Benedetta Montevecchi

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I reliquiari  Bonsignori nel Duomo di Tuscania

DOI: 10.7431/RIV03082011

La Cattedrale di Tuscania1 possiede una ricca dotazione di arredi sacri, tra i quali un pregevole ‘tesoro’ di argenterie, già ampiamente studiate2. Non sono state ancora prese in considerazione, invece, le suppellettili in materiali diversi, a volte inusuali, come il curioso gruppo di reliquiari donati da monsignor Bartolomeo Bonsignori, uno dei protagonisti della storia religiosa di Tuscania tra la seconda metà del XVII e i primi decenni del XVIII secolo3. Nato nel 1653 da Alessandro Bonsignori, appartenente al patriziato tuscanese – ancorché lo stemma di famiglia (banda azzurra in campo d’oro che separa i monogrammi S/N)  sia affine a quello dei Bonsignori di Roma con i colori invertiti (banda d’oro in campo azzurro e monogramma S/N)4-, Bartolomeo abbracciò la carriera ecclesiastica e fu canonico del capitolo della cattedrale di San Giacomo dalla fine del 1680 alla fine del 16855. In seguito, fu canonico e priore della collegiata di Santa Maria Maggiore, quindi, prima del 17136, si trasferì a Todi dove fu priore della chiesa di San Nicola di Bari; tuttavia, mantenne vivi i legami con la città natale come testimoniato da numerosi altri doni alla chiesa di San Giuseppe, alla Collegiata e al Duomo7.

I reliquiari oggetto di queste note furono offerti in tre fasi successive, nel 1704, nel 1708 e nel 1713. Le date e la committenza si evincono dalle scritte che accompagnano ogni oggetto nelle quali compaiono sempre il nome del donatore, lo stemma e a volte l’indicazione delle reliquie contenute. I manufatti costituiscono un insieme molto originale per il curioso e talora stravagante assemblaggio di parti disparate e fantasiosamente reimpiegate. Come è noto, i reliquiari sono, tra le suppellettili ecclesiastiche, quelle meno soggette a normative e prescrizioni e ciò ha determinato, in ogni epoca, la loro straordinaria varietà tipologica e morfologica dettata unicamente dalla devozione quando non dalla fantasia di committenti ed artefici8. I reliquiari Bonsignori, in particolare, sembrano essere stati realizzati, forse dietro suggerimento dello stesso committente, utilizzando piccoli manufatti, più o meno preziosi, secondo una tradizione secolare di reimpiego di contenitori profani per conservare i venerati cimeli di santi e di martiri. Dalle scarse notizie su Bartolomeo Bonsignori non sappiamo se fosse un collezionista, ma, come risulta dalla sue donazioni,  sceglieva piccoli manufatti di un certo pregio – forse di sua proprietà – con i quali faceva realizzare i reliquiari, la maggior parte dei quali erano destinati a sostituire precedenti contenitori, ormai in cattivo stato9. Si sa, peraltro, che il prelato era particolarmente devoto al culto delle reliquie, come attesta la lunghissima lapide marmorea, da lui fatta apporre nella cappella absidale sinistra della Cattedrale di San Giacomo nel 1706, che riporta, suddiviso su due colonne e siglato col suo stemma, l’elenco dei venerati cimeli (resti di corpi santi e testimonianze della vita terrena di Gesù) conservati nelle chiese della città10.

I reliquiari del Bonsignori  sono prevalentemente realizzati in materiali organici quali il corallo, la tartaruga, la madreperla, l’avorio, la noce di cocco, oltre a marmi e alabastro. L’origine di tali oggetti è in parte da ricondurre all’ artigianato siciliano nell’ambito del quale si lavorarono, per secoli, “materiali preziosi”  provenienti “dalla terra e dal mare”11. Altri manufatti sono invece da situare in aree culturali diverse e forse non italiane, ma tutti assimilabili per la non consueta scelta dei materiali e delle fogge riconducibile al fascino  delle Wunderkammer di tradizione cinque e seicentesca. Materiali non consueti, quindi, per la realizzazione di suppellettili ecclesiastiche, a volte fragili e comunque, nel caso specifico, oggi in mediocre stato di conservazione anche a causa della precarietà ed eterogeneità degli assemblaggi. Proprio l’attuale degrado, peraltro, impedisce di apprezzare appieno questi bizzarri e artificiosi oggetti, espressione di un gusto originalissimo e fantasioso.

