Elisa Zucchini

elisa.zucchini@unifi.it

Bozzetti di opere d’arti applicate di Giovanni Antonio Fumiani per il Gran Principe Ferdinando

DOI: 10.7431/RIV23042021

È nota alla critica la genesi dei quattro bozzetti per torcieri di Giovanni Antonio Fumiani*, conservati nei depositi della Galleria degli Uffizi1. Dalla corrispondenza fra il Gran Principe Ferdinando e Niccolò Cassana si apprende che, ancor prima della conclusione del dipinto La lapidazione di Zaccaria (Fig. 1), commissionato a Fumiani nel 1699, il Gran Principe chiese al medesimo pittore «qualche cosa di bizzarro»2. Durante il suo secondo viaggio a Venezia nel 1696, Ferdinando aveva incontrato Fumiani e ne aveva apprezzato le abilità di quadraturista, all’epoca impegnato nella decorazione del soffitto della chiesa veneziana di San Pantalon, iniziato nel 1684 e concluso tra il 1704 e il 1710, anno della morte3. Secondo Fogolari, si deve però all’artista, nel 1702, l’iniziativa di inviare due tele con quattro bozzetti di torcieri ciascuna, raffiguranti i Quattro Elementi (Fig. 2) e le Quattro Età dell’uomo (Fig. 3) trasformati in un’allegoria del buon governo mediceo4. Ad esse dovette seguirne una terza, non citata nella corrispondenza a noi nota; infatti il principe accennò a «tre quadretti» in una lettera nella quale ne chiese un quarto, con bozzetti di portavasi capaci di fungere da candelieri di notte e portafiori di giorno (si trattava quindi di ipotetici vasi trasparenti, di vetro o di cristallo) rappresentanti le Quattro Parti del mondo5 (Fig. 4). La destinazione definitiva della serie ai mezzanini degli appartamenti del Gran Principe a Palazzo Pitti, dove si trovava la sua collezione di bozzetti6, segnala, a mio avviso, la loro peculiarità.

L’uso della tecnica ad olio su tela rende i bozzetti autentici dipinti piuttosto che progetti per manufatti. In questo ricordano alcune opere di materiali pregiati raccolte dal Gran Principe per il loro valore artistico ed inventivo, a prescindere dalla funzione originaria, per esempio i quattro manici di coltello in avorio con coppie di putti, Adamo ed Eva, eseguiti da Balthasar Permoser nel 1688 e montati su plinti in ebano ed avorio7, oppure la coppa in ambra con Ercole e il leone Nemeo, espressioni del suo gusto estroso e raffinato nell’ambito delle arti minori8. Il colore monocromo imita un disegno a grafite e biacca su carta colorata, ma potrebbe suggerire un’ipotetica realizzazione in metallo, materiale consono alla fluidità delle forme di questi torcieri più del legno congetturato da Francesca De Luca9. La “bizzarria” delle opere di Fumiani, dal ductus nervoso ed irregolare, tintorettesco10, dalle numerose figure allungate ed affastellate fino all’inverosimile, esula dai veri e propri progetti per candelabri coevi, ad esempio quelli di Foggini11 e Soldani Benzi12, eppure gli elementi strutturali ed ornamentali rielaborano citazioni dall’oreficeria tardocinquecentesca e seicentesca. Le basi dei torcieri raffiguranti l’Europa e l’Asia ricordano quelle della croce d’altare e dei candelabri in cristallo di rocca e bronzo dorato per l’altare della Santissima Annunziata, disegnati da Matteo Nigetti, eseguiti da Pietro Tacca e da altre maestranze granducali nel 1632, con l’aggiunta nel 1698 di una terza coppia di candelabri, commissionata da Michele Grifoni, montata a Firenze ma con elementi di cristallo di rocca lavorati a Milano13. In particolare, la base dell’Europa, con volute accartocciate e informi sormontate da cornucopie – volute che ritornano, più elevate e con elementi fitomorfi, nella base del torciere raffigurante l’Età del Rame – sembrano una rielaborazione semplificata delle sirene ripiegate su se stesse che creano i piedi della croce e dei candelabri, di derivazione buontalentiana e forse ideate da Tacca14. La fusione fra struttura e decorazioni dal significato simbolico ricorda la produzione di un altro orafo attivo a Firenze nella prima metà del XVII secolo, Cosimo Merlini il Vecchio15. Tali reminiscenze non sorprendono, in quanto costituiscono, insieme all’esempio del Barocco romano, uno dei lemmi del lessico ornamentale di Giovanni Battista Foggini, direttore dei laboratori granducali dal 169416, dunque potevano corrispondere ad una volontà dell’artista o del committente di rifarsi a modelli fiorentini correnti. In effetti, la cartella curvilinea a conchiglia della base del torciere con l’Asia ricorda un dettaglio ricorrente nelle oreficerie progettate da Soldani Benzi, scultore favorito del Gran Principe17, quali l’ostensorio del Duomo di Livorno (1692) ed il reliquiario di San Casimiro (1687 – 1688)18, nonché nei suoi disegni d’ornato conservati al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi19. Questo potrebbe indicare un avallo di Ferdinando, con tanto di suggerimenti, all’ invio delle prime due tele da parte di Fumiani.

