Paola Venturelli

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Milano / Leonardo da Vinci / Venezia e l’arte vetraria. Con Giovanni Agostino da Lodi e il vetro rosso*

DOI: 10.7431/RIV24012021

Nel suo importante contributo del 1952, Le arti chimiche di Leonardo da Vinci, Ladislao Reti osservava che la «menzione del vetro torna in molti fogli vinciani», ma «sia perché la descrizione è confusa e imperfetta sia perché il maestro sembra considerare l’assunto un segreto importante tanto che ritorna ai crittogrammi […], non riesce facile l’intepretazione di questi passaggi»1.

Da queste affermazioni pochissimo è cambiato. Al di là dei contributi di chi scrive e di apporti riguardanti uno speciale vetro fatto a strati, il «vetro panjchulato da me invenzionato» (Windsor RL, f. 12667v ca. 1509-1510), come Leonardo stesso lo definisce, un materiale a composizone prevalentemente organica, plastico e manipolabile, il tema dell’arte vetraria in relazione al Vinci rimane, infatti, ad oggi purtroppo ancora privo di approfonditi studi specialistici2.

Da parte mia, sollecitata da Carlo Pedretti, nel 1994 avevo incominciato ad affrontare questo affasciante argomento all’interno di una più vasta indagine sul tema «Leonardo da Vinci e le arti preziose»3, interpretando diversamente da Gerolamo Calvi, Ladislao Reti e gli altri studiosi, alcuni appunti vinciani non come accenni alle pietre ‘semipreziose’ (le pietre dure), ma a particolari tipologie di vetri, imitate attraverso ingegnose procedute: i cosiddetti ‘vetri a mosaico’ e i ‘calcedonio’, questi ultimi ottenuti con una pasta vitrea marezzata che contraffà il calcedonio naturale, l’agata, i diaspri, ecc., con precedenti nei vetri marmorizzati romani del I secolo a. C. e I d. C, la cui ripresa sarebbe spettata al celebre maestro vetraio Angelo Barovier intorno al 1460. In queste note, a mio avviso, Leonardo si cimenta nell’ imitazione delle novità che i vetrai muranesi avevano messo a punto nel secondo Quattrocento, emulandone i prodotti con ricette di sua invenzione, lasciate in modo particolare nei codici F e K (Parigi, Institut de France, Mss. 2177, 2181), assegnabili circa al 1508 e forse almeno per qualche tratto usati simultaneamente (Figg. 12). Sempre qualche anno fa ebbi modo di scrivere che l’interesse del Vinci verso questi materiali si manifesta principlamente durante gli anni del prolungato soggiorno lombardo, tra 1482 ca.- 1499 e 1506-1513. Dai primi anni del XV secolo a Milano non mancavano fornaci vetrarie, come quelle dei da Montaione o dei Pini di Sobiate e dei muranesi Castellolo, anche in grado di produrre il costoso e terso ‘vetro cristallino’, ottenuto con materie selezionate e fuse, prima di tutte la silice ricavata dai ciottoli quarzosi ridotti in polvere estratti dal Ticino, com’è noto non solo esclusiva delle officine lagunari. Nel 1455, inoltre, Francesco Sforza aveva tentato di portare il muranese Antonio del Bello nel capoluogo lombardo per esercitarvi l’arte del ‘vetro cristallino’, un’impresa nella quale era coinvolto direttamente Antonio Averlino detto il Filarete (1420- ca. 1470), tra 1451 e 1464 al servizio dello Sforza4, dedicatario della prima redazione del suo Trattato d’architettura, testo forse al Vinci già noto fin dal suo primo periodo di formazione a Firenze, in cui è citato Angelo Barovier, nel 1455 a Milano insieme al figlio Marino5. Anche avevo sottolineato la contingenza tra il settore vetrario e una delle attività più fiorenti delle economie milanesi, quella della fabbricazione delle pietre false, citata ancora da Benvenuto Cellini, realizzate con frammenti di vetri variamente colorati6, ambito in cui opera Galeazzo Rizzoli, padre del leonardesco Giovanni Pietro, detto Gianpietrino (ca. 1480/ ‘85-1553), pittore documentao dal 24 febbraio 1508, nonché marito di Paola Montaione, nipote del maestro vetraio Giovanni7. Altre osservazioni ho dedicato alle note in cui il Vinci tratta di smalti -la tecnica in cui si accoppiano paste vitree a superfici metalliche-8, e da ultimo a quanto Leonardo lascia sul f. 40 v del Codice Trivulziano (ca. 1487-1490), suggerendo un modo molto originale per «fare rosso in vetro per incarnazione», prendendo i «rubini di rocca nova o granati» e mescolandoli con il «lattimo» o «il bolo armeno […] bono in parte»9. Vale la pena di aggiungere che il Vinci cita qui il ‘vetro lattimo’, a Venezia chiamato «vetro porcellano» (così denominato dal colore latteo opaco conferitogli dal biossido di stagno), comparso a Murano intorno alla metà del XV secolo, che si prestava a simulare la tanto ricercata porcellana cinese dei Ming10. Vale a dire il materiale con cui credo fossero realizzati i «belli vasi de vetro et porzelana» visti nel marzo del 1493 in uno dei due ‘camerini’ privati di Beatrice d’ Este, moglie di Ludovico Sforza detto il Moro, situati nel castello di Vigevano11.

