Gina Carla Ascione

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La stanza dove Sua Maestà dorme, chiamata del Belvedere

DOI: 10.7431/RIV01092010

Il 16 novembre 1762, il Principe di San Nicandro, Domenico Cattaneo, aio dell’erede al trono di Napoli Ferdinando IV, comunica a Carlo di Borbone l’intenzione di affidare «all’ottimo arazziere Durante» che «avea finiti que’ pezzi del Don Quiote»  un arazzo di grandi dimensioni  «rappresentante l’elemento del fuoco, per accompagnare altri tre» già esistenti, raffiguranti gli altri elementi di natura «che ben Vostra Maestà si ricorderà»1.

«Terminato questo, incomincerà lo stesso artefice una guarnitura di arazzi con oro, assai belli e magnifici, per la stanza ove Sua Maestà dorme, chiamata del Belvedere». Il San Nicandro confida che i panni «riescano quanto magnifici, altrettanto di fino gusto e nuovo» e, soprattutto, prima di dare il via al lavoro dichiara che preferisce attendere un’annata durante la quale «le sete sbassino di prezzo» e di voler condividere la responsabilità delle spese con i propri  «compagni della Reggenza»2.

Nei delicati anni che precedono la maggiore età del principe ereditario i Consiglieri, Tanucci e Cattaneo, riferiscono a Carlo, dal 1759 chiamato sul trono di Spagna, ogni avvenimento e qualsiasi problema legato all’ambiente di corte. Il fitto carteggio consente, pertanto, la ricostruzione non soltanto dei più importanti eventi politici, ma anche di particolari legati alla moda, al costume e alla vita a Palazzo.

Varie descrizioni riguardano gli appartamenti privati già di Carlo di Borbone, in seguito ampliati per Ferdinando, collocati sul terrazzo del Belvedere, nel lato che affaccia verso il mare, ambienti che furono distrutti a seguito delle trasformazioni ottocentesche.

Nell’angolo sud orientale, dove oggi inizia il giardino pensile esistevano, infatti, già dalla seconda metà del Seicento, alcune stanze con vista sul mare, le stesse che Carlo, appena giunto a Napoli, utilizza come proprio appartamento privato e di cui dà notizia  in una lettera ai genitori, datata 12 maggio 1734 :  «mon apartemans est tres beau, et a la vue sur la mer»3 (Fig. 1).

All’arredamento degli appartamenti privati è destinata particolare cura, come si evince tra l’altro dalla descrizione di Charles Cochin, a Napoli tra il 1749 e il 1751, che parla della «chambre à coucher du roi» molto bella, allestita con buon gusto per mezzo di «pilastres de glaces», ornamenti con cornici dorate e specchi. Nel Palazzo il Cochin ammira tre alcove: la più grande, decorata con un affresco di Solimena, non incontra il suo gusto, mentre in una delle due piccole il soffitto è dipinto da «Francischello delle Mura»4 (Fig. 2) .

Nella relazione allegata alla lettera di San Nicandro del 18 febbraio 1766, gli ambienti destinati alla vita privata vengono descritti con una certa precisione.

La prima stanza «ove Sua Maestà si veste, immediata alla nobile alcova», è detta dell’Aurora, poiché  «nella pittura della volta di Francesco de Mura, il levar dell’aurora vi si rappresenta»5.

Dello stesso autore sono le sovrapporte dipinte ad olio raffiguranti puttini.

Segue la «stanza ed alcova detta del Belvedere», la cui «volta vera», cioè realizzata in muratura, non su incannucciata, è stata rialzata utilizzando pomici vesuviane ed è stata dipinta ad affresco da Francesco De Mura con molte figure, intorno al «Tempio della Gloria»6 (Fig. 3).

Questa stanza,  «come l’alcova dipinta dal Solimena»7

viene «parata»  dai nuovi arazzi che, alla data  della nota del San Nicandro a Carlo di Borbone, sono in via di ultimazione, al punto che è possibile realizzare una riproduzione grafica di «una intera muraglia di uno de’ lati della stanza detta del Belvedere (o sia dell’alcova) in cui sia esattissimamente copiato uno de’ gran pezzi de’ nuovi arazzi tessuti con oro che l’arazziere Durante ha fatti con esattissima e somma attenzione, copiando a meraviglia gli gran quadri fatti dipingere da diversi migliori pittori che abbiamo presentemente in Italia, cioè in Roma dal Battoni e Pozzi; in Napoli da Francesco di Mura, Corrado e Bonito»8. L’iniziale progetto viene portato a compimento, negli anni successivi, sotto la guida di Ferdinando Fuga, con qualche modifica nei temi indicati da Vanvitelli9.

