roberta.cruciata@unipa.it
Amuleti scursuna in corallo
DOI: 10.7431/RIV23072021
Hanno finora ricevuto poca attenzione negli studi scientifici dedicati alle opere delle maestranze trapanesi in rosso corallo del tardo XVIII e del XIX secolo alcuni amuleti a guisa di animali/mostri marini denominati scursuna (plurale di scursuni). Essi non sono soltanto da considerare affascinanti manufatti in virtù della curiosità che il corallo, e l’universo simbolico al quale esso rimanda, continua ancora oggi a suscitare, ma racchiudono un intrinseco interesse che si esplica su due livelli: il primo, facilmente intuibile, connesso alle usanze e alle credenze popolari, il secondo come manifestazione artistica da mettere in relazione all’eclettismo storicista che durante l’Ottocento investì anche le arti decorative siciliane.
Il mio primo fortuito approccio con siffatta tipologia di amuleto fu oltre dieci anni fa. Si trattava di uno scursuni, ad oggi inedito, montato come pendente, tramite l’applicazione di un morso in argento dorato, parte degli ex-voto donati al simulacro in terracotta invetriata della Madonna del Soccorso di Castellammare del Golfo1, rinomata località turistica dell’agro ericino (Fig. 1). Costituito da un rametto di corallo dalla forma allungata e leggermente sinuosa, che simula quella di un rettile dalla coda bipartita, non è liscio bensì inciso a riprodurre le squame dell’animale nella parte superiore. Molto semplice ed essenziale nella manifattura, è da riferire a una committenza popolare.
Ma innanzitutto bisogna chiarire il significato del termine scursuni, e poi considerare l’universo simbolico al quale esso rimanda. Si tratta di una parola del dialetto siciliano che indica genericamente un rettile2, o meglio varie specie di serpenti di forma cilindrica e allungata, velenosi e non. Tra essi figura il biacco (hierophis viridiflavus), serpente non velenoso nero lucente tipico delle regioni dell’Europa centro-meridionale e del bacino del Mediterraneo, che si trova sia nei terreni rocciosi che in luoghi umidi, noto in provincia di Trapani col nome di vìsina. Il termine scursuni in realtà si ritrova similare anche in altri dialetti dell’Italia meridionale, come dimostra ad esempio il seguente scongiuro lucano: «Férmate, brutte nere scurzone, cumme se fermàrene l’acque llu fiume Giurdane-S. Paule t’àv’attaccate»3.
Da sempre presenti nell’immaginario popolare4, i serpenti sono tradizionalmente associati a istanze bivalenti, ora negative, in quanto portatori di veleno, ora positive, quali spiriti protettori. Considerato alla stregua di una divinità nelle più importanti religioni del mondo antico, emblema di saggezza, fertilità, rinascita ed eternità proprio in virtù della sua caratteristica precipua di essere soggetto alla muta, fu accolto nella religione giudaico-cristiana come il tentatore per eccellenza (Genesi 3,4-22), mantenendo comunque anche l’identificazione con la sapienza (Genesi 3,1), mentre la tarda tradizione biblica lo accosterà definitivamente al diavolo (Sapienza 2, 24).
