giovanna.baldissin.molli@unipd.it
Conti del sarto e spese per nozze in casa Buzzaccarini a Padova (1486)
DOI: 10.7431/RIV02032010
I conti per le vesti e le spese diverse per le nozze che si rendono qui noti vanno collocati sullo sfondo più ampio dell’indagine sui beni di lusso nel Quattrocento in area veneta. Come è ben noto questo ambito tocca, oltre che approfondimenti su eccellenze d’arte e fecondi incroci di tecniche diverse, anche temi di rilevante interesse di storia sociale, relativi in particolare a un sistema che costituì un pilastro dell’organizzazione giuridica familiare dei secoli passati, quello della dote. In tal senso, e nella disperante assenza di pezzi originali, la ricerca nel Fondo Notarile dell’Archivio di Stato di Padova premia di frequente con trouvaille di particolare interesse, come è stato in questo caso. Si tratta, come spiegherò meglio, di un conto che Bernardo Buzzaccarini, zio di Margarita e Buzzaccarina, orfane di Buzzaccarino (fratello di Bernardo), presenta al padre Arcoano. Questi aveva incaricato Bernardo di mettere insieme i beni parafernali delle due giovani, compito che Bernardo assolse con la puntigliosità e la precisione che ci si aspetta da un giurista, e di rango quale egli fu: dunque le singole spese sono annotate con una analiticità che fino a ora non ho mai riscontrato.
Abbiamo a disposizione diverse informazioni sui beni di lusso dei ricchi padovani1, grazie a puntigliose descrizioni di notai, che esaminano una cintura, un abito o un gioiello, specificano il tessuto, il colore, la montatura delle gemme, annotano la presenza di bordi incassati, di ricche maniche, di pietre preziose, di ricami in filo d’oro e d’argento, di gemme sciolte o incastonate su fermaglietti e anelli. Possiedono questi beni, in modo differenziato, docenti universitari e nobili di antiche simpatie carraresi, prostitute, ricchi tintori ed esponenti del mondo artigiano che con il loro lavoro sono riusciti a salire qualche gradino della scala sociale. L’apparenza diventa la sostanza: l’abito e i gioielli dichiarano uno status, sanciscono l’appartenenza a un ceto e insieme sono tesori familiari, investimenti sicuri, sorta di denaro contante per acquistare case e campi, per costituire la dote, per garantire prestiti a usura più o meno mascherata: fornai, ebrei, pescatori, famiglie nobili cadute in disgrazia, banchieri toscani e padovani, imprenditori veneziani, tutti trafficano, impegnano, vendono, acquistano, lasciano in eredità. Così inventari di beni di chi morì intestato, divisioni di patrimoni familiari, liti, accordi, spartizioni, risultano tutti preziosi per indagare sul complesso dei beni suntuari della Padova quattrocentesca. In più, nel caso degli accordi dotali, compare una sorta di accentuazione del bene di lusso in quanto la circostanza del matrimonio –che tante cose poteva essere fuorché un’unione motivata da sentimenti e progetti di vita condivisi dalla nuova coppia- era l’occasione migliore per esibire potere economico e sociale, stili di vita, alleanze familiari e via dicendo.
Così anche la più modesta giovinetta del contado di Padova nel giorno delle nozze non era priva di una cintura fino a un certo punto di qualificata sostanza ornamentale di pregio: di velluto rosso, con le estremità d’argento e una serie di piccoli elementi d’argento (passeti), abbastanza simili ai bottoni (botoni, peroli, coppeliti, pressure, dindole, queste ultime fissate solo in un punto alla veste e oscillanti con l’incedere della persona). Ornate di fiocchi, di rosari pendenti, di piccole borse ove i convenuti per la festa matrimoniale lasciavano cadere qualche moneta, in buona parte le cinture padovane del terzo quarto del Quattrocento uscirono dalla bottega di Fioravante orefice di Martino: vero e sagace imprenditore del wedding, che forniva biancheria da letto, cinture d’oro e d’argento decorate a niello, bottoni d’argento a peso, braccia di bordi ornati per le vesti e cofani. Contenuto e contenitore erano disponibili nella stessa bottega, con il versamento di un acconto e il saldo fissato generalmente a Pasqua o alla festa della padovana Giustina (7 ottobre), protomartire locale, giovane, bella, di schiatta illustre, forzata a un matrimonio non voluto, torturata, sorridente, uccisa, santa e titolare della monumentale basilica, già annessa al complesso benedettino di illustre e lunga storia2.