Venezia

Altre informazioni sull’ arte vetraria Leonardo dovette apprenderle durante il suo soggiorno a Venezia, città dove nell’ultimo decennio del ‘400 vanno alcuni personaggi del suo entourage, come Andrea Solario, che nel 1495 firma e data la tavola già a San Pietro Martire di Murano (Milano, Pinacoteca di Brera), raffigurante Maria e il Bambino tra due santi, probabilmente Boltraffio e sicuramente il pittore Francesco Napoletano, che vi muore nel 1501, mentre Marco d’Oggiono è ingaggiato nel 1498 per una serie di tele perdute destinate alla scuola di Sant’ Ambrogio presso Santa Maria dei Frari, ma forse non vi si reca di persona12.

Alla fine del 1499, o al più tardi nei primi giorni del 1500, Leonardo lascia il capoluogo lombardo e prende il via verso il centro lagunare. Dopo una sosta a Mantova dove ritrae in uno schizzo veloce Isabella d’Este (Parigi, Louvre), raggiunge Venezia. Qui, il 13 marzo 1500, lo incontra un corrispondente di Isabella d’Este, Lorenzo Gusnago, costruttore di strumenti musicali, che vede l’abbozzo del ritratto di Isabella realizzato a Mantova, elogiandolo.

Non sono noti gli spostamenti in città di Leonardo. Senz’altro però va in campo San Giovanni e Paolo (San Zanipolo in veneziano), a vedere il monumento equestre a Bartolomeo Colleoni realizzato dal suo maestro, Andrea Verrocchio. Penso inoltre che in quei giorni non trascurasse di visitare le fornaci di Murano. Per esempio quella dei famosi Barovier13. Angelo era mancato nel 1461, passando l’attività nelle mani del figlio Marino, operoso negli smalti da mosaico, vetri colorati e vetrate dipinte; con lui aveva lavorato un apprendista venuto dalla Dalmazia, Giorgio Ballarin che avrebbe poi carpito i segreti della bottega iniziando una sua attività. Morto Marino nel 1490 la fornace era pervenuta ai fratelli Giovanni e Maria (Marietta). Attiva con Giovanni nella fabbricazione di vetri cristallino, lattimo e calcedonio, Marietta in quel 1500 gestiva una propria fornace, dove si producevano le «rosette», nate da una canna di vetro ricavata dalla sovrapposizione di divesi strati concentrici policromi, successivamente tirata e lavorata, i materiali che ho connesso ad alcuni appunt vinciani; Marietta nel 1497 aveva, infatti, ottenuto dal doge Agostino Barbarigo il permesso di usare in esclusiva una fornace «parvula» per cuocere i suoi vetri decorati, contro il tradizionale monopolio maschile in quest’arte14.

Agostino da Lodi e i Da Lodi (tra Venezia e Milano)

Un possibile tramite tra il Vinci e i vetrai muranesi potrebbe essere stato Agostino da Lodi (figlio di Antonio), pittore nato forse intorno al 1470, formatosi probabilmente nel capoluogo lombardo nel clima segnato dalla presenza di Bramantino e Leonardo, per il quale le notizie documentarie sono davvero scarissime, del quale l’ unica opera datata (1500) rimane la Lavanda dei piedi (Venezia, Galleria dell’Accademia, Fig. 3) -con il bel dettaglio in primo piano di un grande catino bianco ‘porcellano’ a decori blu-, dipinto che lo lega strettamente all’ambito più schiettamente lombardo e leonardesco. Non sono note le ragioni né la data dell’arrivo di Agostino nella città lagunare, presumibilmente però avvenuto nell’ultimo decennio del XV secolo. Al 25 marzo 1492 risale, infatti, l’accordo (seguito a un patto già fatto a voce il 9 novembre 1491), tra il pittore e i padri di San Cristoforo della Pace a Murano per realizzare la Pala dei barcaioli del traghetto di Murano (ora nella muranese chiesa di San Pietro Martire), che avevano il loro altare in questa chiesa. Agostino è certamente a Venezia nel 1502 e nel dicembre 1504, probabilmente tornando a Milano sul finire del primo decennio, negli anni del secondo soggiorno del Vinci; nel capoluogo lombardo è ad ogni modo documentato il 14 maggio 1511 quando abita nei pressi della parrocchia di Sant’Eufemia15. Considerando l’origine, Agostino dovette inoltre assistere alle prime fasi del cantiere per l’importante tempio dell’Incornata a Lodi, iniziato nel 1488, e forse mantenere contatti con la città d’origine16.

