Maria Laura Celona

ml.celona@libero.it

Gli argenti Formusa

DOI: 10.7431/RIV03122011

L’esclusivo design dell’artigianato italiano è solo una delle caratteristiche della lavorazione dei materiali preziosi del nostro Paese che, da svariate centinaia di anni, è riconosciuta per innata creatività e abilità fuori dal comune. L’Arte degli argentieri italiani, di cui la penisola era rigogliosa e che spesso si è tramandata da padre in figlio e dai piccoli laboratori in aziende protagoniste dei mercati nazionali si concretizza nel racconto di vita narratomi dal Dott. Carlo Lo Cicero titolare,  ereditandola per linea femminile, dell’azienda di argenti, Formusa.

Le origini dell’attività risalgono alla seconda metà dell’Ottocento ed hanno inizio con Pietro Formusa, fondatore di una piccola bottega di oreficeria che, con la collaborazione dei quattro figli Santi, Antonio, Giuseppe e Salvatore, avvia nella città di Termini Imerese nel 1914 (Figg. 1234). Essa nasce in un’epoca in cui l’attività artigianale comincia ad essere soppiantata dalle manifatture industriali che producono piccole serie sfruttando le novità del progresso scientifico consentendo, fin dalla metà del XIX secolo, produzioni più rapide ed economiche pur nella contemporanea ripresa di antiche tecniche i cui procedimenti furono resi più semplici dalle novità offerte dalla chimica1. Tracce di questi cambiamenti si concretizzano a partire dalla fine dell’Ottocento quando la produzione tipicamente locale dell’ormai accreditata bottega amplia la propria attività oltre il confine territoriale.

Come la Formusa altre furono le botteghe che divennero ditte; Maria Accascina ricorda quella di Nicolò Contino, della prima metà dell’Ottocento o ancora la discendenza di Giovanni Fecarotta, orafo e incisore della Corte di Francesco I Re delle Due Sicilie, che oltre essere stato premiato nel 1838 per la sua maestria di smaltatore ad elettrodoratura, fondò la prima fabbrica di oreficeria ed argenteria in Via dei Materassai a Palermo2.

Inizialmente, la qualità dell’oreficeria prodotta dalla Formusa era di tipo popolare, realizzava prodotti facilmente commerciabili che caricati a dorso di mulo venivano portati nei vari paesi per le caratteristiche fiere. Come nota Anderson Black, << il periodo intercorso tra gli anni Trenta e la fine del secolo fu il più mutevole e complesso che la storia della gioielleria abbia mai attraversato: questo a causa soprattutto di quel processo continuo di scoperta degli stili storici, che è ben noto soprattutto in architettura come Eclettismo. Basti pensare alla ripresa dei motivi romani nella gioielleria del tempo di Luigi XVIII e di Carlo X; di quelli rinascimentali sotto Luigi Filippo; oppure un po’ dovunque in Europa, di quelli legati alla ripresa delle scoperte archeologiche>>3.

In occasione delle fiere locali, Pietro, Santi e Giuseppe, detto Peppino, esponevano le proprie opere seguendo il gusto della clientela che rifletteva una vera e propria rifioritura di passati stili4, mentre Antonio, orologiaio, provvedeva contemporaneamente, ove richiesto, ad effettuare riparazioni.

Ad inizio Novecento uno dei quattro figli di Pietro, Peppino, nonno del Dott. Lo Cicero, decideva di partire per il Nord d’Italia giungendo fino in Germania per rinnovare simultaneamente la propria tecnica sia dal punto di vista qualitativo che da quello quantitativo. Con l’arrivo della prima guerra mondiale, la bottega subiva una breve battuta d’arresto a causa della chiamata alle armi di Peppino. Al temine della guerra, la Formusa riprendeva la produzione orafa trasferendo contemporaneamente la propria sede a Palermo, in Piazza San Domenico e assumendo, però, un carattere multiforme. Così, accanto a quello che era l’interesse principale5, affiancava anche una produzione artigianale di argenteria, di cui il Dott. Lo Cicero conserva un notevole catalogo di disegni, sino ad oggi inediti, di indubbia importanza documentaria. Tale catalogo manoscritto fu commissionato da Peppino Formusa ad un ignoto Professore dell’Accademia di Belle Arti di Palermo che con maestria di effetti coloristici e chiaroscurali è riuscito a documentare la produzione argentiera di quegli anni. Le tavole, risalenti alla prima metà del Novecento, oltre a contenere disegni d’argenteria che riproducono manufatti oggi dispersi per vari canali, sono un documento prezioso che consente di conoscere le tendenze stilistiche di un tempo in cui i ritmi di produzione divengono sempre più seriali e incalzanti. L’esigenza di fermare il tempo mediante la realizzazione del catalogo è sintomatica di un nuovo modo di approcciarsi all’Arte decorativa. Su questo orientamento interessanti sono le pubblicazioni dei manuali, editi alla fine dell’Ottocento e curati dal Boselli, della casa editrice Hoepli6 testimonianza della nascita di una nuova formazione al mestiere e di una nuova via di diffusione7.