Alla prima donazione, del 1704, appartengono cinque pezzi, tre dei quali assemblati con manufatti di sicura origine siciliana. Due sono affini, entrambi composti da una base lignea intagliata secondo un complesso gioco di riccioli e volute e dorata, sostenente vasetti in ottone dorato e corallo, tipici prodotti di maestranze trapanesi della prima metà del ‘600.

Ma la fantasia di chi li ha assemblati – o del committente – li ha poi arricchiti di dettagli particolari, anche in funzione della reliquia che avrebbero dovuto contenere. E’ il caso del reliquiario racchiudente un frammento del sepolcro di Cristo (Fig. 1) che, nel grande nodo intagliato a giorno, accoglie un elemento di legno, a sezione triangolare, sui lati del quale troviamo due targhette d’argento con iscrizioni relative al contenuto del reliquiario e al donatore12 (Fig. 2), e una placchetta in avorio intagliato raffigurante la Pietà (Fig. 3).

Quest’ultima è un precoce esempio di lavorazione dell’avorio che ebbe a Trapani un notevole sviluppo, fin dall’inizio del ‘700, con l’attività della famiglia Tipa i cui esponenti erano famosi per “lo scolpire in tenero e in piccolo”13. E tipico dell’artigianato trapanese è il vero e proprio contenitore della reliquia che culmina il manufatto: un vasetto in ottone ornato da baccellature di corallo fissate con la tecnica del retroincastro14. L’altro reliquiario presenta una simile struttura lignea (Fig. 4), ma le iscrizioni sono incise su targhette d’argento fissate alla base15 e attestano che l’oggetto venne offerto a san Barnaba del quale è racchiuso un frammento di costola. Il fusto ligneo sostiene un vasetto in ottone, forse un calamaio, con decorazioni in corallo a retroincastro: tra il contenitore e il suo piccolo coperchio è inserito un cilindro, probabilmente un marmo (porfido?), circondato da un doppio giro di stilizzate foglie in lamina d’argento.

Di particolare pregio e rarità, nonostante il cattivo stato di conservazione dovuto all’intrinseca fragilità e delicatezza dei materiali che lo costituiscono, è il reliquiario della Maddalena e altri martiri (Fig. 5). E’ composto di una elaborata cornice in tartaruga intagliata a volute e fogliami, cui sono soprammessi elementi floreali stilizzati e ornati in madreperla e avorio; gli stessi decori, oltre a minuscoli pinnacoli (ne restano solo due, frammentari), ornano il breve fusto e la base quadrangolare, impostata su tre gradini sostenenti una teca. Le molte reliquie sono elencate, oltre che nei cartigli, anche nella targa d’argento fissata alla base, dove compaiono anche il nome del donatore e la data 170416. L’oggetto propone una particolare tipologia di manufatti realizzati in Sicilia e a Napoli dove la lavorazione della tartaruga era diffusa già nel XVII secolo, mentre l’accostamento polimaterico è tipico della produzione, poco più tarda, dei maestri trapanesi17. Un accostamento tipologico si può istituire con due capolavori del genere, la cornice del Museo Duca di Martina a Napoli e il Capezzale con Giuditta e Oloferne (Palermo, collezione privata)  che bene esemplificano la straordinaria inventiva e capacità tecnica delle maestranze trapanesi attive all’inizio del ‘70018.