Mi pare a questo punto interessante osservare che il tempio dell’Incoronata è costruito su disegno dell’architetto Giovanni Battagio, il «maestro giovanni dallodj» dal quale Leonardo impara un curioso indovinello, trascritto nel Codice Atlantico (Milano, Biblioteca Ambrosiana, f. 207v), su un foglio che in basso capovolto reca la data 23 apirle 1490 e che lo stesso tempio nasce per volere di Carlo Pallavicino, vescovo di Lodi dal 1456 al 1497, il protettore di Franchino Gaffurio (in rapporto d’ amicizia con il Vinci), fratello di Pallavicino Pallavicino, padre di Ottaviano, al quale ultimo Leonardo si rivolge per il suo Vitruvio nel Codice F (Paris, Institut de France; primo recto della copertina; settembre- ottobre 1508)17.

Ma ci sono altri componenti della dinastia da Lodi che entrano nel nostro discorso.

Tra i figli di Iacopo Barovier, fratello del già citato Angelo, è documentato un Salvatore, castaldo dell’arte dal 1446, ricordato nel 1447 per avere eseguito vetri poi decorati da una certa Elena de Laudo18. A Murano era inoltre attiva una famiglia «da Lodi», con «Zuan» pittore di vetri e vetrare (noto dal 1446 al 1474) e suo figlio Giovanni Antonio, detto «de Licinis de Laude» (o «Lizini» o «de Linzinis») che doveva collaborare con lui, attestato dal 1478 e sposato nel 1484 con Margherita; il 31 agosto 1515 la seconda moglie, Vicenza Fuga, detta testamento, lasciando coeredi i cinque figli, tra i quali un «Zuan Agostino»19. Ci sono inotre anche i da Lodi di Milano, imparentati con Giovanni Ambrogio de Predis (1454/ 58 ca.- 1510), pittore leonardesco figlio di Leonardo dalla sfuggente personalità, la cui unica opera certa rimane ad oggi il Ritratto dell’Imperatore Massimiliano I (Vienna, Kunsthistorisches Museum), firmato e datato (1502). Dai documenti che avevo pubblicato nel 2005, emerge, infatti, che il 24 agosto 1497 Giovanni Ambrogio sposa Elisabetta de Laude (q. Vincenzo), sorella di Battista, Gabriele, Giovanni Stefano e «Petrolus». Altri de Laude sono invece in contatto con il fratello di Giovanni Ambrogio, Evangelista de Predis; il 31 maggio 1483 Giovanni de Laude (q. Stefano) con i figli Domenico Maffeo e Bernardino si erano, infatti, impegnati a versare entro il mese successivo a Evangelista la somma di Libr. 66 imperiali, «occaxione auri et argento laboratum»20.

Vetro rosso/ vetro piano/ smalto rosso trasparente (con Caradosso ?)

Credo inoltre più che probabile che dopo avere ammirato il monumento equestre al Gattamelata, Leonardo si recasse a vedere le vetrate nel transetto destro della basilica dei Santi Giovanni e Paolo. Realizzate tra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500, forse su cartoni di Bartomeo Vivarini e Gerolamo Mocetto, sono pagate nel settembre 1510 al maestro «Johannis Antonii de Laudi» (Giovanni Antonio Licinio da Lodi), che con Mocetto aveva stretto società a Murano per vetrate e smalti, sono state giudicate un unicum. Nel corso delle indagini per il restauro cui sono state sottoposte tra 1978 e 1982, è infatti emerso che i vetri rosso- rubino originali hanno una composizione chimica diversa dagli altri e sono stati prodotti con una tecnica particolare. Le lastre non sono colorate in massa, ma in sottile strato di vetro rosso, ‘incamiciato’ tra due strati di vetro trasparente incolore21.

Solo intorno al 1493 le vetrerie muranesi  avevano introdotto la tecnologia per produrre il difficile vetro rosso. Un vetro di questo colore risulterebbe, infatti, citato la prima volta in un documento del 1493, in cui si concede al già ricordato Giorgio Ballarin di impiegare nella sua fornace il lorenese «Maistro Roberto franzoso», particolarmente esperto nelle vetrate di ogni colore, soprattutto in vetro rosso, secondo un metodo che ancora «inventato in Murano non fuit»22. Si tratta dello straordinario vetro che maestro Antonio da Pisa nel suo trattatello per realizzare vetrate, un manule pratico da collocarsi nella prima metà del XV secolo (Assisi, Biblioteca del Sacro Convento, Ms. 692), in cui figurano i primi segreti per realizzare i vetri colorati più complessi, ammette di non sapere «di che si faccia», ma già prodotto da tempo in Europa settentrionale: vale a dire il vetro rosso proveniente «de la Magna» al rame. Sempre intorno al 1493 nelle fornaci di Murano era stata introdotta la tecnica per eseguire vetri piani che aveva il vantaggio di fornire lastre per vetrate di dimensioni maggiori alle precedenti e più sottili. La pasta di vetro era prelevata e soffiata, lavorata a caldo fino a formare un cilindro cavo di una certa lunghezza e diametro costante, che (sempre a caldo) era poi tagliato, aperto e lasciato rilassare su una piastra; finita la ricottura, si otteneva un foglio rettangolare di vetro piano23.