Qualche altra parola infine, aiuta a circoscrivere la fisionomia dei Buzzaccarini, protagonisti dell’affaire cui si accennava. Un aspetto apparentemente singolare della ricerca sui beni di lusso padovani è costituito dal dato dei proprietari di quei beni. L’evidenza documentaria fino a ora nota orienta a ritenere che il lusso delle vesti e dei gioielli fosse appannaggio soprattutto dei docenti universitari e tale forte carica di rappresentanza e di autoconsapevolezza, chiaro portato dell’esibizione di manufatti di alto pregio, diventa comprensibile quando sia contestualizzata nella situazione politica della città. Il Quattrocento fu un secolo duro e difficile per Padova: la città che aveva conosciuto autonomia, ricchezza, vivacità culturale di rango primario nel corso della signoria dei Carraresi nel Trecento, a partire dal 1405 divenne parte del Dominio di Terra veneziano. E fu, come tutti i centri della Terraferma veneta, sottoposta al duro giogo della Serenissima, sfruttata, tassata e privata dell’orgoglioso passato e delle sue memorie. Padova umiliata, riottosa, maldisposta, mantenne in due caposaldi la sua identità e la sua grandezza: la basilica del Santo e l’Università degli Studi, da Venezia riconosciuta come unica università del Dominio veneto, dove i Padovani accedevano ai gradi della cultura accademica accanto ai patrizi veneziani –futuri loro podestà, capitani e vescovi- e a quanti, dall’Europa intera, sceglievano le facoltà giurista o artista dello Studium patavino per la loro formazione. Sicché l’università fu un elemento di compensazione per una categoria di cittadini che si riconoscevano nei sentimenti condivisi della mortificazione degli interessi politici ed economici e dell’insicurezza del futuro, costituendo invece lo Studium il campo aperto dell’attività dove era possibile l’esercizio del prestigio3.
La nobiltà padovana di indomita fede carrarese fu stroncata da Venezia con spicci sistemi di pena capitale e di confisca dei beni, di frequente messi all’asta e acquistati da famiglie patrizie veneziane. Così, non di rado, si constata nel Quattrocento una scelta di vita volutamente di basso profilo da parte della nobiltà locale, bisognosa di salvare, prima e oltre che i beni, la pelle. Protagonista dei nostri documenti è appunto una di queste prestigiose famiglie, antiche e insediate su un alto scranno tra le nobili di Padova, sancito nel Trecento da una stretta parentela con i signori da Carrara.
Di origini incerte, nel Duecento i Buzzaccarini4 si affacciano sulla scena pubblica con un personaggio di rilievo, Salione – nome ricorrente, come Arcoano e Pataro – magister canonicus, studioso di astrologia, traduttore dal greco e dall’ebraico, in movimento tra Toledo e la Polonia. Il fratello Ugerio fu a Padova professore di diritto, dando origine a una tradizione familiare di studi che continuerà per secoli. Nel Duecento e nel Trecento i Buzzaccarini ricoprirono incarichi politici in diverse città, come rectores, podestà, capitani del popolo, vicari, con una ascesa sociale legata senz’altro all’attività di giuristi e insieme a quella –assai meno paludata e senz’altro più conveniente – di prestatori di denaro, che si tradusse nel possesso di vasti fondi nel territorio, soprattutto nella zona del Piovese, a sud di Padova e sul piano sociale nel matrimonio di Fina di Pataro Buzzaccarini con Francesco il Vecchio da Carrara, signore della città, l’amico di Petrarca che gli offrì la casa di Arquà, ultima dimora del poeta.
La casa d’abitazione nobiliare dei Buzzaccarini era a Sant’Urbano, grosso modo tra il duomo e le piazze, nel cuore della Padova comunale e signorile, ed era un edificio importante, già ricordato dai cronisti medioevali e in questo palazzo, di cui non rimane traccia, si svolsero le trattative che qui si rendono note.
L’ammontare della dote costituisce un chiaro indicatore delle sostanze familiari e la sua definizione era parte di una trattativa garantita e fissata dall’autorità del notaio. Per quel periodo una buona dote, già di un certo rilievo, si aggirava sui 500 ducati. Apprendiamo dalle carte che le due giovani, Margarita e Buzzaccarina, avevano ciascuna una dote di 1300 ducati: un affare insomma per chi le impalmò, di cui fra breve qualcosa si dirà. Qualche altra carta convalida l’idea che in casa Buzzaccarini le cifre correnti avevano diversi zeri.
Intanto anche Bernardo di Arcoano si era sposato bene e la moglie Taddea Dottori gli aveva recato una dote cospicua. Il 30 marzo 1479, in casa Buzzaccarini, sono presenti i nobili Alessandro e Daniele Dottori del fu Gregorio. Costoro avevano promesso il 16 gennaio 1475 di versare ad Arcoano, come resto della dote della sorella Taddea, sposa di Bernardo, 800 ducati da pagarsi in quattro anni. Poiché il tempo è scaduto ed erano stati versati solo 300 ducati, i Buzzaccarini concedono altri 5 anni, durante i quali essi percepiranno i livelli su 40 campi a Piove di Sacco come alimenti e interesse sulla dote. Passati i 5 anni, se i Dottori non avessero pagato, i 40 campi sarebbero stati venduti. I Dottori intanto consegnavano la parte dei beni parafernali che dovevano dare per 200 ducati (oltre gli 800), tra cui erano 8 braccia di panno cardinalesco a ducati 2 il braccio; panno morello da metter da pe’ e per lo friso e rechamo di una veste, ducati 26, l. 4, s. 8; un’altra investitura gardinalesca con manege d’oro riza (sic) e con le pianete che xe a la sarza celestina con el rechamo ala dita investitura per la bella somma di 17 ducati5. Il termine padovano quattro-cinquecentesco per la veste –in realtà la sopravveste- è investitura (investidura), che può essere di panno o seta in varie formulazioni di pregio (damaschi, rasi, zetanini, velluti) generalmente rossa, paonazza, verde, qualche volta celeste ed è dotata di punti sartoriali precisi di massima decoratività: le maniche ovviamente (di tessuto, colore e lavorazione diversa), lo scollo, il corsetto, il bordo inferiore. Non di rado è foderata (sufulta) di pellicce pregiate, come la volpe, il lupo cerviero, la vietatissima martora, l’ermellino e quasi sempre è fulcita, ornata cioè, di elementi d’argento, oppure ricami, o bordi incassati, o sorta di passamanerie con fili d’oro e d’argento.
