Maria Concetta Di Natale

mariaconcetta.dinatale@unipa.it

Giacomo Pasturi argentiere catanese

DOI: 10.7431/RIV24042021

Sono molto esigue le notizie sull’importante argentiere del Cinquecento catanese Giacomo Pasturi e solo recentemente è stata individuata l’unica sua opera fino ad oggi conosciuta1. Si tratta della Cassa reliquiaria dei Santi Vito, Crescenzia e Modesto (Fig. 1), che reca le iscrizioni sui due lati del coperchio Pasturi e 1576 (Figg. 23), dichiarando il nome dell’autore e la data di realizzazione della vara2. La raffinata e rara opera dell’argentiere catanese Giacomo Pasturi, la cui attività è documentata dal 1572 al 1576, “caposciurta” della città di Catania negli anni 1572 e 1575, consente, tuttavia, di rilevarne l’abilità e la forte personalità artistica. Della stessa famiglia Pasturi (Pastore)erano attivi, in periodo appena più tardo, anche Michele (1590-1608), che fu console della maestranza degli orafi e argentieri catanesi nel 1601 e Scipione (1617-1620), che ricoprì la stessa carica nel 1619.

L’arrivo delle reliquie di San Vito nel 1540 a Regalbuto, amena cittadina della Sicilia orientale, aveva segnato l’inizio di un grande fermento non solo devozionale, ma conseguentemente anche artistico. Le reliquie furono verosimilmente dapprima inserite in una apposita cassettina d’argento dei Santi Vito e Modesto, S. Vito, S. M. (Fig. 4), come dichiara l’iscrizione sotto la base: Vinniro li ereliquij 15403. L’opera di argentiere siciliano post 1540, ma vicina a questa data, di gusto manierista, reca incise sul davanti le figure dei due Santi. Il loro arrivo negli anni 1540-41 dal Casale di San Vito in Calabria è pure testimoniato dall’Archivio della stessa Matrice di Regalbuto, in cui si citano anche le reliquie di Santa Crescenzia4. Per tradizione Modesto era il pedagogo e Crescenzia la nutrice di San Vito5.

È probabile che la devozione nei confronti di San Vito a Regalbuto abbia origini più antiche. Il capitello di una colonna della Chiesa di San Francesco ai Cappuccini, infatti, mostra la figura del Santo con due cani e due angeli adoranti a fianco6. La raffigurazione dei cani, che richiamano la tipologia dei levrieri, diffusa nel XV secolo, come pure quella dei due angeli adoranti, riconduce il bassorilievo al XV secolo, periodo non a caso di costruzione della Chiesa. È significativo che i levrieri siano i cani che accompagnano la figura indicata come San Vito da Genevieve Bresc Bautier nel Trionfo della Morte di Palazzo Abatellis, già a Palazzo Sclafani a Palermo7, massima espressione della circolazione della cultura del tardo-gotico internazionale del XV secolo in Sicilia e non a caso che siano anche quelli che compaiono nelle decorazioni delle tarsie policrome in pietra del portico meridionale della Cattedrale iniziato mentre era Arcivescovo di Palermo Simone Beccadelli da Bologna e ultimato nel periodo dell’arcivescovado di Nicolò Pujades di Barcelona (1465-1467)8, altro importante simbolo della città.

A Regalbuto l’esaltazione delle reliquie del Santo dovette manifestarsi in maniera eloquente e culminare con la realizzazione della Cassa reliquiaria d’argento del Pasturi, significativa opera di argenteria catanese, rappresentativa della produzione dell’epoca, quasi totalmente perduta9. La cassa poggia su un supporto con sculture raffiguranti leoni in bronzo (Fig. 5) che parrebbero non pertinenti, riutilizzati da altra opera forse precedente. I fori nella parte superiore delle figure lasciano, tuttavia, ipotizzare che potessero in origine fungere da base all’opera stessa, appositamente realizzati e ad essa omogenei, e che, in un secondo momento, venissero spostati per essere adattati ad un sostegno più funzionale all’uso processionale cui era pure destinata l’urna.