La serie rappresenta probabilmente invenzioni destinate, in ultima analisi, ad incrementare la raccolta di bozzetti del Gran Principe con esempi di schizzi di arredi che esprimessero in primo luogo la fantasia e l’ingegno dell’autore, mettendo in secondo piano un’effettiva realizzazione. Induce a pensarlo la lettera del Gran Principe a Fumiani, con la quale richiede il quarto bozzetto (Fig. 5):

«Mi trovo doppiamente affezionato all’amorevolezza e attenzione di lei enunciatemi ambedue dalla sua penna con tanta energia e nell’espressioni del suo buon cuore e nella distinta spiegazione dei quattro elementi e delle quattro età del mondo da lei pure con così ingegnosa invenzione rappresentate. Io ne la ringrazio con vivo affetto e vedendo con quanta facilità il suo ingegno sappia partorire godrei molto che ella mi accompagnasse i tre quadretti di disegni di Torcieri che già tengo di suo e che essendo di mio gusto, vorrei poter collocare in un piccolo mezzanino al cui effetto mi bisogna il quarto … Questo ultimo desidero che rappresenti le quattro parti del mondo e che le figure a grottesche che dovranno esprimerle mostrino di sostenere un vaso che sia allusivo alle medesime sopra del quale la notte si possa posare un candeliere et il giorno si possa tenere pieno di fiori»20.

Fogolari nota, giustamente, che è difficile capire cosa avesse in mente il principe nel richiedere portavasi che potessero fungere da candelabri21; non solo, ma sembra che egli abbia pensato fin da principio ad esporre le tele nelle sale dei mezzanini dedicate alla collezione di bozzetti, poiché non si leggono dettagli indicativi di un’esecuzione in qualsivoglia materiale.

Dalla corrispondenza con Niccolò Cassana emerge che il Medici stimasse l’inventiva e l’abilità quadraturistica di Fumiani, ma non la sua capacità di dipingere figure22. In una lettera del 19 febbraio 1699, il principe commentò: «Ho gusto, che il Signor Fumiani si soddisfaccia, ma nelle figure perde il tempo»23. In un’altra, del 16 maggio 1699, egli chiese a Cassana di eseguire le figure di un quadro che voleva ordinare a Fumiani, anche a costo di cancellare quelle dell’autore:

«Vorrei ch’Ella vedesse, se il Signor Fumiani me ne volesse fare uno di architettura, ma non vorrei, ch’egli vi facesse le figure, mentre vorrei, che me le facesse Lei. … Quando Ella vedesse, che non volesse, che altri facessero le figure nel suo quadro, Ella dica, che non ci voglio, che il solo Davide, che sarà poco male il levarlo, e fare a nostro modo»24.