I modelli, come attesta il San Nicandro, vengono affidati ai maggiori artisti attivi a corte: Pompeo Batoni per l’Allegoria della Religione; Giuseppe Bonito per le Allegorie dell’Innocenza e della Munificenza con la Liberalità e Stefano Pozzi per l’Allegoria della Giustizia e della Pace.

Ai soggetti citati dal Vanvitelli vengono successivamente aggiunti l’Allegoria della Fortezza e della Vigilanza su modello di Corrado Giaquinto e  l’Allegoria della Pudicizia di Francesco De Mura10. Tutti i dipinti sono conservati nel Palazzo Reale di Caserta, mentre i due arazzi superstiti, raffiguranti l’Innocenza e la Pudicizia sono nel Palazzo Reale di Napoli, collocati in ambienti diversi rispetto all’originaria ubicazione nelle stanze poste sul terrazzo del Belvedere, demolite nel corso dei rifacimenti ottocenteschi (Fig. 4).

I modelli pittorici sono trasformati in arazzi dal romano Pietro Duranti  che dal 1757, su invito del Vanvitelli, ricopre la carica di direttore della Manifattura di Arazzi voluta da Carlo di Borbone nell’edificio annesso alla Chiesa di San Carlo alle Mortelle. La tessitura ha inizio nel 1763 e viene completata entro il 1767, su telaio “ad alto liccio”, secondo la tecnica importata a Napoli nel 1753 dal milanese Michelangelo Cavanna11. La tecnica di tessitura del Cavanna e del Duranti viene realizzata utilizzando telai verticali, al posto dei precedenti a “basso liccio”, già in uso con Domenico Del Rosso12.

L’Allegoria della Pudicizia, datata 1766, riprende un tema già affrontato da Francesco Solimena nella perduta decorazione ad affresco della volta della Camera da letto di Carlo di Borbone.

All’esuberanza compositiva del maestro, De Mura sostituisce, nel suo dipinto, un’eleganza formale ed una compostezza che si riflettono anche nella composizione dell’arazzo, tutta proiettata verso un raffinato gusto tra arcadia e rococò (Fig. 5).

Il tema trattato, l’unico del ciclo derivato dalla mitologia greca, è certamente il più allusivo all’imminente matrimonio reale : Imene, dio delle nozze, il cui nome significa “fiore della verginità delle fanciulle”, è raffigurato come un bellissimo adolescente che con la destra regge la fiaccola nuziale e con la sinistra scopre il capo della figura femminile seduta accanto a lui. La donna reca il giglio, emblema della purezza, e calpesta con grazia una tartaruga, simbolo di castità.

L’arazzo con l’Allegoria della Pudicizia, nonostante l’ossidazione del filato metallico, che doveva conferire particolare brillantezza alla composizione, conserva in parte la cromia originaria, data dall’incrocio di fili di lana, seta e lega d’oro e d’argento dell’ordito con il cotone della trama. Il quadro principale è completato da grappoli di puttini festanti e da due bande laterali dove compaiono amorini con ghirlande di fiori molto simili a quelli presenti nell’altro arazzo superstite realizzato su modello di Giuseppe Bonito. Di quest’ultimo artista si conservano nel Museo di San Martino sei dipinti che fornirono lo spunto per il completamento dell’intera serie.

Al Bonito si deve, inoltre, il modello dell’Allegoria della Fecondità e  dell’Innocenza, che il Duranti trasforma in arazzo, firmando e datando l’opera al 1766 (Fig. 6). Le fonti tramandano la particolare attenzione del pittore nel controllare che l’esecuzione dei panni seguisse testualmente il modello. La continua ingerenza dell’artista nel lavoro di tessitura fu giudicata inopportuna dal direttore della Real Fabbrica che, il 20 agosto 1768, protestò per iscritto e chiese che l’opera eseguita nel laboratorio da lui diretto fosse giudicata solo a lavoro ultimato13.

