Salvatore Tornatore

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Arti decorative nella ex chiesa del collegio dei Gesuiti di Bivona

DOI: 10.7431/RIV02062010

La città di Bivona, in provincia di Agrigento, elevata a ducato nel 1554 da Carlo V, per intercessione del vicerè Giovanni De Vega1, si distinse per la forte presenza dei Gesuiti che, tra il XVI e il XVII secolo, edificarono ben due collegi con annesse chiese, valorizzando il territorio dal punto di vista economico e culturale. Ma l’elemento più significativo da rilevare è che Bivona fu l’unico centro feudale siciliano dove i Gesuiti si stanziarono, contrariamente alle scelte operate dagli stessi Padri, che privilegiarono centri demaniali medio-grandi, per lo più sulle coste o nell’immediato entroterra2. Motivi politico-economici spinsero i Gesuiti a fondare, nel 1554, il primo collegio nella parte meridionale del paese, grazie all’appoggio di donna Isabella De Vega, figlia del vicerè, sposa del duca di Bivona Pietro Luna – uno dei più potenti signori feudali della Sicilia – nonchè fervente devota di Sant’Ignazio, col quale ebbe un fitto rapporto epistolare3. Tra tutti gli Ordini religiosi presenti a Bivona, quello che ebbe un ruolo primario nella committenza artistica fu certamente la Compagnia di Gesù che, tra la fine del XVI e il XVIII secolo, diede anche un notevole impulso alla cultura e all’economia locale, attraverso l’istituzione di efficienti e apprezzate scuole secondarie4 e l’amministrazione di molte terre5.

Del primo insediamento, per cui vennero spesi almeno 13.000 scudi6, rimane solo il portale della chiesa, dedicata a S. Sebastiano, realizzato in arenaria da maestranze siciliane negli ultimi decenni del XVI secolo, forse entro il 1587, quando l’edificio risulta ultimato7. Il portale, recentemente restaurato, riproduce schemi tardo-rinascimentali e motivi decorativi manieristi (Fig. 1). L’unica opera d’arte di cui si ha notizia è il Crocifisso ligneo intagliato dallo scultore fiorentino fra Bartolomeo Tronchi, della Compagnia di Gesù, attivo in Sicilia dal 1587 al 15948.

Il Crocifisso, che probabilmente fu trasferito negli ultimi anni del Cinquecento nella nuova chiesa gesuitica di Santa Maria Maddalena, doveva essere simile a quello che oggi si trova nella chiesa del Gesù a Palermo, scolpito dal Tronchi nel 15889.

Più ampie sono invece le notizie relative al secondo collegio (e alla chiesa annessa) costruito a partire dal 1615 nella zona settentrionale, a pochi passi dal palazzo ducale e dal centro cittadino, già sede di numerosi conventi (Fig. 2). La chiesa, eretta su un precedente edificio dedicato a Santa Maria Maddalena, venne realizzata su progetto di Padre Dazio Agliata tra il 1635 e il 1660 circa10. Ha una pianta a navata unica con quattro cappelle laterali e coro semicircolare, decorata con stucchi fitomorfi bianchi e dorati, di gusto rococò (Fig. 3). In seguito all’espulsione dei Gesuiti dalla Sicilia nel 1767, la chiesa venne affidata dal vicerè al vescovo di Agrigento, Colonna Branciforti, che nel 1781, in seguito alla richiesta dell’arciprete di Bivona, Salvatore Padronaggio, la elevò a nuova Chiesa Madre, in sostituzione di quella chiaramontana, ormai in rovina11.

Numerose e interessanti sono le notizie relative agli arredi della chiesa contenute nei libri e nei vari documenti del collegio di Bivona, custoditi nel fondo “Case ex gesuitiche” dell’Archivio di Stato di Palermo. La ricerca ha permesso l’individuazione di artisti e di opere di cui esiste ancora qualche testimonianza ma nella maggior parte dei casi non si ha più alcuna traccia.

Tra la fine del Seicento e i primi decenni del Settecento numerosi artigiani e artisti bivonesi e forestieri furono chiamati dai Gesuiti per abbellire i locali del collegio e la nuova chiesa. All’interno del collegio operarono i falegnami Geronimo e Pietro Marino (1611-1617)12, mastro Geronimo Cassata (1614)13, ed i muratori Pietro Ficarra (1628)14 e Paolo La Ficarra (1663)15.

Il settore di cui si ha maggiori notizie è quello dell’intaglio ligneo, che vanta a Bivona una tradizione risalente almeno alla prima metà del XVI secolo.