Arcoano aveva avuto diversi figli, tra cui Buzzaccarino che gli premorì. Fu pertanto cura del nonno provvedere alla dote delle due nipoti. Nel testamento del 9 febbraio 1484, dettato nella sua camera nella casa d’abitazione a Sant’Urbano, alla presenza di diversi testimoni, tra cui due monaci, Antonio da Fabriano cartolaro, Federico Da Vigonza, il conte Lionello Sambonifacio e Giacomo da Prata orefice, tra le altre cose dispose di lasciare alla Margarita fiola fu Buzacharin per la sua dota ducati 1000 e ducati 300 de fornimenti; alla Buzacharina fiola fu Buzacharin per la sua dota ducati 1000 e ducati 300 de fornimenti 6.
Doveva essere un certo lavoro combinare insieme i beni parafernali per le due giovani spose e per questo incarico Arcoano si affidò al figlio Bernardo che stese un conto preciso delle spese, adottando un paio di criteri per noi illuminanti circa i costi dei beni e i loro reciproci rapporti. L’ammontare della spesa era di rilievo, assommando a lire 4209; tuttavia una parte del debito, e cioè lire 3190 e soldi 13 era stata coperta con rendite fondiarie. Bernardo risultava creditore del padre per il rimanente, cioè per lire 1018 e soldi 7. La spesa era stata sostenuta in parte con denaro di Bernardo stesso e in parte con somme prestate da amici. Intanto capiamo che la moneta adottata è il “ducatino”, che ha un rapporto preciso di equivalenza con la lira: un ducato vale dunque lire 6 e soldi 4. Quando annota il valore dei beni più cospicui egli nota sia il valore in ducati che l’equivalenza in lire e soldi7, ma soprattutto scinde in modo preciso le diverse spese ricadenti sullo stesso bene. Prendiamo a esempio una investidura di Buzzaccarina, costata lire 75 e soldi 8 di raso verde (braccia 14 ½); una lira e 2 soldi di tela verde; lire 31 per broccato d’argento per le maniche; lire 8 per un sorafil d’oro; 3 ducati per cordele da valenzana per le maniche, per un totale di oltre 23 ducati: che non è una cifra da poco! A questa somma inoltre, che si riferisce alla materia prima, vanno aggiunte lire 6 e soldi 4, cioè un altro ducato, per la fatura de la investidura.
Il caso di un’altra veste, ancora di Buzzaccarina: lire 44 e soldi 3 di panno celeste; ducati 2 ½ di restagno d’argento per i cassi della veste; 4 soldi per altro panno; ducati 4 ½ per cordele da manege; 1 lira una per panno bianco da frappe; soldi 7 per far frappare il panno; ducati 6 ½ di restagno d’argento per le maniche; 1 lira per cortina d’oro per meter ali cassi; lire 13 e soldi 8 per maiete d’argento; lire 8 e soldi 6 di un soprafillo per un totale di oltre 24 ducati. Ancora poco in confronto ai 36 ducati spesi per 15 braccia di tessuto cremexin, acquistato a Venezia e destinato a una investidura di Margarita, che quindi, nel complesso delle spese, – non riesco a individuarle con sicurezza nel prosieguo dell’elenco – probabilmente sarebbe costata oltre 40 ducati. Non da poco fu inoltre la spesa per una dreza destinata ancora a Margarita: un totale di 21 ducati e pochi spiccioli, fra l’acconciatura e le cordele –da intendersi come nastri o passamanerie- che intrecciati ai capelli, veri e fittizi, avrebbero ornato la testa della giovane, secondo quella guisa di eleganza e raffinatezza ancora derivate dalla moda borgognona, oltre che qualificato il capo della giovane come “antenna sensibile” di segnali ben precisi di censo e raffinatezza8.
Probabilmente l’elenco delle spese fu costruito in successione cronologica e non riesco a riunire gli esborsi per lo stesso manufatto, tranne che nei casi citati. Ma qualche altra considerazione è possibile farla. Intanto la parte più cospicua delle spese è relativa all’acquisto dei tessili, in particolare dei tessili con fili in metallo prezioso (restagno d’oro e d’argento). Nelle vesti inoltre il massimo del lusso si concentra nelle maniche, come è ben noto, e nell’acconciatura del capo. Per pagare gli esecutori dei capi i denari sono veramente pochi: 6 lire e 4 soldi per la fattura di una veste; 2 lire e 10 soldi per una veste di cotone (banbasina); 7 soldi appena per far frappare un panno, con ogni probabilità destinato alle maniche.