Le innumerevoli spinte positive del panorama artistico culturale palermitano di fine Ottocento8, la contestuale presenza dell’ Esposizione Nazionale del 1891-929, l’avvento della produzione industriale spingeva Peppino Formusa, dopo aver preso moglie, ad ampliare l’attività aprendo un laboratorio in Via Pindemonte dove si recava quotidianamente per dirigere il lavoro. Per arrivarvi percorreva giornalmente Via Bara all’Olivella per raggiungere il tram a Piazza Massimo. Questo percorso si trasformava in un’opportunità per notare, tra case e botteghe di falegnameria, dei magazzini in rovina che, poi vennero acquistati, divenendo il luogo in cui, fra il 1919 e il 1920, ebbero inizio i lavori destinati alla fabbrica di argenteria con locali per la vendita e abitazione al secondo piano. Peppino Formusa raggruppava così le attività consentendo contemporaneamente di ampliarle e razionalizzarle.

L’immobile, in stile Liberty10, nasce su progetto dell’Ing. La Farina, familiare del Dott. Lo Cicero, intorno al 1905-190811 e fu uno dei primi palazzi costruiti in struttura mista, cemento armato e muratura portante che divenne la sede della Formusa G. E. A. (Fig. 5).

Il crescente incalzare della domanda spingeva Peppino Formusa a recarsi in Germania per acquistare macchinari, presse, bilancieri, laminatoi che gli consentirono di esordire con una produzione di argenti realizzata tramite tecniche e criteri innovativi. Nel 1921 la produzione di posateria che prima era stampata a martello era prodotta con bilancieri tedeschi Schuller.

Questo tipo di produzione industriale continuava fino alla seconda guerra mondiale quando Peppino Formusa veniva chiamato alle armi. Prima di partire decideva di portare i macchinari negli scantinati e di farli murare nella speranza di tornare per ricominciare. Al rientro dalla guerra, tuttavia, si riprendeva a lavorare con una produzione piuttosto povera. Nell’immediato dopo guerra, infatti, il mercato era molto sofferente, la produzione di bassa qualità: leggera, con leghe povere d’argento. Erano gli anni della famosa posateria “masticiata”, posate d’acciaio, il cui solo manico era d’argento sottilissimo riempito di pece, una produzione che comunque consentì la sopravvivenza dell’azienda.

Col passare del tempo e il sopraggiungere degli anni ’50, grazie al conseguente boom economico, la Formusa conosceva il suo momento di maggiore sviluppo e affermazione.

In quegli anni le fabbriche argentiere in Italia erano relativamente poche e l’azienda che poteva vantare ormai una lunga esperienza e delle solide basi, riusciva ad affermarsi pienamente arrivando ad occupare un numero di 85-90 persone (Fig. 6); negli anni ’20 aveva cominciato con sei persone. La produzione, come mostrano alcuni dei disegni del catalogo, realizzava manufatti di argenteria di vario utilizzo da quella d’uso domestico con argenteria da toilette (Figg. 789) all’argenteria da tavola e ornamentale. (Figg. 1011).

Intorno alla metà del anni ’60 cominciava però un periodo di crisi per l’azienda poiché nessuna delle figlie del titolare voleva occuparsi dell’attività paterna, portando un vuoto generazionale e causando la crisi della gestione aziendale.

Intorno agli anni ’70 a fronteggiare la condizione disastrosa della fabbrica subentrava il Dott. Lo Cicero che cercava di rilanciare l’attività riavvicinandosi all’antica produzione artigianale degli anni Trenta, creando un laboratorio specializzato nella martellatura a mano delle lastre, nella curvatura e cesellatura. L’azienda che era stata fondata ufficialmente con atto notarile a nome di Pietro Formusa, in memoria del fondatore, produceva con il marchio P. F. negli anni ’30, quando durante il periodo fascista, era stata creata una regolamentazione sulle discipline dei titoli e sulle punzonature per cui ad ogni fabbricante la zecca rilasciava un numero progressivo, a destra la sigla della città e al centro il fascio racchiuso in un rombo. All’azienda fu rilasciato il marchio 3-PA12, dopo la fine dell’ultima guerra sparì il fascio e al suo posto fu inserita una stelletta. Nel 1968, a causa del passaggio ereditario venne rifondata con le iniziali delle due figlie di Peppino, Giuseppina ed Elena e della cugina Antonietta in Formusa G. E. A. s. n. c., perdendo il marchio 3-PA e assumendo 89-PA13.