Nel 1696 mastro Piero Romano, con la collaborazione del figlio, intagliò il pulpito, ancora oggi esistente (Fig. 4), collocato tra la prima e la seconda cappella a sinistra del cappellone, per la cifra di onza 1 tarì 8 e grana 1016. L’opera è documentata inoltre in un inventario del 1770, dove è specificata la presenza di un piccolo Crocifisso17. Il pulpito ligneo, fissato a parete, è composto da due elementi: un baldacchino e un parapetto. Entrambi presentano un perimetro impostato su una pianta quadrata, con gli angoli smussati e rimarcati da paraste decorate da ghirlande con motivi vegetali. I tre pannelli del parapetto, dall’andamento flessuoso, sono ornati con medaglioni a rilievo, circondati da motivi fitomorfi e volute di gusto barocco. Il baldacchino presenta i lambrecchini, simili a quelli dei baldacchini in stoffa usati per le processioni, che sovente vengono utilizzati nelle decorazioni delle macchine processionali, dei tronetti per l’esposizione eucaristica e nei tabernacoli lignei. Nella parte interna è scolpita una croce, inserita in un cornice ovale circondata da una raggiera, mentre al di sopra, nella parte esterna, si trovano quattro ampie volute, a mo’ di corona. Inoltre, nella chiesa era documentato un pulpito ligneo portatile definito “pulpitino”18, oggi perduto, realizzato nel 1696 con quattro tavole veneziane, acquistate a Palermo per 21 tarì19, e rivestito con fodere di velluto verde e di raso giallo20.

Tra il 1701 e il 1702 due maestri d’ascia, forse bivonesi, mastro Stefano D’Abela e mastro Francesco Vizzì, intagliarono la porta principale «di legno di castagno e vestita di noce con sue cornici»21. Tra il 1704 e il 1705 mastro Onofrio Vicari «maestro intagliatore»22, l’indoratore agrigentino Bartolomeo Giunta23 e lo stuccatore Simone Mancuso24, decorarono la cappella delle Reliquie, la prima a sinistra del cappellone. Questa cappella ospitava le numerose reliquie che i Gesuiti avevano ricevuto in dono nel 1557 dalla duchessa di Bivona Isabella De Luna e Vega e che furono trasferite negli ultimi anni del XVI secolo dalla chiesa del primo collegio a quella di Santa Maria Maddalena25.

Onofrio Vicari nacque a Palermo nel 1672 circa ma già nel 1702 la sua famiglia abitava ad Agrigento, dopo aver vissuto per pochi anni a Bivona26. È probabile che, durante questo breve soggiorno, i Gesuiti abbiano avuto prova della sua abilità di intagliatore e nel 1704 lo chiamarono per eseguire, nello spazio di tre mesi e quattro giorni27, opere lignee (non specificate nei documenti) nella cappella delle Reliquie, ma visto il lungo periodo è probabile che dovette intagliare un nuovo reliquiario a parete in sostituzione di quello originario, già restaurato nel 1615 da un ignoto argentiere28 e nel 1696 da mastro Salvatore Condina29. Il Vicari era specializzato nello scolpire stalli, cori, custodie, arredi per refettori, ancora oggi esistenti ad Agrigento30.

Nel 1706 l’intagliatore bivonese Geronimo Spallino realizzò quattro confessionali per 1 onza e 23 tarì31; nello stesso anno lo scultore palermitano Pietro Marabitti scolpì il tabernacolo ligneo dell’altare maggiore, per il quale furono spese onze 932. Pietro Marabitti, padre del più famoso Ignazio, risulta inserito nel Rollo Novo dei maestri d’Ascia di Palermo del 1685-1765, con la qualifica di intagliatore33. Egli appartenne ad una famiglia di artisti, la cui bottega fu attiva dapprima a Chiusa Sclafani (XVII secolo) e poi a Palermo (XVIII secolo). Forse lavorò nel Collegio Massimo dei Gesuiti di Palermo, tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo, approntando il progetto generale per l’arredo ligneo del Refettorio34. Questo confermerebbe il frequente rapporto con la committenza gesuita. Nel 1734 scolpì la statua dell’Immacolata per la Chiesa Madre di Misilmeri, recentemente restaurata35.

Un altro scultore palermitano, Andrea Bisagna, eseguì, tra il 1710 e il 1711, un Crocifisso in legno di cipresso, per la cifra di onze 8, tarì 14 e grana 6, per la cappella delle Reliquie36, poi detta anche del Cristo Spirante (Fig. 5). La relativa croce venne intagliata, nel 1711, da mastro Salvatore Condina, “maestro d’ascia”, utilizzando il legno proveniente da una delle terre di proprietà dei Padri37, Scibè (vicino Alessandria della Rocca), Santa Margherita (presso Polizzi) o Pollicia38.

Inoltre, nel 1712 vennero dati «tarì 15 al pittore per dare la vernice a sangue al Crocifisso, tarì 2.3 per mastria di 3 chiodi e un anello, tarì 6 a mastro Paolo Spallino per comprire detto Crocifisso e grana 12 per colori e colla»39. Mastro Salvatore Condina è documentato nella stessa chiesa del Collegio bivonese nel 1696 «per conciare il Reliquiario della Cappella e la Croce del SS.mo Crocifisso»40 , nel 1704 quando si impegna ad intagliare «un candilero per il cereo»41 e nel 1706 «per fare li cornici del novo tabernacolo dell’altar maggiore»42.

