Andrea Missagia

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Oreficerie sacre e smalti traslucidi nel contesto padovano tardomedievale

DOI: 10.7431/RIV23012021

Questo contributo* muove da un’indagine più generale, condotta con l’obiettivo di valutare l’entità delle oreficerie a smalto traslucido attualmente presenti in Veneto1, il cui esordio in quest’area è documentato a partire dalla prima metà del secolo XIV. A seguito di un’aggiornata campagna di ricognizione e studio su questa tipologia di materiali, sulla base dei risultati ottenuti si è deciso in questa sede di fornire uno scorcio d’insieme del patrimonio di manufatti conservati a Padova e nel suo territorio, i quali costituiscono un corpus di oggetti di particolare rilevanza per quantità e qualità.

L’avvio per uno studio delle oreficerie a traslucido nel contesto padovano è fornito dalla celebre Croce-reliquiario del legno della Santa Croce2, donata al Tesoro della Cattedrale di Padova dal vescovo Ildebrandino Conti3, la quale costituisce il più antico manufatto a traslucido in Veneto. L’opera, riconosciuta quale prodotto di importazione e datata entro il secondo decennio del secolo XIV, può essere collegata alla produzione della bottega di Guccio di Mannaia, il maestro orafo a cui tradizionalmente si attribuisce la nascita del nuovo modo di smaltare verso l’ultimo decennio del secolo XIII4.

La croce di Padova ci rende partecipi di alcuni caratteri tipici di questo nuovo tipo decorazione, come gli elementi floreali e le immagini di volatili in medaglioni incisi che si intrecciano per impreziosire i bracci del reliquiario. A questa decorazione si aggiungono le placchette con figure, le quali sono inserite elegantemente entro cornici ad archetti trilobi. Grazie alla loro buona conservazione, possiamo notare come le paste vitree siano presenti in diversi colori: il blu per gli sfondi, il giallo-oro, l’azzurro, il verde-smeraldo, il marrone in più sfumature, ed il rosa per gli incarnati; le campiture delle cornici invece sono in smalto champlevé rosso opaco.

L’importanza dell’opera deve essere relazionata alla figura di Ildebrandino, la cui lunga permanenza ad Avignone, all’epoca sede papale, unita alla fitta rete di conoscenze stretta durante i suoi numerosi viaggi, possono essere visti come fattori determinanti per il contatto con le più recenti innovazioni nel campo dell’oreficeria. Alcuni studi hanno inoltre sottolineato come l’arrivo di Ildebrandino a Padova nel 1332 abbia determinato l’arricchimento del Tesoro della Cattedrale grazie a generose donazioni di cui egli stesso fu autore5: i primi Inventari trecenteschi mettono in luce un grande patrimonio di opere, di differente tipologia e materiale, e già a partire dall’Inventario del 1339 trovano descrizione diversi oggetti decorati a smalto6.

Se nel momento d’esordio del traslucido in questo territorio possiamo quindi ammettere la circolazione di opere contraddistinte da smalti di produzione toscana, al tempo stesso è da sottolineare la presenza di manufatti i cui smalti esprimono un linguaggio tipicamente locale. Fondamentali in questo senso sono state le indagini condotte da Giordana Mariani Canova in relazione al cosiddetto “Maestro del Serpentino”, un nome tradizionalmente associato alla montatura del calice custodito presso il Tesoro della Basilica di San Marco a Venezia7. Le ricerche della Mariani Canova, pubblicate in un importante contributo del 19848, hanno dimostrato come la montatura del calice presenti una serie di placchette figurate, il cui stile d’esecuzione si pone in diretto rapporto con l’opera di Giotto a Padova9. Questi smalti, definiti “giotteschi”, trovano riscontro in diversi manufatti padovani, databili almeno fino alla fine del secolo XIV, con un riferimento non solo all’attività del Maestro fiorentino, ma anche, e soprattutto, a quei pittori che seppero raccoglierne l’eredità, dal Guariento a Giusto de’ Menabuoi, da Altichiero da Zevio a Jacopo Avanzi fino a Jacopo da Verona.