Sempre a Giuseppe Bonito il San Nicandro ritiene che verrà affidata la decorazione della  «stanza nuova dopo quella del Belvedere […] ove probabilmente dormiranno ordinariamente il Re e la Regina»14 (Fig. 7). Questa stanza, evidentemente, nel 1766 non è ancora stata decorata, mentre sono già stati eseguiti gli affreschi nei due gabinetti contigui, «le di cui volte ha dipinto assai bene Bonito»  e gli altri due gabinetti  «sopra di questi, dipinti alle volte da quel giovane Starace che Sua Maestà lo mantenne in Roma a studiare»15.

Ancora due arazzi, per evidenti affinità stilistiche, sono stati riferiti al gruppo con Allegorie delle Virtù Coniugali : furono eseguiti nell’opificio diretto da Pietro Duranti al termine del restante ciclo decorativo, partendo dai modelli di Giuseppe Bonito, attualmente conservati nel Palazzo Reale di Caserta, con tecnica identica agli altri due panni superstiti.

Le opere presentano, nella parte alta, puttini con rami di fiori dai colori sgargianti, i cui modelli sono oggi nel Museo di San Martino, e in basso, rispettivamente, l’Allegoria della Notte (Fig. 8), raffigurata come una giovane donna che avvicina il dito alle labbra per invitare al silenzio mentre culla un bambino addormentato, e l’Allegoria dell’Aurora, vista come una fanciulla che regge la fiaccola, simbolo della luce del nuovo giorno, e dispensa fiori (Fig. 9).

Nei modelli pittorici il Bonito inserisce particolari che scompaiono nella traduzione in arazzo: le due figure presentano grandi ali e sul fondo della Notte è raffigurata la Luna (Fig. 10). La Notte era considerata nella mitologia greca madre primordiale generatrice di tutti i principi cosmici; secondo gli Inni Orfici si congiunse al vento e depose un uovo argenteo, la Luna, dal quale nacque Eros-Fanete, il desiderio che muove l’universo. Nell’arte antica, tuttavia, la Notte è raffigurata come una donna avvolta in un velo nero e cinta da papaveri, fiore dalle qualità soporifere, mentre nel dipinto di Bonito e nell’arazzo che ne deriva l’immagine è riportata ad una dimensione familiare e ai riferimenti al regno dell’occulto l’artista preferisce una dolce rappresentazione della maternità più vicina al suo gusto e più adatta alla collocazione delle opere. Allo stesso modo l’Allegoria dell’Aurora si riallaccia idealmente alla Flora rinvenuta negli scavi di Villa Arianna a Stabiae nel 1759, ma mantiene in pieno il carattere rocaille che caratterizza l’intero ciclo decorativo dell’alcova del Belvedere (Fig. 11).

Come gli altri due arazzi superstiti, anche la Notte e l’Aurora presentano, infatti, ordito in cotone e trama in lana, seta e lega d’argento e d’oro : l’effetto particolarmente luminoso del fondo deriva, quindi, dall’uso del filo di seta di bossolo di colore giallo, su cui è avvolta una lamina d’argento. L’originaria brillantezza è oggi parzialmente perduta per l’irreversibile ossidazione del filo metallico16.

Alla stessa serie di arazzi appartengono due sovrafinestre conservate nel Museo Duca di Martina (invv.360 e 361/1907), testimonianze residue di un ciclo documentato di almeno ventidue elementi, realizzati tutti su disegni di Giuseppe Bracci, autore anche dei modelli per la prima serie di quinte e sovrapporte delle Storie di Don Chisciotte. Le due sovrafinestre presentano al centro la testa di un’erma circondata da girali e festoni e una cornice con motivo di foglie simile a quella che inquadra le scene principali degli arazzi di Palazzo Reale (Fig. 12).

Durante la notte la stanza del Belvedere veniva preparata per ricevere il giovane principe e, con la chiusura degli scuri e delle porte, appariva tutta rivestita di arazzi e specchi «che sono situati su gli scuri de’ balconi e porte, senzacché si conosca vuoto della grossezza delle muraglie » . Accendendo i lampadari, le cornucopie in rame dorato e i candelieri sulle tavole, l’ambiente «fa un bel colpo d’occhio, altro non vedendosi che arazzi e specchi, senza distinzione ove le porte sono ed i palconi»17.

