nota fino ad oggi solo da fotografie storiche26 (Fig. 5).

La novità consiste nella riduzione dei particolari ornamentali e nella stilizzazione degli elementi formali. I tagli geometrici delle formulazioni déco sono confluite nelle solidità plastiche dello stile Novecento, aprendo agli esiti stilistici caratterizzanti le opere esposte alla «V Triennale» di Milano del 1933, la mostra internazionale delle arti decorative e dell’architettura organizzata da un  «Direttorio» composto da Mario Sironi, Carlo Alberto Felice e Gio Ponti.

Nella «Saletta degli Orafi» progettata dall’architetto razionalista Agnoldomenico Pica, con pareti rivestite interamente da lastre di alabastro- onice, Alfredo Ravasco, all’apice della sua fama, presenterà ben diciannove opere, distinte da una forma depurata e insieme «opulenta, massosa, con disegni semplici ed espressivi», che riscuoteranno un grande successo27.

Referenze fotografiche

Figg. 3,4: Archivio Fotografico del Museo della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci di Milano – Alessandro Nassiri.

Oltre ai proprietari delle opere qui presentate, desidero vivamente ringraziare Claudio Giorgione, Conservatore del Museo della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci di Milano.

  1. Per Maria Accascina, cfr: Le arti in Sicilia nel Settecento. Studi in memoria di Maria Accascina, Palermo 1985; M. C. Di Natale, Dalle pagine del Giornale di Sicilia: l’osservatorio culturale di Maria Accascina, in Maria Accascina e Il Giornale di Sicilia 1934-1937, Caltanisetta 2006, pp. 9-30; Storia, critica e tutela dell’arte del Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale, Atti del Convegno Internazionale di Studi in onore di Maria Accascina, a cura di M. C. Di Natale, Palermo- Erice 14-17 giugno 2006, Caltanisetta 2007 (in particolare: M. C. Di Natale, Maria Accascina storica dell’arte : i  metodi, i risultati, pp. 27-50). []
  2. Nel suo volume Oreficeria di Sicilia dal XII al XX secolo (Palermo 1974) Maria Accascina inserisce il Reliquiario della Santa Croce della Chiesa madre di San Mauro Castelverde, dovuto a bottega milanese, forse operante a Roma (cfr. P. Venturelli, Il Reliquiario della Santa Croce di San Mauro Castelverde. Smalti e arte orafa milanese in Sicilia, in Storia, critica e tutela… 2007, pp. 174-185); per Maria Accascina e l’oreficeria milanese, cfr. P. Venturelli, Esmaillée à la façon de Milan. Smalti nel Ducato di Milano da Bernabò Visconti a Ludovico il Moro, Venezia 2008, pp. 19-25. []
  3. Per la presenza di Ravasco a questa importante manifestazione, cfr. P. Venturelli, “… semplicizzare per raffinatamente ornare…, complicare per elegantemente risolvere”, in Alfredo Ravasco. L’orafo dei Principi. Il Principe degli orafi, a cura di P. Venturelli, catalogo della mostra, Milano 2015-2016, Milano 2015 (il catalogo è stato reso possibile grazie alla generosa sponsorizzazione della Gioielleria Pennisi di Milano), pp. 22-25. []
  4. Alfredo Ravasco. L’orafo dei Principi… 2015. Per Alfredo Ravasco, non posso che rimandare a: P. Venturelli, Alfredo Ravasco. Gioielliere nella Milano degli anni Venti, in L’arte del gioiello e il gioiello d’artista dal ‘900 ad oggi. The art of Jewelry and the Artist’ Jewels in the 20th Century, a cura di M. Mosco, catalogo della mostra, Firenze 2001, Firenze 2001, pp. 181-186;  Eadem, Alfredo Ravasco, Milano 2003; Eadem, Orafi e oreficerie in Italia durante il Ventennio. Alfredo Ravasco, in Il déco in Italia, a cura di F. Benzi, catalogo della mostra, Roma 2004, Milano 2004, pp. 238-249, 361; Eadem, Alfredo Ravasco, in Dizionario del gioiello italiano, a cura di L. Lenti-  M. C. Bergesio, Torino 2005, pp. 237-238. []
  5. Esiste un’evidente sintonia tra la produzione ravaschiana e le arti decorative siciliane, distinte- come nota Maria Concetta Di Natale- da vivacissime policromie (M. C. Di Natale, Dalle pagine del Giornale di Sicilia… 2006, p. 23), oltre che dall’uso delle pietre dure, degli smalti e del corallo. A riprova dell’apprezzamento da parte di Maria Accascina, sta l’inserimento di Alfredo Ravasco tra gli «Artisti orafi» (Brozzi, Ghiretti, Martelli) menzionati nel capitoletto di chiusura («Decadenza e Novecentismo») del suo Oreficeria italiana, edito nel 1934; delle sei fotografie a corredo, inoltre, quattro riportano pezzi del maestro milanese (cfr. M. Accascina, Oreficeria italiana, Firenze 1934, pp. 61-63). []
