Paola Venturelli

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Cristina di Lorena e la targa  in smalto en ronde bosse con il Battista del Bargello. Notizie d’archivio

DOI: 10.7431/RIV01032010

La piccola targa (13,3 x 8 cm)1 con la raffigurazione del Battista e di due angeli in smalto en ronde bosse2 del Museo Nazionale del Bargello a Firenze (Fig. 1), è stata più volte oggetto di citazioni da parte della critica3.

Reputata opera parigina degli inizi del XV secolo, con completamenti ottocenteschi, è stata collegata da Theodor Müller ed Erich Steingräber nel dettaglio del volto del Precursore ai Profeti posti nella parte superiore del Calvario di Mattia Corvino (Tesoro della Cattedrale di Esztergom), offerto da Margherita di Fiandra a Filippo l’Ardito nel gennaio del 14034, un capolavoro orafo complesso, ancora in cerca d’autore5.

Yvonne Hackenbroch ha invece sottolineato il fatto che «il gruppo originario è stato rimontato nell’Ottocento, quando vennero rifatte l’aureola del santo e la base ornata di pietre preziose, così come i baldacchini traforati e la cornice centinata, decorata con perle, rubini e applicazioni a fogliame in argento dorato»6, ritenendola «quasi con certezza» parte di un più complesso reliquiario appartenuto a Jean de Berry, da lui donato alla regina di Francia nel 1402. Vale a dire il «petit tabernacle d’or, de maçonnerie, où il a ou milieu un ymage de saint Jehan, esmaillé de blanc, tenent un aignel; et par davant a deux prians à genolz, faiz pour Monseigneur et pour Madame; et au dessus a deux petits angeloz tenens un petit joiaul, où il a des reliques de saint Jehan Baptiste ; et entour a autres petits angelox esmaillez ; et est le dit tabernacle garnit de perreire, c’est assavoir : de huit balaisseaux, quatre saphirs, et dix-sept perles de compte; et pend à une chaienne d’or où il a au bout un petit fremaillet d’une rose garni d’un rubi et d’une perle»7.

Un’altra congettura archivistica è stata successivamente formulata da Antonella Capitanio. Secondo questa studiosa la targa del Bargello, da datarsi  «ante 1402», potrebbe essere parte dell’«anconetta d’oro» con «II tavolette a serrame nell’una una Nuntiata smaltata, nell’altro uno crucifixo chon dua marie dallato, di fuora uno san Giovanni Battista e dall’altro lato una sancta Caterina smaltata», elencata nel 1492 tra gli oggetti di Lorenzo il Magnifico, della quale sarebbe rimasta solo l’immagine del santo patrono di Firenze, reimpaginata successivamente entro una cornice8.

Se nessuna delle due ipotesi ha trovato sino ad ora conferma documentaria, certa è invece la presenza del nostro smalto tra le collezioni medicee nel 1784, come rilevano Paola Barocchi e Giovanna Gaeta Bertelà. La piccola anconetta risulta infatti tra le “antichità cristiane” della  Reale Galleria di Firenze inventariate in quell’anno, descritta come «lavoro di smalto che rappresenta Giovanni Battista fra due Angioli, sotto una specie di tribuna di gusto gotico, tutto in oro. Di oro similmente è la cornice variata con 17 granati; e il fondo, ossia rovescio del quadretto è piastra di metallo dorato»9.

Ad esclusione dell’incorniciatura d’oro, l’oggetto registrato nel 1784 collima con quanto vediamo oggi: una targa con la rappresentazione del Battista e due angeli sovrastati da architetture, chiusa al tergo da una liscia lamina di metallo dorato10.

Non voglio in questa sede entrare nel dibattito attributivo relativo a questo piccolo smalto en ronde bosse, quanto piuttosto soffermarmi sulla sua storia archivistica, precisabile in alcune tappe grazie ad inedita documentazione.

E’ sfuggito sin qui che la targa del Bargello si trova nelle raccolte medicee quantomeno dal 1589, dato che figura tra gli oggetti dotali di Cristina di Lorena (1565-1637), giunta  il 30 aprile a Firenze quale sposa del Granduca Ferdinando I Medici portando un ricco corredo di manufatti pregiati, in parte pervenutile dalla nonna, Caterina Medici, consorte di Enrico di Valois, secondogenito del re Francesco I. Un insieme di grande fasto e ricchezza, includente tra l’altro la cassettina con cristalli intagliati da Valerio Belli e straordinario vasellame in pietre dure realizzato dalle celebri botteghe milanesi11.