Il quadro, che doveva rappresentare Davide in preghiera nel Tempio, divenne infine la Lapidazione di Zaccaria, dipinto quasi integralmente da Fumiani, forse con alcune figure di Cassana, appunto nel 169925. Probabilmente, il principe rimase colpito dall’abilità nel dipingere oggetti decorativi mostrata dal pittore in quest’ opera26 e, ritenendola superiore alla sua pittura di storia, ne fu stimolato a richiedergli bozzetti di arti applicate. Confrontando questi ultimi coi candelabri del dipinto, emergono fondamentali divergenze. I candelabri visibili intorno alla zona dell’altare nel dipinto, ornati da figure longilinee al pari di quelli dei bozzetti, sembrano costruiti in modo più regolare e solido degli altri, con un gruppo di figure più folto alla base, progressivamente ridotto lungo il fusto, fino alla coppia di figure femminili che regge il portalume27. Nei bozzetti, il ductus fluente sembra non tener troppo conto della statica e della tecnica metallurgica, inoltre è difficile identificare la sede di un’eventuale torcia. Un discorso affine si può fare per i vasi davanti all’ altare nella Lapidazione – un’urna ed un altro vaso rovesciato, in prospettiva – la cui guarnizione a figure umane28, pur esili ed allungate come quelle delle telette, sembra separata dalla forma del vaso in sé, mentre nel bozzetto di vaso per Ferdinando struttura e decorazione sembrano fondersi. Di conseguenza, si può dedurre una distinzione, nel progetto dell’artista e del committente, fra le opere di oreficeria raffigurate in un dipinto, che dovevano somigliare ad oggetti autentici, e quelle progettate nei bozzetti, dove l’artista dava libero sfogo a quel fertile ingegno lodato dal principe. Il dinamismo formale di questi ultimi, piegato a rappresentare schemi iconografici mitologico – letterari, si richiama forse alle “candelabre” del repertorio decorativo rinascimentale29 ed alle grottesche della scuola di Raffaello, alle quali i bozzetti si possono assimilare per la varietà e fluidità delle iconografie, che richiamano la totalità della natura, dell’universo e del tempo ciclico (un concetto, quest’ ultimo, proprio delle decorazioni delle Logge Vaticane, correlato agli emblemi medicei) e per gli equilibri azzardati delle figure30. Fin dal Cinquecento, infatti, le grottesche erano interpretate quali immagini della forza generativa della natura e delle sue continue metamorfosi31.

Il rimando al repertorio decorativo delle Logge Vaticane corrisponde all’esplicita richiesta di figure a grottesche da parte di Ferdinando nella lettera concernente il bozzetto con le Quattro parti del mondo32, richiesta insolita in un periodo di sfavore per questo genere33, che potrebbe celare un richiamo al mecenatismo di Leone X – implicito nell’affresco Cosimo Pater Patriae presentato dalla città di Firenze a Giove, nel soffitto del salone della villa di Poggio a Caiano, commissionato dal Gran Principe ad Anton Domenico Gabbiani nel 169834 – oppure una reminiscenza delle decorazioni del Corridoio di Levante della Galleria degli Uffizi, eseguite per volere di Francesco I dal 158135. Se è vero che Ferdinando si riallacciava a Francesco I nella predilezione per la villa di Pratolino36, mi sembra più probabile una rievocazione delle iniziative artistiche di Leone X, in virtù del confronto con la Strage degli Innocenti di Giuseppe Maria Crespi, eseguita sempre per il Gran Principe alcuni anni dopo i bozzetti di Fumiani (1706-8), nella quale la figura di un carnefice richiama il celebre milite col braccio alzato della Battaglia di Ostia di Raffaello ed un frammento lapideo in primo piano mostra un trofeo all’antica simile a quelli raffigurati nei pilastri delle Logge di Raffaello37. In questi casi, tali citazioni forse indicano che Ferdinando ricercava una rivisitazione degli esempi canonici rinascimentali attraverso la più aggiornata pittura veneta ed emiliana38, quasi a ravvivare implicitamente il modello mecenatistico dell’avo pontefice e, in generale, dei discendenti diretti di Cosimo il Vecchio.

Indubbiamente Ferdinando sapeva che il genere della grottesca consentiva la massima libertà d’invenzione e di figurazione, memore delle parole di Giorgio Vasari nel capitolo XXVII dell’Introduzione alle Vite:

«Le grottesche sono una specie di pittura licenziosa e ridicola molto, fatte dagl’antichi per ornamenti di vani, dove in alcuni luoghi non stava bene altro che cose in aria; per il che facevano in quelle tutte sconciature di monstri per strattezza della natura e per gricciolo e ghiribizzo degli artefici, i quali fanno in quelle cose senza alcuna regola … e chi più stranamente se gli immaginava, quello era tenuto più valente. … E di questa spezie grottesche e stucchi se n’è visto e vede tante opere lavorate da’ moderni, i quali con somma grazia e bellezza hanno adornato le fabbriche più notabili di tutta la Italia, che gli antichi rimangono vinti di grande spazio»39.