È questo metodo che mi pare avere in mente Leonardo quando sul f. 161v del Trattato della pittura, dai fogli perduti del Codice A (Parigi, Institut de France, Ms. 2185, ca. 1490-1495) scrive: «Se vuoi fare vetri sottili e piani, gonfia le bocce infra due tavole di bronzo o di marmo lustrate, e tanto le gonfia che tu le schioppi col fiato; e sarà piani e sottili, che tu piegherai il vetro, il quale poi sarà apiccato co’ la vernice alla pittura. E questo vetro per essere sottile non si romperà per alcuna percussione. Possi ancora tirare in longo et in largo una piastra infuocata sopra infocato fornello». Anche in questo caso il Vinci prende spunto dai saperi pratici, recuperando nozioni, rivedendole e utilizzandole in modo autonomo. Leonardo non copia mai: elabora tutto ciò che trascrive.

Antonio da Pisa descrive anche un metodo di acidatura («a far lavorio in sul vetro rosso») per decorare il vetro rosso ricavandovi figurazioni che vi risultavano in trasparenza incolori. Tale metodo prevedeva che la lastra, tagliata secondo la sagoma prevista, fosse ricoperta con cera nelle parti che dovevano restare rosse e si versasse sul vetro non protetto dalla cera «l’acqua da partire l’oro dall’argento, la quale acqua vendoli li aurifici»: cioè l’acido nitrico24.

Come rilevato da Ladislao Reti, il Vinci si sperimenta pure nel campo della raffinazione dei metalli nobili, proponendo ricette per fare l’acido nitrico e l’acqua regia. Interessante per i nostri argomenti mi pare la lunga nota vinciana sul f. 664v del Codice Atlantico (Milano, Pinacoteca Ambrosiana; 1508 ca.). Dopo indicazioni per «separare oro dall’argento» e per ottenere «Acqua forte», troviamo una ricetta «Per tignere lavori d’oro». Il Vinci prescrive «vetriolo once ½ Metti in/ correggiolo/ verderame once ¼  coll’oro/ che vuo’ tig<nere>/ salnitro once ¼», quindi proseguendo: «Quel medesimo: /vetriolo once 1 Componi come / verderame once ½  cera e mett ‘n /sal armoniaco denari 2 correggiolo/ come…/ cera vergine once 2». L’appunto continua poi con indicazioni per ottenere «vetro giallo» usando un impasto a base di frutta, appunto chiuso dal Vinci così: «Di poi togli un coreggiolo e metti in fondo un po’ di detto pastello e sopra questo pastello metti un poco della sopra detta polvere, e sopra dette cose poni il tuo vetro, e sopra il vetro me<tti> della detta polvere, e poi il pastello; e allora che non è sp… e da’ fuoco in modo che fonda». Al fondo del foglio scrive inoltre un’altra ricetta per «Acqua forte» (per dissolvere l’oro, cioè il «sole»), ricavata con «sal armoniaco/ coppo rosso Per equale/ parte/ salpetra/ Questa dissolve il sole»25.

Se il ‘rosso coppo’ menzionato dovrebbe essere il rosso opaco, la ricetta sembra anche alludere al complicato smalto rosso trasparente detto «rosechier», cui accenna Filarete nel suo Trattato quando dà indicazioni sulla colorazione del vetro e scrive: «l’oro dicono ancora che fa colore», senza però dare precisazioni26. La difficile procedura è invece fornita da Giovanni Darduin nel manoscritto conservato presso l’Archivio di Stato di Venezia, in cui riporta le ricette di suo padre Nicolò, morto nel 1599, aggiungendovene altre, chiudendo gli appunti il 6 agosto 1654. Nel gruppo di quelle paterne riguardanti «li secreti de smalti», tra le diciotto dedicate allo smalto rosso trasparente, la più complicata insegna a fare il «rosecchier buono et pefettissimo» introducendo  nella miscela vetrificabile una materia del tutto insolita per i vetrai del momento: l’ ‘oro calcinato’, che lo stesso Darduin insegna a fare27. L’abate Antonio Neri, la cui cultura vetraria era di orgine muranese, nell’ Arte vetraria, edita a Firenze nel 1612, trattando del «Rosso trasparente» (cap. CXXIX), dove il colore è ottenuto con l’oro, aveva suggerito che la calcinazione dell’oro «si faccia con acqua regis», indicando di mettere la polvere d’oro ottenuta «sopra il vetro fuso», al fine di colorare di rosso il vetro. Credo inoltre nteressante aggiungere che solo alla fine del XVII secolo a Murano per ottenere vetro rubino all’oro s’introduce l’uso del salnitro come fondente, già noto in altri centri europei alla metà del Seicento28.