Non è invece riconducibile espressamente all’artigianato siciliano la curiosa e originale coppia di reliquiari dedicati agli apostoli Simone e Giuda e all’evangelista Luca19 (Fig. 6). Si tratta di noci di cocco, lucidate e incise, montate in argento, con piccolo piede lobato e traforato, manici a voluta e coperchi a forma di corona regale sormontata da rami di palma (quella dell’evangelista san Luca contrassegnata anche da una piccola mano con penna d’oca); le coppe posano su un alto fusto a colonnina spiraliforme, con piede circolare, in legno di ebano e metallo. Già nel XIII secolo sono documentati recipienti fatti col frutto della palma cocos nucifera, impiegati soprattutto come reliquiari, ma anche come vasi sacri20. La loro importazione avvenne inizialmente attraverso Venezia e, successivamente, via Lisbona, che vendeva le merci provenienti dalle colonie portoghesi, e poi dall’America centrale e meridionale. In seguito, tra Cinque e Seicento, le “noci indiane”, apprezzate come esotiche rarità e perché ritenute antidoti contro i veleni, incontravano il favore dei grandi collezionisti, soprattutto nordeuropei, che le raccoglievano nelle Kunstkammer sia come esempi di naturalia, ma anche, una volta intagliate e impreziosite da montature in materiali pregiati da parte di grandi orafi, come sontuosi oggetti da collezione21. In questi esempi, le noci venivano semplicemente levigate e lucidate e quindi inserite nelle montature; nel caso dei reliquiari in esame (Fig. 7), invece, le noci sono state incise con una specie di bulino, in modo da evidenziare le figure – testine angeliche, volatili di lontana reminiscenza islamica, elementi vegetali – che emergono, lisce, dal fondo lavorato a fitto tratteggio22. L’ignoto artefice ha dunque adottato una tecnica affine a quella impiegata nell’arte orafa per lavorare tutta la superficie dei grossi semi con un decoro, in parte nascosto dalla successiva montatura, che accosta il motivo devozionale delle testine d’angelo ai volatili dal lungo collo, entrambi inclusi in cerchi divisi da stilizzati racemi, secondo un curioso sincretismo iconografico che rende problematico indicare una sicura cronologia e un sicuro ambito di produzione, forse individuabile nelle manifatture delle Indie Occidentali.

Nel 1708 Bartolomeo Bonsignori fa una seconda donazione di reliquiari23. Due sono realizzati ancora con parti di sicura origine siciliana comprendendo ancora, nella loro elaborata struttura, i tipici manufatti in rame dorato e corallo. Il primo (Fig. 8) è composto da un vasetto in bronzo dorato, con vari elementi in corallo applicati con la tecnica del retroincastro, disposti sul corpo panciuto e sul coperchio modanato. Il piccolo contenitore posa su un decoro a fogliami ed è saldato su un alto fusto modanato con piede circolare intorno al quale corre la dedica “Can.s.Bart.s. Bonsignorius donavit A.D.1708”24. Il vasetto, mancante della base e di vari elementi corallini, era in origine un calamaio confrontabile con analoghi esempi di manifattura trapanese, databili al XVII secolo, non di rado reimpiegati per usi diversi25.  Più curioso è l’inserimento di un pinnacolo piramidale, in bronzo dorato e corallo, sul contenitore cilindrico in avorio che il foglietto incollato attesta contenere la mirra donata a Gesù Bambino (Fig. 9); il reliquiario è circondato da fogliami in metallo ritagliato e poggia, come l’altro, su un simile fusto modanato a base circolare intorno alla quale si legge la stessa scritta dedicatoria26. Pressoché identico è il reliquiario di san Giustino (Fig. 10) che differisce solo per la terminazione superiore, costituita da un piccolo coperchio metallico con fogliami, e la presenza sulla base, oltre alla scritta dedicatoria, dello stemma Bonsignori27. Ancora la stessa base, con scritta e stemma, e decoro di fogliami in lamina metallica, troviamo nel reliquiario di san Cassiano (Fig. 11) che si differenzia dai due precedenti solo per il contenitore, in alabastro, a forma di sfera schiacciata e chiuso da un coperchio metallico modanato con crocetta apicale28. E’ ipotizzabile che anche questi vasetti, in avorio e alabastro, provengano dalla Sicilia dove tali materiali erano lavorati fin dal tardo XVI secolo sia per scolpire piccole figure, sia per realizzare vasetti impiegati come accessori da scrittoio29.