Il piacere di vedere sulla tela l’esito dell’estro di un artista era contemperato dalla richiesta di attenersi ad iconografie dal significato allegorico e simbolico. Ciò rammenta i passi dei Libri delle antichità di Pirro Ligorio sulle grottesche:

«Sono fatte per recare stupore, et maraviglia per così dire ai miseri mortali, per significare quanto sia possibile la gravidanza et pienezza dell’intelletto et le sue immaginationi… e se bene al vulgo pareno materie fantastiche, tutte erano simboli e cose industriose, non fatte senza misterio… Vi sono forme fantastiche e come de insogni; vi furono mesticate cose morali e favolose degli iddii; vi sono cose che in parte imitano le cose della natura nelle frondi, nell’animali»40.

Il testo di Ligorio non risulta in possesso del principe, ma, dato il suo interesse per l’antiquaria41, è probabile che egli l’avesse letto. Sembra suggerirlo l’espressione «vedendo con quanta facilità il suo ingegno sappia partorire» nella lettera di commissione dell’ultimo bozzetto, forse eco della «gravidanza et pienezza dell’intelletto» di cui scriveva Ligorio.

L’iconografia di tre delle quattro serie di torcieri è descritta nella corrispondenza fra autore e committente42. Precede la lettera inerente il bozzetto con le Quattro Parti del mondo, riportata sopra, una lettera di Fumiani che descrive l’iconografia dei bozzetti coi Quattro Elementi e le Quattro Età dell’uomo [Figg. 1-2]: «figurando la Terra i Giganti fulminati da Giove. L’Acqua Galatea spaventata da Polifemo. L’ Aria Giunone, che impetra da Eolo, che sprigioni li Venti contro Enea. Il Foco Fetonte fulminato da Giove»; «La prima felicissima per li olivi, e Faggi, che stillano mele, e Fiumi correnti che portano Nettare, e Late [sic] che si figura la Ser. ma Anna Medici [o Arma Medici? NdR], che in uno de vasetti il più superiore le Api formano nido, stillando il dolce Mele, con Puttini, che vanno scherzando in vari modi; mostrando che dal Governo Ser. mo stilli il Mele, e corre dal Fiume Arno Nettare, e Late [sic]. Nell’ Età dell’Argento, à quel tempo si principiò a coltivare la Terra, onde si misero al giogo li giumenti, e nacquero Fiori, Cerere, e Bacco, e questi principiorono da Noe da gl’Antichi nominato il Tempo, che fu quando sortì l’Iride segno pacifico della Casa Ser. ma Medici. Nell’ Età del Rame regnò rancori, e discordie, mà dalla Pallade Ser. ma Medici, è fermata ogni discordia. Nell’ età del Ferro, ove regnava gl’ ingani, e la Menzogna, mà frenati dalla Giustizia Ser. ma Medici, gode i suoi Popoli una felicissima Pace e Quiete»43.

Il mancato ritrovamento di fonti inerenti la quarta tela ostacola la lettura della complessa iconografia; la voce dell’inventario degli appartamenti del Gran Principe (1713) riporta genericamente le quattro tele, perciò non aiuta nel decifrarne le iconografie44. La gamma cromatica basata sui toni dell’ocra rossa, diversa da quelle degli altri bozzetti, a grisaglia, sembra imitare il rame o il bronzo e pertanto provare una concezione a sé stante dell’opera, che si distingue dal resto della serie anche per un’esecuzione apparentemente più abbozzata. La preminenza dello stemma Medici collega comunque l’esemplare agli altri, in virtù del contenuto encomiastico.

L’inventario del 1713 registra anche otto bozzetti di Fumiani per urne, dei quali ne rimane solo uno nei depositi della Galleria degli Uffizi45 (Fig. 6). Databile al 1699 – 170246, questo bozzetto fonde, in un modo certamente “bizzarro”, le specialità di Fumiani, la quadratura architettonica ed il disegno decorativo. L’urna dai colori metallici – bronzeo il corpo, argentee le figure e dorata la cartella, una policromia che ricorda i vasi della Lapidazione di Zaccaria – si staglia su uno sfondo di edifici con colonne corinzie ed arcate alla romana, a suggerire proporzioni monumentali, ed è incorniciata da una base di lesena alla nostra destra; un dettaglio assente nei coevi bozzetti per torcieri, segno forse di un’evoluzione del genere pilotata dal Gran Principe. Dall’arco alla nostra sinistra si intravede un paesaggio naturale con alberi in primo piano, un ponte e montagne lontane. La figurazione è avvolta nella luce del tramonto, che tinge di rosa le nuvole e i marmi delle architetture. Si notano affinità col soffitto di San Pantalon, nel fondale architettonico47 e nella decorazione figurata dei vasi, benché quelli dipinti a trompe-l’oeil nella chiesa veneziana risultino più convenzionali nella forma e nella finta ornamentazione a sbalzo.

