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La collezione Castellani di oreficeria popolare italiana presso il Victoria and Albert Museum: tra collezionismo, musealizzazione e fruizione
DOI: 10.7431/RIV02092010
Sebbene studi e mostre di rilievo internazionale abbiano reso ampio merito alla maison Castellani e al ruolo della firma nella diffusione del gusto storicista nell’oreficeria del XIX secolo1, molto rimane ancora da dire sulla raccolta di ori popolari italiani che Alessandro Castellani cedeva al South Kensington Museum nel 1867. Con il presente contributo si tenta per la prima volta di far luce sul processo di acquisizione del corpus di opere e sul suo significato in relazione alla missione del museo londinese che, mutato il nome in Victoria and Albert Museum nel 1899, ancora oggi le custodisce. Si guarderà poi agli esemplari siciliani inclusi nella ricca collezione e all’identificazione dell’inedito simbolo di saggiatore delle officine di garanzia che su molti di essi ricorre.
Maestri orafi, connoisseur, antiquari, patrioti, conferenzieri, i Castellani hanno saputo conquistare il plauso del Vecchio e del Nuovo mondo anche attraverso la partecipazione costante alle esposizioni internazionali per cui si distinse l’età della Seconda rivoluzione industriale2. Tra queste, merita una menzione particolare l’Exposition Universelle del 18673: accanto alle creazioni di oreficeria archeologica per le quali la firma era nota sin dalla International Exhibition del 1862 (Figg. 1 – 2), Alessandro Castellani presentava oltre quattrocentocinquanta esemplari tra collane, orecchini, pendenti, ornamenti da testa, medaglioni e fasce battesimali, bottoni e amuleti di fattura popolare italiana, ordinati in dieci vetrine secondo criteri geografici4. Era stato il padre Fortunato Pio ad iniziare l’insolita raccolta, nell’intento di appropriarsi di quelle antichissime e nobili tecniche che nell’oreficeria popolare mostravano di sopravvivere a dispetto delle mode e delle innovazioni5. Fondatore dell’azienda nonché massimo esponente della scuola di oreficeria neoarcheologica italiana, Fortunato Pio asseriva d’aver rinvenuto il segreto della granulazione etrusca tra i maestri del centro marchigiano di Sant’Angelo in Vado e di averla poi replicata nel proprio atelier romano6. La collezione veniva poi ereditata da Alessandro insieme a parte degli interessi commerciali della firma nel 1852, anno del ritiro dagli affari del genitore7.
Sin dalle prime battute della fiera parigina, la raccolta aveva destato meraviglia e approvazione. Tra gli osservatori più attenti vi era lo Science and Art Department, il quale considerava i manufatti, al di là dello scarso valore intrinseco, un prezioso serbatoio di modelli per la più moderna produzione. Quest’organo del governo britannico aveva preparato, in accordo con le direttive dei Lords of the Committee of Council on Education, dei rapporti concernenti le diverse sezioni dell’Exposition ancora in corso. Intenzione dichiarata di tali report era indirizzare «the attention of British visitors, manufacturers, and others, to the useful novelties exhibited by various nations on the present occasion, to which it appears desirable their attention should be called»8. A proposito della collezione Castellani, si poteva leggere:
«In this interesting collection, as in the bed of a river replete with pebbles from the rocks of every age that it has traversed, we may see styles of ornament and methods of manufacture that belong to every period and people that have impressed their arts on Italy. Here may be seen ear-rings and necklaces from Neapolitan villages that are only not Greek because not found in Greek tombs; methods, perhaps Etruscan, of soldering a powder of gold that survive still in the recesses of the Apennines: filigree with the air of an antiquity that Greek or Roman might have called “indigenous”; and pearl work that looks as though it had come fresh from the Oriental hands that wrought such work in the Middle ages. Then, again, modern styles of bijoux of every date down to those of Louis XIV, Louis XV, and of our own century. Such are among the illustrations here afforded of the tenacity of life possessed by arts that are entwined with the daily habits and enshrined in the hearts of a people»9.