E forse ascrivibile all’artigianato siciliano sono anche i leggeri fogliami in metallo argentato, simili alle delicate inflorescenze in lamina d’argento che spesso arricchiscono i preziosi manufatti in bronzo dorato e corallo, che ornano i reliquiari fin qui esaminati nonché quello dei santi Martino papa, Domiziano martire e Agata vergine e martire (Fig. 12). Quest’ultimo presenta la solita struttura, con base modanata contrassegnata da scritta dedicatoria e stemma Bonsignori, ma la teca è costituita da una calotta d’avorio, sormontata da una crocetta apicale, dalla cui sommità pendono lievi rametti con foglie di metallo dorato30. Ancora un materiale inconsueto, il ‘marmo mischio’, è impiegato per realizzare il vasetto con coperchio che racchiude le reliquie dei santi Gallo e Benedetto Abate (Fig. 13)31. Si tratta di un vasetto sferoidale, chiuso da un coperchio in marmo venato rosa/grigio, diverso dal marmo del corpo, di colore rosso aranciato e bianco; il coperchio, mancante della sferetta terminale e della croce apicale, è contrassegnato dalle lettere incise “C.B.B.D”, sempre allusive al donatore, con la data 1708. L’ultimo reliquiario donato in quell’anno è citato nei documenti come una “urnetta d’argento” (Fig. 14) che contiene una non meglio specificata reliquia del ‘presepio’ di Gesù32. Il piccolo vaso, in argento sbalzato, inciso e bulinato a motivi fitomorfi, a forma di pera rovesciata, posa su una piatta base circolare ed è culminato da un piccolo balaustro sormontato dalla croce; l’oggetto è saldato ad una alta base in metallo argentato, a sezione circolare e rastremata verso l’alto, percorsa da nervature e ornata da fogliami. Anche questo inconsueto manufatto risulta realizzato di due parti di diversa epoca e qualità: il modesto e sgraziato supporto, presumibilmente coevo alla donazione, e l’elegante vasetto dalla forma ancora tardo-cinquecentesca, assegnabile ad un buon argentiere che la mancanza di punzonatura non permette di identificare.

Nel 1713 monsignor Bonsignori, ormai trasferitosi a Todi in qualità di priore della chiesa di San Nicolò, offre un ultimo gruppo di tre reliquiari, realizzati in avorio e ebano. Il primo (Fig. 15), contenente le reliquie dei santi Alessio e Agata, è una liscia pisside cilindrica, chiusa da un piccolo coperchio bombato sormontato da un’impugnatura a sferetta, posta su un piede in ebano, con base e collarino in avorio33. Sul corpo sono incisi lo stemma Bonsignori sormontato dal cappello prelatizio, la data 1713 e la scritta dedicatoria: “Bart.s Bonsignorius Tuscanen. Prior S.Nicolai Tuderti donavit 1713”. Più elaborato è il reliquiario di sant’Andrea apostolo (Fig. 16), realizzato sempre con una piccola pisside cilindrica, ma interamente traforata a giorno. La pisside poggia su un supporto ugualmente in ebano, con una fascia d’avorio intorno al sottocoppa, alla base recante l’iscrizione dedicatoria e un anello d’avorio intorno al collo del fusto34. Il terzo reliquiario, che un cartiglio indica contenere i resti dei santi abati Benedetto e Gallo35, è ancora più complesso (Fig. 17): si compone di un vasetto cilindrico, leggermente svasato e chiuso da un coperchio sormontato da un pomolo sferico, sostenuto da un fusto alto e sottile, variamente tornito, modanato, intagliato, traforato a giorno, con un piccolo nodo baccellato, circondato da una cornicetta incisa e dorata, simile a quella che circonda l’innesto con la base circolare. Questi due ultimi manufatti sono esempi accostabili alla particolare arte dell’avorio tornito che, dalla seconda metà del ‘500, venne ampiamente praticata nelle corti tedesche per realizzare oggetti puramente ornamentali, caratterizzati da una grande stravaganza di forme e da grande virtuosismo esecutivo36. Un’ arte praticata anche in Italia e in Sicilia, in particolare, dove abilissimi artigiani producevano minute sculturine, cui si è più sopra accennato, ed elaborati manufatti, ricchi di elementi torniti o intagliati37: ed è appunto ancora in quest’area che potrebbero collocarsi i due reliquiari tuscanesi.