La struttura dei vasi in sé ricorda, secondo Jennifer Montagu, le urne di Soldani Benzi ora al Victoria and Albert Museum, eseguite per il senatore Giovanni Battista Scarlatti48. Eppure, a mio avviso, la forma sembra più affusolata di queste, forse un ulteriore rimando ai vasi disegnati da Buontalenti per Francesco I de’Medici, ad esempio la fiasca di lapislazzuli con montatura in oro smaltato eseguita da Jacques Bylivelt nel 1583 e il mesciroba di lapislazzuli con montatura in oro smaltato eseguito da Hans Domes nel 1578, entrambi nel Tesoro dei Granduchi49. Infatti, l’urna dipinta ha un’ansa a forma di serpente, come quelle originariamente eseguite da Domes per il suddetto mesciroba e per una tazza di lapislazzuli del medesimo museo50, o quella della coppa di lapislazzuli a forma di conchiglia di Giovanni Battista Cervi, sempre in quel museo51. Alcuni anni prima dell’esecuzione della tela di Fumiani, tra il 1694 e il 1698, Massimiliano Soldani Benzi aveva modellato anse a serpenti attorcigliati in bronzo dorato per due vasi di porfido verde antico, su commissione del Gran Principe, che a sua volta possedeva due vasi di maiolica urbinate ornati a grottesche e medaglioni con storie della vita di Cesare e dotati di manici a serpenti52. Nel progetto di Fumiani, il serpente è afferrato da un putto, quasi un piccolo Ercole, seduto sopra lo stemma Medici, visibile di profilo. Alla tassa di lapislazzuli di Domes potrebbe ispirarsi anche il mascherone visibile sotto la conchiglia collocata fra le due figure femminili.

A quest’ispirazione al tempo di Francesco I de’Medici si combina una citazione dello stile auricolare, nato nei Paesi Bassi nei primi decenni del Seicento, evidente dal confronto col vaso con Storie di Diana, abbinato ad un bacile con analoga decorazione, di Paul van Vianen al Rijksmuseum di Amsterdam (1613) e con la saliera di Adam van Vianen nel medesimo museo (1620)53. Probabilmente Fumiani, per accontentare la smania di originalità di Ferdinando, guardò repertori di disegni per orafi in stile auricolare, quali i Modelli artificiosi di vasi di Christian van Vianen e Theodor van Kessel, o analoghi repertori grafici per orafi provenienti dal Nord Europa54, accentuandone le peculiarità tramite la pittura di tocco. Indicazioni in tal senso potevano provenire da Ferdinando, che in materia di arti applicate mostrava una passione per manufatti d’avorio e d’ambra, tipicamente nordici55, e poteva conoscere disegni od opere dei van Vianen. Paul van Vianen, tra il 1596 e il 1601, lavorò alla corte di Guglielmo V di Baviera, antenato della moglie del Gran Principe, Violante Beatrice di Baviera56, quindi la principessa avrebbe potuto portare con sé alcune opere dell’orafo da Monaco a Firenze. Forse, la causa ultima delle citazioni dallo stile di Buontalenti, Tacca e van Vianen sta nell’esempio di Francesco I de’ Medici, col quale Ferdinando si misurava senz’altro nell’amata villa di Pratolino57. Ferdinando doveva sentire congeniale al proprio gusto per la stravaganza lo stile di quell’epoca, nella commistione di elementi naturalistici e fantastici, fluidi e dettagliatamente cesellati, e negli echi buontalentiani58, pertanto forse lo indicò quale modello da seguire a Fumiani, per stimolarne l’ingegno, analogamente a quel che fece con altri artisti, per esempio con Crespi, che spinse ad un confronto con la pittura nordica e con Rembrandt59. D’altronde, basta osservare i vasi in marmo verde con anse a forma di serpenti eseguiti da Soldani Benzi per il Gran Principe60, o i vasi d’avorio della raccolta principesca61, per notare quanto Ferdinando, nel campo delle arti applicate, non fosse insensibile al richiamo dello stile ‘manieristico’.