Vale la pena interrogarsi su come lo scursuni nell’immaginario popolare siciliano e non solo si sia progressivamente affermato in relazione ad antidoti e amuleti, per giunta in associazione al simbolico e potente corallo che secondo la tradizione pagana deriva dal sangue sgorgato dal capo reciso pullulante di serpenti guizzanti della gorgone Medusa, che traspose in esso la proprietà del suo sguardo5, e che in virtù del suo colore si lega anche al sangue e all’energia vitale. In realtà in tutte le epoche le raffigurazioni dei serpenti sono state considerate efficaci amuleti. Nell’Antico Testamento (Numeri 21, 9), quando Israele era in pericolo a causa dei serpenti velenosi che si annidavano tra le pietraie della steppa, il serpente di bronzo divenne l’antidoto salvifico contro il loro veleno portatore di morte; il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta: chiunque sarà morso e lo guarderà, vivrà». Personaggi simbolicamente negativi di alcune celebri fiabe del Pitrè, basti pensare a Lu Sirpenti o a ‘Mperaturi Scursuni6, i serpenti sono ricordati dallo stesso studioso anche per le loro virtù taumaturgiche. È il caso del grassu di lu scursuni di lu Dutturinu, in uso da secoli per curare le ferite e le piaghe7. La psiche dell’uomo, scriveva il Pitrè, «nei momenti più difficili della vita, nei bisogni più impellenti, quando ogni naturale argomento di salute torna inutile o vano […] si attacca all’ignoto, al soprannaturale e ne trae ragione e speranza, che è conforto d’ogni anima desolata. Che importa che la scienza ed il buon senso si levano arditi a dimostrare la irrazionalità di tanti espedienti! L’uomo che soffre e che teme, crede e spera, e credendo e sperando corre ciecamente dietro i fantasmi, che per lui sono il filo conduttore al suo ideale»8. Le spoglie delle serpi, secondo diffuse credenze calabresi, portate al collo entro sacchettini o comunque a stretto contatto con il corpo, erano funzionali contro le influenze malefiche e nei neonati lenitive in presenza della crosta lattea, mentre poste sotto il cuscino degli ammalati favorivano la loro guarigione9. Similmente in Sicilia tra i rimedi per eccellenza in caso di tosse accompagnata da mal di gola era in uso il lazzu di la schinancia, che consisteva in una testa di vipera, non uccisa ma fatta morire, presa di venerdì e ricucita in un sacchetto di tela oppure avvolta nel lino e portata sospesa al collo10. I poteri riconosciuti alle salme di questi animali che venivano “indossate” progressivamente dovettero passare ad oggetti dalle medesime fattezze quali gli scursuna, allo stesso modo da portare come pendenti, in un clima culturale quale quello ottocentesco, come si dirà a breve, particolarmente sensibile alla figura del serpente. La ricerca di protezione fisica, che afferma implicitamente la vulnerabilità dei nostri corpi e per esteso dell’esistenza terrena, è difatti uno dei motivi fondamentali per cui si indossano amuleti e gioielli11, o si fanno indossare a piccoli e indifesi bambini12. Ricordava il drammaturgo Euripide (485-406 a.C.), a questo proposito, che nell’antica Atene era usanza far portare al collo dei neonati ciondoli d’oro a forma di serpente13.
E proprio a questo rettile spetta nei secoli un posto d’onore nell’universo prezioso dell’oreficeria. Soprattutto nel corso del XIX secolo, periodo al quale sono ascrivibili gli amuleti considerati nel presente contributo, in seno a un clima a livello internazionale improntato all’eclettismo e al naturalismo14, si ebbe una vera e propria passione per i gioielli raffiguranti i serpenti. Emblematico è l’anello di fidanzamento anguiforme, a simboleggiare l’amore eterno, che il principe Alberto (1819-1861) nel 1839 donava alla sua Vittoria (1819-1901), dal 1837 regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, che includeva piccoli rubini, diamanti e uno smeraldo a decorare il capo del rettile15. La regina possedeva in realtà diversi gioielli a guisa di serpente, tra cui numerosi bracciali, la maggior parte doni risalenti non a caso alla sua giovinezza16, ognuno dei quali portatore di sfumature di significato diverse. È il caso di quello indossato per il suo First Council, probabilmente regalatole in occasione del suo diciottesimo compleanno dalla regina consorte (1830-1837) Adelaide di Sassonia-Meiningen (1792-1849), che compare nel disegno preparatorio (RCIN 913990) eseguito da sir David Wilkie (1785-1841) nel 1838 circa (Fig. 2) per due ritratti ufficiali della stessa sovrana17. Il bracciale in oro, diamanti e rubini, costituito da una struttura rigida circolare alle cui due estremità stanno due teste di serpente, su cui frontalmente si innesta il corpo di un terzo rettile similare intrecciato a formare un armonioso fiocco, doveva essere per la sovrana che scelse di indossarlo in un’occasione ufficiale così importante funzionale a lanciare un auspicio, per un regno, il suo, lungo e improntato a un’accorta saggezza. In breve tempo il serpente, specialmente con la coda ad anello, si affermò come importante fonte d’ispirazione per la gioielleria nell’Inghilterra vittoriana18 e non solo, soprattutto in occasione di fidanzamenti e lutti, quindi nella “gioielleria sentimentale”, a significare un amore che non conosceva i limiti del tempo e dello spazio, in una sola parola eterno (Fig. 3). Esso era un motivo ricorrente su spille, ciondoli, anelli, bracciali e diversi tipi di accessori decorati con pietre preziose (quali rubini cabochon), semipreziose e smalti, e rimase in voga a livello europeo durante il revival rinascimentale e archeologico prima, significativa in questo senso anche la riscoperta dell’antico Egitto, e l’Art Nouveau poi, che come è noto privilegiò motivi naturalistici e animali/insetti.