Da un lato la lista delle spese non ci offre informazioni sui gioielli e sulle preziose cinture che senz’altro non mancarono nel corredo di Margarita e Buzzaccarina, come pure gli anelli, i fermaglietti e forse un libro di preghiere miniato, oltre a cose di più immediata utilità, come la biancheria da letto e da tavola con i bordi decorati, le argenterie, le confettiere, le corde da preghiera in ambra o corallo, o forse d’argento, magari nella forma più alla page e recente del rosario. Non mancano tuttavia annotazioni circa l’acquisto e la manifattura di beni per la casa. Due ancone di gesso sono costate poco (lire 2), e maggiore è stato l’esborso per farne dorare e incorniciare una (lire 11 e soldi 8); Margarita, cui era destina l’immagine, aveva anche uno specchio dorato e dorato era anche il restelo, costato lire 24 e soldi 16: più di 8 ducati. Manciate di ducati erano costati i tapedi, drappi destinati a diversi usi, per coprire i mobili o a mo’ di coperta, e poco più di 2 ducati erano stati spesi per due bacini, di cui non conosciamo il materiale. Una buona cifra (ducati 18) erano invece costate le casse dorate di Buzzaccarina, con l’aggiunta di altre 3 lire per le serrature e altri 6 ducati infine era costata una coltelliera di argento (cioè un set di posate), compresa la custodia.
Come tutti gli inventari anche questo costituisce un campionario lessicale che in parte conferma la terminologia già nota, e in parte offre nuovi termini di comprensione, almeno per me, non facile. Per la prima volta, nella documentazione padovana del Quattrocento, trovo citato il restelo (uno per Margarita e uno per Buzzaccarina, dello stesso prezzo), che richiama quel prezioso e celebre esemplare ornato da tavolette di Bellini, uniche superstiti del piccolo complesso. E’ ben noto il testamento del pittore veneziano Vincenzo Catena, allievo di Giovanni Bellini, che dispose il dono ad Antonio di Alvise de Marsilio del suo restelo de nogera chon zette figurete dentro depinte di mano de misser Zuan Belino (25 novembre 1525): si tratta di un mobiletto, in sostanza costituito da uno specchio incorniciato e provvisto di una mensola con pioli e di una cornice, probabilmente da incassarsi nel muro, variamente ornato, oppure dipinto, ad uso di toilette femminile9. Apax sono per ora la dreza a cartolina, il paro de veludo da coldavera, gli stavion per le maniche, la coda e sedola (una per Margarita e una per Buzzaccarina), il raso de pel de lion 10.
Qualche altro documento dello stesso faldone mostra come i beni citati nella lista di Bernardo siano stati effettivamente consegnati ai mariti e come venisse pagato in denaro contante una parte dell’ammontare totale dei beni (doc. 2-7).
Un ultimo aspetto infine: i mariti, le cui famiglie di appartenenza apprendiamo dalla lista delle spese di Bernardo. Ecco dunque Ruggero Cortusi, marito di Margarita e Giacomo Lion, consorte di Buzzaccarina, personaggi di lignaggio antico e rampolli di ragguardevoli famiglie. Cominciamo col primo, Ruggero di Giovanni di Ludovico Cortusi, celebre quest’ ultimo per gli studi giuridici e i vasti interessi culturali. Di Ruggero (il Guglielmo nominato nell’inventario dovrebbe essere un suo fratello), dottore in diritto civile e canonico, come documentano gli Acta graduum, conosciamo molto, in quanto è pervenuto un suo prezioso “libro di famiglia”11. Si tratta di un esempio veneto, raro, ma non unico, di quelle registrazioni familiari –più note e studiate per l’ambito fiorentino- che riportano gli avvenimenti più significativi sulla famiglia stessa, la cerchia parentale, gli avvenimenti esterni, le frequentazioni, e gli intrecci diversi con cui la vita provvede ad animare –o a devastare- il nostro tempo sulla terra. Ruggero Cortusi registrò debitamente la data del suo matrimonio con Margarita, il 10 gennaio 1485, e l’ammontare perspicuo della dote, ma dobbiamo spingerci più in là con gli anni per trovare Ruggero coinvolto,e a causa del cognato Giacomo di Antonio Lion, nella drammatica temperie della guerra scatenata dalla lega di Cambrai contro Venezia.
E’ noto che la nobiltà padovana a metà del 1509, dopo la disfatta di Agnadello, tentò la carta dell’impero, favorendo la presa di possesso di Leonardo Trissino, in nome dell’imperatore, nella speranza di scrollarsi dal dominio veneziano. Questa magnifica Repubblica di Padova durò meno di un mese e mezzo e la riconquista da parte della Serenissima significò un prezzo da pagare altissimo e lungo in termini di guerre, bombardamenti, saccheggi e confische e condanne alla pena capitale12. I Cortusi non erano invisi al governo veneto, ma il provvedimento contro Ruggero (la chiamata a Venezia, la prigione e l’esilio in laguna fino al 1517), trovò la sua ragion d’essere proprio nel rapporto di parentela con il ribelle Giacomo di Antonio Lion, marito di Buzzaccarina e suo cognato. Come è stato evidenziato, lo schema adottato dai veneziani per colpire i ribelli fu quello della parentela familiare. Lo si scorge con facilità scorrendo le liste dei condannati, a vario titolo. Taluni personaggi, colpiti dalla mano pesantissima di Venezia, forse non effettuarono mai la scelta consapevole di uno schieramento filoimperiale, ma ebbero un involontario coinvolgimento per la parentela con un ribelle13. Così fu il caso di Beolco e Guidotti, rispetto al ribelle Antonio Francesco Dottori, così fu il caso di Ruggero Cortusi rispetto a Giacomo di Antonio Lion, uno dei quattro padovani condannati alla pena capitale. In verità Ruggero Cortusi diede una mano alla mala sorte, e qui la tragedia trascolora nella farsa, come apprendiamo dalla relazione di Bartolomeo Spadazin, capitano ad vetitia in Padova, che fornì l’elenco degli esiliati con notizie su di essi. Secondo le informazioni di Spadazin, Cortusi
Fu lincetiado e mandato de qui per esser cugnado de Jacomo dal Lion, et però, come suspecto mandato de qui, perché quando la Illustrissima Signoria nostra intrò in Padoa era sula fenestra de casa sua in Strà, et lui Spadazin a cavallo cum li schiavoni andavano a tuor la piaza, li trete una colonella, digando gran villania et rebelazo dela sacra Maestà, ita che quasi lo amazò cum quella colonella esso Spadazin14.
