“Oltre una sorte avversa”.
Raccontare il patrimonio per rigenerare un territorio ferito
Il concetto di patrimonio culturale di una nazione, di un popolo, di un territorio è negli ultimi tempi sempre più messo al centro della narrazione di mostre, eventi, monografie non sempre in modo congruo. Si resta, pertanto, piacevolmente colpiti quando si scoprono iniziative che rivestono il ruolo di exemplum nel chiarire ed esporre un concetto che tanto si è evoluto nel tempo, arrivando ad abbracciare diversi ambiti e colorandosi di sempre nuove sfumature. Questo è il caso della mostra «Oltre una sorte avversa L’arte di Amatrice e Accumoli dal terremoto alla rinascita» esposta nel piano nobile di Palazzo Dosi a Rieti (22 maggio 2021- 9 gennaio 2022) a cura di Giuseppe Cassio e Paola Refice, curatori dell’omonimo catalogo edito da Il Formichiere nel 2021, che presenta un nucleo di opere provenienti dalle rovine di chiese, palazzi e istituzioni museali dei paesi del reatino duramente colpiti dal sisma nel 2016. Un progetto che si rivela il punto di arrivo di un percorso che vede protagonisti la Fondazione Varrone (Cassa di Risparmio di Rieti), in intesa con l’Ufficio del Soprintendente speciale per le aeree colpite dal sisma del 2016, la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Frosinone, Latina e Rieti, la Soprintendenza Archivistica e Bibliografica del Lazio, i Comuni di Amatrice e Accumoli e la chiesa di Rieti.
I manufatti esposti vengono restituiti alla pubblica fruizione dopo un accurato restauro realizzato in un laboratorio appositamente aperto nella piazza centrale di Rieti.
La mostra si snoda in modo labirintico, con un sapiente allestimento che valorizza le varie sale di Palazzo Dosi. Lo spettatore, attraverso un’intelligente segnaletica può, infatti, attraversare l’intero piano nobile del palazzo reatino senza perdere di vista un’opera e allo stesso tempo ammirare i pregevoli affreschi del palazzo. L’esposizione si sviluppa in sei sezioni tematiche per cui è stata effettuata una esaustiva selezione di 65 opere tra sculture, dipinti, suppellettili ecclesiastiche, reperti e documenti. Il percorso espositivo parte con la sezione “Frammenti di identità” che mostra alcuni elementi lapidei recuperati tra le macerie e restaurati per l’occasione dall’Istituto Centrale per il Restauro. La sezione consente di scolpire nella memoria collettiva lo straordinario patrimonio architettonico colpito dal terremoto che ancora oggi è utile ricordare nel segno di una chiara volontà di ricostruzione. Emoziona il modellino ideale di Amatrice, fuori catalogo, che il sisma ha staccato dalla statua di S. Emidio, recuperato nella chiesa del Suffragio. Il frammento si rivela trait d’union con la seconda sezione della mostra intitolata “A flagello terrae motus: libera nos!” che immediatamente riporta alle litanie propiziatorie impresse in molte campane dei territori votati al culto di S. Emidio, tradizionalmente invocato dalle popolazioni del centro Italia a tutela dei terremoti. L’immagine del santo proveniente dalla chiesa di San Francesco di Accumoli si carica di grande pathos perché particolarmente rappresentativa dell’evento sismico: il suo restauro ha correttamente lasciato i segni evidenti delle ferite dovute al peso delle macerie degli edifici sgretolati dal sisma.
La mostra prosegue con la sezione “La protezione e la devota pietà” con un’ampia selezione di opere dedicata al culto dei santi e alle pie pratiche religiose delle popolazioni dimostrando quanto il patrimonio culturale sia la memoria tangibile e intangibile di ciò che l’uomo ha creato e trasmesso ai posteri. Spiccano i bambinelli in ceroplastica e/o in cartapesta realizzati tra il XVIII e il XIX secolo, spie di una tenera devozione claustrale.