  6. Ripubblicato integralmente in Maria Accascina e Il Giornale di Sicilia… 2006, pp. 303-305 (a pp. 303-304 la parte dedicata alle opere di Ravasco); gli articoli dedicati alla Biennale veneziana del 1936 sono diversi (31 maggio: La XX Biennale di Venezia. La pittura; 4 giugno: Alla XX Biennale di Venezia. Sculture ed opere d’arte italiane;11 giugno: Alla XX Biennale di Venezia. In carlinga sui padiglioni stranieri; 30 luglio: Alla XX Biennale di Venezia. Il Futurismo e la pittura di guerra, in Ibidem, rispettivamente alle pp. 265-268; 268-272; 272-278; 297-300). []
  7. Per l’allestimento delle opere esposte a questa Biennale, cfr. P. Venturelli, “… semplicizzare per raffinatamente ornare… 2015, pp. 23-24, 142-143. []
  8. Si trattava di un «centro da tavola» in cristallo di rocca, su base di lapislazzuli, affiancato da due tacchini smaltati, con «fiori di corallo sull’orlo in un insieme gustosamente barocco», e del cofanetto in  malachite, in cui «domina un rigore geometrico razionale, una semplicità estrema perché l’orefice conta sulla naturale decorazione della pietra stessa, […] e introduce appena un ornato nei piedini del cofanetto un gruppetto di smeraldi e rubini, e sul coperchio pone, a coronamento di fantasia, un gruppetto di pesci inciso in un grosso smeraldo» (in Maria Accascina e Il Giornale di Sicilia… 2006, p. 304); per queste due opere, cfr. P. Venturelli, schede nn. 14, 46, 84, in Alfredo Ravasco. L’orafo dei Principi… 2015, pp. 45, 76, 121. []
  9. L’immagine della scatola presentata alla Biennale veneziana è visibile in “Le Tre Venezie”, XIV-XV, 1936, p. 228; la fotografia conservata presso l’Archivio Storico Arti Contemporanee di Venezia, mostra invece l’esemplare privo della cascata di fili di perle (vedi P. Venturelli, in Alfredo Ravasco. L’orafo dei Principi… 2015, scheda n. 140, p. 143). []
  10. Nell’articolo del 14 novembre 1936 (Antico artigianato siciliano. Coralli e corallinai trapanesi) scrive infatti: «Se caso o ricerca porta nello studio di Alfredo Ravasco dinanzi ad alcune di quelle sue fiabesche preziosissime opere composte alternando poesia a pittura e scultura, in cui il corallo sia stato scelto come elemento ornamentale, si rinnova sempre il rimpianto vedendo tanta possibilità di adattamento, tante fantastiche trovate, che a Trapani, proprio nella terra madre dell’industria e dell’arte corallifera il corallo non si cerchi più, non si lavori più. […]. C’è sì da osservare, che il corallo non è più del tutto di moda che basta la scuola di Torre del Greco alla richiesta ma in moda sono sempre i gioielli e le decorazioni ed Alfredo Ravasco dimostra sufficientemente di quanta grazia possa essere compimento in  qualsiasi opera di oreficeria un pezzo di corallo. Che gusto in certi pesciolini scolpiti di corallo che vengono fuori zampillando perline ad adornare coppe di agate o di malachite, che delicata grazia in certe roselline appuntate sull’orlo di cristalli di rocca!» (in Maria Accascina e Il Giornale di Sicilia… 2006, pp. 318-321, a p. 320 la citazione). []
  11. Per il tema zoomorfo, cfr. P. Venturelli, in Alfredo Ravasco. L’orafo dei Principi… 2015, pp. 89-101. []
  12. Nel 1925 il Ministero della Pubblica Istruzione conferisce a Ravasco l’incarico di Ispettore della Scuola del Corallo di Torre del Greco; la collaborazione con le maestranze torresi durerà sino alla fine della carriera dell’orafo (cfr. P. Venturelli, in Alfredo Ravasco. L’orafo dei Principi… 2015, pp.19, 123). []