Il Crocifisso, detto Cristo Spirante, è raffigurato ancora vivo, con la testa retrocessa e lo sguardo rivolto al cielo «che allude al prossimo ricongiungimento della natura umana con quella divina»43. Una tensione nervosa attraversa la possente muscolatura del corpo vigoroso, dalle braccia stese fino alle gambe quasi parallele, tanto che sembra volersi staccare dalla croce. Il bacino è avvolto da uno svolazzante perizoma, tenuto da una cordicella, che lascia scoperto il fianco destro. Da notare l’accentuato realismo con cui sono sottolineate le costole, anche se mancano quegli elementi di forte patetismo che avevano caratterizzato i crocifissi realizzati in età controriformata, quali le abbondanti fuoriuscite di sangue da varie parti del corpo e in particolare dalla profonda ferita del costato, che qui è quasi assente. Questa è un’iconografia diffusasi all’interno del classicismo d’età barocca, quale si ritrova nei crocifissi di Guido Reni, per esempio in quello della chiesa di San Lorenzo in Lucina a Roma44 e di Alessandro Algardi, come quello eburneo del Museo Diocesano di Mileto45. Il Bisagna si riferisce chiaramente a prototipi di area romana, presenti nelle chiese palermitane, come denunciano la tipologia e lo stile del Crocifisso bivonese. L’opera è inserita entro una croce in stucco, da cui fuoriescono raggi dorati, mentre in alto, su un cartiglio affiancato da due testine di angeli, si legge la scritta INRI, ma fino al secolo scorso era circondato da un reliquiario ligneo settecentesco.

Altra opera affine stilisticamente al Crocifisso bivonese è il Crocifisso ligneo della Chiesa Madre di Cianciana, proveniente dalla chiesa del convento di Sant’Antonio, scolpito nei primi anni del XVIII secolo46. Andrea Bisagna, attivo tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo, è documentato a Palermo nella chiesa di Sant’Agostino dove nel 1687 intagliò le cantorie per l’organo e nel 1700 un tabernacolo e quattro puttini47. Nel 1705-1706 eseguì, insieme a Gaspare Bisagna (suo congiunto) e Nunzio Di Paola, una custodia lignea per la chiesa del Monastero di Montevergini48; tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo realizzò, con altri scultori in legno, le spalliere lignee del nuovo refettorio del Collegio Massimo dei Gesuiti al Cassaro49 e nel 1707 scolpì il modello ligneo dell’urna d’argento poi realizzata da Michele D’Agguano e da Stefano Ruvolo per la chiesa di Montevergini50. Esponente della stessa famiglia fu Gaspare, il cui cognome viene trascritto nelle varianti Pisagna o Bisagna, documentato nel 1720 nell’oratorio dei Pellegrini a Palermo, per il quale eseguì gli stalli lignei, oggi scomparsi51. Risulta interessante notare che Andrea Bisagna lavorò nella cerchia di importanti artisti palermitani quali l’architetto Giacomo Amato e il pittore Antonino Grano, esponenti di una raffinata e aggiornata cultura barocca di matrice romana, quella stessa che traspare nel Crocifisso scolpito per la chiesa gesuita di Bivona.

Infine, nel 1727 Domenico Siragusa fu l’autore di un nuovo reliquiario ligneo per l’omonima cappella52, distrutto negli anni Sessanta del secolo scorso53. Esso conteneva circa 120 reliquie, descritte minuziosamente in un inventario del 177054. Era costituito da «un tabernacolo di legno con sua chiave d’argento […], due scalini di legno dorati con suoi vetri»55 e probabilmente aveva, nella parte superiore, sei cavità disposte «a forma di ramette», cioè con terminazioni fitomorfe, all’interno delle quali erano sistemate le reliquie.

Al XVIII secolo risalgono alcuni altari lignei, citati negli inventari ma che non compaiono nei libri contabili, dalla tipologia detta “a specchi”, molto diffusa in questo secolo e di cui esistono vari esemplari in Sicilia56. L’altare della cappella della Madonna del Lume era «di legno indorato con tre scalini con diversi specchi, un tabernacolo con cristalli dorato, un palio d’altare di legno scartocciato con cristalli indorato»57, quello della cappella del Crocifisso presentava «un tabernacolo di legno […], due scalini di legno dorati con suoi vetri»58.

Esigue sono le notizie relative a opere lapidee, fatta eccezione per il portale principale della chiesa e per l’acquasantiera, ancora esistenti.

Tra il 1701 e il 1702 mastro Giuseppe Miraglia di Burgio e mastro Giuseppe Munì di Alessandria della Rocca dovettero occuparsi dell’intaglio del portale in pietra59. Il portale (Fig. 6), che si erge su una scalinata, presenta al centro un arco a tutto sesto, affiancato da lesene, poste su alti plinti, e nella parte superiore un cornicione mistilineo con timpano spezzato al vertice. Al centro compare uno scudo, sorretto da volute, entro cui era scolpito l’emblema dei Gesuiti, il monogramma JHS (Jesus Hominum Salvator), sormontato da una croce. Queste lettere furono cancellate, per disposizione sovrana, in seguito all’espulsione dalla Sicilia della Compagnia di Gesù. Il portale è privo di decorazioni e si presenta austero e solenne allo stesso tempo, richiamando modelli tardo-rinascimentali. Si segnala anche il pregevole portale del Collegio (Fig. 7), oggi sede municipale, di cui non è stato possibile rintracciare alcun documento in merito agli autori e alla datazione, ma che può essere ricondotto ad intagliatori locali della seconda metà del XVII secolo. Il portale in pietra calcarea, preceduto da una piccola scalinata, presenta un arco a tutto sesto e due paraste decorate da fasce orizzontali a bugne, che sostengono un architrave leggermente aggettante.