Ottone e smalto rosso

Come ho avuto modo di osservare in altre sedi, sul primo piatto interno del Codice del volo degli Uccelli (Torino, Biblioteca Reale, f. 1 cop v; ca. 1505) Leonardo parla di smalti accennando a quelle cromie a mio avviso peculiari della produzione smaltea lombarda tra gli anni di Ludovico il Moro e gli inizi del ‘500. Sotto un titolo in lingua spagnola d’altra mano («Secretos de polvos materiales»), mentre studia come «improntare medaglie», egli scrive: «Chi macina gli smalti debbe fare tale esercizio sopra piastre d’acciaio temperato, col macinatoio d’acciaio, e poi metterlo nell’acqua forte […]. Se volli fare colore bello azzurro risolvi lo smalto fatto col tartaro e po’ leva il sal da dosso. L’ottone vetrificato fa bello rosso»29.

Anche in tal caso, come per molti degli appunti vinciani, non è possibile indicare la fonte da cui Leonardo trae ispirazione. Possiamo però notare che diverse ricette per «fare vetro rosso» utilizzando «ottone» sono nel secondo dei tre trattati Dell’arte del vetro per musaico, compilati tra la fine del XIV secolo e la metà del successivo, conservati all’Archivio di Stato di Firenze (Miscellanea Manoscritti, 797), pubblicati nel 1864 da Gaetano Milanesi; tra queste la XCIV, che insegna «A fare rosso», prescrivendo di prendere «ottone ridotto in acqua e mettilo in sul vetro: faratti rosso bello come vorrai»30. Nel codice fiorentino la preparazione del vetro rosso prevedeva, infatti, l’uso di «ottone calcinato al fuoco con conseguente formazione di ossidi di rame e zinco, lavato con acido, macinato e setacciato» aggiunto al vetro incolore fuso31. Avevo inoltre già rilevato tempo fa la sintonia dell’appunto vinciano sul Codice del volo degli Uccelli con quanto scrive Benvenuto Cellini -come è noto compratore nel 1542 in Francia della copia di un trattato leonardesco su pittura, sculture e architettura, trasmesso poi a Sebastiano Serlio- circa l’ «arte dello smaltare», arte «bella e difficile» (Trattati, «Dell’Oreficeria», cap. III), nel punto in cui egli informa il lettore che la bacinella dove si devono pestare gli smalti, deve essere «di grandezza quanto sia un palmo», «tonda» e di «bonissimo acciaro temperato» e che «dette bacinelle si fanno a Milano», mettendo tali asserzioni poco dopo aver parlato dello smalto rosso trasparente, «il più bello di tutti gli altri», denominato «in fra l’arte degli orefici smalto roggio, e in Francia […] rogia chlero», proseguendole con la citazione di Caradosso Foppa, il celeberimo orafo milanese in contatto con Leonardo da Vinci, che Cellini conosce e frequenta a Roma, giudicandolo «molto valente nell’arte dell’oreficeria, e massimamente nello smaltare»32. Magistralmente lavorando forse quindi anche con il tanto difficile smalto rosso33.

* Per i codici vinciani, rimando a: e-leo, consultabile all’indirizzo www.leonardodigitale.com.

Desidero ringraziare Enrico Maria Dal Pozzolo. E anche in questa occasione Maria Concetta di Natale con Sergio Intorre.