La tipologia della cassa di gusto rinascimentale italiano, con coperchio a spioventi e nessuna reminiscenza della cultura gotico-catalana, ancora imperante in quell’epoca in Sicilia, sia in area orientale sia occidentale, ha un aulico precedente nella Cassa reliquiaria di San Paolino del Santuario di Sutera, del 149810, per la quale “opera di grande importanza”, Maria Accascina ritiene “possibile che a Domenico Gagini o ad altri maestri del suo gruppo sia stato affidato il disegno” e nella quale “il nuovo linguaggio rinascimentale si afferma in piena evidenza: niente guglie, pinnacoli e archetti ogivali, ma forma a sarcofago classico, sottili paraste ornate da borchie di rame dorato  dividono i lati lunghi in tre superfici rettangolari(…) sulle quali sono sovrapposte (…) figure di apostoli e sulla fronte la figura di San Paolino presentata da due angeli; sul coperchio a spiovente la decorazione è formata da girali, da rami e foglie che contornano tondi con figure al centro”11. L’opera, infatti pur dovuta a committenza di provenienza iberica, presentando lo stemma della famiglia Pujades, originaria di Barcellona, non si ispira a modelli gotico-catalani, ma piuttosto a modi spiccatamente rinascimentali italiani12. Stessi decori floreali a girali sono presenti negli spioventi della Cassa reliquiaria del Pasturi, che trovano raffronto non solo tipologico, ma anche nella tecnica a rilievo, come nei girali della base dell’ostensorio architettonico del 1532 di Bartolomeo Tantillo della Matrice nuova di Castelbuono, opera per il resto ancora strettamente legata alla cultura gotico-catalana13.

La Cassa di Regalbuto è caratterizzata al centro sul fronte principale dalla figura di San Vito accompagnata da due cani, suo principale attributo iconografico, nell’altro lato maggiore da quella della Madonna con il Bambino e negli altri da quelle dei Santi Modesto e Crescenzia (figg. 6789), recanti alla base l’iscrizione relativa ai loro nomi (S. Vitus, S. Crescentia, S. Modestus, Maria Virgo) e intorno al coperchio: Haec Viti pueri Crescentiae et alma Modesti arcula membra tegit quae sciditira trucis ex elemosinis. Tutte le figure sono inserite entro un’edicola, proprio come quelle dei retabli marmorei gaginiani, ancora un chiaro riferimento allo stesso ambito culturale. La figura di San Vito presenta un raffinato decoro fitomorfo tipico delle stoffe dell’epoca e le calzature si concludono con due raffinati volti di leone, due mascheroni di gusto manieristico cari alla cultura del tempo e variamente presenti in opere d’argento del XVI e XVII secolo anche a Regalbuto. L’iscrizione lungo il bordo e alla base del coperchio dal decoro vegetale con girali a rilievo culminanti con elementi floreali, mostra al centro il nome dell’autore e la data di realizzazione dell’opera.  Due scudi di gusto classico, che rimandano ancora una volta alle numerose borchie dell’Urna di San Paolino di Sutera, affiancano le due edicole principali.