  1. C. KNIGHT, Carteggio San Nicandro – Carlo III : il Periodo della Reggenza (1760-1767), Napoli 2009, pp.427. Il principe Cattaneo si riferisce, inizialmente,  alla prima serie del famoso ciclo degli arazzi con Storie di don Chisciotte, realizzato su progetto di Luigi Vanvitelli per l’appartamento privato di Carlo e poi di Ferdinando di Borbone nella Reggia di Caserta. Dei venticinque arazzi, che compongono la serie, dodici furono acquistati in Francia dal Principe di Campofiorito e tredici vennero realizzati a Napoli nella Manifattura di Pietro Duranti, cui si deve la realizzazione anche del secondo ciclo di panni, commissionati nel 1767 per decorare i quattro Cabinets dell’appartamento della Regina sempre a Caserta. Cfr. A.  PORZIO, in Alla corte di Vanvitelli. I Borbone e le arti alla Reggia di Caserta, catalogo della mostra a cura di N. Spinosa, Reggia di Caserta, 4 aprile- 6 luglio 2009, pp.130-131. Il successivo riferimento è all’arazzo con l’Allegoria del Fuoco, conservato nel Palazzo Reale di Napoli, che completa  la serie dei ‘Quattro Elementi’ iniziata nel 1739 dalla Reale Arazzeria di S. Carlo alle Mortelle, sotto la direzione di Domenico Del Rosso, secondo le tecniche della disciolta Arazzeria Granducale di Firenze su telai a basso liccio, con ordito in cotone e trama in lana e seta, da arazzieri fiorentini. Firmato da Pietro Duranti, su cartone di Gerolamo Starace Franchis e datato al 1763, l’arazzo con l’Allegoria del Fuoco, tessuto su telaio ad alto liccio, reca in basso la scritta: ‘Aer, Aqua et tellus rudis indigestaque moles Esset adhuc milem ni levis ignis agat’. Nella ricca cornice si nota, in basso al centro, la salamandra, simbolo oltre che del Fuoco, della Giustizia, mentre in alto compare la Fenice che rinascendo dalle proprie ceneri simboleggia egualmente il Fuoco, ma anche l’Immortalità. Cfr. G.C. ASCIONE, Arredi di tre sale dell’Appartamento di Palazzo Reale, in L’innovazione per un restauro sostenibile. Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali, Ferrara 25-28 marzo 2009, pp. 160-162. []
  2. C. KNIGHT, Carteggio…, 2009, p.427. Con  Domenico Cattaneo principe di Sannicandro, che ne era il decano, Consiglieri di Stato e di Reggenza furono Giuseppe Pappacoda principe di Centola, Iacopo Milano principe di Ardore, don Domenico di Sangro capitano generale dell’esercito, Stefano Reggio e Gravina principe di Iaci, Michele Reggio capitano generale di marina, Pietro Bologna presidente della giunta di Sicilia, Lelio Carafa marchese di Arienzo, Bernardo Tanucci. Cfr. M. G. MAIORINI,  La Reggenza borbonica (1759-1767), Napoli 1991, p. 93 ss.. []
  3. Carlo di Borbone, Lettere ai sovrani di Spagna, I (1720-1734) , a cura di I. Ascione, Roma 2001, p.382. La camera di Carlo si può facilmente identificare nella  Pianta del piano superiore del Palazzo Reale di Napoli conservata nell’Archivio di Stato di Napoli, Sezione Piante e Disegni, databile ai primi del Settecento (Ritorno al barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli, II, Napoli 2009, catalogo della mostra a cura di N. Spinosa, p.298). []
  4. C. MICHEL, Le Voyage d’Italie de Charles-Nicolas Cochin (1758). Edité en fac-simile avec une introdution et des notes, Roma 1991, p.143. Charles Cochin racconta, infatti, che nel palazzo «Il y a trois alcoves, dont la grande est décorée d’un plafond de Solimeni, de ses derniera temps : il est très-foible, et fort incorrectement dessiné. Une des petites est ornée d’un plafond de Francischello delle Mura : il est mieux, quoique fort maniéré».   Il viaggiatore francese si riferisce al perduto affresco dipinto da De Mura sulla volta della sala attualmente denominata di Maria Cristina, del quale riferisce, tra gli altri il Sigismondo nel 1788, che segnala la presenza dell’Allegoria di Aurora e Titone eseguita  dal maestro in collaborazione con Gaetano Magri autore delle quadrature. Cfr. P. D’ALCONZO, L’allestimento dei reali appartamenti della reggia di Napoli nel 1766, in «Dialoghi di Storia dell’arte», 8-9, 1990, p. 167 e p. 175, nota 31. []