Centrare la testa del comandante veneziano con una colonella, con strepito, villania e rebelazo contro la Dominante non era gesto su cui esercitare la clemenza, e in quel momento ancora meno che in altri. Eppure sembra aver contato di più, nella condanna di Ruggero, la parentela con Giacomo Lion. Questi era stato un personaggio di rilievo in città, impegnato nella gestione della cosa pubblica come deputato ad utilia a diverse riprese, deputato ad ecclesias, sindaco degli ufficiali e conservatore di entrambi i Monti di Pietà. La compromissione di Lion con gli imperiali –che gli costò la vita- fu totale e di palese evidenza: probabilmente colto e versato nelle lettere egli era stato scelto per pronunciare l’orazione davanti a Massimiliano imperatore15.
I Lion padovani sono diversi, suddivisi in più rami, con nomi ricorrenti, come Lionello o Francesco, che rendono l’individuazione dei personaggi difficile e incerta. Non ho dunque per ora la completa sicurezza, ma il sospetto che nella genalogia di questo Giacomo di Antonio possa spuntare qualcosa di interessante.
Indagando sulla presenza di Donatello a Padova e sul suo capolavoro equestre –oggi sorta di logo della città nel mondo- ho cercato di capire e districare la vita di Erasmo da Narni, detto Gattamelata, titolare del monumento che fu, con tutta probabilità, il motivo per cui Donatello arrivò (meglio: fu mandato da Cosimo de’ Medici) a Padova. Il condottiero era morto nel 1443, non prima di impiantare una specie di piccola corte e di stabilizzare l’insediamento padovano mediante legami familiari, in cui ebbero conto e forza alcuni rapporti con la nobiltà veneziana, grazie ai quali gli fu possibile abitare in un’ala del palazzo di proprietà di un Bartolomeo Lion in contrada del Duomo, da questi lasciato alle figlie Luca (sic!) e Anna. Sappiamo per certo che Gentile da Leonessa, parente di Giacoma da Leonessa (moglie e vedova di Erasmo e determinata reggente della famiglia gattesca), fece sposare almeno due figlie con due fratelli Lion, di un altro ramo: Milla sposò Francesco di Lionello e Battistina sposò Antonio di Lionello. Ho dunque il sospetto che il nostro Giacomo di Antonio sia figlio dell’Antonio imparentato con i Gatteschi. Erasmo aveva avuto diverse figlie femmine e solo un figlio maschio, che premorì alla madre, e che aveva generato una sola figlia, illegittima. La piccola Caterina fu poi dalla nonna riconosciuta e fatta sposare a un Dotti.
I legami padovani dei Gatteschi si fecero quindi saldi grazie ai da Leonessa, che si imparentarono con i Lion. Lionello, consuocero di Gentile –che fu il successore di Erasmo alla testa dell’esercito veneziano- figura nei diversi testamenti e codicilli di Giacoma da Leonessa come uomo di fiducia della famiglia. Se qualche altro documento confermerà che egli fu il nonno di Antonio e il bisnonno di Giacomo, marito di Buzzaccarina, potremmo affermare che da una salda e tenace lealtà alla Dominante, propria della casa gattesca, l’equilibrio politico e la scelta di campo erano diventati di segno contrario dopo una cinquantina d’anni nella figura di Giacomo16.
Appendice dei documenti
1. A.S.Pd, AN, 3389, f. 347r-v
1486, ottobre 6. Conto de mi, Bernardo Buzacarin de denari spesi per messer Archoan mio padre.