Un esempio di decorazione che fondeva stile auricolare e figure bizzarre derivate dalle grottesche raffaellesche e dall’ ornato ‘manierista’ poteva essergli offerto dalle cornici dei quadri appartenuti al cardinal Leopoldo de’ Medici, alcuni dei quali incamerati nella sua collezione62. D’altronde, è ben noto l’ascendente esercitato da Leopoldo, prozio di Ferdinando, sulle scelte collezionistiche di quest’ultimo, soprattutto riguardo all’amore per la pittura veneta63 e al collezionismo di bozzetti64. Alla morte di Leopoldo, nel 1675, Ferdinando, allora dodicenne, ricevette in eredità la sua collezione di porcellane, confluita nella Stanza delle porcellane della Galleria, che Ferdinando fece completare nel 1681 con un affresco di Atanasio Bimbacci raffigurante La Religione Cristiana con le Virtù Cardinali65. La disposizione testamentaria del cardinale implica forse una consapevolezza del precoce interesse per le arti del pronipote, quindi il rimando allo stile amato da Leopoldo nelle cornici potrebbe rappresentare un desiderio di perpetuare la memoria del suo mecenatismo, nel quale si potrebbe identificare una radice del gusto di Ferdinando per le arti applicate.

* L’autrice ringrazia la professoressa Dora Liscia, il professor Lorenzo Gnocchi, il professor Vincenzo Farinella per i preziosi suggerimenti e l’insostituibile sostegno.