I saggi esibiti da Castellani avevano dunque il merito di offrirsi come una stratigrafia dell’arte orafa, in cui tecniche, modelli e motivi antichissimi convivevano, senza alcuna soluzione di continuità, accanto a più recenti fonti d’ispirazione. Varietà e gradevolezza di forme, riproducibili con relativa semplicità attraverso moderni sistemi di produzione, li rendevano inoltre particolarmente interessanti agli occhi dei British manufacturers, ai quali i report erano espressamente indirizzati.
La collezione venne acquisita dall’allora South Kensington Museum su interessamento di Henry Cole, direttore del museo e segretario dello Science and Art Department, rendendo di fatto il Victoria and Albert Museum il primo dei musei d’arte decorativa a possedere e esporre prodotti di oreficeria non aulica10. Membro della Select committee on the Paris Exhibition, Cole si riferisce per la prima volta alla collezione in data 30 maggio 1867, quando scriveva sul suo diario personale di godere dell’appoggio di John Webb, altro membro del comitato, per il suo acquisto11. Qualche giorno dopo, Cole annotava che Alessandro Castellani avrebbe ceduto loro la raccolta per £1.10012.
Il 20 giugno 1867, la House of Commons costituì la Select Committee on Paris Purchases, una commissione di diciotto membri investita del compito di consigliare acquisizioni dall’esposizione parigina «for the benefit of the Schools of Science and Art in the United Kingdom and any other means of making that Exhibition useful to the manufacturing industry of Great Britain and Ireland»13. In riferimento ai lavori del comitato si stabiliva, oltre a un tetto di spesa14, un ordine di preferenza degli esemplari di fattura straniera su quelli britannici. In un report del 23 agosto, la commissione informava d’aver scelto, in riferimento alla somma disponibile, di «spread the amount over as many sections as possible so as to secure a large number of specimens individually unimportant», curando tuttavia di ottenere «some of the higher priced specimens which would remain in the National Collection as memorials of the Exhibitions of 1867». La «collection of Italian peasant jewelry formed by Sig. Castellani» era la seconda delle quattordici acquisizioni raccomandate in ordine d’importanza15.
Nel mese di novembre, l’esposizione chiudeva i battenti e Cole era personalmente impegnato nella raccolta delle opere acquisite16. Troviamo così i monili Castellani tra le primissime entry registrate dal museo londinese nel 1868, come anche nella List of objects in the art division pubblicata alla fine dello stesso anno. Entrambe le fonti offrono una sintetica descrizione di ogni singolo item, insieme a indicazioni riguardanti materiali, luogo di raccolta, dimensioni e costo17.
Ancora nel 1868, la Arundel Society for promoting the knowledge of art pubblicava un testo corredato di dodici tavole sulla raccolta. Nelle brevi pagine d’accompagnamento alle immagini, tornano considerazioni analoghe a quelle espresse nel rapporto sulla class 36 dell’Exposition Universelle:
«And the classic types of Greece and Etruria are so obviously prevalent that several of these objects of ordinary modern production might have been excavated from the tombs of these old inhabitants of Italy. The geographical form of that country, the difficulties, physical and political, of intercommunication, and the spirit of antagonism, which, descending from such old traditions, exists in Italy to a degree of minuteness measurable by paces rather than by miles, has tended greatly to preserve local diversities of costume; and, to take an instance familiar to most travellers in Italy, the festal dress and ornaments of a woman of Albano, Frascati, or Genzano, three villages within the compass of a morning’s journey, are more clearly distinguishable than would be the Sunday garb of two distant provinces of England»18.