Con questa del 1713 si concludono le curiose donazioni del canonico Bonsignori, il quale, come già ricordato, continuò a beneficiare le chiese di Tuscania, ma orientandosi su scelte più tradizionali, come nel caso dei due busti reliquiario dei santi Ignazio di Loyola e Francesco di Paola, offerti in quel periodo alla chiesa di San Giuseppe, oggi scomparsi38. Ancora si conserva, invece, la bella stauroteca d’ argento donata alla Cattedrale nel 1719, e commissionata ad uno degli argentieri più noti del tempo, Angelo Cervosi, attivo a Roma tra il 1690 e il 172039. Anche su quest’opera, dalla tipologia quanto mai consolidata – una croce con frammenti del Sacro Legno sostenuta da angioletti in volo (Fig. 18) – il canonico Bonsignori non manca tuttavia, come era sua abitudine, di fare incidere data, stemma e una sigla attestante la propria committenza.

Referenze fotografiche

Tutte le immagini (ad eccezione dei nn. 7, 13 e 15) sono state gentilmente concesse dall’Ufficio Beni Culturali della Curia di Viterbo che si ringrazia.

  1. Tuscania, in provincia di Viterbo, di antichissima origine, fu un importante centro etrusco, fiorente cittadina nei secoli successivi e sede vescovile sino al 1653. Dopo il disastroso terremoto del 1971, accurati restauri ne hanno ripristinato l’importante patrimonio artistico; tra gli edifici sacri, oltre al cinquecentesco Duomo, si ricordano le magnifiche e note chiese romaniche di Santa Maria Maggiore e di San Pietro. []
  2. A.M. PEDROCCHI, Argenti romani, restauro di arredi sacri del Duomo di Tuscania, catalogo della mostra (Palazzo Venezia 1983), Roma 1983; N.FALASCHI, L’oreficeria romana settecentesca in alcuni esempi di suppellettili tuscanesi, in “Informazioni”, VII, 15, 1998, pp.51-55. []
  3. Le notizie biografiche su Bartolomeo Bonsignori sono tratte da G.GIONTELLA, Le pergamene dell’archivio capitolare di Tuscania, Roma 1998, p.256, nota 2. []
  4. Cfr. T. AMAYDEN, La storia delle famiglie romane, I (ed.Forni, Bologna 1967), p.170. Lo stesso Bonsignori, peraltro, si definisce “civis romanus patritius tuscanensis” nell’epigrafe fatta apporre nella cattedrale di San Giacomo nel 1706 (vedi oltre). []
  5. In quella veste, partecipò ai complessi avvenimenti che nel 1682 videro il clero tuscanese opporsi alla diocesi di Viterbo, rivendicando l’autonomia nell’elezione del vicario vescovile durante la sede vacante seguita alla morte di Stefano Brancaccio e prima della nomina di Urbano Sacchetti. Nel racconto di queste vicende, il prelato è definito “…giovine di gran spirito, ma poco cautelato…”, essendosi personalmente esposto per diffondere nel territorio l’editto che riconosceva l’autorità del vicario capitolare di ‘Toscanella’ (antico nome di Tuscania); cfr. G. GIONTELLA, Le pergamene…, 1998, pp.264-265. []
  6. Lo si evince dal fatto che nelle iscrizioni sui reliquiari donati alla collegiata di Santa Maria Maggiore nel 1713, il Bonsignori già si definisce “…prior S.Nicolai Tuderti…”. []