Attraversando il lungo corridoio di Palazzo Dosi, si arriva all’acme dell’esposizione con la quarta sezione “La preziosa sacralità dei riti” in cui sono raccolte le oreficerie sacre provenienti dai tesori delle chiese colpite dal sisma e che si presentano per la prima volta dopo un delicato intervento conservativo realizzato da Sante Guido. Le vetrine consentono di osservare correttamente i preziosi manufatti da ogni lato. Nella prima teca tra diverse suppellettili sacre, spicca un calice in corallo proveniente dal Museo civico Cola Filotesio di Amatrice, caratterizzato dalla tecnica della cucitura che dimostra immediatamente quanto la preziosa arte dei corallari trapanesi trovasse spesso ospitalità nelle collezioni nazionali e internazionali, valicando i confini dell’Isola. L’opera che reca i marchi della città di Trapani e le iniziali del suo autore, proviene dalla chiesa di San Francesco d’Assisi di Amatrice e incentiva lo studio della presenza di coralli siciliani nel territorio laziale. Proseguendo nella visione delle oreficerie presenti in mostra, incantano i capolavori di Pietro Vannini. Il reliquiario della Filetta del 1472 e la croce processionale del 1490 proveniente da Pinaco, realizzati dal celebre orafo sono posti di fronte le fotografie del loro ritrovamento tra le macerie a dimostrare quanto sia appropriato il titolo della rassegna. In uno sguardo si nota infatti come queste opere siano andate letteralmente “Oltre una sorte avversa” grazie all’opera di tutela di chi le ha salvate e valorizzate. Tra i capolavori di oreficeria esposti in mostra si ammira anche il reliquiario della Sacra Spina di bottega romana del XVI secolo che consente di notare l’evoluzione dell’oreficeria sacra in ambito rinascimentale. Il confronto con l’esemplare di Vannini consente ai visitatori di comprendere come l’arte orafa traduca in metallo gli stilemi della propria epoca.
L’oreficeria dimostra anche in questa esposizione di essere un’arte inclusiva. La sala delle oreficerie ospita, infatti, la sezione “Il Rinascimento a Configno” in cui è esposta la celebre tavola d’altare della chiesa di Sant’Andrea di Configno, che raffigura la Madonna in trono con il Bambino, san Giovannino e i santi Andrea e Sebastiano. Restaurata dai tecnici del laboratorio delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini. Si ritiene convincente questa “co-abitazione” non solo per la ricchezza dei materiali preziosi utilizzati per rivestire la cornice architettonica ma anche per la raffigurazione di gioie in corallo in essa dipinte, che dialogano idealmente con il calice siciliano presente nella stessa sala.
La mostra si chiude con la sezione “I simulacri” in cui si possono ammirare diversi dipinti su tavola databili tra tardo Medioevo e primo Rinascimento in cui si ammira la ben nota tavola raffigurante la Sacra Famiglia con S. Giovannino di Cola dell’Amatrice datata e firmata nel 1527. Si staglia nella composizione la figura di un’ancella con un cesto di uova che sembra alludere al mistero pasquale. Quest’opera ben si presta a chiudere con un simbolo di rinascita questa esposizione che, come ben delineato da Cassio, si configura come l’inizio di un percorso di “rigenerazione” del territorio attraverso la riscoperta e la cura del patrimonio culturale ferito dal sisma nelle terre martoriate di Amatrice e Accumoli. Il catalogo, attraverso i saggi di Refice, Cassio, Pompili, Salvi, Ridolfi e Carocci, le schede storico artistiche a cura di Acconci, Betori, Cassio, Guido, Lollai, Onori, Parisi, Refice in cui puntualmente sono delineate le note di restauro di Basile, Di Vincenzo, Guido, Milazzi, Sabatini, Salvi e le memorie raccolte da Nevigari e Moriconi, restituisce pienamente ciò che esprime l’articolo nove della nostra Costituzione «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Una mostra e un catalogo che si rivelano dunque in pieno accordo con il principio della tutela dei beni culturali e del paesaggio, in relazione diretta con la ricerca e lo sviluppo culturale del Paese. Celebrando l’identità del territorio e dei suoi cittadini con la memoria e la bellezza, per vincere “una sorte avversa”.
Lucia Ajello