  1. L. Reti, Le arti chimiche di Leonardo da Vinci, estratto da “La chimica e l’industria”, XXXIV, novembre- dicembre 1952, pp. 655- 721 (a p. 28). []
  2. Per questo tipo di vetro, cfr. L. Reti, Le arti…, 1952, p. 28; C. Pedretti, Leonardo architetto, Milano 1981, p. 327; da ultimo L. Brescia, L. Tomio, Leonardo da Vinci e il segreto del vetro cristallino, pannicolato, flessibile e infrangibile, in “Raccolta vinciana”, 28, 1999, pp. 79-92, a p. 79 (non entro nel merito di quest’ultimo contributo, mi limito qui a segnalare che diversamente da quanto sostenuto a Milano nel XV erano attive diverse fornaci vetrariae anche in grado di produrre ‘vetro cristallino’). Come noto, il problema del vetro manleabile e infrangibile è stato oggetto di grande interesse nel Medioevo, rimando a I colori e le arti dei romani, a cura di C. Garzya Romano, Napoli 1996, pp. 87-88 (con bibliografia precedente). []
  3. Cfr. P. Venturelli, Leonardo da Vinci e le arti preziose. Milano tra XV e XVI secolo, con Presentazione di C. Pedretti, Venezia 2002; Eadem,“El mio mappamondo” e i “diaspri”. Leonardo da Vinci tra mappamondi e pietre dure, in “OADI – Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, dicembre 2018, www.unipa.it/oadi/rivista; Eadem, La moda alla corte degli Sforza. Leonardo da Vinci tra creatività e tecnica, Cinisello Balsamo 2019; Eadem, Arte orafa milanese 1450-1527. Leonardo da Vinci tra creatività e tecnica, Cinisello Balsamo 2021; inoltre, cfr. oltre, nota 4. []
  4. Rimando a P. Venturelli, Percorso iconologico nell’oreficeria vinciana, in “Achademia Leonardi Vinci”, VII, 1994, pp. 113-123; Eadem, “Diaspise, ametista, christallo”. Vetri e pietre dure di Leonardo da Vinci, in “Tutte le opere non son per istancarmi”. Raccolta di scritti per i settant’anni di Carlo Pedretti, a cura di F. Frosini, Roma 1998, pp. 449-469. Per i vetri a Milano, cfr. almeno: G. Biscaro, Intorno all’arte del vetro a Milano e nella regione del Lago Maggiore durante in Medioevo, in “Archivio Storico Lombardo”, XXXVIII, 1911, pp. 234-237; S. Ciappi, Maestri vetrai di Montaione. Presenze e attività imprenditoriali in Italia tra XV e XIX secolo. Note per un aggiornamento, Firenze 2008; M. B. Zanoboni, Giovanni da Montaione e la manifattura vetraria a Milano, in “Archivio Storico Lombardo”, CXXVI, 2000, pp. 43-66 (con bibliografia precedente); Eadem, “Ciati” ducali e vetro cristallino: nuove indagini sull’arte vetraria a Milano (fine XV- inizio XVI secolo), in “Artes”, 12, 2004, pp. 53-81. []
  5. Per i Barovier (anche con Filarete), cfr. M. Caffi, Frate Simone da Camerino, in “Archivio Storico Italiano”, XXV, 1877, pp. 323-331; L. Zecchin, Antonio Averlino e i muranesi Barovier, in “Giornale Economico della Camera di Commercio di Venezia”, XII, 1958, pp. 213-17; Idem, Angelo Barovier vetraio del Rinascimento, in “Vetro e Silicato”, 58, 1966, pp. 23-256; Idem, Maria Barovier e le “rosette”, in “Journal of Glass Studies”, 10, 1968, pp. 105- 109; Idem, I Barovier e il vetro cristallino, in “Vetro e Silicato”, 67, 1968, pp. 23- 26; Idem, La famiglia di Iacobo Barovier, in “Rivista della Stazione Sperimentale del Vetro”, 6, 1975, pp. 261- 264; Idem, Ancora sugli antichi Barovier muranesi, in “Rivista della Stazione Sperimentale del Vetro”, XII, 1983/2, pp. 71-76. Per Filarete, cfr. Antonio Averlino detto il Filarete, Trattato di architettura (1460- 1464), a cura di A. M. Finoli- L. Grassi, 2 voll., Milano 1972 (spec. I, pp. 257-258). Per Filarete e Leonardo, cfr. C. Vecce, Antonio Averlino detto il Filarete, Trattato di architettura, in La biblioteca di Leonardo, a cura di C. Vecce, Firenze 2021, pp. 237-239. []
  6. Sulle pietre false, cfr. P. Venturelli, Glossario e documenti per la gioielleria milanese (1459-1631), Firenze 1999, pp. 10-11; Eadem, Gioielli milanesi. Glossario 1459-1631, Premessa di M. C. Di Natale, “OADI Digitalia” 2019, www.oadi.it/wp-contenti/uploads/2019/06/venturelli.pdf, s.v: Doblette. []
  7. Sul Gianpietrino, cfr. da ultimo, Storia e diagnosi di testimonanze leonardesche. III. Maddalena al sarcofago, a cura di C. Matteucci, con testo introdutivo di C. Pedretti, Poggio a Caiano (Prato) 2016; C. Quattrini, Rizzoli, Giovanni Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, 87, Roma 2016, online. []
  8. Su Leonardo e gli smalti, cfr. P. Venturelli, Percorso iconologico…, 1994; Eadem, Leonardo da Vinci e le arti…, 2002. []