Il tradizionale frammentarismo politico italiano e l’arretratezza delle modalità produttive avevano avuto il merito di preservare le peculiarità locali, fatte di dialetti tradizioni e costumi, da un precoce processo di ‘globalizzazione’. Così a differenza della Gran Bretagna, ove la fabbricazione seriale aveva ridotto i costi dei manufatti ma anche appiattito ogni varietà, l’Italia continuava ad affascinare l’osservatore inglese con quel sorprendente assortimento di fogge di cui la collezione Castellani offriva una preziosa campionatura. Come nel lessico delle diverse parlate vigenti nel neonato Regno d’Italia19, anche nel vernacolo della cosiddetta peasant jewellery abbondavano le tracce di quelle dominazioni, politiche e culturali, che avevano conferito carattere specifico a ciascuna regione. L’anonimo autore del testo dell’Arundel Society non poteva non riconoscere, nei saggi d’arte orafa provenienti da Palermo, la persistenza di quell’eredità moresca che gli studi di Accascina e Di Natale hanno in seguito confermato20:
«In the panel No. 11 (Figg. 3 – 4 – 5 – 6 – 7 – 8), belonging to Sicily and Sardinia, some of the jewels, especially those of Palermo shew, engrafted on their ancient classic root, much of pendent ornament which may reasonably be supposed due to the Moorish artificers with whom, in the period of Arab domination, the metropolis must have abounded. This mingling of styles may be similarly traced in the details of the cathedral of Palermo; which, though built by the dynasty of Northmen, and strictly Gothic in its main lines has, in all its minuter features, an eastern look which clearly stamps the workmen as true countrymen of those who built in the same city the purely Oriental tower of la Zisa»21.
La collezione era talmente abbondante e ricca di esemplari della medesima tipologia, da permettere in data imprecisata il trasferimento di numerosi manufatti sotto l’egida del Circulation Department 22. Facilmente trasportabili, di dimensioni, peso e valore contenuti, gli ornamenti popolari sembravano offrirsi per loro stessa natura al programma di mostre itineranti indirizzato da quella divisione del museo alle scuole d’arte e ai musei provinciali23. Nel caso di coppie di orecchini, i pendant venivano regolarmente divisi tra le raccolte stabili del museo e quelle dinamiche, provocando alla lunga quel processo di dispersione che i registri del Department of Metalwork puntualmente documentano24. Con il suo ingresso nel Dipartimento di Circolazione, la raccolta assolveva pienamente il compito di exemplum, tecnico e estetico, rivolto dal South Kensington Museum al più ampio numero possibile di studenti, produttori e consumatori di beni industriali25.
Tra ori e argenti, la raccolta Castellani presenta trenta saggi fabbricati e/o raccolti in Sicilia. Recano il marchio di garanzia dei manufatti prodotti nell’isola tra il 1826 e il 187226 un cuore pendente da una collana di vaghi aurei e corallini, quattro orecchini ormai privi dei rispettivi pendant e due cerchi da testa27. L’unico tra questi attualmente esposto nella William and Judith Bollinger Jewellery Gallery è l’orecchino superstite di una coppia raccolta a Palermo e stimata £3,12 nel 186728 (Fig. 8). L’esemplare presenta un arioso motivo centrale a fiocco in filigrana d’oro, dal quale pende una cornice di girali con al centro una grande goccia realizzata a stampaggio. Piccole mandorle pendenti contribuiscono a impreziosirne le terminazioni. Si tratta di una tipologia, ricorrente in tutta l’isola tra la fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo, nella quale perdura la fortuna del settecentesco fiocco Sevigné29 (Fig. 9). Il gioiello presenta tutti e tre i punzoni previsti dal R.D. del 14 aprile 1826 emanato da Francesco I delle Due Sicilie: insieme alla testa di Cerere accompagnata dal numero 6 e le iniziali del fabbricante CC o GC, reca un bollo con testa di cane bracco entro ovale (Fig. 10). Per induzione e sulla scorta di considerazioni d’ordine stilistico-tipologico riguardanti il nutrito corpus di monili su cui tale punzone è stato riscontrato, Rita Vadalà ha riferito il simbolo all’amministratore delle Officine di Garanzia di Palermo succeduto a quel Matteo Serretta entrato in servizio il 3 agosto 183730. La presenza all’Exposition Universelle di opere recanti tale marchio permette oggi inoltre di considerare il 1867 un solido terminus ante quem per l’inizio dell’ufficio dell’anonimo saggiatore palermitano, nell’attesa che nuove ricerche possano restituirne il nome e offrire più precisi capisaldi cronologici per la sua opera.