Sulla chiave dell’arco è incisa una croce che faceva parte dell’emblema gesuitico con il monogramma JHS, cancellato in seguito all’espulsione della Compagnia. Il portale, dall’eleganza ancora rinascimentale, rappresenta l’unico esempio di portale bugnato a Bivona e nel suo circondario e si può confrontare con altri portali dalla medesima tipologia come quello, tardo-cinquecentesco, di palazzo Sant’Isidoro a Palermo60. Ai disegni del Serlio e del Vignola e al rinascimento plateresco spagnolo si ispira la corrente che produsse i portali bugnati, che possono presentare bugne piane o lisce, dai contorni netti e dalle superfici levigate, a cuscino, formata da una superficie convessa e arrotondata, o a punta di diamante61.

L’inedita acquasantiera (Fig. 8), dalla forma semicircolare, presenta nella parte superiore una conchiglia che sembra essere di fattura recente, forse una copia di quella originale, andata perduta. La parte inferiore, il fusto, presenta in alto un motivo ad ovoli, da cui si sviluppano due grandi foglie acantiformi che lo avvolgono quasi interamente. Al centro campeggia uno scudo ovale, circondato da una raggiera, composta dall’alternanza di lance e fiamme, al cui interno era scolpito l’emblema dei Gesuiti, il monogramma JHS ora quasi illeggibile, caratterizzato, in alto, da una croce e, in basso, da tre chiodi che alludono alla Crocifissione di Cristo. Il motivo della raggiera con l’alternanza di lance e fiamme è largamente utilizzato negli ostensori del XVII secolo. Sotto l’emblema è scolpita a rilievo la testina di un angelo aggettante, che viene ripetuta più in basso. A reggere il fusto c’è un mascherone, che richiama la cultura figurativa tardo-manierista. L’acquasantiera, posta a destra dell’ingresso della Chiesa Madre, è opera di un marmoraro siciliano della fine del XVII secolo, come suggeriscono gli elementi decorativi di gusto barocco.

Ricchissimo doveva essere il patrimonio di suppellettili liturgiche d’argento oltre ad un gran numero di arredi sacri quali reliquiari argentei o in rame dorato, pianete, paliotti, candelieri, vasi e carteglorie per l’altare, di cui purtroppo non rimane che qualche esemplare. Ma all’esiguità dei manufatti artistici superstiti sopperiscono le fonti archivistiche che consentono, attraverso gli inventari, di conoscere quel patrimonio che componeva le arti decorative a Bivona. Ne sono un esempio gli inventari della chiesa del Collegio dei Gesuiti, stilati nel 1770 e nel 1807, custoditi presso l’Archivio di Stato di Palermo62. Gli inventari descrivono tutto ciò che si trovava all’interno della chiesa, in sacrestia, nel presbiterio e nelle cappelle laterali. Spesso le descrizioni delle opere sono minuziose e ci informano dei materiali utilizzati per le suppellettili liturgiche, per i tessili e per altri arredi sacri.

Tra le suppellettili liturgiche d’argento oggi custodite nella Chiesa Madre, provenienti da altre chiese di Ordini religiosi, si possono rintracciare una coppia di pissidi, in argento sbalzato e cesellato con parti fuse, di ignoto argentiere palermitano della seconda metà del XVIII secolo63 (Fig. 9). I manufatti presentano il marchio della maestranza degli argentieri di Palermo, l’aquila a volo alto, e la sigla SM66 da riferire al console Salvatore Mercurio, documentato tra l’8 Luglio 1766 e il 2 Luglio 176764. Entrambe presentano i caratteristici elementi decorativi dello stile rococò quali i motivi fitomorfi disposti a ventaglio, l’andamento strigilato del fusto e la sinuosità delle linee della base e del fusto e trovano riscontro tipologico e stilistico nella pisside della Confraternita del Porto e Riporto di Maria SS. Immacolata, di argentiere palermitano del 1755, della Basilica di S. Francesco d’Assisi di Palermo65. La coppia di pissidi potrebbe essere quella descritta nell’inventario del 1770: «In primis due Sacre pisside d’argento una grande et altra piccola»66.

Nella citata cappella delle Reliquie erano custoditi numerosi reliquiari di varie tipologie: architettonica («un ostensorio di rame giallo dorato a confalonetto con la Reliquia della Santa Spina di nostro Signore, un confalone di rame dorato pieno di diverse reliquie»), antropomorfa («due mani d’argento con due reliquie»), ad ostensorio («un ostensorio d’argento fatto a spada col velo della Madonna, un altro ostensorio d’argento con la Reliquia di S. Ignazio fatto a cilindro, un ostensorio ovale d’argento con la Reliquia della Santa Croce di nostro Signore Gesù Cristo, un altro fatto a cilindro con Reliquia di S. Lorenzo»)67. E ancora «cinque reliquiari di legno nero rotondi senza autentica» erano conservati nella detentoria della sacrestia68. Un’attenzione particolare meritano i reliquiari di Santa Rosalia, patrona di Bivona. Ne sono documentati due, di cui uno a mezzobusto contenente un osso del piede della Santa, inviato da Palermo nel 1625 dal gesuita bivonese Leonardo Romano, acquistato per 18 onze69. Tra questi gli unici reliquiari rintracciabili dovrebbero essere un «confalone di rame dorato pieno di diverse reliquie», di ignoto argentiere della metà del XVII secolo (Fig. 10) e un altro esemplare della Santa Croce in rame dorato, di ignoti maestri della fine del XVI e della fine del XVII secolo (Fig. 11). Il primo reliquiario presenta una base con quattro volute, poggianti su peducci circolari e quadrati, che si alternano a conchiglie su cui si erge il nodo, caratterizzato da tre testine di cherubini alate aggettanti. Dal nodo si sviluppano tre esili volute che sorreggono la teca reliquiaria, caratterizzata da una tipologia architettonica a mo’ di tempietto, di ispirazione rinascimentale. La struttura, dalla pianta ottagonale, presenta una base gradinata e un podio diviso in otto pannelli rettangolari al cui centro sta una cornicetta ellittica, chiusa dal vetro, dietro cui si vedono le reliquie. La parte centrale della struttura presenta vetrine più grandi decorate da cornici stilizzate e inframmezzate da colonnine che sorreggono la trabeazione, dove viene ripetuta la forma del podio.