Anche in Italia restano testimonianze di anelli ottocenteschi a serpente con pietra augurale rossa, simbolo di amore e passione, ad esempio nella collezione Perusini oggi presso il Museo Etnografico del Friuli a Udine19, associati ai riti della “promessa” e al ciclo nuziale. In essi, secondo il modello diffuso a livello continentale, le pietre sono incastonate sulla testa del serpente, le cui spire formano la fascia del gioiello; ugualmente la figura del serpente, anche con pietra incastonata sul capo o al posto degli occhi, era diffusa negli orecchini, nei bracciali, nelle spille, nei pendenti, negli amuleti e perfino nella gioielleria prettamente maschile, ad esempio nelle catene d’orologio20.
Nell’immaginario contemporaneo la figura del serpente è invece legata soprattutto ad alcuni marchi di lusso. La maison Cartier fin dai suoi esordi nel 1847, ma poi specialmente a partire dagli anni Quaranta del XX secolo, si è contraddistinta per un universo popolato da animali, reali o fantastici, tra i quali figurano i serpenti, come nella collezione “fauna e flora”21. Ma il serpente è sinonimo per eccellenza del marchio Bulgari, e della sua iconica “collezione Serpenti” appunto22. Un binomio quella tra il gioiello e l’animale sacro per Asclepio che non è mai venuto meno.
Negli amuleti qui considerati, in virtù del loro materiale costitutivo, avviene qualcosa di davvero interessante. Lo scursuni, animale di terra occasionalmente nuotatore, nel momento in cui si associa al corallo viene traslato nel mondo acquatico. I modelli ai quali esso guarda, pertanto, e ciò appare evidente considerando che non è raffigurato avvolto su sé stesso ma piuttosto scolpito nella sua interezza appartengono al mondo marino, popolato da fantastiche e mostruose creature. Gli scursuna rappresentano un’interpretazione fantasiosa che fonde almeno due note iconografie consolidate nella Sicilia dell’epoca: il serpente con la sua funzione apotropaica e il delfino salvifico e ispiratore di saggezza23. Tale termine, pertanto, non è utilizzato con valenza puramente zoologica, ma si riferisce a una sovrapposizione di allegorici animali e a tutto ciò che essi incarnano nell’immaginario popolare stratificatosi nel corso del tempo. Al simbolismo animale si somma quello ittico. Gli scursuna, tipici della Sicilia, forse sono da collegare agli amuleti che il Pitrè denominò «’na cuda di firuni», letteralmente una coda di delfino24. D’altra parte è risaputo che gli amuleti connessi con il mare fossero ritenuti particolarmente efficaci, a maggior ragione quando si trattava di proteggere i bambini, come in questo caso.
Lo scursuni si affermò sia in virtù delle caratteristiche della sua forma che del suo materiale costitutivo come ornamento protettivo funzionale a respingere ciò che appariva malvagio. Si tratta di un oggetto potentissimo, che somma in sé le virtù riconosciute all’animale serpente e al corallo. Erano oggetti destinati principalmente ai neonati, da legare alle collane o appuntare sui vestitini, a stretto contatto con il corpo, e sostituirono progressivamente le fasce ombelicali in oro e argento e sfere di corallo che alla fine del Settecento caddero lentamente in disuso, considerate ora troppo costose. Venivano regalati in occasione della nascita e del battesimo, che rappresenta per i cristiani il primo sacramento che libera l’uomo dal male e dal peccato e lo rigenera in Dio, e nello stesso tempo fornisce una prima “protezione” per affrontare un periodo, la prima infanzia, considerato in passato delicato e rischioso. Enzo Tartamella dà la notizia che a regalarli «era la nonna paterna, in genere al primo figlio maschio della nuova coppia, in un assetto ancora patriarcale della famiglia»25.