Legenda
NAL: National Art Library, Londra
V&A Archive: Victoria and Albert Museum Archive, Londra
Referenze fotografiche
V&A Images/Victoria and Albert Museum (www.vam.ac.uk) per le immagini 1, 2, 4-8
Sebastiano Leta (http://www.sebastianoleta.it/ per il disegno del marchio
- G.C. MUNN, Castellani and Giuliano. Revivalist Jewellers of the Nineteenth Century, Londra 1984, indaga il rilievo del movimento in ambito anglosassone, come anche il ruolo delle due firme nella diffusione del gusto storicista. Un’importante mostra internazionale dedicata all’atelier Castellani, patrocinata dal Ministero degli Esteri della Repubblica Italiana, è Castellani and the archaeological jewelry, catalogo della mostra a cura di S. Weber Soros-S. Walker, New York 2004 (edito anche in lingua italiana). Insuperata resta G. BORDENACHE BATTAGLIA, ‘Castellani’, in Dizionario biografico degli italiani, a cura di M.G. Gajo-G. Monsagrati, Roma 1978 (ad vocem); altro fondamentale strumento che dedica il dovuto rilievo alla famiglia Castellani e alle collezioni di Alessandro e Augusto è Dizionario del gioiello italiano del XIX e XX secolo, a cura di L. Lenti-M.C. Bercesio, Torino 2005 (ad voces). [↩]
- S. WEBER SOROS, “Under the Great Canopies of Civilization”: Castellani Jewelry and Metalwork at International Exhibitions, in Castellani and the archaeological…, 2004, pp. 229-284. [↩]
- Inaugurata ufficialmente il primo aprile del 1867, si trattò della seconda di cinque fiere tenutesi a Parigi, la prima di queste a vantare per davvero un carattere internazionale. Installato nell’area degli Champs de Mars, il palazzo metallico che accolse l’evento era costituito da sei gallerie concentriche, raccordate tra loro da sedici gallerie raggianti, illuminate tutte da migliaia di globi a gas. Le zone concentriche erano assegnate a prodotti analoghi di provenienza diversa, mentre i quattordici settori raggianti dedicati ciascuno a una diversa nazione, «de manière à ce qu’en allant de l’extérieur vers le centre […] on puisse voir tous les produits d’une même pays, et qu’en parcourant une galerie circulaire on voit les produits et les machines d’une même industrie dans tous les pays» (cfr. M. GAILLARD, Paris. Les expositions universelles de 1855 à 1937, Parigi 2003, pp. 21, 22). [↩]
- S. WEBER SOROS, “Under the Great…, 2004, pp. 253-254. [↩]
- Le radici secolari della tecnologia orafa sono state ampiamente riconosciute quali frutto di esperienza e tradizione trasmesse nella prassi quotidiana delle botteghe, ove la crescita professionale dell’allievo avveniva all’ombra di un maestro detentore di antichissimi saperi. I rinvenimenti archeologici hanno contribuito a riconoscere come la lavorazione dell’oro, dell’argento e di altri materiali pregiati si fosse espressa «attraverso l’affinamento di tecniche rimaste sostanzialmente immutate per millenni» (cfr. F. GANDOLFO, Materie prime, tecniche e manufatti dell’antica oreficeria, in L’ornamento prezioso. Una raccolta di oreficeria popolare italiana ai primi del secolo, catalogo della mostra a cura di P. Ciambelli, Roma-Milano 1986, p. 24). [↩]
- ‘Granulazione’, in Dizionario del gioiello…, 2005 (ad vocem). A. CASTELLANI, Antique jewellery and its revival, Londra 1862 è il testo della conferenza che Alessandro dedicò alla riscoperta paterna del nobile procedimento. [↩]
- Alessandro Castellani era stato destinato dal padre alla carriera di mercante d’arte, mentre al secondogenito Augusto veniva affidata la prosecuzione della moderna produzione e la cura delle collezioni archeologiche che saranno poi donate allo Stato italiano nel 1919. L’incidente giovanile che costò ad Alessandro la perdita di una mano dovette precludergli la carriera di orafo, influendo così sulle scelte paterne riguardanti la successione interna all’azienda (G.C. MUNN, Castellani and Giuliano…, 1984, p. 24 e ss.). Un nominal file custodito presso l’archivio di Blythe House permette inoltre di ricostruire i rapporti intercorsi, a partire dal 1869, tra il South Kensington Museum e Alessandro Castellani in veste di art dealer (V&A Archive, MA/1/C713, nominal file: Castellani). [↩]