Il reliquario culmina con una cupola semisferica, con lucernario, divisa in otto sezioni decorate con un motivo a squame di pesce. Attorno alla cupola si trova una serie di vasi sferici, poggianti su basi triangolari, che non hanno solo una funzione decorativa ma custodiscono all’interno altre reliquie. Tale tipologia trova riscontro con il reliquiario di San Paolo del Museo Diocesano di Caltanissetta, di Nibilio Gagini del 159870 e con il reliquiario del Santuario dell’Annunziata di Trapani71. Il manufatto può essere datato alla prima metà del XVII secolo poiché presenta ancora elementi tipicamente rinascimentali e più specificatamente manieristi – le decorazioni geometrizzanti del tempietto – anche se uniti a motivi barocchi come le testine angeliche aggettanti del nodo. Si tratta dunque di un’opera di transizione dalle consuete e apprezzate forme tardo manieriste a quelle nascenti del barocco. L’altro reliquiario presenta una base circolare decorata da motivi a baccelli allungati incisi che si ripetono sul fusto e sul grosso nodo ovoidale. Sul collarino posto sopra il nodo si innesta la croce, il cui perimetro è decorato da volute che circondano anche i capicroce, caratterizzati dalla presenza di testine angeliche alate, secondo il gusto barocco. Dall’incrocio dei bracci, dove è collocata una teca circolare con la reliquia, non pertinente, di Sant’Agnese, si dipartono, per ciascun lato, tre fasci di raggi. Il reliquiario non sembra omogeneo: se la base si può collocare tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo, secondo una consueta tipologia tardo rinascimentale che si riscontra nel reliquiario di Santo Stefano del Museo Diocesano di Mazara del Vallo72, la parte cruciforme andrebbe datata alla fine del XVII o agli inizi del XVIII secolo, come suggeriscono i raffronti con alcune croci in argento del Tesoro del Duomo di Monreale73 e di collezione privata a Palermo74. Tra i vari manufatti argentei acquistati dai Gesuiti presso argentieri palermitani si segnala, nel 1702, un ombrello d’argento da usare per la processione del Corpus Domini per cui furono spese ben 99 onze75.

Altra tipologia di arredo sacro largamente documentato negli inventari è il paliotto, che veniva collocato nella parte inferiore dell’altare in posizione centrale. Ammontavano a venti i paliotti conservati in sacrestia o esposti in chiesa. Quelli che ornavano gli altari delle cappelle laterali erano tutti di tela stampata, tranne quello dell’altare maggiore, di seta rossa, mentre i paliotti conservati nel riposto della sacrestia erano di vari tessuti: «d’amuel fiorato bianco con guarnizione d’oro, un altro d’amuel fiorato di diversi colori con suo gallone d’oro, un altro di velluto nero, un altro di molla ricamato di seta e d’oro, un altro di seta pitturata, un altro di seta verde con sua fascia di velluto con gallone di seta, un palio d’altare formato di cristalli»76. Nel 1807 sono documentati nella stessa chiesa gesuitica «due palii d’altare maggiore uno ricamato in oro, seta col nostro Gesù e l’altro a succo d’erba in tela col Trionfo della Fede»77. I tessuti che generalmente venivano utilizzati erano velluto, seta, damasco, taffetas, raso, con ricami in fili di seta, d’oro o d’argento. Le medesime stoffe erano impiegate anche per confezionare i paramenti sacri – di cui rimane un breve ma significativo elenco nel citato inventario settecentesco – che di solito erano composti dalle pianete, cioè le vesti esterne indossate dal sacerdote durante la Messa, dalle tonacelle, corte tuniche a mezzamanica usate dai diaconi, dai piviali, manti semicircolari utilizzati per la deposizione del Sacramento, dalle stole, lunghe striscie di stoffa dello stesso colore della pianeta e che discendono lungo il petto, dai manipoli, simili nella forma alle stole, ma di minor dimensione, portati dal celebrante sull’avambraccio sinistro, dalle borse, utilizzate per contenere il corporale, dai veli da calice, di forma quadrata, usati per coprire il calice durante la celebrazione eucaristica78.