Alcuni esemplari di scorsoni di raffinata manifattura, evidentemente appartenuti a una famiglia agiata anche in virtù delle loro dimensioni, sono custoditi al Museo Pepoli Trapani, tra cui due realistici pendenti (n. inv. 5499)26 che nel loro corpo liscio allungato e curvilineo assecondano la forma naturale del ramo di corallo dal quale sono stati ricavati e sfruttano al massimo le sue caratteristiche costitutive anche per la resa di alcuni particolari anatomici quali la pinna dorsale o la testa (Fig. 4). Le bocche sono aperte in modo da poterne ammirare la dentatura e la lingua tesa dalla punta arrotondata, le pinne, le squame e la coda accuratamente incise, mentre un morso con anello applicato all’altezza delle fauci ne permetteva l’uso come ciondoli. Uno dei due presenta la bocca particolarmente disserrata e una più accentuata verosimiglianza nella resa del corpo snello e scattante rivestito di squame e della coda doppia (Fig. 5). Particolare pregno di significati è il fatto che furono donati originariamente come ex-voto al tesoro della venerata Madonna di Trapani27, e successivamente entrarono a far parte delle collezioni del museo. Alcuni scorsoni in corallo figurano anche tra gli oggetti votivi ricevuti nel tempo dalla Madonna della Pietà, detta “dei Massari”, della chiesa delle Anime del Purgatorio, dipinto molto caro ai trapanesi in quanto il Martedì Santo apre con una processione la Settimana Santa. Si tratta di opere ricavate rispettivamente da un ramo e da un ramo biforcuto28. Tutti gli amuleti scursuna finora considerati hanno finito, ritengo non casualmente, per diventare degli ex-voto e assumere un ulteriore livello di valore, diventando totalmente simbolo della protezione della Vergine Maria. Un bell’esemplare (Fig. 6), dal corpo particolarmente arcuato, già montato come pendente (come dimostrano i due fori ai margini della bocca) e oggi come spilla, fu acquistato a Palermo nel novembre del 1967 da Gaetano Perusini e fa parte delle collezioni del Museo Etnografico del Friuli a Udine (inv. 1095)29. Al solito ricavato da un unico ramo di corallo, presenta delle fattezze più morbide e particolari molto dettagliati.
Gioielli riproducenti creature marine o mitologiche create, in virtù degli affascinanti miti che le circondavano fin dall’antichità, in oro, smalti, gemme preziose e perle, si diffusero in tutta Europa a partire dal Rinascimento((Per l’argomento si vedano E. Steingraber, L’arte del gioiello in Europa dal Medioevo al Liberty, Firenze 1965; A.J. Black, Storia dei gioielli, a cura di F. Sborgi, Novara 1973; J. Evans. A History of Jewellery 1100-1870, New York 1989; C. Phillips, Jewels…, 2019. Cfr. anche Treasures of Florence – The Medici Collection 1400-1700, ed. by C. Acidini Luchinat, Munich 1997.)). Un esemplare (Fig. 7) che a fini del nostro discorso appare un antecedente significativo è il complesso pendente a più catenelle e piccoli pendagli finali (AF.2859), riferito ad ambito veneziano della fine del Cinquecento30, in oro, perla scaramazza, perline, pietre preziose e smalti policromi che comprende un mostro acquatico in rosso corallo naturalisticamente scolpito e inciso nelle tre parti che lo