- Cfr. Reports on the Paris Universal Exhibition, 1867, II, a cura di Great Britain. Royal Commissioners for the Paris Universal Exhibition of 1855, Londra 1868, p. III. Pubblicati dapprima sull’“Illustrated London News” dal 6 luglio sino al 7 dicembre 1867, i report vennero rivisti dagli autori e raccolti in due volumi insieme a quelli rimasti inediti. [↩]
- Cfr. N. STORY MASKELYNE, Report on Jewellery and Precious Stones, in Reports on the Paris…, 1868, p. 610. [↩]
- La commissione dell’Esposizione Internazionale di Vienna del 1873 elogiò il museo londinese per l’acquisizione della collezione Castellani, considerata «instrumental in the advancement of the manufacture of jewelry in Great Britain». Nel 1879, anche il Museum für angewandte Kunst acquistava alcuni esemplari di oreficeria popolare da Alessandro Castellani. Dal patrimonio di questi proveniva infine la collezione di gioielli indiani acquistati nel 1884 dal Musée des Arts Décoratifs (si veda S. WEBER SOROS, “Under the Great…, 2004, pp. 257, 258, nota 139). Alessandro continuò a collezionare ori popolari anche dopo la cessione al South Kensington Museum, se riferiva a Cole, in visita al suo atelier napoletano nell’ottobre 1868, che «he was making additions to the ear-rings and other ornaments with a view of offering to S. Kensington a completion of its Italian peasant ornaments» (cfr. NAL, H. COLE, Notes of a journey to Palermo and back in October, November & December, MDCCCLXVIII. In company with the lieut. Col. Scott, R.E. by Henry Cole, secretary of the Science and Art Department and Director of the South Kensington Museum in MDCCCLXVIII, 1868, MSL/1997/2/2/7/30, r). In Italia una sistematica campagna di raccolta venne intrapresa solo nel 1911, per volere del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma. Nell’anno del primo cinquantenario del Regno d’Italia, l’istituzione curò la Mostra di Etnografia Italiana, in occasione della quale vennero presentati al grande pubblico 490 esemplari di ori e argenti popolari provenienti dalle diverse regioni italiane (P. CIAMBELLI, Una collezione di oreficeria popolare italiana ai primi del secolo, in L’ornamento prezioso…, 1986, pp. 11-18). [↩]
- NAL, H. COLE, Diary, 1867, 30 may. Ringrazio Jane Perry, esperta di oreficeria popolare e volontaria presso il Department of Metalwork del Victoria and Albert Museum, per avere incoraggiato il mio studio, rendendomi possibile la visione diretta della collezione Castellani, supportandomi in occasione dell’identificazione dei marchi e segnalando importanti documenti. Sua la monografia J. Perry, A collector’s guide to peasant silver buttons. An illustrated guide to three centuries of souvenir and peasant silver buttons from Europe, Asia and the Americas, Londra 2007. [↩]
- NAL, H. COLE, Diary…, 1867, 5 june. [↩]
- List of the objects obtained during the Paris Exhibition of 1867, by gift, loan, or purchase and now exhibited in the South Kensington Museum, a cura di Science and Art Department, Londra 1868, p. III. [↩]
- Stabilita inizialmente a £25.000, la cifra venne in seguito ridotta a £15.000 e, infine, a £5.000 per volere del presidente del Council. Il duca di Marlborough informava della sua decisione i membri della Select Committee per lettera in data al 14 agosto 1867 (ibidem, p. IV). [↩]
- Ibidem, pp. IV, V. [↩]
- NAL, H. COLE, Diary…, 1867, 4 november. [↩]
- V&A Archive, Register 1866, 1867 to 217-1868, nn° 39-1868-490-1868; List of objects in the art division, South Kensington Museum, acquired during the year 1868, arranged according to the dates of acquisition, a cura di Science and Art Department of the Committee of Council on Education, Londra 1868, pp. 3-54. Sui registri d’entrata, il 13 marzo 1868 è indicato quale data di ricezione delle opere. [↩]