Le illustrazioni del catalogo sono esemplari di un revival di vari stili, i manufatti alternano ora una decorazione di ispirazione barocca (Figg. 1213) propriamente partenopea, che nel XVIII secolo e parte del XIX si era distinta conferendo ai manufatti una copiosità esuberante14, ora un rococò (Figg. 1415) ancor più variegato o ancora motivi rispondenti alle istanze neoclassiche (Figg. 1617). La tipologia degli argenti di uso domestico resta sommariamente molto essenziale ed invariata in tutta Italia15. Tra le realizzazioni della Formusa è una teiera a globo caratterizzata da un ripetersi di nervature verticali che evidenziano le sbaccellature dando maggior rilievo al chiarore lunare dell’argento (Fig. 18) e da un manico in legno. L’ uso della teiera ha origini orientali16: i primi infusi da tè, a Londra, videro l’utilizzo di recipienti in porcellana, ma i primi esemplari di teiera interamente d’argento cominciarono ad apparire verso il 1675 ed furono caratterizzati da una forma tronco conica alta, coperchio conico e manico simile alla forma della lettera D applicato lateralmente rispetto al beccuccio inclinato, da allora vario è stato il susseguirsi delle forme da periforme, a globo ad anfora17.

Parte dello stesso servizio sono anche una caffettiera, ornamento da tavola che già dal XVII secolo rappresentava un importante elemento di prestigio della vita della nobiltà, ed una zuccheriera (Figg. 1920). La cospicua raccolta prosegue con l’illustrazione di altri elementi d’argenteria da tavola, che risentono dell’influsso delle forme dell’antichità classica, particolari per la loro estrema sobrietà formale ed ornamentale, in essi riecheggia il monumentale neoclassicismo tardo settecentesco dei grandi maestri partenopei, i Valadier18, i Belli19, che con le loro creazioni finirono per influenzare la produzione della prima metà del XIX secolo ed oltre20.

Come sottolineato da Alvar Gonzàlez-Palacios, riguardo un fondo di disegni di argenteria romana realizzata tra il 1750 e il 1850: <<l’eccezionale campionario ci farà capire non solo come erano le zuppiere lungo quei cento anni, ma anche intuire come si viveva in quell’epoca e come si mangiava>>21. Significativi come testimonianza di un gusto diffuso nel secolo passato sono alcuni argenti del catalogo che vanno un po’ più in là della semplice argenteria da tavola; essi, infatti, nella loro voluta sontuosità evidenziano un orientamento del gusto verso un variegato revival22, anche se talora qualche suppellettile lineare conduce a istanze culturali legate al contemporaneo (Figg. 2122232425). Vengono commissionati maggiormente servizi da tavola (Figg. 1415) che richiamano il fasto del rococò Nord europeo23, di Precht24,  e ancora candelabri (Figg.  262728),  servizi da scrittoio (Fig. 29) e vassoi (Figg. 3031) che con la loro forma ovale, il contorno ondulato ricordano lo stile degli argentieri tra il XVIII e il XIX secolo25; e ancora zuccheriere (Fig. 32) riecheggianti le opere del rivoluzionario Boulton. Quest’ultimo, proprio nei primi dell’Ottocento, commissiona ai più noti architetti di Londra, gli Adam e i Wyatt, la realizzazione di disegni per poter aiutare gli artigiani della propria fabbrica nella realizzazione a macchina dei nuovi manufatti; regrediva, infatti, la forza dell’artigianato, aumentava la necessità di ricorrere al disegnatore26.

Come è evidente le tendenze stilistiche che emergono dalle illustrazioni del catalogo sono emblematiche non soltanto della realtà siciliana, ma riguardano un po’ tutta la l’Europa e Peppino Formusa attento artigiano ed imprenditore, rappresenta un significativo spaccato di un tempo in cui talora il legame con gli stili del passato è più pressante della creatività del presente.