compongono: la doppia coda, il corpo sottile e allungato dotato di scaglie e pinne e, infine, la testa con occhi e bocca curva spalancati, quest’ultima con denti appuntiti e lingua arrotondata in evidenza. Resta illuminante per lo studio di pendenti con creature marine, spesso accompagnate da figure umane, la celebre serie di disegni del fiammingo Hans Collaert (1525/1530-1580)31. Nella gioielleria spagnola di fine XVI-inizi del XVII secolo, che influenzò fortemente il contesto mediterraneo e siciliano, il delfino era un motivo ricorrente, e lo testimoniano alcuni disegni per pendente parte dei Llibres de Passanties (foll. 278, 284, 287, 333, 336) e del Libro de joyas de la Virgen de Guadalupe (foll. 1, 43)32. Negli inventari siciliani a partire dal Quattrocento fino agli inizi dell’Ottocento sono ricorrenti i riferimenti a monili a forma di serpenti, ad esempio anelli, e poi a gioie raffiguranti cavallucci marini e sirene33. A tal proposito appaiono problematici la datazione e l’individuazione dell’ambito di produzione del pendente in oro, smalti verdi su collo, testa e coda e bianchi sui denti, e grande perla scaramazza a simulare il corpo di un mostro marino che ha la coda squamata bipartita (Fig. 8) custodito presso il Museo Pepoli (n. inv. 463). Considerato già oreficeria tedesca cinquecentesca e poi italiana o spagnola della fine del Cinquecento34, ritengo sia da postdatare, o per lo meno allo stato delle ricerche da considerare un manufatto rimaneggiato. Proveniente dalla chiesa di San Francesco di Trapani entrò a far parte delle collezioni museali presumibilmente nel 190735, si tratta pertanto di un ex-voto. Approfondite future analisi delle tecniche esecutive, ad esempio della lavorazione delle catene, apparentemente troppo regolari, e delle tipologie di smalti utilizzati, permetteranno di chiarire meglio la questione. I modelli a cui tale manufatto guarda sembrano i gioielli e le «galanterie gioiellate» ispirate al gusto manieristico internazionale di fine XVI secolo quali quelle appartenute alla principessa elettrice del Palatinato Anna Maria Luisa de’ Medici (1667-1743), parte del tesoro dei Granduchi presso Palazzo Pitti a Firenze, riferite ad ambito olandese e fiammingo36. Ma è soprattutto nel XIX secolo, in pieno revival rinascimentale, che si assiste alla moda o meglio al ritorno nell’oreficeria europea di pendenti in oro, smalti, gemme e perle a forma di creature marine, pesci, delfini, cavallucci marini, coccodrilli, etc. creduti per lungo tempo, fino alla riscoperta nel 1978 dei disegni dell’orafo tedesco Reinhold Vasters (1827-1909) presso il Victoria & Albert Museum, dei manufatti originali e che gli studi recenti e i più importanti musei al mondo stanno tentando di ricontestualizzare nel giusto tempo e spazio e di comprendere pienamente37.
Un unico amuleto, lo scursuni, capace di riunire in sé significati e simbolismi complessi, e che allo stesso tempo ne consente la conservazione e la trasmissione nel tempo. Con il suo affascinante background culturale e storico-artistico suggerisce che la storia dell’oreficeria e delle arti decorative del XIX secolo anche in Sicilia ha ancora molto da rivelare e raccontare.