Primo de’ dar el dito messer Archoan le qual esborsai a Gugelmo de i Cortusi per nome de messer Rugero per parte de dota, ducati sexanta (lire 372);
item de’ dar per braza quindexe cremesin per una investidura de la Margarita, fo comprà a Venezia, ducati 36, grossi 9 (lire 225);
item de’ dar per una dreza a cartolina senza cordele, lire 74, soldi 8;
item de’ dar per le cordele de dita dreza de Margarita lire 51, soldi 14;
item de’ dar per una treza senza cordele per Buzacharina, lire 68, soldi 14;
item de dar per le cordele de dite dreza, lire 5 soldi 4;
item de dar per quarti sie restagno d’oro per Margarita, lire 29 soldi 4;
item per quarti tri rassi alexandrin per manege per Buzacharina lire 4 soldi 13;
item per braza quatordeze e mezo de raso verde per una investidura per Buzacharina, lire 75 soldi 8;
item per tela verde da meter soto dita investidura, lire 1, soldi 2;
item de’ dar per dui brazi e mezo de brochà e arzento per manege de dita investidura, lire 31, soldi 0;
item per uno soprafilo d’oro per dita investidura, lire 8, soldi 0;
item de’ dar per cordele da valenzana per meter ale manege de dita investidura, ducati 3 (lire 18, soldi 12);
item per un paro de veludo da coldavera per Buzacharina, lire 6, soldi 10;
item de’ dar per cordele da manege e agli stavion per mettere a dite manege, lire 4 soldi 10;
item per cordele d’oro per metere ale manege de raso alexandrin per Buzacharina, lire 2, soldi 10;
item per fatura de la investidura de Margarita, lire 2, soldi 10;
item per fatura de la investidura de dalmaschin verde de Buzacharina, lire 6, soldi 4;
item per bambasina per una investidura per Buzacharina, lire 12, soldi 0;
item per fatura de far dita banbasina per Buzacharina, lire 2 soldi 10;
item per tela de do cape, una per Margarita, l’altra per Buzacharina, lire 8 soldi 4;
item per uno soprafilo de arzento per Buzacharina, lire 6 soldi 4;
item per uno cotolo per portar soto la investidura per Buzacharina, lire 3 soldi 0;
item per una coda e sedola per Buzacharina, lire 5 soldi 0;
item per tela per una traversa per Margarita, lire 10 soldi 0;
item per pelle da far una peliza per Margarita lire 8 soldi 0;
item doe anchone de zezo per Buzacharina e Margarita lire 2 soldi 0;
item per far incasar e dorà una anchona per Margarita, lire XI soldi 8;
item per uno spechio e farlo indorar per Margarita, lire 6 soldi 18;
item per uno restelo e farlo indorar per Margarita, lire 24 soldi 16;
item per raso de pel de lion da meter ala investidura de Buzacharina, lire 4 soldi 0;
item per pano celesto per una investidura per Buzacharina, lire 44 soldi 3;
item per braza doa tela rosa e saio uno de seda rosa per Buzacharina, lire 0 soldi 14;
item per braza quindeze dalmaschin verde per una investidura per Margharita in tuto lire 108 soldi 10;
item per parte de dota contai a messer Jacomo da Lion come se contien nel li acti de ser Marchior Lovato, ducati 50 (lire 310);
item per parte de dota de Margarita contai a messer Ruzier come appar ne li acti de ser Marchior, ducati 100 (lire 620);
item per contadi a messer Iacomo Da Lion per parte de dota de Buzzaccharina, ut in actis de ser Marchior, ducati 200 (lire 1240);
item de’ dar per una sediola con la coda per Margarita, lire 5 soldi 0;
item per due tapedi dalmaschin per Margarita ducati 7 (lire 43, soldi 8);
item per due bazzini, uno da cavo, l’altro da tavola per Margarita, lire 12, soldi 8;
item per tapedi dui per Buzzaccharina ducati 6 (lire 37, soldi 4);
item per uno terzo de restagno d’arzento per cassi et la investidura celesta de Buzzaccharina, ducati 2 ½ (lire 15, soldi 20);
item per uno soprafillo per ditta investidura de Buzacharina, lire 8, soldi 6;
item per altri dui terzi de pano per meter da pe’ a dita investidura lire 0 soldi 4;
item de’ dar per cordele da manege per dita inve<sti>dura ducati 4 ½ (lire 27, soldi 18);
item per panno biancho da frape per dita investidura lire 1 soldi 0;
item per far frapar dito panno lire 0 soldi 7;
item per quarti tri de restagno de arzento per far manege a dita investidura de Buzacharina ducati 6 ½ (lire 40 soldi 6);
item per cortina d’oro per meter ali cassi de dita investidura lire 1 soldi 0;
item per maiete d’oro de dita investidura lire 13 soldi 8;
item per braza dua e mezo da far calze a Buzacharina lire 2 soldi 10;
item per restagno de arzento paonazo per li cassi de la investidura de Margarita lire 21 soldi 4;
item de’ dar per parte de pagamento de le casse d’oro de la Buzacharina ducati dexdoto (lire CXII, soldi 12);
item de’ dar per la seradura de dite casse lire 3, soldi 0;
item de’ dar per uno restel d’oro per Buzzaccharina lire 24, soldi 16;
item una corteliera de arzento computà la guaina de dita corteliera ducati 6 (lire 37, soldi 4)
suma lire quatromilia dosento e nove, zoè Lire 4209.
Bernardo risultava creditore del padre per il 118 e soldi 7, in quanto la differenza di lire 3190 e soldi 13 proveniva da rendite di terreni. Le spese furono sostenute grazie al denaro di Bernardo e in parte con denaro prestato da amici.
2. A.S.Pd, AN, 3389, f. 221r
1485, primo marzo, nella casa d’abitazione di Arcoano, che consegna al dottore in legge Giacomo Lion, figlio del fu famoso giureconsulto Antonio Lion, come parte della dote di Buzzaccarina del fu Buzzaccarino, 100 ducati.
3. A.S.Pd, AN, 3389, f. 222r
1485, 8 giugno, Giacomo del fu Antonio Lion riceve da Bernardo Buzzaccarini, a nome di Arcoano, ducati 100 in conto dote .