  7. Nel 1717 donò alla chiesa di San Giuseppe un rilievo marmoreo raffigurante San Francesco di Paola, tuttora murato nella cappella dedicata al santo il quale è raffigurato appoggiato ad un bastone, vestito del saio cinto in vita dal cordone cui è appeso il rosario; in alto appare l’emblematico scudo luminoso con la scritta “CHARITAS”. ll cartiglio sottostante reca la dedica:”GLORIOSISSIMO HUMILITATIS PROTOTYPOS SUBMISSE OBTULIT / CAN[onicu]S BARTH[olomeu]S BONSIGNORIUS PAT[ritius] TUSCANENSIS / S.NICOLAI TUDERTI PRIOR / A.D.MDCCXVII”. Alla stessa chiesa il Bonsignori aveva offerto due busti reliquiario di sant’Ignazio di Loyola e di san Francesco Saverio, in legno e argento, oggi scomparsi, ricordati nella ricognizione di reliquie fatta il primo dicembre 1713; cfr.: Archivio Vescovile di Tuscania, 2, Peruzzi , Instrumenta 1708 e segg. ad 1714, ff. 248v-251r. Il documento (d’ora in poi Instrumenta) è stato trascritto e mi è stato cortesemente fornito dal collega architetto Stefano Brachetti che ringrazio. Da una lettera inviata al Capitolo della Cattedrale di Tuscania nel 1721, si apprende che il Bonsignori aveva anche donato quattro arazzi precisando che gli arredi dovevano essere concessi in uso anche ai canonici della Collegiata di Santa Maria Maggiore. Citati come “quattro pezze di tele fatte dipingere in forma di arazzi con fregi di erbe e fiori”, due raffiguravano i Santi martiri e le Sante martiri e vergini le cui reliquie erano conservate nella Collegiata, un terzo, papa Urbano V a Tuscania per consegnare l’abito al beato Giovanni Colombini, fondatore dei Gesuati, e un quarto una gentildonna di Tuscania che chiedeva al re di Francia Carlo VIII di potere tornare, illibata, dal promesso sposo; anche questi arazzi sono perduti. []
  8. B. MONTEVECCHI, Valenze storico-simboliche e reimpiego di materiali preziosi nei reliquiari. Alcuni esempi seicenteschi, in “Arte Cristiana”, 737-738, 1990, pp.201-207. []
  9. I reliquiari datati 1708 e 1713 sostituirono precedenti contenitori, a seguito di una ricognizione delle reliquie conservate nell’altare della Madonna Costantinopolitana e appartenenti parte alla Cattedrale e parte alla Collegiata di Santa Maria Maggiore (cfr. Instrumenta, ff. 22v-23r; 240v-241v). Si sottolinea che non tutti i reliquiari citati negli elenchi sono tuttora reperibili o riconoscibili, mentre alcuni risultano contenere reliquie diverse, evidentemente spostate in successive ricognizioni. []
  10. L’ iscrizione, attualmente posta nella quarta campata della navata destra, è trascritta e commentata da G. GIONTELLA, Le pergamene…, 1998, pp.256-258 e M.TIZI, Reliquie a Tuscania, in Dal Tempio del Sole al Sole Eterno. La simbologia solare nel Colle di San Pietro, in Dalle necropoli alle cattedrali, Atti del I Convegno di Studi sulla Storia di Tuscania (Tuscania 2010), Rende (CS) 2010, pp.85-86. []
  11. Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo, catalogo della mostra a cura di M.C.DI NATALE (Trapani 2003), Palermo 2003. Sul collezionismo di questi manufatti, cfr. G.TRAVAGLIATO, Arredi e suppellettili: dall’uso alla collezione, dall’importazione all’emulazione, in Materiali preziosi…, 2003, pp.281-283. []
  12. Le due targhette recano le scritte: “Sacros.ti  Sepvlchri / D.N. Iesv Christi / Fragmentvm”; “Can.s  Bart. Bonsignor.s  /  Patritivs / Tvscanen. / in hac vrna repos.it / A.D. 1704”, entrambe sormontate dalla stemma Bonsignori. Il reliquiario è alto cm 32,5. []