La nostra anconetta è infatti da riconoscere nella «pace d’oro entrovi un san Giovanni con l’Agnello in braccio et dua Angioli, con ornamento, et manico senza smalto, et una catenuzza d’oro per attaccare», registrata nell’ “Inventario delle gioie portate di Francia la Serenissima madama Cristina di Lorena, Gran Duchessa di Toscana l’anno 1589”, stimate da Bernardo Vecchietti, Jacques Bylivelt con l’aiuto di Benedetto e Vincenzo Buonmattei12. Una Pace dunque (è munita di un «manico»), anche peraltro utilizzabile come targa (è dotata di una «catenuzza»), contraddistinta da un’ iconografia che alludeva alla città dove la giovane sposa sarebbe andata a vivere, posta infatti sotto la protezione di San Giovanni Battista.

Come gli altri manufatti preziosi portati dalla Francia da Cristina di Lorena la targa con il Battista venne messa nella cosiddetta ‘Stanza di Madama”, il camerino «in testa alla Galleria» approntato per la nuova Granduchessa, destinato ad accogliere una collezione autonoma per provenienza e proprietà rispetto a quella medicea, collocata invece nella Tribuna, il famoso ambiente ottagono degli Uffizi progettato da Bernardo Buontalenti, considerato il fulcro della Galleria13.

Sistemata con altre 146 opere in un armadio, viene quindi inventariata nel 1609 come «Una pace con Santo Giovanni di rilievo smaltato bianco, con panno azzurro e 2 teste d’angiolo, tutta d’oro», descritta subito dopo una «cifera a tronchone, con suo 2 padelline che fanno candelliere, tutta d’oro smaltata di nero» e prima  di una «sphera di cristallo orientale aovata rotta nel mezzo con sua cassa d’argento dorato a figure di rilievo, cartelle a piede riportatovi uno cerchietto, festoni, frutte, maschere d’oro smaltato con perle»14. Neppure in questa voce si accenna al particolare delle architetture incombenti pesantemente sul gruppo figurato, né tantomeno al sostegno con gemme su cui poggia il Precursore, o al vistoso motivo in oro delineato nella parte interna del manto tenuto in mano dai due angeli, un dettaglio quest’ultimo che continua a parermi di sapore ottocentesco15.

Un ulteriore passaggio si ha dopo il 1637 quando, morta Cristina di Lorena, il contenuto della “Stanza di madama” viene trasferito nei due armadi a muro posti in Tribuna16, insieme allo strepitoso vasellame in cristallo e pietre dure collezionato dai Medici. L’inventariazione del 1638 censirà la nostra targa nell’ «armadio primo a man sinistra», descrivendola però come «Una pace con Nostro Signore con un pecorino di rilievo, smaltata di bianco, con un panno azzurro e due teste d’angiolo tutte d’oro»17: l’estensore della voce ha evidentemente compiuto un errore di interpretazione iconografica e sostituito il Battista con «Nostro Signore».

Tale  fraintendimento è peraltro destinato a durare sin oltre la metà del Settecento.

Nella “Nota di robe negli armadi della tribuna che si potrebbero portare in guardaroba” stilata nel 1642, l’anconetta torna infatti come «Una pace piccola d’oro massiccio con Nostro Signore con un pecorino in braccio di rilievo, smaltata di bianco, con un panno azzurro e due teste d’angioli»18,  presentandosi sotto vesti  iconografiche riproposte pure nei due inventari successivi della Tribuna -dove il nostro esemplare continua a stare -, cioè quelli del 1704 e del 1753.

Nell’accurata descrizione inventariale del 1753, sostanzialmente simile a quella del 1704,

figura come «pace meza aovata d’oro entrovi una figurina di tutto rilievo che rappresenta Gesù Salvatore, con l’Agnello nelle braccia, con sopra vesta smaltata di bianco, e verde, con due angioli che reggono un panno smaltato di turchese con tabernacolo sopra d’oro simile alla greca, ed adornamento attorno ornato di rosette di piastra d’oro con suo manichetto dreto a staffa d’oro simile»19. In questo momento l’esemplare del Bargello è ad ogni modo ancora una Pace, «mezza aovata», cioè connotata da una forma cuspidata come l’ attuale, ornata però da una cornice con motivi decorativi d’oro («rosette») diversa dall’attuale; compare peraltro il dettaglio dei partiti architettonici, ma non si menzionano gemme, né si accenna ai piccoli paillons in oro inseriti nello smalto che creano il motivo decorativo del manto20.