Una delle prime opere rinviabili a questo linguaggio è il Reliquiario del bicchiere di Aleardino conservato nel Tesoro della Basilica del Santo a Padova10 (Fig. 1). Il reliquiario, datato al secondo quarto del secolo XIV, si presta ad una serie di analogie con la montatura del calice del Serpentino a partire dalle placchette figurate della base di forma quadrilobata (Fig. 2), inserite in cornici lisce sbalzate che costituiscono parte integrante della decorazione a foglie e racemi del piede. Le figure a smalto, poste entro compassi ad archetti trilobati, sono modellate da un intaglio sottile e dai tratti marcati: questo segno così netto contribuisce alla resa di un intenso espressionismo dei volti, con gli occhi talvolta segnati da occhiaie. Si può affermare che nell’intera costruzione delle figure, dalle aureole scorciate alle vesti contrassegnate da pieghe verticali, sia evidente come l’artista abbia assimilato in modo consapevole quei caratteri tipici della pittura di Giotto, ad esempio nel Cristo benedicente (Fig. 3), il quale ricorda i Profeti con cartiglio, inseriti nei tondi dipinti presenti nella Volta della Cappella (Fig. 4) – si noti l’uguale resa della bocca – oppure nelle coppie di Evangelisti (Fig. 5) che con i loro profili richiamano i Profeti sempre nella Volta della Cappella (Fig. 6).

Di un certo interesse sono poi le placchette di forma triangolare del coperchio del reliquiario, dove le figure di Sant’Antonio, Santa Chiara e San Ludovico di Tolosa rinviano alla committenza francescana dell’opera. La presenza di questi santi nella decorazione a smalto in opere d’oreficeria sacra richiama il repertorio orafo di tradizione toscana – li troviamo già nel calice, realizzato entro il 1292, firmato da Guccio di Mannaia11 – dove erano soliti apparire a mezza o a più di mezza figura. Nel reliquiario padovano sono invece a figura intera, creando in questo modo un insieme coerente con le due placchette del coperchio a scene narrative, ossia quella con il Beato Oderico da Pordenone mentre battezza un infedele e quella con San Francesco che riceve le stigmate12. A traslucido troviamo infine le lamine con Santi, a figura intera e di profilo, inserite sullo sfondo delle nicchie del nodo del reliquiario, una scelta decorativa presente anche nel coevo Reliquiario della pietra del Getsemani e di altre sette reliquie, sempre della Basilica del Santo13.

Rimanendo nell’ambito dei manufatti databili al secondo quarto del secolo XIV, un’analisi delle forme utilizzate dagli orafi nella resa delle placchette figurate ha fatto emergere una certa predilezione per l’utilizzo di cornici interne ad esse: una soluzione che sembra scomparire a partire dalla seconda metà del secolo XIV. Tra i vari motivi, il più frequente è quello utilizzato alla base dei manufatti, con placchette quadrilobate a figure inserite in cornici interne ad archetti trilobati14, un motivo già attestato nelle produzioni senesi15. Queste tipologie ornamentali permettono inoltre di porre diversi confronti con la pittura16: le botteghe orafe potevano infatti aver ricevuto suggestioni, oltre che da oggetti importati, anche dalla cultura figurativa locale. Ci si riferisce ad esempio a testimonianze risalenti ai primi decenni del secolo XIV, come i Busti di Sante entro cornici polilobate inserite nelle fasce ornamentali del sottarco appartenente alla Cappella delle Benedizioni nella Basilica del Santo (Fig. 7), o le analoghe cornici con Busti di Santi presenti nell’arcone che divide il presbiterio dall’abside nella Cappella degli Scrovegni (Fig. 8).

Giunti quindi alla seconda metà del secolo XIV, tra le opere che più si contraddistinguono per l’impiego del traslucido troviamo il Reliquiario della pietra del Getsemani, di un dito di San Ludovico e altre reliquie17 (Fig. 9), ed il Reliquiario di un dito di un piede di San Lorenzo18, entrambi custoditi nel Tesoro della Basilica del Santo e datati all’ultimo quarto del secolo.