Dopo il 1540, in clima controriformistico, dovette essere promossa a Regalbuto pure la realizzazione del Reliquiario a busto di San Vito che, privo di marchi, può essere datato successivamente allo stesso anno14. Il reliquiario, opera di argentiere della Sicilia orientale della seconda metà del XVI secolo, è il più antico tra i reliquiari a busto d’argento di San Vito conosciuti in Sicilia. Straordinaria somiglianza con questo reliquiario presenta quello di San Cataldo del Museo Diocesano di Catania15 per la realizzazione dei capelli dall’analoga stempiatura e dall’affine tipologia a riccioli, nonché per la tipologia degli occhi, sia pure raffrontabili solo con quelli originali delle protomi leonine sugli omeri dell’armatura essendo quelli del Santo sostituiti in un restauro possibilmente posteriore al terremoto del 1693 che portò a dipingerne e stuccarne il volto. Il Reliquiario di San Cataldo è stato riferito a Paolo Guarna dall’Accascina16 ed è da ritenere, pertanto, che sia proprio lo stesso argentiere l’autore di quello di San Vito di Regalbuto, inserendosi bene nella produzione della maestranza catanese e, non a caso, proprio con i maestri attivi a Regalbuto, quale significativamente il Pasturi. Con l’opera di quest’ultimo non mancano, peraltro, analogie, come i decori ornamentali fitomorfi e le protomi leonine sia della vara e sia del busto. Paolo Guarna risulta, inoltre, presente a Regalbuto per la realizzazione del reliquiario a braccio d’argento dello stesso San Vito (Fig. 10) dalla caratteristica tipologia dei capelli stempiati e arricciati che si ripete anche nelle piccole testine di cherubini alate e in quelle degli angeli cariatidiformi della base dell’opera firmata e datata: Magister Paolus Guarn: Cath: Fecit: Anno: D: 1583 e Ex Elemosinis: Ecclesiae: Et: Terre: Regalbuti17 (Fig. 11). È significativo quanto scrive l’Accascina: “È da segnalare anche negli inventari il discreto numero di reliquiari antropomorfici che ci indicano quella tendenza al realismo che sarà una costante nello spirito catanese e che, a questo proposito, è un vero e proprio realismo mistico che trova riferimenti notevoli anche nella scultura e in pittura catalana”18.

È da notare come proprio Paolo Guarna riproponga la tipologia della cassa dal coperchio a spiovente in quella di San Nicolò Politi che realizzò nel 1581 per la Chiesa di Santa Maria Assunta di Alcara Li Fusi19 (Figg. 121314151617), ispirandosi ai modi rinascimentali italiani e dell’arte manierista, che sono presenti, non casualmente, nella Cassa reliquiaria di San Vito di Regalbuto del Pasturi. Ripropone la base con teste di leone, come dovevano in origine possibilmente essere poste quelle della vara del Pasturi, una serie di edicole che contengono le figure dei Santi, come in quelle, sia pure di numero inferiore dell’altra, tutte separate da paraste dagli ornati di tipologia gaginiana, ripresentando la complessità dei retabli marmorei che Antonello Gagini e la sua scuola avevano diffuso in tutta l’isola. Similare è pure il decoro floreale sugli spioventi del coperchio. Non è poi casuale che al Guarna siano riferiti dalla Accascina gli sportelli a spiovente della Cassa reliquiaria di Sant’Agata del Duomo di Catania, completati, come recita l’iscrizione, nel 1572 (Fig. 18)20 e che doveva avere pure ben presente quando realizzava quella di Alcara Li Fusi, di cui ripropone la sequenza delle edicole, lì però sugli sportelli e prive degli ornati fitomorfi nelle paraste divisorie. Dopo gli sportelli della Cassa reliquiaria di Sant’Agata di Catania, unica parte dell’opera estranea al gusto gotico-catalano, tanto che l’Accascina la definì “ultima fiammata del gotico”21, il Guarna dovette ispirarsi anche a quella di San Vito di Regalbuto del Pasturi per la realizzazione dell’altra di San Nicolò Politi di Alcara Li Fusi, dimostrando, comunque, che questa tipologia di opere dovute a maestri catanesi della seconda metà del Cinquecento, mostri una cultura comune, analogamente ispirata ai modi dell’arte della maniera variamente diffusi nell’isola, in cui il Pasturi dovette avere un ruolo significativo.