Poco dopo il nostro esemplare viene però scompaginato nel suo assetto.

Anche la Pace en ronde bosse che stiamo esaminando non si sottrasse infatti agli atti vandalici compiuti da Giuseppe Bianchi, dal 1753  “primo custode” di Galleria, ai danni di molti oggetti della collezione medicea, manomessi e alterati gravemente per sottrarvi gemme e oro, atti per i quali verrà processato e condannato nel 176921.

Il riscontro del 1768 effettuato sulla base dell’inventario 1753 da Cosimo Siries e Giovanni Michele Zimmermann quali periti, assistiti dai testimoni Giovanni Bargiacchi e Antonio Spigliati, per quantificare le manomissioni compiute dal Bianchi, mise in fatti in luce che la targa -collocata nell’armadio destro della Tribuna, sul V palchetto -risultava «mancante del manichetto a staffa d’oro e di dietro si vedono più e diverse scalfitti, e sgraffiature» «e credo anche che manchi una piastra d’oro dalla parte di dietro»22.

È quindi al danneggiamento apportato dal Bianchi che si deve la trasformazione della Pace portata in dote da Cristina di Lorena nel «quadretto» visto nel 1784 da Giuseppe Pelli Bencivenni.

La targa del Bargello dovette però subire poi ulteriori rimaneggiamenti comportanti l’attuale cornice e il sostegno con gemme rosse su cui poggia il Battista e, forse, anche il pesante motivo aureo che decora l’interno del manto.

A questo punto non resta da un lato che attendere chiarezza da auspicabili future indagini dirette ad accertare il tipo di materiali impiegati e il montaggio delle parti costitutive, dall’altro il reperimento di documentazione in grado di restituirci la cronologia e l’ autografia dell’anconetta fiorentina.