  9. Per questo appunto, e i ‘rubini di rocca nova’, cfr. P. Venturelli, «El mio mappamonto» e i diaspri…. 2018; Eadem., Lustro e transparente: oro, foglie, rubino balasscio, vetri (con acqua e cristallo). Qualche osservazione sui materiali delle arti preziose, in Atti del Convegno Internazionale (Parigi- Torino), II Sessione, Torino 27-29 novembre 2019, a cura di M. Quaglino- A. Sconza- C. Vecce et all., in corso di pubblicazione. []
  10. Cfr. C. Moretti- T. Toninato, Ricettario vetrario del Rinascimento, Venezia 2001, pp. 32-33; R. Barovier Mentasti- S. Carboni, Il vetro smaltato tra l’Oriente mediterraneo e Venezia, in Venezia e l’Islam 828-1797, a cura di S. Carboni- R. Barovier Mentasti, catalogo della mostra (Venezia 2007), Venezia 2007, pp. 273-293 (a p. 285). []
  11. P. Venturelli, Smalto, oro e preziosi. Oreficerie e arti suntuarie nel Ducato di Milano tra Visconti e Sforza, Venezia 2003, pp. 113-114; Eadem, I ‘camerini’ di Beatrice d’Este nel castello di Vigevano: un vecchio documento e nuove considerazioni, in I luoghi di Leonardo. Milano, Vigevano e la Francia, a cura di S. Ferrari, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Vigevano 2 ottobre 2014), numero speciale di “Valori Tattili”, 8, 2016, pp. 106-117, a p. 109. []
  12. Per le fonti riguardanti la visita di Leonardo a Venezia, cfr. C. Pedretti, Leonardo a Venezia, in Giorgione 1478. 1978. Guida alla mostra: I tempi di Giorgione, a cura di P. Carpeggiani, catalogo della mostra (Castelfranco Veneto 1978), Venezia 1978, pp. 84-85; Leonardo & Venezia, catalogo della mostra (Venezia 1992), Milano 1992; C. Vecce, Leonardo, Roma 1998, pp. 187-196; Carlo Pedretti ipotizza la possibilità di un altro viaggio a Venezia nel 1506 (cfr. C. Pedretti, Giorgione e Leonardo, in Giorgione e l’Umanesimo veneziano, a cura di R. Pallucchini, Firenze 1981, p. 409). []
  13. Per i Barovier, cfr. supra nota 5; inoltre C. A. Levi, L’arte del vetro in Murano e i Berroviero, Venezia 1895. []
  14. G. Mariacher, Barovier, in Dizionario Biografico degli Italiani, 6, Roma 1964, online; L. Zecchin, Maria Barovier…, 1968. []
  15. Cfr. F. Malaguzzi Valeri, Chi è lo pseudo Boccaccino ?, in “Rassegna d’Arte”, 1912, pp. 99-100; L. Simonetto, Lo Pseudo Boccaccino fra Milano e Venezia: certezze e dubbi di una cronologia, in “Arte Lombarda”, 84-85, 1988, pp. 73-88; F. Moro, Giovanni Agostino da Lodi ovvero l’ Agostino di Bramantino appunti per un unico percorso, in “Paragone”, 473, 1989, pp. 23-61; Idem, The Allentown Nativity: Giorgione to Agostino and viceversa, in “Achademia Leonardi Vinci”, V, 1992, pp. 52-57; L. Simonetto, Giovanni Agostino da Lodi, in Dizionario Biografico degli Italiani, 56, 2001; online; F. Agosti, J. Stoppa, in Il Rinascimento nelle terre ticinesi, da Bramantino a Bernadino Luini, catalogo della mostra (Rancate, Mendrisio 2010-2011), a cura di G. Agosti- J. Stoppa- M. Tanzi, Milano 2010, scheda n. 43, pp. 178-181; E. M. Dal Pozzolo, Un promemoria giorgionesco di Giovanni Agostino da Lodi, in “Venezia Cinquecento”, III, 1993, pp. 67-78; Idem, Versi sibillini: Leonardo, Giorgione, Giovanni Agostino da Lodi, in “Venezia Cinquecento”, XXI, 2011, pp. 5-42. []
  16. F. Moro, Giovanni Agostino da Lodi ovvero…, 1989, pp. 23-61. []
  17. Cfr. P. Venturelli, Virtù d’ alcune pietre, in La biblioteca di Leonardo…, 2021, p. 433-434. []
  18. Cfr. L.  Zecchin, La famiglia di Iacobo Barovier…, 1975, pp. 261-264. []
  19. Risuterebbe figlio della seconda moglie, il che escluderebbe si tratti del pittore lodigiano (L. Zecchin, Decoratori di vetri e vetrate a Murano tra 1470 e il 1520, in “Rivista della Stazione Sperimentale del  Vetro”, IX, 1979, pp. 63-69; E. M. Dal Pozzolo, Un promemoria giorgionesco…, 1993, pp. 67-78). []
  20. Cfr. P. Venturelli, Documenti inediti per Giovanni Antonio de Predis. Tra miniatura, oreficeria e questioni di metodo, in “Arte Cristiana”, settembre- ottobre 2005, pp. 396-40; Eadem, Leonardo da Vinci e le arti preziose…, 2002, p. 23; Eadem, Arte orafa milanese…. 2021, sub indice. []
  21. Vedi: L. Puppi, La grande vetrata della Basilica dei SS. Giovanni e Paolo, Venezia 1985; La grande vetrata di San Giovanni e Paolo. Storia, iconologia, restauro, Venezia 1982; G. Tagliaferro, Mocetto, Girolamo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 75, Roma 2011, online. Inoltre, cfr. M. Verità, Commento tecnico al Trattato di Antonio da Pisa, in Vetrate. Arte e restauro. Dal trattato di Antonio da Pisa alle nuove tecnologie di restauro, a cura di G. Mecozzi, Cinisello Balsamo 1991, pp. 93-94, 99; Antonio da Pisa può essere individuato in Antonio di Ciomeo, con attività tra Assisi, Firenze, Pisa (cfr. S. Ciappi, Maestri vetrai…, 2008, pp. 38-39). []