Nel primo reliquiario il traslucido è applicato su lamine d’argento incise con raffigurazioni di volatili19 inseriti in compassi polilobi, riprendendo in questo modo un motivo caro agli orafi toscani, impiegato già tra il secolo XIII e XIV, ma che qui assume una nuova dimensione spaziale in relazione al caratteristico nodo a cornicione. A questa decorazione se ne aggiunge una fitomorfa nel nodo con fiori assieme a foglie, e nei due rocchetti del fusto, con una tipologia floreale che sarà ricorrente in diversi manufatti databili a partire dall’ultimo quarto del secolo XIV20. Smalti traslucidi sono presenti anche nel piede, dove all’interno di castoni sono inserite delle placchette argentee a dodici lobi contenenti immagini di Santi a più di mezza figura (Fig. 10). Parti a traslucido caratterizzano anche gli spioventi del tetto del cofanetto appartenente alla parte sommitale del reliquiario, con figure di Angeli in cornici polilobate (Fig. 11) assieme ad elementi vegetali21. Nella realizzazione degli Angeli è possibile scorgere l’influsso della cultura artistica padovana della seconda metà del secolo XIV: oltre alle cornici, le cui soluzioni ricordano quelle usate dal Guariento nel registro inferiore della Cappella Maggiore nella chiesa dei Santi Filippo e Giacomo agli Eremitani (Fig. 12), si considerino i medaglioni polilobi con Santi, di ugual impostazione rispetto a quelli del reliquiario, realizzati da Giusto de’ Menabuoi nella Cappella del beato Luca Belludi alla Basilica del Santo (Fig. 13), o ancora gli Angeli nei tondi realizzati da Andriolo de Santi per la decorazione scultorea del Battistero della Cattedrale, in relazione alla tomba di Fina Buzzacarini, consorte di Francesco da Carrara, signore di Padova.

Anche nel Reliquiario di un dito di un piede di San Lorenzo lo smalto traslucido viene utilizzato a decoro di un repertorio zoomorfo, affine al precedente reliquiario, con animali inseriti in simili compassi. Nel manufatto spicca il gusto per l’elemento floreale, impiegato, oltre che nelle borchie a calotta semisferica delle base, anche per abbellire i fiori con cui terminano i rami che si allungano dal fusto. Questo gusto per la decorazione floreale a smalto traslucido è un elemento ricorrente nelle opere di questo periodo; sono diversi infatti i manufatti che presentano fiori, spesso realizzati a fusione e decorati attraverso soluzioni diverse. In alcuni casi lo smalto veniva steso solamente su alcuni petali, lasciando in questo modo visibili le altre parti in argento dorato, come nel Reliquiario di un dito di un piede di San Lorenzo; in altri casi lo si trova a copertura dell’intero fiore, come nel Reliquiario di Sant’Andrea apostolo della Cattedrale di Padova22 (Fig. 14).

Datato anch’esso alla seconda metà del secolo XIV, il Reliquiario di un frammento della colonna della Flagellazione del Tesoro del Santo a Padova presenta un caratteristico piede a quattro punte ad archi trilobati terminanti a cuspide; presso ogni punta sono inseriti dei castoni ospitanti placchette di forma pentagonale con i lati leggermente inflessi, con immagini di Evangelisti a smalto traslucido. Dall’analisi di queste figure traspare l’abilità dell’orafo per una ricercata eleganza gotica, rivelando ancora una volta l’assimilazione del linguaggio pittorico padovano: dall’espressione dell’Evangelista più giovane, che si presta al confronto con quella degli Angeli raffigurati nel Giudizio Universale della Cappella degli Scrovegni23, passando per il volto dell’Evangelista con barba, che può essere confrontato con il volto del Vescovo nella Vestizione di Sant’Agostino del Guariento nella chiesa degli Eremitani, all’impostazione generale delle figure e la resa delle vesti che ricordano le figure di Santi e Profeti realizzate da Giusto de’ Menabuoi per la Cappella del beato Luca Belludi nella Basilica del Santo.