Legenda

ASFI: Archivio di Stato di Firenze

BdUFI: Biblioteca degli Uffizi di Firenze

  1. Come Pace figura invece in A. CAPITANIO, in I gusti collezionistici di Leonello d’Este. Gioielli e smalti en ronde- bosse a corte, a cura di F. Trevisani, catalogo della mostra, Modena 2003, p. 169 e in E. TABURET-DELAHAYE, in Paris 1400. Les arts sous Charles VI, a cura di E. Taburet-Delahaye, catalogo della mostra, Paris 2004,  n. 194, p. 315: ma il nostro manufatto non ne ha le caratteristiche tipologiche, essendo priva di impugnatura sul tergo (per questa tipologia, cfr. G. BERGAMINI, Instrumentum pacis, in Ori e Tesori d’Europa, a cura di G. Bergamini – P. Goi, Atti del Convegno, Castello di Udine 3-5 dicembre 1991, Udine 1992, pp. 85-108). []
  2. La tecnica dello smalto en ronde bosse (presumibilmente nata in Francia, ma diffusa anche in altri centri), prevedeva la stesura di smalti coprenti su una superficie a tutto tondo d’oro (cfr. É. KOVÁCS, L’âge d’Or de l’Orfèvrerie parisienne  au temps des Princes de Valois, Dijon 2004; la studiosa analizza anche le varianti di questa tecnica, incluse quelle con l’uso dell’argento invece che dell’oro); per la versione lombarda di questa tecnica rimando a P. VENTURELLI, Gioielli dei Visconti (1387-1403), in Dalla testa ai piedi. Moda e costume in età gotica, a cura di L. Dal Pra, P. Peri, Atti del convegno di Trento, 7-8 ottobre 2002 (ora in P. VENTURELLI, Smalto, oro e preziosi. Oreficeria e arti suntuarie nel Ducato di Milano tra Visconti e Sforza, Venezia 2003, pp. 59-72): P. VENTURELLI, Smalto, oro…, 2003, pp. 15-57; P. VENTURELLI, Gioielli in smalto (principalmente en ronde bosse) per i Visconti. Spunti e riflessioni anche in direzione Borromeo (intorno al 1400), in Gioielli in Italia. Il Gioiello e l’artefice. Materiali, opere, committenze, a cura di L. Lenti, Atti del convegno di Valenza, 2-3 ottobre 2004, Venezia 2005, pp. 5-38; P. VENTURELLI, Esmaillée à la façon de Milan. Smalti nel Ducato di Milano da Bernabò Visconti a Ludovico il Moro, Venezia 2008. []
  3. U. ROSSI – I. B. SUPINO, Catalogo  del R. Museo Nazionale di Firenze (Palazzo del Podestà), Roma  1898, p. 350; T. MÜLLER – E. STEINGRÄBER, Die Französische Goldemailplastik um 1400, in «Münchener Jahrbuch der Bildenden Kunst», V,  1954, pp. 53, 55, figg. 39, 74, n. 18; M. MEISS, French Painting in the Time of Jean de Berry: the late Fourteenth Century and the Patronage of the Duke, London- New York 1967, p. 146; Y. HACKENBROCH, Smalti e gioielli dal XV al XIX secolo, Firenze 1986, pp. 5-7, 9-11, 21-22; M. COLLARETA – A. CAPITANIO, Museo Nazionale del Bargello. Oreficeria sacra italiana. Nuove sale, Firenze 1987, pp. 14, 27, n. 9; P. BAROCCHI – G. GAETA BERTELÀ, Introduzione, in Oreficeria sacra Italiana. Museo Nazionale del Bargello, a cura di M. Collareta – A. Capitanio, Firenze 1990, pp. XVI- XVIII, nota 14; A. CAPITANIO, in Eredità del Magnifico, a cura di G. Gaeta Bertelà – B. Paolozzi Strozzi – M. Spallanzani, catalogo della mostra, Firenze 1992, pp. 137-138; A. CAPITANIO, in I gusti collezionistici…, 2003, p. 169; É. KOVÁCS, L’ âge d’or de l’orefèvrerie parisienne  au temps des princes de Valois,  Dijon 2004, p. 36; E. TABURET-DELAHAYE, in Paris 1400…, 2004,  n. 194, p. 315; R. GENNAIOLI, in Il cammino del sacro. Un viaggio nell’arte orafa delle chiese monumentali di Arezzo,  a cura di P. Torriti, con la collaborazione di D. Galoppi, catalogo della mostra, Arezzo 2007,  pp. 69-70. []
  4. T. MÜLLER – E. STEINGRÄBER, Die Französische…, 1954, p. 53; connessione ripresa da É. KOVÁCS, L’âge…, 2004, p. 36 e da E. TABURET-DELAHAYE, in Paris 1400…, 2004,  n. 194, p. 315. []
  5. Il sostegno, ricco di smalti, del Calvario è tardo quattrocentesco; eseguito da maestri milanesi, credo sia da connettere al progettato matrimonio (1484- 1489) tra Bianca Maria Sforza e il figlio di Mattia Corvino, Giovanni, nelle mani del quale il Calvario si troverà nel 1494. Cfr. P. VENTURELLI, Milano/ Ungheria. Orefici e oreficerie tra Francesco da castello, Caradosso e Bianca Maria Sforza (al tempo di Ludovico il Moro), in Lombardia e Ungheria nell’età dell’Umanesimo e del Rinascimento. Rapporti culturali e artistici dall’età di Sigismondo all’invasione turca (1387-1526), a cura di A. ROVETTA – G. HAJNÒCZI, Atti del convegno internazionale, Milano 2-4 dicembre 2002,  numero speciale di «Arte Lombarda», 139, 2003, pp. 110-117; P. VENTURELLI, Esmaillée à la façon de Milan…, 2008, pp. 99-103 (con bibliografia sull’opera). []