- Cfr. Italian Jewellery as worn by the peasants of Italy. Collected by signor Castellani and purchased from the Paris Universal Exhibition for the South Kensington Museum, a cura di Arundel Society for promoting the knowledge of art, Londra 1868, p. 5. [↩]
- Nello stesso anno in cui la Arundel Society pubblicava il suo testo, avevano luogo in Italia i lavori della commissione per l’unificazione linguistica, conclusi con la celebre relazione “Dell’unità della lingua e dei mezzi per diffonderla” stilata da Alessandro Manzoni (B. MIGLIORINI, Storia della lingua italiana, Milano 2004, pp. 601-605). Alle «difficulties, physical and political, of intercommunication» unite allo «spirit of antagonism […] measurable by paces rather than by miles» citati dall’inglese, il giovane stato rispondeva attraverso la costruzione di un’identità artificiale di tipo innanzi tutto linguistico. Analoga operazione di accentramento, politico e culturale, può essere considerata l’adozione di un unico marchio per gli ori e gli argenti lavorati sull’intero territorio nazionale. Per effetto del R.D. del 2 maggio 1872, la testa di Italia turrita scalzava dunque tutte le bulle precedentemente in vigore nelle diverse regioni (V. DONAVER, R. DABBENE, Argenti italiani dell’800, I, Punzoni di garanzia degli Stati Italiani, Milano 1987, p. 17 e ss.). [↩]
- Di tecniche e motivi decorativi propri della produzione orafa siciliana di epoca araba e normanna tratta M. Accascina, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974, pp. 6-7. Di Natale considera retaggio di quell’epoca il gusto per la policromia e la smaltatura, vera cifra della produzione orafa siciliana (M.C. DI NATALE, Gioielli di Sicilia, Palermo 2008, p. 39), unitamente a quel “tradizionale horror vacui della cultura arabo islamica di derivazione mesopotamica […] che indelebilmente permane in Sicilia e che si tramanda nel tempo oltre l’età normanna, pur nel variare di tecniche e scelte stilistiche, trasferendo inalterate talune reminiscenze in opere lontane nei secoli” (cfr. eadem, Ars corallariorum et sculptorum coralli a Trapani, in Rosso corallo. Arti preziose della Sicilia Barocca, catalogo della mostra a cura di C. Arnaldi di Balme-S. Castronovo, Milano 2008, p. 21). [↩]
- Cfr. Italian Jewellery…, 1868, p. 7. [↩]
- La divisione itinerante del museo operò tra il 1850 e la fine degli anni Settanta quando la direzione del museo, costretta da difficoltà economiche, ne decise la chiusura (E. JAMES, The Victoria and Albert Museum. A bibliography and Exhibition Chronology, 1852-1996, Londra 1998, p. XVIII). [↩]
- Circulation Department. Its History and Scope, a cura di Victoria & Albert Museum, Londra s.d. (ma 1950), p. 3. [↩]
- Frequente, fra le pagine riguardanti gli ori della collezione Castellani, l’annotazione abbreviata «not in place» (cfr. V&A Archive, Register 1866, 1867 to 217-1868…, nn° 39-1868-490-1868, passim). I vari dipartimenti che regolano la vita del Victoria and Albert Museum nacquero contestualmente al riallestimento secondo materiali del percorso espositivo, voluto da Robert Morant nel 1908. Fu così che gli ornamenti preziosi della collezione Castellani passarono sotto la curatela diretta del Metalwork Department, al quale sono tutt’ora legati. Tale sistema subì un’ulteriore modifica all’indomani della Seconda guerra mondiale, quando in occasione di un nuovo riallestimento furono introdotti anche criteri d’ordine cronologico e geografico (R. BURTON, Vision and Accident. The story of the Victoria and Albert Museum, Londra 1999, pp. 163, 195-199). [↩]