Referenze fotografiche
Fig. 1 – Foto dell’autrice
Fig. 2 – Royal Collection Trust / Her Majesty Queen Elizabeth II 2021
Fig. 3 – Victoria & Albert Museum, London
Figg. 4, 5, 8 – Museo regionale di Trapani “Agostino Pepoli”
Fig. 6 – Civici Musei e Gallerie di Storia e Arte di Udine, Museo Etnografico del Friuli, Collezione Perusini
Fig. 7 – The Trustees of the British Museum
- Per il tesoro della Madonna del Soccorso, tra più celebri della Sicilia occidentale in quanto ricco di esemplari di oreficeria popolare siciliana del Settecento e dell’Ottocento diversi per stili e tecniche, si veda R. Cruciata, Aurea Jugalia Gli ori della Madonna del Soccorso di Castellammare del Golfo, Palermo 2011. Per la devozione alla Madonna del Soccorso si segnala Eadem, Sancta Maria, succurre miseris. L’iconografia e la devozione alla Madonna del Soccorso nella Sicilia occidentale e a Malta tra XIV e XVIII secolo, in “Iconographica Studies in the History of Images”, XVII, 2018, pp. 132-147. [↩]
- Si veda A. Lanaia, Nomi siciliani di invertebrati e piccoli animali. Studio etimologico e iconimico, tesi di dottorato, Università degli Studi di Catania 2013, pp. 4, 116. [↩]
- G.B. Bronzini, Il serpente nella letteratura popolare dalla funzione reale a quella simbolica, in “Lares”, vol. 68 no. 4, ottobre-dicembre 2002, p. 577. [↩]
- Per l’argomento cfr. Idem, Il serpente…, 2002, pp. 569-579. [↩]
- Si vedano M.C. Di Natale, Il corallo da mito a simbolo nelle espressioni pittoriche e decorative in Sicilia, in L’Arte del corallo in Sicilia, a cura di C. Maltese-M.C. Di Natale, Palermo 1986, pp. 79-107; A. Natali, Aliti e serpenti, in Medusa Il mito, l’antico e i Medici, Firenze 2008, pp. 10-16. [↩]
- Per il tema cfr. M. Castiglione, I re animali nelle fiabe di Pitrè: nomi o sostanze, in Zoosemiotica 2.0 Forme e politiche dell’animalità, a cura di G. Marrone, Palermo 2017, pp. 479-494; Eadem, Fiabe e racconti della tradizione orale siciliana. Testi e analisi, con la collaborazione di A. De Caro-M. Lo Dato, Palermo 2018. Per i loro connotati negativi si veda pure G. Pitrè, Usi e costumi credenze e pregiudizi del popolo siciliano, vol. IV, Firenze 1952, pp. 224-236. [↩]
- G. Pitrè, Medicina popolare siciliana, Firenze 1949, p. 284. [↩]
- Idem, La famiglia, la casa, la vita del popolo siciliano, a cura di T. Tentori, Comiso 2002, p. 137. [↩]
- R. Corso, Amuleti contemporanei calabresi, in “Revue des études éthnographiques et sociologiques”, Parigi 1909, pp. 250-257 in part. 251, 256. [↩]
- G. Pitrè, La famiglia, …, 2002, p. 136. [↩]
- Per approfondimenti M. Unger, Jewellery in context. A multidisciplinary framework for the study of jewellery, Europe 2019, p. 138. [↩]
- Per l’argomento R. Cruciata, Coralli e amuleti. Objets de vertu a misura di bambini, in c.d.s. [↩]
- Si veda Euripide, Ione, a cura di M.S. Mirto, Milano 2009. [↩]
- Per approfondimenti cfr. C. Phillips, Jewels & Jewellery, London 2019, pp. 88-97. [↩]
- M. Fasel, Beautiful Creatures. Jewelry Inspired by the Animal Kingdom, New York 2020, p. 106. [↩]
- C. Gere-J. Rudoe, Jewellery in the Age of Queen Victoria A Mirror to the World, London 2010, p. 22. [↩]
- Per l’opera cfr. D. Millar, The Victorian Watercolours in the Collection of Her Majesty The Queen, 2 vols, London 1995, cat. 5891. [↩]
- Cfr. C. Gere-J. Rudoe, Jewellery…, 2010, p. 122; M. Fasel, Beautiful Creatures…, 2020, p. 106. [↩]
- G.P. Gri, Anelli a serpente con pietra rossa, in Ori e tesori d’Europa. Mille anni di oreficeria nel Friuli Venezia Giulia, catalogo della mostra a cura di G. Bergamini-P. Goi, Milano 1992, p. 430 con bibliografia precedente. [↩]