Tra i parati sacri della chiesa del Collegio bivonese si segnalano: «una pianeta di raso ricamata d’oro e seta con sua stola, manipolo, borsa e sopracalice, tre pianete nere, due di damasco et altra di molla, altra di damasco verde, altre due violacee et altra di seta bianca, una pianeta con sua stola, manipolo, borsa, con guarnizione d’oro e sopracalice di seta rossa»79 . È verosimile che i tessuti venissero acquistati a Palermo, dove si poteva trovare una grande varietà di stoffe locali o importate, mentre la lavorazione poteva avvenire nella stessa Bivona, ad opera di abili ricamatrici private o delle suore benedettine del monastero di San Paolo, cui i Gesuiti erano legati da impegni pastorali.

Altri arredi sacri documentati che ornavano gli altari sono «10 Candilieri di legno indorati vecchi» sull’altare maggiore, « n. 36 Candelieri di legno argentati, piccoli e mezzani » nella sacrestia, «13 Candilieri, vasetti indorati n. 16, candelieri piccoli di legno n. 7 vecchi» nell’antisacrestia80 . Nel 1807 «venticinque candelieri grandi e ventiquattro vasetti» erano custoditi nella detentoria81 .

Si segnalano, inoltre, alcune opere realizzate in materiali diversi, come «un Bambino grande di cera per la festa del Gesù», una statua di Gesù deposto in cartapesta detto «Il Signore della Buona Morte», un Crocifisso di avorio «di palmo uno», un presepe con pastori di creta82 .

Della presenza gesuita nella odierna Chiesa Madre rimangono ancora miracolosamente due tele, sebbene in cattivo stato di conservazione: una nella prima cappella a destra del cappellone, raffigurante i Santi Ignazio di Loyola e Francesco Saverio, acquistata a Trapani nel 1676 e attribuibile ad un pittore di cultura fiamminga, l’altra nella seconda cappella a sinistra del cappellone, raffigurante la Madonna del Lume e documentata nel 1738, di pittore siciliano83 .