  1. M.C. Di Natale, Il tesoro della Matrice di Regalbuto tra Cinquecento e Seicento, in M.C. Di Natale, S. Intorre, Ex elemosinis Ecclesiae et Terrae Regalbuti. Il Tesoro della Chiesa Madre, introduzione di Don Alessandro Magno, Quaderni dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia “Maria Accascina”, Bagheria 2012, pp. 12-19, con bibliografia precedente. []
  2. Ibidem. []
  3. Ibidem. Si veda pure M.C. Di Natale, scheda n. 1, in M.C. Di Natale, S. Intorre, Ex elemosinis…, 2012, p. 75. []
  4. Ibidem. Si veda pure S. Intorre, V. Bonanno, Appendice documentaria, Doc. I, in M.C. Di Natale, S. Intorre, Ex elemosinis…, 2012, pp. 127-129. []
  5. Per l’agiografia e l’iconografia di San Vito si vedano A. Amore, M.C. Colletti, Vito Modesto e Crescenzia, ad vocem, in Bibliotheca Sanctorum vol. VII, Roma 1961. Secondo la Legenda aurea, San Vito subì il martirio in Sicilia, Jacopo da Varazze, Legenda Aurea, ed. 1955, pp. 442-444. []
  6. M.C. Di Natale, Il tesoro della Matrice…, in M.C. Di Natale, S. Intorre, Ex elemosinis…, 2012, p. 13. []
  7. G. Bresc Bautier, Artistes, Patriciens et Confréries. Production et consummation de l’oeuvre d’art à Palerme et en Sicile occidentale, 1348-1460, Roma 1979, p. 84. []
  8. M.C. Di Natale, I levrieri della Cattedrale, in “Arte e dossier”, n. 57, maggio 1991. []
  9. M.C. Di Natale, Il tesoro della Matrice…, in M.C. Di Natale, S. Intorre, Ex elemosinis…, 2012, pp.15-19. []
  10. M. Accascina, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974, pp.147-157. Si veda pure M. C. Di Natale, Oreficeria siciliana dal Rinascimento al Barocco, in Il Tesoro dell’Isola. Capolavori in argento e corallo dal XV al XVIII secolo, catalogo della Mostra a cura di S. Rizzo, vol. I, Catania 2008, p. 35. []
  11. M. Accascina, Oreficeria di Sicilia…, 1974, pp.147-157. []
  12. M.C. Di Natale, Oreficeria siciliana…, in Il Tesoro dell’Isola…, I, 2008, p. 35. []
  13. M.C. Di Natale, Il tesoro della Matrice di Castelbuono nella contea dei Ventimiglia, Quaderni di Museologia e Storia del Collezionismo, n. 1, Caltanissetta 2005, con bibliografia precedente alla scheda n. 3, p. 53. []
  14. M.C. Di Natale, Il tesoro della Matrice…, in M.C. Di Natale, S. Intorre, Ex elemosinis…, 2012, pp. 19-28. []
  15. Ibidem. Si veda pure M. C. Di Natale, L’argentiere catanese Paolo Guarna e i reliquiari del tesoro della Matrice di Regalbuto, in L’arte di studiare l’arte, Scritti degli amici di Regina Poso, Kronos 15, Periodico del DBC, II tomo,…, pp. 339-346. []
  16. M. Accascina, Oreficeria…, 1974, p. 209-210. []
  17. M.C. Di Natale, Il tesoro della Matrice…, in M.C. Di Natale, S. Intorre, Ex elemosinis…, 2012, pp. 19-28. Si veda pure M. C. Di Natale, L’argentiere catanese…, in L’arte di studiare…, Kronos 15, II tomo…, pp. 339-346. []
  18. M. Accascina, Oreficeria…, 1974, p. 208. []
  19. M. Accascina, Oreficeria…, 1974, pp.212-215. Si veda pure M. C. Di Natale, L’argentiere catanese…, in L’arte di studiare…, Kronos 15, II tomo…, pp. 339-346. []
  20. M. Accascina, Oreficeria…, 1974, p. 209-210. []
  21. M. Accascina, Oreficeria…, 1974, p.200. []