  5. C. KNIGHT, Carteggio…, 2009, p. 1086. Un’idea della decorazione è possibile averla dai bozzetti conservati nel Pio Monte di Misericordia di Napoli, parte di un lascito testamentario dello stesso pittore all’Istituzione. In due delle quattro tele più significative il De Mura raffigura la Gloria di Casa Borbone e in altre due Aurora e Titone . L’anziano pittore, che nel palazzo aveva già decorato importanti ambienti, come la seconda anticamera , dipinta nel 1737 in occasione delle nozze del di Carlo di Borbone con Maria Amalia di Sassonia, torna a metà degli anni sessanta ancora una volta per celebrare, con la sua arte, un felice evento : le nozze del giovanissimo Ferdinando IV con Maria Carolina d’Asburgo Lorena. Cfr. V. SAVARESE , in Alla Corte di Vanvitelli…, 2009, p.146. Il Chiarini, nel suo aggiornamento alla guida del Celano racconta di un «dipinto a fresco della nostra scuola Napolitana» raffigurante «il carro dell’Aurora di Francesco de Mura, detto Fracischiello» in una delle gallerie vicine a quella decorata con Storie di Consalvo di Cordoba, erroneamente ascritte dall’autore a Belisario Corenzio, in realtà opera di Battistello Caracciolo. Giovan Battista Chiarini sottolinea che «queste antiche memorie vennero tutte rispettate dal defunto Monarca nel compiere e rinnovare la Regia». Cfr. C.CELANO – G.B.CHIARINI, Notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli, V, Napoli 1856-60, p.1589. []
  6. Nel plastico di Palazzo Reale, proveniente dalla Reggia di Caserta , l’alcova del Belvedere è riconoscibile nell’ambiente più alto, coperto dal tetto con doppio spiovente. Dal confronto con l’iconografia tardo seicentesca, appaiono chiaramente leggibili le trasformazioni : i quattro balconi – tre di prospetto e uno ad angolo – visibili nella Veduta della facciata di mare del Real Palazzo, tavola contenuta nell’album manoscritto di F. CASSIANO DE SILVA,  El Regno de Naploles anatomizado de la pluma, conservato nella Bibloteca Nazionale di Napoli, databile al 1680 circa,  diventano nove nel plastico. Sul prospetto verso il mare si contano otto aperture, di cui una cieca, mentre rimane fisso il balcone nell’angolo. Il plastico documenta, quindi, l’esistenza solo di alcuni spazi costruiti per Ferdinando negli anni sessanta, quando ancora non è stata aggiunta l’ultima camera, quella matrimoniale, che il sovrano dovrà dividere con la giovane moglie. []
  7. L’artista, quasi ottantenne, nell’agosto del 1737 aveva infatti ricevuto da Joaquin de Montealegre l’incarico di affrescare la volta dell’alcova e del gabinetto annesso, in occasione delle nozze con Maria Amalia di Sassonia. Nell’alcova Solimena «effigiò Imeneo, Ercole, la Fede e l’Unione matrimoniale, con l’Abbondanza con accompagnamento di Puttini, per alludere alle felicissime nozze de’nostri Clementissimi Regnanti». Cfr. B. DE DOMINICI, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, III, Napoli 1742-45, p.609. Dell’affresco non resta che il bozzetto, conservato nel Palazzo Reale del Pardo presso Madrid, caratterizzato da uno straordinario impeto barocco. Cfr. W. ROMANO, in Alla Corte…, 2009, p.197. Nei pressi dell’alcova di Carlo, secondo le fonti, Francesco Solimena affrescò anche la volta del gabinetto, con l’Allegoria delle Quattro parti del Mondo. Di questo dipinto resta soltanto il bozzetto conservato a Bloomington, University Art Museum. Cfr. N. SPINOSA, Pittura napoletana del Settecento : dal Barocco al Rococò, Napoli 1986, p.118, n.59,118, 119, nel quale sono rappresentati, con enfasi “neobarocca” e “neopretiana” tipiche della tarda maturità del maestro, i quattro continenti allora noti, con le relative personificazioni simboliche e, in alto il carro di Apollo. Cfr. F. PETRELLI, in Ritorno…, 2009, pp.286-287. []