  13. Sulla famiglia Tipa, cfr. M.C.DI NATALE, in Corallari e scultori attivi a Trapani e nella Sicilia occidentale dal XV al XIX secolo, a cura di R.Vadalà, in Materiali preziosi…, 2003, p. 397. []
  14. Per un confronto, v. la coppia di vasetti portafiori, datati alla prima metà del XVII secolo, pubblicati da M.C.DI NATALE in L’arte del corallo in Sicilia, catalogo della mostra (Trapani 1986), Palermo 1986, p. 208. []
  15. In una targhetta è inciso lo stemma; nelle altre due: “S.Barnabae / Apostolo / HVmillime / obtvlit”; “Can.s Bart.s / Bonsigno.s / Patritivs / Tvscanen / A.D.1704” . Sotto la base è incollato un foglietto con la scritta a penna “n° 45 / Dalla costa di S.Barna / ba Apost.”. Il reliquiario è alto cm 34,5. []
  16. “Capillos et Reliqvias B.M.Magdalenae necnon aliorum / ss.mm.cc. et Virginvm veneravit et ornavit / Can.s Barth.s Bonsignorivs Patritivs Tuscanen. A.D. 1704”. Il reliquiario è alto cm 36. []
  17. M.C.DI NATALE, I maestri corallari trapanesi dal XVI al XIX secolo, in Materiali preziosi…, 2003,  pp. 23-56, in part. pp.36 ss. []
  18. Opere riprodotte in Materiali preziosi…, 2003, pp. 37, 270. []
  19. SS. Ap.lorum Simonis et Iudas Reliquias hiisce Thecis decoravit / Can.s Bartholomaeus Bonsignorius patritius Tuscanen. Anno Domini 1704”; Sacras D.Lucae Evang.te Reliquias nobiliori hac in capsula ponendum cur. / Can.s Bartholomaeus Bonsignorius patritius Tuscanen. Anno Domini 1704”; sulla base sono anche fissate due targhette d’argento con lo stemma del donatore. I due reliquiari sono alti cm 25. []
  20. Un magnifico esempio, di probabile produzione tedesca e databile alla seconda metà del XIV secolo, è la pisside del Tesoro del Duomo di Cividale; Cfr.C.GABERSCEK, Pisside in noce di cocco, in Ori e tesori d’Europa, a cura di G.Bergamini, Milano 1992, p.84. []
  21. Si citano, per esempio, le preziose coppe conservate nella Kunstkammer di Dresda; cfr. U.WEINHOLD, Coppa con noce di cocco, in Fasto principesco. La corte di Dresda 1580-1620, catalogo della mostra (Roma 2005) a cura di D.Syndram e A.Scherner, Milano 2005, pp.237-238. []
  22. Motivi simili e tecnica affine sono riscontrabili nei decori delle cassette lignee realizzate Oltralpe tra XV e XVI secolo, ampiamente diffuse in Italia: un esempio, in area viterbese, è conservato presso il Monastero di San Pietro a Montefiascone. []
  23. Instrumenta, ff. 22r – 23v. []
  24. Il reliquiario (alto cm 17) è così citato nel documento di cui sopra: “La reliquia di S.Pontio Martire fu trasportata dal vecchio reliquiario nel novo, donato come sopra di rame dorato, smaltato con coralli, e piede di rame inargentato” (f. 23v). []
  25. Il vasetto è affine al calamaio pubblicato da DI NATALE, L’arte del corallo…, 1986, p.164 e al calamaio reimpiegato come base di croce pubblicato dalla stessa studiosa ibidem, p.192. []
  26. Il reliquiario (alto cm 23,5) è così descritto nel documento di cui alla nota 21:” La Mirra di N.S. Giesù Christo […] fu dal suo antico reliquiario trasportato nel nuovo donato come sopra d’avorio bianco guarnito con fogliami di rame inargentati, piede simile, e piramide sopra abbellita con coralli, e crocetta sopra indorata” (c.22v). []