- Idem, Il simbolismo del mondo animale, in Ori e tesori d’Europa…, 1992, pp. 448-449. Si vedano pure L’ornamento prezioso Una raccolta di oreficeria popolare italiana ai primi del secolo, catalogo della mostra a cura di P. Ciambelli, Roma-Milano 1986, pp. 183 (n. 394) e 194 (n.468); A. Gandolfi, Amuleti Ornamenti magici d’Abruzzo, Pescara 2003, pp. 35, 36, 57, 58, 80, 81, 85; R. Pellegrini, Gioielli storici dell’Alto Lario. Cultura del prezioso nel periodo dell’emigrazione a Palermo, Como 2009, pp. 149, 157, 197, 199. [↩]
- Per l’argomento F. Chaille-M. Spink, The Cartier Collection Jewelry, Paris 2019. [↩]
- Si veda M. Fasel, Bulgari Serpenti Collection, New York 2013. [↩]
- E. Villiers, Amuleti, talismani ed altre cose misteriose, Milano 1989, p. 157. Ringrazio Bianca Cappello, che ha condiviso con me stimolanti riflessioni sull’argomento. [↩]
- G. Pitrè, La famiglia, …, 2002, pp. 128-129. [↩]
- E. Tartamella, Corallo. Storia e arte dal XV al XIX secolo, Palermo 1986, p. 157. [↩]
- Pubblicati per la prima volta in A. Daneu, L’arte trapanese del corallo, Palermo 1964, p. 155, che li considera delfini, e poi in L. Novara, Le Arti decorative ed applicate, in Il Museo Interdisciplinare Regionale Agostino Pepoli, Trapani 2013, p. 73. [↩]
- Per il tesoro della Madonna di Trapani cfr. Il Tesoro Nascosto. Gioie e argenti per la Madonna di Trapani, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale-V. Abbate, Palermo 1995. [↩]
- A. Daneu, L’arte …, 1964, p. 161, che ugualmente li chiama delfini. [↩]
- S. Altamore, L’oreficeria tradizionale siciliana nella collezione Perusini, in Ori e Rituali i preziosi della Collezione Perusini, catalogo della mostra a cura di T. Ribezzi, Udine 2008, pp. 132, 134. [↩]
- https://www.britishmuseum.org/collection/object/H_AF-2859. [↩]
- Cfr. F.W.H. Hollstein-A. Diels-M. Leesberg, The new Hollstein Dutch & Flemish etchings, engravings and woodcuts, 1450-1700. The Collaert dynasty. Part III, Rotterdam 2005. [↩]
- P.E. Muller, Jewels in Spain 1500-1800, New York 1972, II ed. Madrid 2012, pp. 92-95. [↩]
- M.C. Di Natale, Gioielli di Sicilia, Palermo 2000, II ed. 2008, pp. 45-46. [↩]
- Eadem, Gioielli … 2008, p. 45; Eadem, Gioielli come talismani, in Wunderkammer siciliana alle origini del museo perduto, a cura di V. Abbate, Napoli 2001, p. 71. [↩]
- Desidero esprimere la mia gratitudine a Daniela Scandariato, per le preziose informazioni. [↩]
- M. Sframeli-Y. Hackenbroch, Gioielli dell’Elettrice Palatina al Museo degli Argenti, Firenze 1988. Si veda anche M. Mosco, Gioielli e «galanterie gioiellate» di Anna Maria Luisa de’ Medici, Elettrice Palatina, in M. Mosco-O. Casazza, Il Museo degli Argenti. Collezioni e collezionisti, Firenze-Milano 2004, pp. 184-193. [↩]
- Si vedano Y. Hackenbroch, Reinhold Vasters, Goldsmith, in “Metropolitan Museum of Art Journal”, vol. 19/20, New York 1986, pp. 163-268; T. Drayman-Weisser-M.T. Wypyski, Fabulous, Fantasy, or Fake? An Examination of the Renaissance Jewelry Collection of the Walters Art Museum, in “The Journal of the Walters Art Museum”, vol. 63, 2005, pp. 81-102; S. van Leeuwen-J. van Bennekom-S. Creange, Genuine, Fake, Restored or Pastiche? Two Renaissance Jewels in the Rijksmuseum Collection, in “The Rijksmuseum Bulletin”, 62 no. 3, 2014, pp. 270-287; D. Thornton, A Rothschild Renaissance. Treasured from the Waddesdon Bequest, London 2015; A Rothschild Renaissance. A New Look at the Waddesdon Bequest in the British Museum, eds. by P. Shirley-D. Thornton, London 2017. [↩]