  6. Riprendendo T. MÜLLER – E. STEINGRÄBER, Die Französische…, 1954, la studiosa connette l’esemplare fiorentino «per stile e tecnica», sia alla cosiddetta Pace di Siena (Arezzo, Duomo), donata da papa Pio II (papa dal 1458 al 1464), alla cattedrale di Siena, sia al Reliquiario del Duomo di Montalto (per queste due opere cfr. P. VENTURELLI, Smalto, oro…, 2003, pp. 24-26; P. VENTURELLI, Esmaillée à la façon de Milan…, 2008, pp. 27 e sgg., pp. 55-56, con bibliografia precedente). []
  7. Citazioni da Y. HACKENBROCH , Smalti e gioielli…, 1986, p. 5 (la voce inventariale del 1402), p. 21. []
  8. A. CAPITANIO, in I gusti collezionistici…, 2003, p. 169. Per la voce dall’inventario di Lorenzo il Magnifico, cfr. M. SPALLANZANI – G. GAETA BERTELÀ, Libro d’inventario dei beni di Lorenzo il Magnifico,  Firenze 1992, p. 44. []
  9. P. BAROCCHI – G. GAETA BERTELÀ, Introduzione…, 1990, pp. XVI- XVIII (l’inventario si trova in BdUFI, ms. 113). []
  10. Ringrazio vivamente Maria Grazia Vaccari del Museo Nazionale del Bargello, che mi ha trasmesso documentazione  fotografica dell’opera. []
  11. Rimando a P. VENTURELLI, Il tesoro dei Medici al Museo degli Argenti. Oggetti preziosi in cristallo e pietre dure nelle collezioni di Palazzo Pitti, Firenze 2009, pp. 107-135 (per la cassettina, donata da papa Clemente VII Medici a Francesco I nel 1533, in occasione delle nozze della nipote Caterina con Enrico, futuro Enrico II, cfr. la scheda n. 65, pp. 115-116; per le altre opere cfr. schede nn. 658-83, pp.118- 127 ). []
  12. ASFI, Guardaroba Medicea 152 , c. 25, n. 264. Nel coevo inventario (ASFI, Mediceo del Principato 6354 A, fasc. 8, c.367r) è censita come: «Una pace d’oro con l’ornamento e manico di dentro senza smalto entrovi un san Giovanni col agnello in braccio e dua angeli dietro, et con una catenetta d’oro per attaccarla». []
  13. Rimando a P. VENTURELLI, Il tesoro…, 2009, pp. 109-112. []
  14. BdUFI, ms. 71, c. 120 (‘stanza di madama 1609’), n. 27 (la «pace»); n. 26, c. 120 (la «cifera», n. 28, c. 121 (la «sphera»). []
  15. Cfr. P. VENTURELLI, Smalto,  oro…, 2003, p. 25; le risultanze di questo particolare sono ben  diverse per qualità tecnica ed effetti decorativi da quelli che connotano il raffinato drappo posto a sfondo delle due valve costituenti la Pace di Siena appena citata (cfr. supra nota 6), che sembra costituirne il prototipo. Diversamente Elisabeth Taburet-Delhaye ritiene il drappo nell’opera del Bargello simile a quelli nella Pace di Siena, assegnando inoltre l’opera fiorentina a: «Paris, vers 1400 (groupe central); Italie du Nord, XVe siècle  ? (dais architecturaux); Florence, après 1784 (cadre)»; giudicando l’ipotesi di Hackenbroch «trop peu précis» per essere accettata, avanza l’idea della provenienza invece da un «joyaux d’or émaillé» (E. TABURET-DELHAYE, in Paris…, 2004, p. 315). []
  16. Per questo importante ambiente collezionistico, rimando a P. VENTURELLI, Il Tesoro…, 2009, pp. 75-79. []
  17. BdUFI, ms. 76 (1638), f. 35v. []
  18. BdUFI, ms. 211, inserto 28, f. 15v (risulta collocato nel «secondo armadio»). []
  19. BdUFI, ms. 82 (1704), n. 2499; BdUFI, ms. 95 (1753), n. 2499 («armadio fisso nel muro della parte destra della Tribuna»). []
  20. E’ inutile sottolineare che gemme e inserti aurei, per il valore economico che conferiscono all’oggetto sono di norma sempre segnalati negli inventari. []
  21. Cfr. P. BAROCCHI, G. GAETA BERTELÀ, Danni e furti di Giuseppe Bianchi in Galleria, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», Classe di Lettere e Filosofia, serie III, vol. XX, 2-3, 1990, pp. 553-568; P. VENTURELLI, Il Tesoro…, 2009, pp. 144- 149. []
  22. ASFI, Supremo Tribunale di Giustizia 2209 («Processo contro Giuseppe Bianchi, et altri per preteso furto di arredi preziosi della Real Galleria», 1768-1769) ff. 132v-133r (n. 1888). []