  22. The French Connection, in “Glass News”, 24, 2008, pp. 8- 9; C. Moretti- T. Toninato, Ricettario vetrario…, 2001, pp. 40-41. []
  23. Per Antonio da Pisa, cfr. Vetrate. Arte e restauro…, 1991. []
  24. M. Verità, Commento tecnico …, 1991, p. 99. []
  25. L. Reti, Le arti chimiche…, 1952, p. 12 (secondo Reti «tignere» è vocabolo usato dagli alchimisti nel senso di ‘tramutare’; Leonardo inoltre in questo foglio descriverebbe l’operazione conosciuta come ‘inquartazione’, la cui prima menzione si ha nel 1501, il metodo per separare l’oro dall’argento in una lega di due metalli mediante l’acid nitrico); la citazione nell’appunto del ‘vetro giallo’ credo potrebbe essere connessa alla ricetta per «fare il giallo d’oro in vetro» di Antonio da Pisa, forse da usarsi per fare lastre in strato sottile, secondo la tecnica usata per il vetro rosso (M. Verità, Commento tecnico…, 1991, pp. 91, e 93). []
  26. I rossi trasparenti sono detti ‘rubino al rame’, o in gergo veneziano ‘rosechiero’, quelli opachi ‘’hematinone’, ‘sangue di bue’, o in gergo veneziano ‘ rosso coppo’; cfr. C. Moretti- B. Gratuze, Vetri rossi al rame e avventurina. Confronto di analisi e ricette, in “Rivista della Stazione Sperimentale del Vetro”, 3, 1999, pp. 147-160. P. Zecchin, Il vetro rubino all’oro veneziano, “Journal of Glass Studies”, 52, 2010, pp. 25-33; C. Moretti, La pratica chimica dei vetrai del Rinascimento, in “Rivista della Stazione Sperimentale del Vetro”, 5, 2012, pp. 31- 45, a p. 36. []
  27. Il manoscritto Darduin è stato pubblicato da L. Zecchini, Il ricettario Darduin, Venezia 1986; cfr. L. Zecchin, Gli smalti veneziani e il ‘rosechiero’, in “Vetro e Silicati”, XV, n. 81, 1970, pp. 17-20; R Barovier Mentasti, Darduin, in Dizionario Biografico degli Italiani, 32, Roma 1986, online; P. Zecchin, Il vetro rubino all’oro veneziano…, 2010, p. 26: Darduin prescrive di lavorare «10 libbre di fritta sodica bianca (fonderla e lasciarla raffredare tre volte […]), aggiungendovi un’oncia di sublimato (cloruro mercurio), due once di ramina rossa, un’oncia di orpimento (solfuro arsenico), un’oncia di sangue di drago (resina di color rosso), due once di ossido di stagno, mezza oncia di argento calcinato, tre carati di scaglia di ottone o di orpello con altrettanta quantità di tartaro crudo, ventotto carati di oro calcinato e (se si riteneva necessario) un po’ di manganese»; per «calcinare l’oro che va nel rosechiero», indica di alternare in un crogiolo «strati di ‘sal comun pesto’ a fogli d’oro», mettendo il crogiolo in un «forno a riverbero», cambiando «più volte il cloluro di sodio finchè le foglie d’oro erano calcinate diventando friabili». []
  28. P. Zecchin, Il vetro rubino…, 2010, pp. 26-27. []
  29. P. Venturelli, Percorso iconologico…, 1994; per questo codice, cfr. E. Zanon, Il libro del Codice del Volo. The Book of the Codex on Flight, Leonardo da Vinci. Dallostudio del volo degli uccelli all’aereoplano, con Prefazione di C. Pedretti, Milano 2009. []
  30. Per il codice fiorentino, cfr. G. Milanesi, Dell’arte del vetro per musaico. Tre trattatelli dei secoli XIV e XV per la prima volta pubblicati, Bologna 1864, spec. le ricette nn. LXXIII, LXXXVI («A fare colore rosso, togli ottone e stillalo in acqua e farai d’ogni ragione rosso»); XCII; per il II trattato, cfr. alle pp. 69-109. S. Ciappi, Maestri vetrai…, 2008, p. 18. []
  31. M. Verità, Commento tecnico …, 1991, p. 93. []
  32. Per Caradosso/ Cellini/ Leonardo, cfr. P. Venturelli, Leonardo da Vinci e le arti…, 2002, pp. 145-157. []
  33. Per gli smalti rossi milanesi e Caradosso, cfr. P. Venturelli, Esmaillée à la façon de Milan. Smalti nel ducato di Milano da Bernabò Visconti a Ludovico il Moro, Venezia 2008, pp. 90-107; Eadem, «Con bel smalto et oro». Oreficerie del Ducato di Milano tra Visconti e Sforza, in Oro dai Visconti agli Sforza. Smalti e oreficeria nel Ducato di Milano, catalogo della mostra (Milano 2011-2012) a cura di P. Venturelli, Cinisello Balsamo 2011, pp. 31-61; Eadem, UNA SOLA AMO IN FEDE. Medaglie ed enseigne tra Milano e Roma, Leonardo da Vinci e Caradosso, in Oltre l’ornamento. Il gioiello tra identità, lusso e moderazione, Giornata di Studio Internazionale (Padova 22 febbraio 2019), a cura di G. Baldissin Molli- S. Franzon, OADI Digitalia, Palermo 2020, pp. 29-42; Eadem, Arte orafa milanese…, 2021, pp. 222 sgg. []