Legenda

ASPa: Archivio di Stato di Palermo

CEG: Case ex Gesuitiche

Serie II, LL

  1. A. MARRONE, Bivona città feudale, vol. I, Caltanissetta 1987, p. 152. []
  2. A.I. LIMA, Architettura e Urbanistica dei Gesuiti in Sicilia, Palermo 2001, pp. 469-471. []
  3. H. RAHNER, Ignazio di Loyola e le donne del suo tempo, Milano 1968, pp. 670-688; P. TACCHI VENTURI, Storia della Compagnia di Gesù in Italia narrata col sussidio delle fonti inedite, vol. II, Roma 1960, pp. 472-478; A. MARRONE, Storia delle Comunità Religiose e degli Edifici Sacri di Bivona, Bivona 1997, pp. 303-314. []
  4. A. MARRONE, Bivona…, 1987, pp. 274-280. []
  5. A. MARRONE, Storia delle Comunità…, 1997, pp. 303-322. []
  6. S. ALBERTI S. I., Dell’istoria della Compagnia. La Sicilia, Palermo 1702, pp. 68-73. []
  7. A.I. LIMA, Architettura…, 2001, p. 120. []
  8. G. MACALUSO S. I., Il Crocifisso Ritrovato, in “Ai Nostri Amici”, a. LXVIII, n. 2, 1997, p. 30-35. []
  9. Ibidem. []
  10. A. MARRONE, Storia delle Comunità…, 1997, pp.171-177, 314-322. []
  11. A. MARRONE, Storia delle Comunità…, 1997, pp.pp. 177-184. []
  12. ASPa, CEG, II, vol. 2, ff. 30, 34, 42, 58, 68, 82, 134. Per Pietro Marino cfr. P. PALAZZOTTO, in L. SARULLO, Dizionario degli artisti siciliani, vol. III, Scultura, a cura di B. Patera, Palermo 1994, ad vocem. []
  13. ASPa, CEG, II, vol. 2, ff. 126, 130. []
  14. ASPa, CEG, II, vol. 3, f. 190. []
  15. ASPa, CEG, LL, vol. 5, Note del P. Giuseppe Roberto Rettore sul fine del suo governo. []
  16. ASPa, CEG, II, vol. 25, f. 105 []
  17. ASPa, CEG, II, vol. I (Inventario del 5 Settembre 1770). []
  18. ASPa, CEG, LL, vol. 20, ff. 3-7. []
  19. ASPa, CEG, II, vol. 25, f. 111. []
  20. ASPa, CEG, II, vol. 1 (Inventario del 5 Settembre 1770). []
  21. ASPa, CEG, LL, vol. 5, Note del P. Giuseppe Roberto Rettore sul fine del suo governo. []
  22. ASPa, CEG, II, vol. 30, f. 110: «tarì 6.10 a magistro Onofrio Vicari lo scultore» (30 Aprile 1705); f. 123: «a mastro Onofrio Vicari, maestro intagliatore onze 5.24 in conto delli onze 10» (30 Luglio 1705). []
  23. ASPa, CEG, II, vol. 30, f. 123: «a mastro Bartolomeo Giunta di Girgente indoratore in conto come maestro indoratore 2.4» (30 Luglio 1705). []
  24. ASPa, CEG, II, vol. 29, f. 195; vol. 30, f. 93: «onze 8 a mastro Simone Mancuso in conto delli onze 22 per stucchiare la cappella dove si mettiva il reliquiario delle nostre reliquie»; «onze 4 pagati al magistro Simone Mancuso in conto del stucco della nova cappella complimento d’onze 22» (30 Dicembre 1704); f. 95: «onze 10 pagati a mastro Simone Mancuso complimento di onze 22 giusto prezzo della nova cappella stuchiata» (31 Gennaio 1705). []
  25. A. MARRONE, Storia delle Comunità…, 1997, pp. 171, 308. []
  26. B. ALESSI, Onofrio Vicari, maestro intagliatore, in “Miscellanea in onore di Mons. Can. Angelo Noto”, Agrigento 1985, pp. 39-49. []
  27. ASPa, CEG, II, vol. 30, f. 123. []
  28. ASPa, CEG, II, vol. 2, f. 152; vol. 3, f. 171. []
  29. ASPa, CEG, II, vol. 25, f. 105. []
  30. B. ALESSI, Onofrio Vicari…, in “Miscellanea…”, 1985, pp. 39-49; E. DE CASTRO, Vicari Onofrio, in L. SARULLO, Dizionario…, vol. III, Scultura, 1994, p. 346. []
  31. ASPa, CEG, II, vol. 30, f. 160: «a mastro Geronimo Spallino a conto della mastria delli novi confessionali tarì 10» (28 Febbraio 1706); f. 166: «a mastro Geronimo Spallino a conto della mastria delli novi confessionali onza 1.13» (30 Aprile 1706). []
  32. ASPa, CEG, II, vol. 30, f. 196: «a mastro Pietro Marabit in conto del tabernacolo tarì 20» (30 Settembre 1706); f. 205: «a mastro Pietro Marabit 8. 10 complimento di 9 per la mastria del novo tabernacolo all’altare del SS. Sacramento» (31 Ottobre 1706). Nel 1770 sono inoltre documentati, nella stessa chiesa gesuitica, «dui tabernacoli di legno, uno di noce incorniciato et altro di pioppo coll’affacciata indorata», custoditi nel riposto della sacrestia (ASPa, CEG, LL, vol. 1). []
  33. P. PALAZZOTTO, Per uno studio sulla maestranza dei falegnami di Palermo, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001, pp. 686, 695. []
  34. V. SCUDERI, L’arredo artistico della Chiesa e del Collegio Massimo dei Gesuiti a Palermo, in Dalla Domus Studiorum alla Biblioteca Centrale della Regione Siciliana. Il Collegio Massimo della Compagnia di Gesù a Palermo, Palermo 1995, p. 154. []
  35. A. CUCCIA, scheda III, 18, in Le Confraternite dell’Arcidiocesi di Palermo. Storia e Arte, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 1993, p. 205; G. MENDOLA, Scoperte e restauri di statue lignee, in “Kalòs”, a. XII, n. 3, 2000, pp. 6, 12. []
  36. ASPa, CEG, II, vol. 32, f. 278: «onze 3.28 pagati a mastro Andrea Bisagna a conto per fare il Crocifisso di cipresso per la Cappella» (31 Dicembre 1710); f. 290: «onze 1.25 ad Andrea Bisagna per conto del Crocifisso» (30 Aprile 1711); f. 293: «onze 1 ad Andrea Bisagna per conto del Crocifisso» (31 Maggio 1711); f. 303: «onze 1.21.6 pagati ad Andrea Bisagna per conto del Crocifisso» (31 Agosto 1711).. []
  37. ASPa, CEG, II, vol. 32, f. 290: «tarì 6 a mastro Salvatore per fare la croce nova del suddetto Crocifisso con il legno di casa» (30 Aprile 1711). []