- «It is important to be aware, in understanding the history of the [Victoria and Albert] Museum, that its educational and didactic purposes preceded the acquisition of its collections. It was to be a distinctive type of Museum, oriented towards the understanding and interpretation of the principles of design in manufactured goods, educational in the ways that the collections were displayed, and to be enjoyed by as broad an audience as possible» (cfr. dame ELIZABETH ESTEVE-COLL, in A. L. LEHMAN, B. RICHARDSON, Preface, in A Grand Design. The art of the Victoria and Albert Museum, catalogo della mostra a cura di M. Baker-B. Richardson, Londra 1997, p. 10). [↩]
- S. BARRAJA, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo. Dal XVII secolo a oggi, Milano 1996, pp. 54-57. Sentitamente ringrazio Silvano Barraja per aver voluto anticiparmi informazioni che saranno edite nell’attesa ristampa del suo volume, informazioni che corroborano la tesi qui di seguito esposta in riferimento al simbolo di anonimo saggiatore. [↩]
- Si tratta, rispettivamente, dei manufatti segnati con i codici museali 263-1868, 273-1868, 303-1868, 304-1868, 306-1868, 307-1868, 377-1868. [↩]
- Prima che la nuova galleria dei gioielli venisse inaugurata il 24 maggio 2008, gli esemplari più preziosi di oreficeria aulica occupavano le sale 91, 92 e 93 (S. Bury, Jewellery Gallery. Summary Catalogue, Londra 1982), mentre alcuni specimina della collezione Castellani si trovavano esposti all’interno della vetrina della sala 102 dedicata all’oreficeria tradizionale europea (V&A Museum, Collection Information System-CIS, < www.vam.ac.uk/cis-online/ >, ultima consultazione: 31 ottobre 2010). Degli esemplari marchiati con la testa di Cerere, l’unico a trovarsi esposto nella vetrina dedicata alla Italian peasant jewellery era il pendente cuoriforme con collana di vaghi aurei e corallini (n° 263-1868). [↩]
- M.C. DI NATALE, Il tesoro della Matrice di Sutera, in M.C. DI NATALE, M. VITELLA, Il Tesoro della Chiesa Madre di Sutera, Caltanissetta 2010, p. 18. Esemplari affini, in cui si rilevano minime varianti, si trovano custoditi presso il Museo di Arti e Tradizioni Popolari di Roma e il Santuario dell’Annunziata in Trapani (C. GUIDA, scheda n. 274, in L’ornamento prezioso…, 1986, p. 175; M.C. DI NATALE, scheda I,82a, in Il tesoro nascosto. Gioie e argenti per la Madonna di Trapani, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale-V. Abbate, Palermo 1995, p. 176). Anche gli orecchini del tesoro della chiesa Madre di Sutera si discostano leggermente per la forma, tuttavia affine, del fiocco centrale (M.V. MANCINO, scheda I,8, in M.C. DI NATALE, M. VITELLA, Il Tesoro della Chiesa…, 2010, pp. 51-52). [↩]
- Nella sua ricerca ancora inedita, la studiosa affermava d’aver potuto visionare due paia di orecchini a cerchio recanti il punzone con la testa di Cerere e quello del fabbricante identificato da iniziali PL e emblema bucranio. Da questa prima lettura deduceva come entrambi i preziosi fossero stati realizzati, in un’epoca compresa tra il 1826 e il 1872, dal medesimo orafo siciliano. Se però la bulla del saggiatore rilevata sulla prima coppia raffigurava un leone, nella seconda si trovava apposto il sigillo con testa di cane bracco entro ovale. La particolare circostanza induceva l’autrice a ritenere che il secondo marchio fosse «entrato in uso sostituendo il punzone con il leone di Matteo Serretta» (per il quale si rinvia a S. BARRAJA, I marchi degli argentieri…, 1996, p. 56), ipotizzando potesse «trattarsi di un punzone adottato dallo stesso Serretta che avrebbe dovuto mutare quello originario e di cui non si conosce allo stato attuale delle ricerche il termine dell’ufficio, o di un altro orafo nominato dopo il Serretta» (cfr. R. VADALÀ, Gioielli e “fabbricanti” in Sicilia tra Ottocento e Novecento, Tesi di Dottorato di Ricerca in Disegno Industriale, Arti Figurative ed Applicate, Università degli Studi di Palermo, tutor Maria Concetta Di Natale, coordinatore Giovanni Pasca Raymondi, A.A. 2000/2001, p. 32). [↩]