4. A.S.Pd, AN, 3389, f. 230r
1486, 17 gennaio in camera di Arcoano. Il dottor Giacomo Lion del fu Antonio, marito di Buzzaccarina, riceve 200 ducati dal dottor Bernardo, figlio di Arcoano, come parte della dote di Buzzaccarina. Dichiara di aver ricevuto in precedenza 50 ducati. Tra i testimoni compare maestro Bernardino orefice di Giacomo da Prata, di contrada Sant’Urbano
5. A.S.Pd, AN, 3389, f. 255
1486, 21 ottobre
Beni personali di Buzzaccarina, dati a Giacomo Lion
Un paro de chasse d’oro;
item una anchona de Nostra Dona;
item un restello indorado;
item uno spechio indorado;
una investidura de pano celeste con cassi e manege de restagno d’arzento fornida de ogni cossa;
item un fazuolo da spechio cum cavi d’oro;
item uno paro de forete de seda lavorade a cartolina;
item para doa de forete de lin lavorade cum i so piè lavoradi a capello;
item fazoleti de seda una peza;
item una peza de fazoleti de lin;
item fazoli para 9;
item tre traverse lavorade de lin;
item camixe dodexe lavorade a gasi;
item tapedi do a roda;
item una peliza de mezo tempo.
6. A.S.Pd, AN, 3389, f. 403r
1487, 4 gennaio. Giacomo Lion riceve da Bernardo Buzzarini, a nome di Arcoano, ducati 150, dichiarando di aver ricevuto ducati 79 in panni di seta, come parte della dote di Buzzaccarina e ducati 20 ½ in fulcimentis, come parte dei 300 promessi.
7. A.S.Pd, AN, 3389, f. 528
1487, novembre 22. In cancelleria del Duomo. Ruggero Cortusi, dottore in diritto, del fu Giovanni (manca la seconda parte del nome) riceve ducati 75 da Bernardo Buzzaccarini a nome di Arcoano, come residuo dei 1000 ducati di dote di Margarita
8. A.S.Pd, AN 3389, f. 528v
Primo dicembre 1487, in casa di Agostino, Ruggero riceve da Agostino, figlio ed erede per ¼ di Arcoano, ducati 75 come resto di dote.
- G. Baldissin Molli, Fioravante, Nicolò e altri artigiani del lusso nell’età di Mantegna. Ricerche di archivio a Padova, Padova 2006; Eadem, Una croce padovana “ala anticha” nel Tesoro di San Marco a Venezia, in Il cielo, o qualcosa di più. Scritti per Adriano Mariuz, a cura di E. Saccomani, Università degli Studi di Padova 2007, pp. 52-57; Eadem, Nella casa di Solimano Solimani: vesti, gioielli e cose di lusso di un padovano nel tempo di Mantegna, in Attorno al Mantegna. La cultura, le arti, le scienze nel Padovano nella seconda metà del Quattrocento, atti del convegno, Padova, palazzo del Bo 18-19 maggio 2006, Padova 2007, pp. 17-20; Eadem, Amori e botte (quasi un caso da 118) a Padova nel Quattrocento, “Filoverde”, XXII, 2007, ottobre, pp. 22-24; Eadem, Tele, file e altro nella dote di Isabetta Mastellari, in L’impegno e la conoscenza. Studi di Storia dell’arte in onore di Egidio Martini, Verona 2009 pp. 85-91; Eadem, Quali gioielli per Mantegna? Lussi e ori padovani nella seconda metà del Quattrocento, Mantegna e Roma, in L’artista davanti all’antico, Convegno internazionale di studi, Roma, Università La Sapienza 8-10 febbraio 2007, Roma 2010, pp; 451-478; Eadem, Beni di lusso nei ritratti del Quattrocento, Cittadella (PD) 2010; Eadem, La produzione aurificiaria e gli orefici dell’età di Barozzi, in Pietro Barozzi. Un vescovo del Rinascimento, convegno di studi, Padova, palazzo vescovile 18-20 ottobre 2007, c.s. [↩]
- G. Baldissin Molli, Fioravante, Nicolò…, 2006, pp. 166-170. [↩]
- G. Baldissin Molli, Fioravante, Nicolò…, 2006, pp. 127-130. Elenchi di beni di lusso rilevanti sono stati rinvenuti per Paolo d’Arezzo, Cristoforo Barzizza, Antonio Roselli (monumento funebre di Pietro Lombardo al Santo) , Girolamo Della Torre. [↩]
- Per la bibliografia generale sulla famiglia e in particolare su Arcoano, padre di Bernardo e nonno delle due nubendae Margarita e Buzzaccarina, cfr P. Ferraro, I marangoni a Padova. Notizie documentarie, in P. Ferraro – A. Gamba, L’arte del legno a Padova. Norme, tecniche e opere dal Medioevo all’Età moderna, Padova 2003 (Quaderni dell’artigianato padovano, 4), pp. 41-47. Di Arcoano l’autrice segnala l’inventario post mortem, ricchissimo, fatto compilare dai figli Francesco, Agostino, Daniele e Salione (notaio Giovanni da Codalunga), e Bernardo, celebre utriusque iuris doctor (notaio Melchiorre Lovato). Arcoano inoltre risulta inserito in un giro di committenze artistiche di rilievo della Padova postmantegnesca, tra Squarcione e Pietro Calzetta, a titolo personale e come massaro dell’Arca del Santo (ibid, p. 41-42). Un’altra indicazione sulla grandeur e la rilevanza sociale della famiglia si coglie nella scelta stessa del notaio, Melchiorre Lovato, che esercitò anche la funzione di cancelliere vescovile. Diversi Buzzaccarini sono titolari delle relative “voci” nel Dizionario Biografico degli Italiani (Roma 1972, XV, in particolare Francesco, figlio di Arcoano e fratello di Bernardo: G. Ballistreri, p. 640-641). [↩]