  1. G. BUCCO, Le tecniche orafe in Italia nel XIX secolo fra tradizione e progresso tecnologico; Gioielli in  Italia temi e problemi del gioiello italiano dal XIX al XX secolo, atti del Convegno a cura di L. LENTI e D. LISCIA BEMPORAD, Venezia 1996, p. 26; R. VADALÀ, Nuove forme dell’oreficeria europea nella Sicilia dell’Ottocento, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale, atti del Convegno di Studi in onore di Maria Accascina a cura di M. C. DI NATALE, Caltanissetta 2007, pp. 466-467. []
  2. M. ACCASCINA,  Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974,  p. 422. []
  3. J. ANDERSON BLACK, Storia dei gioielli, a cura di F. Sborgi, Novara 1986, pp. 247-248. []
  4. D. MASCETTI,  A. Triossi, Gli orecchini dall’antichità ad oggi, Milano 1991, p. 83. []
  5. B. GABRIELLA, Le tecniche orafe in Italia nel XIX secolo fra tradizione e progresso tecnologico, Venezia 1996, pp. 25-44. []
  6. E. BOSELLI, La oreficeria Artistica. Albo di cento tavole con dugento e più disegni scelti fra quelli eseguiti nelle principali officine d’oreficeria italiane e estere. Utile agli orefici, ai gioiellieri, ai cesellatori, ai disegnatori ed amatori di cose artistico-industriali, Milano 1884; E. BOSELLI, Gioielleria , Oreficeria. Oro, argento e platino, Milano 1889. []
  7. P. FUHRING, l’oreficeria francese e la sua riproduzione nelle incisioni del XVIII secolo, in Argenti e cultura Rococò nella Sicilia Centro-Occidentale 1735-1789, catalogo a cura di S. Grasso e M. C. Gulisano, Palermo 2008, p. 29. []
  8. I. BRUNO, Gioacchino Di Marzo e il clima culturale e artistico palermitano nella seconda metà dell’Ottocento, in Gioacchino Di Marzo e la critica d’arte nell’Ottocento: atti del Convegno Palermo, 15- 17 aprile, a cura di S. La Barbera, Palermo 2004, p. 263. []
  9. Esposizione Nazionale Palermo 1891-1892, Catalogo Generale, ristampa anastatica a cura dell’Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Palermo, Palermo 1991, pp. 255-258. []
  10. Cfr E. SESSA, L’unità delle arti, in “Kalós. Luoghi di Sicilia”, supplemento al n. 5/6, Palermo 1997, pp. 6-21. []
  11. Palermo Liberty: “La città nella città”. Mostra fotografica,  catalogo a cura di V. Zabbia, Palermo 1991, pp. 32-33. []
  12. S. BARRAJA, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo dal XVII secolo ad aggi, Palermo 1996,  p. 121. []
  13. S. BARRAJA, I marchi … 1996,  p. 123. []
  14. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974, p. 418. []
  15. Tre secoli di argenti napoletani, catalogo della mostra a cura di C. Catello, Napoli 1988, p. 18. []
  16. Per un esemplare di teiera cinese della metà del Seicento si veda V. ABBATE, La grande stagione del collezionismo. Mecenati, accademie e mercato dell’arte in Sicilia tra Cinque e Seicento, Palermo 2011, p. 115. []
  17. A. LIPINSKY, Oreficeria e argenteria in Europa dal XVI al XIX secolo, Novara 1965, pp. 250-251. []
  18. H. HONOUR, Orafi e argentieri, Verona 1972, pp. 209-211. []
  19. H. HONOUR, Orafi…, 1972, pp. 199-201. []
  20. A. LIPINSKY, Oreficeria… 1965, p. 87. []
  21. A. GONZÀLES-PALACIOS, I Valadier. Uno straordinario fondo di disegni di argenteria romana, in “Il Giornale dell’Arte”, n. 89, Maggio 1991 Torino, p. 41. []
  22. F. GRASSO, Le arti figurative dell’esposizione Nazionale di Palermo 1891-1892, in Dall’artigianato all’industria. L’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-1892, a cura di M. M. Ganci e M. Giuffrè, Palermo 1994, p. 88. []
  23. F. DANIELA, Argenti del Nord. Oreficerie di Augsburg in Trentino, Trento 2005, p. 326. []
  24. H. HONOUR, Orafi…, 1972, p. 188. []
  25. D’Oro e d’Argento. Giovanni Bellavite e gli Argentieri Mantovani del Settecento, catalogo della mostra a cura di F. Rapposelli, Mantova 2006, p. 148. []
  26. H. HONOUR, Orafi …, 1972, pp. 220-221. []