  27. Instrumenta, f. 23v: “…di avorio guarnito con fiorami inargentati, e piede simile di rame” . Il reliquiario è alto cm 20. []
  28. Instrumenta, f. 22r: “La reliquia di San Cassiano fu dal vecchio reliquiario trasportata nel novo di alabastro guarnito con fogliami e piede di rame inargentato con coperchio simile, e crocetta dorata, donato come sopra” . []
  29. Cfr. M.C. DI NATALE, I maestri corallari…, in Materiali preziosi…, 2003, pp.23-56 (in part.p.28). Nella raccolta dei reliquiari tuscanesi si contano almeno altri quattro vasetti modanati in alabastro e dipinti con fregi dorati: non fanno parte della donazione Bonsignori, ma vengono citati, assieme a molti altri dello stesso materiale, nel documento steso in occasione della ricognizione delle reliquie effettuata il 22 marzo 1713 (cfr. Instrumenta, ff. 214v – 216v). []
  30. Il reliquiario (alto cm 27) è così descritto in Instrumenta, f. 240v: “…un reliquiario d’Avolio ovato con il suo piede rotondo ed elevato vi è sotto l’arme del suddetto Signor Priore Bonsignori con lettere intorno = Bart. Bonsignorius Tuscanen Prior S.Nicolai Tuderti donavit 1713…”; in realtà l’iscrizione del piede, identica a quella dei reliquiari fin qui ricordati, reca la data 1708; anche le reliquie, relative ai santi Gallo e Benedetto, non corrispondono a quanto riportato nel foglietto cartaceo incollato sull’oggetto e risultano invece, attualmente all’interno di un piccolo vasetto-reliquiario in marmo mischio (cfr. nota successiva). []
  31. Il reliquiario è così citato in Instrumenta, f. 23v : ”Le reliquie dei Santi Gallo e Benedetto Abbate furono dall’antico reliquiario trasportate nel novo di marmo mischio fino, con palla sopra e crocetta di rame dorata, donato come sopra, e lettere C.B.B.D. Arme, 1708” []
  32. Instrumenta, f. 22r : “La reliquia del Presepio di N.S.Giesù Christo dall’antico reliquiario collocata nel novo […] col piede di rame inargentato, et urnetta d’argento con il suo coperchio e crocetta in cima simile”. Il reliquiario è alto cm 26. []
  33. L’oggetto (alt. cm 19) è riconoscibile nella citazione documentaria (Instrumenta, f. 240v), ancorché non corrispondano le reliquie: “…reliquiario d’Avolio rotondo col piede di legno, col coperchio d’Avolio, con l’arme intorno al corpo di esso reliquiario…”. []
  34. Nella citazione del 1709 (Instrumenta, f. 23v) le reliquie dei santi Alessio e Agata risultano spostate da un vecchio contenitore e poste in un reliquiario “di rame inargentato”; nel 1713 dovettero essere racchiuse nel contenitore attuale (alto cm 14) che non si riconosce nella documentazione consultata. []
  35. In Instrumenta, f. 23v, tali resti non risultano entro il reliquiario in esame (alto cm 19), ma in quello in marmo ‘mischio’ sopra citato: cfr. nota 29. []
  36. Cfr. J.KAPPEL, L’arte dell’avorio alla corte di Dresda, in Fasto principesco…, 2005, pp.176-197. []
  37. Si veda, per esempio, la composizione in avorio con la Madonna del Rosario e i santi Domenico e Caterina (Bagheria collezione privata), opera di maestranze trapanesi del XVIII secolo; cfr. R.MARGIOTTA, in Materiali preziosi…, 2003, pp149-150. []
  38. Cfr. nota 7. []
  39. A.M. PEDROCCHI, Argenti romani…, 1983, pp. 35-36; N. FALASCHI, L’oreficeria…, 1998, pp.54-55. []