  1. F. De Luca, in Il Gran Principe Ferdinando de’Medici – collezionista e mecenate, catalogo della mostra (Firenze, Galleria degli Uffizi, 26 giugno – 3 novembre 2013), a cura di R. Spinelli, Firenze 2013, pp. 354-355, n.83. []
  2. G. Fogolari, Lettere pittoriche del Gran Principe Ferdinando di Toscana a Niccolò Cassana (1698-1709), in “Rivista del R. Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte”, 4. 1937, pp. 145-186: 172. []
  3. M. Ciammaichella, Prospettive architettoniche dipinte da Giovanni Antonio Fumiani nel Martirio e gloria di san Pantaleone a Venezia, in “Disegnare – idee: immagini”, n. 58, anno 30, 2019, pp. 48-59: 49. []
  4. G. Fogolari, Lettere pittoriche…, 1937, pp. 153 – 159; M. Chiarini, in Gli ultimi Medici, catalogo della mostra (Detroit, The Detroit Institute of Arts, 27 marzo – 2 giugno 1974, Firenze, Palazzo Pitti, 28 giugno – 30 settembre 1974), coordinamento del catalogo di F. Chiarini, Firenze 1974, pp. 234-235, n.138. []
  5. G. Fogolari, Lettere pittoriche…, 1937. La cromia perlacea del bozzetto in questione, più chiara di quella degli altri, sembra effettivamente alludere ad un materiale vitreo. []
  6. M. Chiarini, I mezzanini “delle meraviglie” e la collezione di bozzetti del Gran Principe Ferdinando a Palazzo Pitti, in Il Gran Principe Ferdinando de’Medici 2013, pp. 82-91. []
  7. K. Aschengreen Piacenti, in Gli ultimi Medici, 1974, p. 382, n. 218. []
  8. M. Betti – C. Brovadan, Per il Gran Principe Ferdinando: tre opere del museo dell’Opificio delle Pietre Dure e alcuni cenni sul suo gusto per le “arti minori”, “OPD Restauro”, n.24, 2012, pp. 263-272; Chiarini in Gli ultimi Medici 1974. []
  9. F. De Luca, in Il Gran Principe…, 2013. []
  10. Ibidem. []
  11. Argenti fiorentini, a cura di Dora Liscia Bemporad, Firenze 1992 – 1993, I, pp. 186-187. []
  12. Argenti fiorentini…, I, 1992 – 1993, p. 152. []
  13. Comunicazione orale della professoressa Dora Liscia, che ringrazio per i suggerimenti e le discussioni riguardo a quest’argomento. Per i candelabri vedi Elisabetta Nardinocchi, in Pietro Tacca – Carrara, la Toscana, le grandi corti europee, catalogo della mostra (Carrara, Centro Internazionale delle Arti Plastiche, 5 maggio – 19 agosto 2007), a cura di Franca Falletti, Firenze 2007, pp. 180-181, n.26. []
  14. E. Nardinocchi, Pietro Tacca tra natura e decoro, in Pietro Tacca 2007, pp. 103 – 119: 116; Eadem, Laboratori in Galleria e botteghe sul Ponte Vecchio – sviluppi e vicende dell’oreficeria nella Firenze del Seicento, in Argenti fiorentini…, 1992 – 1993, I, pp. 101 – 167: 126. []
  15. E. Nardinocchi, Pietro Tacca…, 1992 – 1993, pp. 127-131. []
  16. E. Nardinocchi, Pietro Tacca…, 1992 – 1993, p. 160. []
  17. K. Lankheit, Florentinische Barockplastik, Monaco di Baviera 1962, pp. 114-115; M.L. Strocchi, Parigi – Poggio a Caiano 1661-2003, in Il Gran Principe Ferdinando de’Medici e Anton Domenico Gabbiani, Prato 2003, pp. 10 – 31: 20. []
  18. Argenti fiorentini…, 1992 – 1993, I, pp. 158-159. []
  19. Plasmato dal fuoco – la scultura in bronzo nella Firenze degli ultimi Medici, catalogo della mostra (Firenze, Gallerie degli Uffizi, Palazzo Pitti – Tesoro dei granduchi, 18 settembre 2019-12 gennaio 2020), Firenze 2019, pp. 471, 475. []
  20. G. Fogolari, Lettere pittoriche…, 1937, pp. 158-159. []
  21. Ibidem. []
  22. V. Conticelli, in Il Gran Principe Ferdinando de’ Medici 2013, pp. 356-357, n. 84. []
  23. G. Fogolari, Lettere pittoriche…, 1937, p. 169. []
  24. G. Fogolari, Lettere pittoriche…, 1937, pp. 171 – 172. []
  25. V. Conticelli, in Il Gran Principe…, 2013. []
  26. Ibidem. []
  27. Sembra di notare, in questa parte apicale del candelabro, un’ispirazione al Bruciaprofumi disegnato da Raffaello su richiesta di Leone X per donarlo a Francesco I di Francia (1518-20), inciso da Marcantonio Raimondi. Cfr. Giorgio Marini in Raffaello – il sole delle arti, catalogo della mostra (Torino, Venaria Reale, Sala delle Arti, 26 settembre 2015 – 24 gennaio 2016), Cinisello Balsamo 2015, pp. 282-283 n. 85. []
  28. Alcune di queste figure sembrano citare modelli pittorici e scultorei: l’uomo barbuto sotto l’imboccatura dell’urna è in una posa ispirata al Giorno di Michelangelo, le figure maschili dorate accovacciate alla base del vaso in prospettiva ricordano i telamoni degli affreschi di Niccolò dell’Abate a Palazzo Torfanini a Bologna, che potevano essere noti all’autore, secondo Malvasia allievo del bolognese Domenico degli Ambrogi, attivo a Bologna fino al 1666 (E. Epe, Die Gemäldesammlungen des Ferdinando de’Medici Erbprinz von Toskana, Marburg 1990, p. 87; L. Rossetti, Annotazioni su Giovanni Antonio Fumiani, “Arte documento” 9. 1995, pp. 143-151: 143-144; vedi anche A. Pellicciari, Domenico degli Ambrogi e Giovanni Antonio Fumiani: I Santi protettori della città di Bologna, “Il Carrobbio” 2011, pp. 216-232). []