  38. A. MARRONE, Storia delle Comunità…, 1997, pp. 320-321. []
  39. ASPa, CEG, II, vol. 32, f. 372. []
  40. ASPa, CEG, II, vol. 25, f. 105. []
  41. ASPa, CEG, II, vol. 30, f. 22 (29 Febbraio 1704). []
  42. ASPa, CEG, II, vol. 30, f. 206 (31 Ottobre 1706). []
  43. S. LA BARBERA, Iconografia del Cristo in Croce in uno scultore siciliano della Controriforma: Fra Umile da Petralia, in Francescanesimo e cultura in Sicilia (sec. XIII-XVI), atti del convegno internazionale di studi nell’ottavo centenario della nascita di S. Francesco d’Assisi, Palermo 1982, pp. 393-401. []
  44. F. NEGRI ARNOLDI, Origine e diffusione del Crocifisso barocco con l’immagine del Cristo vivente, in “Storia dell’Arte”, n. 20, 1974, p. 65. []
  45. V. SAVONA, scheda n. 32, in Opere d’arte restaurate in Calabria, a cura di A. Ceccarelli, Catanzaro 1992, pp. 68-70. []
  46. Leggiamo il nostro patrimonio artistico, a cura del Distretto scolastico n. 3-Bivona, progetto Educazione permanente, Bivona 2000, p. 106. []
  47. B. MINISTERI, La Chiesa e il Convento di S. Agostino a Palermo, premessa di M.C. Di Natale, Palermo 1994, p. 66. []
  48. G. CARDAMONE, Un cantiere palermitano dell’età barocca: la chiesa di S. Maria di Montevergini, Palermo 1991, p. 60. []
  49. M.A. RICCOBONO, Il refettorio del Collegio Massimo dei Gesuiti a Palermo, in Le arti in Sicilia nel Settecento. Studi in memoria di M. Accascina, Palermo 1985, p. 253. []
  50. G. CARDAMONE, Un cantiere…, 1991, p. 65, nota 103; V. ABBATE, Tra Palermo, Messina e Trapani: “Galanterie” strabilianti per il Duca di Cesarò, in Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2003, p. 58. []
  51. P. PALAZZOTTO, Gli Oratori di Palermo, premessa di M.C. Di Natale, Palermo 1999, pp. 55, 152. []
  52. ASPa, CEG, II, vol. 37, f. 207. []
  53. A. MARRONE, Storia delle Comunità…, 1997, p. 184. []
  54. ASPa, CEG, LL, vol. I (Inventario del 5 Settembre 1770). []
  55. ASPa, CEG, LL, vol. 20, ff. 3-7. (Inventario del 3 Settembre 1807). []
  56. M.C. RUGGIERI TRICOLI, Il teatro e l’altare. Paliotti d’architettura in Sicilia, contributi tematici di G. Bongiovanni, E. Brai, E. D’Amico, S. Di Bella, C. Filizzola, C. Laezza, L. Novara, Palermo 1992, pp. 175-178. []
  57. ASPa, CEG, II, vol. 1 (Inventario del 5 Settembre 1770); ASPa, CEG, LL, vol. 20, ff. 3-7 (Inventario 3 Settembre 1807). []
  58. ASPa, CEG, LL, vol. 20, ff. 3-7. (Inventario del 3 Settembre 1807). []
  59. ASPa, CEG, II, vol. 27, f. 172; vol. 28, ff. 101, 151, 138, 173, 187; A. MARRONE, Storia delle Comunità…, 1997, p. 176. []
  60. A. CHIRCO, Palermo. La città ritrovata: venti itinerari entro le mura, II ed., Palermo 1999, p. 138. []
  61. M. ROMANO, Il portale barocco di Siracusa, Siracusa 1992, pp. 17-18. []
  62. ASPa, CEG, serie II, vol. 1 (Inventario del 5 Settembre 1770); serie LL, vol. 20 (Inventario del 3 Settembre 1807). []
  63. M. VITELLA, scheda IV.15, in Veni Creator Spiritus, catalogo della mostra a cura di G. Ingaglio, Agrigento 2001, p. 125. []
  64. S. BARRAJA, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo dal XVII secolo ad oggi, con saggio introduttivo di M.C. Di Natale, Palermo 1996, p. 78. []
  65. M. VITELLA, scheda V,33, in Le Confraternite…, 1993, p. 245. []
  66. ASPa, CEG, LL, vol. 1 (Inventario del 5 Settembre 1770). []
  67. ASPa, CEG, LL, vol. 20, ff. 3-7. []
  68. ASPa, CEG, LL, vol. 20, ff. 3-7. []
  69. ASPa, CEG, II, vol. 3, f. 272: «al fratello Romano in conto della statua d’argento di S. Rosalia onze 18» (Ottobre 1625); ASPa, CEG, LL, vol. 20, ff. 3-7 (Inventario del 3 Settembre 1807); G. STILTINGO, Gli atti di S. Rosalia, Palermo 1879, p. 245; M.C. DI NATALE, Santa Rosalia nelle arti decorative, con contributi di P. Collura e M.C. Ruggieri Tricoli, Palermo 1991, p. 35. []
  70. M.C. DI NATALE, scheda II,28, in Ori e Argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 1989, p. 203; EADEM, Oreficeria siciliana dal Rinascimento al Barocco, e E. D’AMICO, scheda n. 35,  in Il Tesoro dell’Isola. Capolavori siciliani in argento e corallo dal XV al XVIII secolo, Catalogo della mostra a cura di S. Rizzo, Voll. I e II, Catania 2008, pp. 31-73, 805-806. []
  71. M. VITELLA, scheda n. II,9, in Il Tesoro nascosto. Gioie e argenti per la Madonna di Trapani, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale e V. Abbate, Palermo 1995, p. 198. []
  72. M. VITELLA, scheda 9, in M. C. DI NATALE, Il Tesoro dei Vescovi nel Museo Diocesano di Mazara del Vallo, catalogo delle opere a cura di P. Allegra e M. Vitella, Marsala 1993, p. 98. []
  73. M. VITELLA, schede 115-116, in Splendori…, 2001, pp. 434-435. []
  74. M.C. DI NATALE, scheda II,126, in Ori e argenti…, 1989, p. 271. []
  75. ASPa, CEG, II, vol. 28, f. 184. []
  76. ASPa, CEG, LL, vol. 1 (Inventario del 5 Settembre 1770). []
  77. ASPa, CEG, LL, vol. 20, ff. 3-7 (Inventario 3 Settembre 1807). []
  78. G. INGAGLIO, Glossario terminologico-liturgico, in Veni Creator…, 2001, pp. 145-146. []
  79. ASPa, CEG, II, vol. 1 (Inventario del 5 Settembre 1770). []
  80. ASPa, CEG, LL, vol. 1. []
  81. ASPa, CEG, LL, vol. 20, ff. 3-7). []
  82. ASPa, CEG, LL, vol. 1. []
  83. A. MARRONE, Storia delle Comunità…, 1997, pp. 173, 176. []