- A.S.Pd, AN 3388, c. 454-455v (lo stesso documento anche in AN, 3398, f. 323r-327r. [↩]
- A.S.Pd, AN, 3398, c. 593r – 597r. Tra le altre disposizioni testamentarie di Arcoano: lasso sia facto un paramento de veludo, zoè pianeda, dyacono, subdyacono cum el piviario; lasso sia facto uno calese che pesi once 25 e indorado cum la patena (G. Baldissin Molli, Suppellettili liturgiche nella chiesa di Sant’Andrea, in La chiesa di Sant’Andrea in Padova. Archeologia Storia Arte, a cura di G. Zampieri, Padova 2010 p. 180-181). La cappella gentilizia dei Buzzaccarini era nella chiesa domenicana di Sant’Agostino (un tempio che fu carissimo alla signoria Carrarese), completamente distrutto con le soppressioni di primo Ottocento. I da Prata sono almeno due generazioni di orefici. Giacomo di Baldassarre mastellario fu lavorante e desipolo di Donatello all’altare del Santo nella basilica antoniana (1448-49) ed è con tutta probabilità lo stesso Giacomo presente alla stesura del testamento di Arcoano. I da Prata (Giacomo di Baldassarre e il figlio Baldassarre di Giacomo e probabilmente altri due figli, Bartolomeo e Bernardino) avevano bottega a Sant’Urbano (Baldissin Molli, La produzione aurificiaria c.s.) [↩]
- Per antica consuetudine una lira valeva 20 soldi e un soldo 12 denari. [↩]
- M.G. Muzzarelli, Ma cosa avevano in testa? Copricapi femminili proibiti e consentiti fra Medioevo ed Età moderna, in Un bazar di storie. A Giuseppe Olmi per il sessantesimo genetliaco, a cura di C. Pancino – R. G. Mazzolini, Trento 2006, pp. 13-28, distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”. [↩]
- Si veda il recente G.C.F. Villa, Giovanni Bellini. Quattro Allegorie (“Restelo” di Vincenzo Catena), in Giovanni Bellini, catalogo della mostra a cura di M. Lucco, G.C.F. Villa, Roma, Scuderie del Quirinale 30 settembre 2008 – 11 gennaio 1009, Cinisello Balsamo (MI) 2008, p. 272-274. [↩]
- La lettura paleografica è chiara. Sono grata all’amica Elda Martellozzo Forin che, come sempre, mi ha dato un aiuto più che prezioso nella lettura dei documenti. Spesso la consultazione di G. Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, seconda edizione, aggiuntovi l’Indice Italiano Veneto, Venezi 1856 offre qualche chiarimento, ma pare che in questo caso non sia così, almeno per cartolina, coldavera e stavion. Per sedola (seola) il Boerio (p. 641, 645), suggerisce “setola”, che poco aiuta peraltro (qualcosa di simile a una spazzola?) nella comprensione del manufatto. [↩]
- Su Ruggero si veda ora : A. Michieletto, Santa Maria delle fratte a Scaltenigo (secc. XIV-XX). La chiesa campestre, i “patroni”, i rettori, Comune di Mirano 2010, pp. 66-70, con bibliografia precedente; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1471 ad annum 1500, a cura di E. Martellozzo Forin, Roma – Padova 2001, p. 760, n. 1029). Dallo stesso tipo di fonte apprendiamo che Bernardo Buzzaccarini di Arcoano, scolaro legista tra 1466 e 1470 (Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1461 ad annum 1470, a cura di G. Pengo, Padova 1992, nn. 514, 813, 988), laureato in utroque, figura come promotore in dottorati dal 1478 al 1498 (Acta graduum… 2001, ad indicem). Sul libro di famiglia di Ruggero (1484-1539), conservato nell’Archivio di Stato di Padova, e gli altri esempi padovani, si vedano in particolare le note di F. Piovan, In cauda codicis. Appunti sul libro di famiglia dei Carrari (1512-1623) e sulla memorialistica familiare padovana fra Tre e Cinquecento, in La maestà della lettera antica. L’Ercole Senofontio di Felice Feliciano (Padova, Biblioteca Civica, B.P. 1099), atti del convegno a cura di G.P. Mantovani, Padova, 23 Novembre 2003, Padova 2006, p. 51-96, passim. [↩]
- G. Cozzi – M. Knapton, Storia della Repubblica di Venezia: dalla guerra di Chioggia alla
riconquista della Terraferma, Torino 1986, “Storia d’Italia” , a c. di G. GALASSO, vol. XII/1. [↩] - F. Piovan, Giovanni Francesco Beolco e Antonio Francesco Dottori, “Quaderni per la storia dell’Università di Padova”, 33 (2000),pp. 149-150. [↩]
- A. Bonardi, I Padovani ribelli alla Repubblica di Venezia (a. 1509-1530), Venezia 1902, Appendice documentaria, p. 245, doc IV, b, Alfabeto licenziati per ribelli. [↩]
- Bonardi, I Padovani… 1902, p. 88. [↩]
- Sulla storia familiare di Erasmo rinvio a due miei lavori in corso di stampa: Stefano “Erasmo” da Narni, detto Gattamelata. Note biografiche padovane, in Cultura Arte Committenza al Santo nel Quattrocento, atti del convengo di studi, Padova, basilica del Santo, sala dello Studio teologico 25- 26 settembre 2009; Erasmo da Narni Gattamelata e Donatello. Storia di una statua equestre. [↩]