  8. C. KNIGHT, Carteggio…, 2009, p.1081. Il programma iconografico per la decorazione degli ambienti privati di Ferdinando IV era già stato progettato negli anni precedenti, se, in una lettera al fratello Urbano, datata 4 luglio 1761, Luigi Vanvitelli ne rivendica la paternità: «Feci l’Idea per le Virtù e Simboli da ponersi in Arazzi nella camera del re quando si sposerà. Le ò riposte così: vicino l’alcova la Felicità, la Fecondità. Prima facciata: la Giustizia e la Pace; agruppate nella seconda facciata della camera, incontro all’alcova, tra le 3 finestre: la Piacevolezza e la Benignità; la Religione e la Virtù eroica, terza facciata; la Magnificenza e la Liberalità, quarta facciata. Nelli cantoni poi, dei putti che scherzino co’ simboli allusivi alle Virtù più vicine al sito. L’ò rimesso nelle mani del Principe di San Nicandro, perchè egli me l’ha comandato». Cfr. F. STRAZZULLO, Le lettere di Luigi Vanvitelli della Biblioteca Palatina di Caserta, vol. II, Galatina 1976-77, p.716. []
  9. N. SPINOSA, Gli arazzi del Belvedere a Palazzo Reale, in “Antologia di Belle Arti”, n° 5, 1978, pp.12 -23. []
  10. Di quest’ultimo modello esiste una replica autografa con varianti, presso il Museo di Capodimonte, con relativo bozzetto esposto presso il Museo Duca di Martina. Il bozzetto per la tela di Giaquinto comparve in anni passati sul mercato antiquario. Cfr. G. C. ASCIONE, in Alla Corte di Vanvitelli…, 2009, pp.132-134. []
  11. P. GIUSTI, La Reale Fabbrica degli Arazzi, in I Borbone di Napoli, a cura di N. Spinosa, Napoli 2009, pp.407-409. []
  12. Con la nuova lavorazione, l’arazziere lavora su di un telaio verticale, costituito da due montanti su cui vengono inseriti in alto e in basso due “curli”, ossia rulli mobili, attorno ai quali si arrotolano le estremità dei fili della catena, detta anche ordito. Questi fili, costituiti da materiali resistenti (lana, lino, canapa , cotone senza nessuna tintura), sono disposti a distanza uguale, in numero variabile da quattro a dodici per centimetro. I fili della trama sono, invece, di materiali più pregiati quali la lana fine, la seta, l’oro,l’argento, e si presentano di vari colori. Segue la separazione dei fili pari e dispari per mezzo di un’asta che li dispone su due piani distinti, detti piano di croce e piano di liccio. A questo punto vengono allacciati i “licci”, cordicelle anelliformi,  ai vari gruppi di fili, per consentire all’arazziere di manovrare facilmente il telaio: è così pronta la base su cui andare a riprodurre il cartone realizzato dal pittore. Nel telaio ad “alto liccio” l’arazziere, lavorando dietro al telaio osserva il modello riflesso in uno specchio, collocato alle sue spalle, mentre nel telaio a “basso liccio” l’arazziere osserva il modello posto al di sotto del telaio orizzontale e, per averne una visione completa, è costretto a scostare i fili della catena durante l’esecuzione. Nel telaio orizzontale l’arazziere tira i licci per mezzo di un pedale, disponendo, quindi, di entrambe le mani per la lavorazione, mentre nel telaio verticale i licci vengono spostati a mano. []
  13. N.SPINOSA, L’Arazzeria Napoletana, Napoli 1971, p.62 ; N. D’ARBITRIO, La Real Fabbrica degli arazzi di Napoli, i modelli pittorici, i cartoni, in I Trionfi di Bacco, catalogo della mostra, Caserta 2003, p.63. []
  14. La camera, che non compare nel Plastico del Palazzo, è invece chiaramente riportata in una planimetria già nell’Archivio Disegni della Soprintendenza per i Beni Architettonici, databile alla fine del Settecento, prima delle trasformazioni operate da Gaetano Genovese dopo l’incendio del 1837. Nella pianta si distingue anche la rampa di scale che dal primo livello conduce al secondo, nei gabinetti affrescati da Starace. []
  15. C. KNIGHT, Carteggio…, 2009, p. 1088. L’artista citato dal Cattaneo è Girolamo Starace Franchis (Napoli 1730 circa – 1794), pittore di formazione classicista e accademica, preferito dal Vanvitelli, nella decorazione della Reggia di Caserta, rispetto ai contemporanei di formazione ancora tardo barocca e solimenesca. []
  16. N. D’ARBITRIO ZIVIELLO, in L’arte della tessitura in Campania, Atti del Convegno, Napoli 1990, p. 36. []
  17. C. KNIGHT, Carteggio…, 2009, pp.1086-1087. []