  13. Manca  un approfondito lavoro monografico su questo autore. Sostanzialmente autodidatta, Salvatore Corvaya apprende i «primi elementi del disegno» dai «modesti maestri che trovò al suo paese» (G. Nicodemi, Salvatore Corvaya, Milano 1936, p. 7); la sua abilità esecutiva, soprattutto nelle miniature (a tempera e a olio), con piccole scene di genere e ritratti, lo rendono presto un autore ricercato da personaggi illustri, specialmente tra Milano e Torino, incluso la Regina Margherita; nel 1906 fonda con Carlo Bazzi la «Ditta Corvaja & Bazzi» specializzata nella realizzazione di vetrate e nella tecnica dell’ eamil- tubé; sue opere rimangono a Milano presso la Pinacoteca Ambrosiana e il Palazzo della Banca d’Italia, nonché al Museo della Scala, alla Quadreria dei Benefattori dell’ Ospedale Maggiore Ca’ Granda, alle Civiche Raccolte Storiche del Museo di Milano- Palazzo Morando Attendolo Bolognini; altre sono conservate nella villa della regina Margherita a Bordighera. []
  14. Dell’arte della miniatura in Sicilia parla Maria Accascina nell’ articolo del 4 dicembre 1936 (Ottocento siciliano. I miniaturisti) scritto per “Il Giornale di Sicilia (cfr. Maria Accascina e Il Giornale di Sicilia… 2006, pp. 321-323). []
  15. Ringrazio vivamente il proprietario dell’opera per l’informazione. Segnalo che il medesimo ragazzo con identici abiti e stessa posa (ma a figura intera e in un giardino), è nuovamente ritratto da Salvatore Corvaya in un dipinto (50×40) firmato e datato «1939», passato di recente all’asta (n. 46, 25 marzo 2015- Viscontea Casa d’Aste): evidentemente le due opere sono tratte dalla stessa fotografia. []
  16. P. Venturelli, Alfredo Ravasco… 2003, pp.125-125; Eadem, in Alfredo Ravasco. L’orafo dei Principi… 2015, p. 109 e schede nn. 72-78, pp. 110-115. []
  17. Cfr. P. Venturelli, in Alfredo Ravasco. L’orafo dei Principi… 2015, pp. 129-130. []
  18. G. Nicodemi, Salvatore Corvaya… 1936, n. 24. []
  19. P. Venturelli, Alfredo Ravasco… 2003, pp. 101-110. []
  20. Archivio Storico del Pio Albergo Trivulzio di Milano, OF, Origine. Eredità e Legati. Testatore Alfredo Ravasco, «Verbale d’Inventario», 1958, dicembre 4, ff. 8, 18 (le «2 miniature di Corvaia- genitori» sono stimate «L. 1.000»). []
  21. Spetta al Conservatore del Museo, Claudio Giorgione, accorgersi che una delle fotografie esposte in mostra a Villa Necchi Campiglio, nella sezione delle opere presentate all’ Esposition Internationale des Arts Décoratifs parigina del 1925 (P. Venturelli, in Alfredo Ravasco. L’orafo dei Principi… 2015, n. 114, p. 135) corrispondeva a un pezzo ‘in cerca d’autore’ conservato nei depositi del Museo, il piccolo contenitore in cristallo di rocca (inv. 1185); a seguito di un successivo sopralluogo emerse il cofanetto (inv. 1191) che ho riconosciuto tra quelli esposti a Parigi nel 1925 (l’illustrazione storica è in P. Venturelli, in Alfredo Ravasco. L’orafo dei Principi…2015, p. 19, Fig. 2). []
  22. Da questa donazione pervengono al Museo anche altre opere eseguite da Alfredo Ravasco, cfr. P. Venturelli, in Alfredo Ravasco… 2003, Figg. 36, 58, 60, 87, pp. 47, 64, 65, 94; Eadem, in Alfredo Ravasco. L’orafo dei Principi… 2015, nn. 19, 13, 47, pp. 50, 54, 81; materiali della sua bottega (modelli in cera e argento, lastrine in gesso ricavate da quelle in cristallo di rocca messe a ornare le «Madonnine- Altarolo»), giungono invece nel 1961; cfr. P. Venturelli, Alfredo Ravasco… 2003, pp. 101-110; Eadem, in Alfredo Ravasco. L’orafo dei Principi…2015, pp. 122-124). []
  23. Cfr. P. Venturelli, in Alfredo Ravasco. L’orafo dei Principi… 2015, p. 79 e scheda n.47, p. 81. []
  24. M. Sarfatti, Le arti decorative italiane a Parigi, in L’Italia all’Esposizione internazionale d’arti decorative e industriali moderne, Parigi 1925, tavv. LXXI (vasetto per profumo), LXXII (cofanetto); R. Papini, Le arti a Parigi nel 1925. Terzo. I metalli, in “Architettura e Arti Decorative”, I, 1926- 1927, p. 42; i due esemplari sono pubblicati anche in C. A. Felice, IV- L’oreficeria, in Enciclopedia delle Moderne Arti Decorative Italiane, Milano 1927, p. 97 (vasetto porta profumo), tav. 12 (cofanetto). []
  25. Rimando a P. Venturelli, Alfredo Ravasco… 2003, pp. 31-57. []
  26. P. Venturelli, in Alfredo Ravasco. L’orafo dei Principi… 2015, p. 19; foto storica a p. 136, n. 116. []
  27. Vedi P. Venturelli, Alfredo Ravasco… 2003, pp. 9-19; Eadem, “… semplicizzare per raffinatamente ornare… 2015, pp. 22-24 (citazione L’Oreficeria alla Triennale, in “Domus”, 69, settembre 1933, p. 310). []