  29. C. Acidini, La reinvenzione della grottesca come rappresentazione del mondo, nelle imprese di Raffaello in Vaticano, in Raffaello – il sole delle arti 2015, pp. 107 – 117: 107 – 108. []
  30. C. Acidini, La reinvenzione della grottesca…, 2015, pp. 112 – 117. []
  31. S. Maffei, Natural bizzarrie: le grottesche nel Cinquecento tra natura e simbolo, in Raffaello e la Domus Aurea – L’invenzione delle grottesche, Milano 2020, pp. 195-224: 195-196. []
  32. Cfr. supra; Epe 1990, p. 63. []
  33. Comunicazione orale del professor Vincenzo Farinella, che ringrazio per i suggerimenti in merito. []
  34. F. Paliaga – R. Spinelli, Il “Gabinetto d’opere in piccolo” del Gran Principe Ferdinando de’ Medici nella Villa di Poggio a Caiano, “Gli Uffizi. Studi e ricerche” 33, Firenze 2017, pp. 13 – 17. []
  35. V. Farinella, The Domus Aurea Book, Milano 2019, p. 204. []
  36. E. Epe, Die Gemäldesammlungen…, 1990, pp. 33-39. []
  37. E. Zucchini, Giuseppe Maria Crespi ed il Gran Principe Ferdinando: analisi e ricostruzione di un contesto, tesi di dottorato (Università di Firenze, XXXI ciclo, 2015-2018), p. 74. []
  38. Ibidem. []
  39. Giorgio Vasari, Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue, insino a’ tempi nostri, nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550, a cura di L. Bellosi e A. Rossi, Torino 2008, I, pp. 73-74. []
  40. V. Farinella, The Domus…, 2019, p. 238. []
  41. G. Lami, Memorabilia Italorum eruditione praestantium…, Firenze 1742, I, pp. 100-101; Giornale de’Letterati d’Italia, XVII, 1714, pp. 9, 17-18. []
  42. M. Chiarini, in Gli ultimi Medici…, 1974, p. 234, n.138; G. Fogolari, Lettere pittoriche…, 1937, p. 153. []
  43. ASF, Mediceo del Principato, f. 5887 c. 707, trascritta in M. Chiarini, in Gli ultimi Medici…, 1974, pp. 234 – 235, n. 138. []
  44. F. De Luca, in Il Gran Principe…, 2013. []
  45. Ibidem.; M. Chiarini in Gli ultimi Medici…, 1974, p. 236, n. 139. []
  46. M. Chiarini in Gli ultimi Medici…, 1974, p. 236. []
  47. V. M. Ciammaichella, Prospettive architettoniche…, 2019, pp. 56-57. []
  48. J. Montagu, in Gli ultimi Medici…, 1974, p. 128, n.84 a-b. []
  49. A.M. Massinelli – F. Tuena, Il tesoro dei Medici, Novara 1992, pp. 77-79, 81. []
  50. A.M. Massinelli – F. Tuena, Il tesoro dei Medici…, 1992, pp. 85-86. []
  51. A.M. Massinelli – F. Tuena, Il tesoro dei Medici…, 1992, p. 80. []
  52. M. Sframeli, in Plasmato dal fuoco…, 2019, pp. 428-431 n. 124. []
  53. T. Schroder, Auricular style. Grove Art Online, 2003 <https://www.oxfordartonline.com/groveart/view/10.1093/gao/9781884446054.001.0001/oao-9781884446054-e-7000005021>; <https://www.rijksmuseum.nl/nl/collectie/BK-16089-B>; <https://www.rijksmuseum.nl/nl/collectie/BK-1960-15-A>. []
  54. Cfr. Grafica per orafi, a cura di A. Omodeo, Firenze 1975, p. 43. []
  55. M. Betti – C. Brovadan, Per il Gran Principe…, 2012, pp. 267-270. []
  56. Grove Art Online, voce “Vianen, van family – Paulus van Vianen”. []
  57. M.L. Strocchi, Pratolino alla fine del Seicento e Ferdinando di Cosimo III, in Il Gran Principe…, 2013, pp. 72-81. []
  58. E. Nardinocchi, Pietro Tacca…, 1992 – 1993, pp. 106-110. []
  59. M. Pajes Merriman, Giuseppe Maria Crespi, in Giuseppe Maria Crespi 1990, pp. LXIX-LXX; John T. Spike, Giuseppe Maria Crespi and the emergence of genre painting in Italy, Firenze 1986, pp. 26-27, 126. []
  60. M. Sframeli, in Plasmato dal fuoco…, 2019, pp. 428-430, n. 124. []
  61. M. Betti – C. Brovadan, Per il Gran Principe…, 2012. []
  62. M. Mosco, Le cornici dei Medici, Firenze 2007, pp. 39 – 50. []
  63. D. Rapino in Il Gran Principe Ferdinando de’ Medici…, 2013, p. 288 n. 62; M. Fileti Mazza, Una pesca miracolosa – il sistema collezionistico di Leopoldo de’Medici, in Leopoldo de’ Medici – principe dei collezionisti, catalogo della mostra (Firenze, Tesoro dei Granduchi, 7 novembre 2017 – 28 gennaio 2018), a cura di V. Conticelli, R. Gennaioli, M. Sframeli, Livorno 2017, pp. 15-35. []
  64. M. Chiarini, I mezzanini…, 2013, pp.85-86. []
  65. V. Conticelli, L’eredità del principe Leopoldo nella Galleria del tardo Seicento, in Leopoldo de’ Medici, 2017, pp. 177-199: 184-187. []