Questa tradizione degli smalti “giotteschi” tocca il suo apice, anche sotto un profilo di ricercatezza e di complessità, con il calice proveniente dall’antico duomo di Monselice, datato tra il secolo XIV ed il XV, oggi conservato al Museo Diocesano di Padova24 (Fig. 15). L’impostazione formale e decorativa della base del calice è quanto mai significativa, infatti se gli elementi fitomorfi sbalzati e le placchette incise e coperte da smalto traslucido richiamano il calice del Serpentino, la forma delle placchette trilobate terminanti a cuspide rivela l’aggiornamento del manufatto al gusto tardo-trecentesco. A questo rinnovato linguaggio partecipano le figure dei medaglioni della base, che risultano profondamente espressive; anche l’incisività del segno è nuova, usata ad esempio per caratterizzare in maniera aspra il viso di San Giovanni evangelista (Fig. 16). Per una maggiore comprensione dell’evoluzione dello stile degli smalti giotteschi può essere utile un confronto di questa figura con quella analoga appartenente alla placchetta del Reliquiario del bicchiere di Aleardino (Fig. 17): appare chiaro come l’influsso dei grandi maestri della pittura padovana degli ultimi decenni del secolo XIV abbia portato ad un linearismo più accentuato, ad una maggiore conquista dello spazio e ad una più forte volumetria.

Giunti al primo quarto del secolo XV, manufatti come il Reliquiario di quarantanove reliquie di apostoli, martiri, dottori del Tesoro della Basilica del Santo25 ci dimostrano come l’elemento vegetale sia diventato ormai parte della struttura stessa del manufatto: nel reliquiario padovano le teche laterali sono infatti sorrette da rami curvilinei, adornati da foglie di vite, tralci e fiori un tempo smaltati. Anche nelle falde del piede viene utilizzata una fine decorazione a racemi con foglie e fiori a smalto, la quale ingloba totalmente delle placchette rotonde ad incisione e a traslucido con Sant’Antonio, San Ludovico di Tolosa, San Francesco e Santa Giustina. Lo stile grafico con cui esse sono realizzate rinvia ad una realtà figurativa diversa da quella a cui si riferivano gli smalti analizzati finora: raggiunto l’acme, gli smalti giotteschi lasciano ora spazio al un nuovo gusto tardogotico. Si consideri ad esempio la compostezza formale della figura di Sant’Antonio, il cui volto carico di emotività è reso attraverso tratti accentuati; la stessa emotività si percepisce in Santa Giustina, una figura dolce ed elegante. Si tratta di caratteri che avevano trovato diffusione a Venezia, la quale poteva vantare, tra l’ultimo decennio del secolo XIV e il primo del XV, il soggiorno di importanti personalità artistiche. Per le placchette del reliquiario padovano, infatti, già Anna Maria Spiazzi ha proposto un confronto con la produzione di Nicolò di Pietro26, ma altre relazioni si potrebbero fare con lo stile di Michelino da Besozzo, altro grande esponente del tardogotico attestato a Venezia almeno dal 141027.

Tornando alle tipologie di decorazione fitomorfa a traslucido, si consideri il gruppo di manufatti della prima metà del secolo XV appartenenti al duomo di Monselice, comprendenti il Reliquiario di Santa Giustina, il Reliquiario di San Luigi Gonzaga, il Reliquiario di San Giuseppe ed il Reliquiario di Sant’Antonio28. Questi oggetti condividono tutti medesime scelte formali e tipologiche, con un uguale trattamento delle lamine dei rocchetti del fusto rese attraverso fiori incisi a sei petali dalla forma lanceolata (Fig. 18). L’attenzione per questo gruppo si sposta quindi verso le diverse forme con cui è realizzato il nodo del fusto: nel caso del Reliquiario di Santa Giustina (Fig. 19) e del Reliquiario di Sant’Antonio ha forma sferica, risulta lavorato a traforo e schiacciato ai poli, con una serie di borchie romboidali29 in cui sono inseriti castoni decorati a smalto traslucido con fiori a quattro petali, due di colore verde smeraldo e due di colore viola, con capolino giallo-oro e fondo azzurro chiaro (Fig. 20). Nel Reliquiario di San Giuseppe e nel Reliquiario di San Luigi Gonzaga troviamo invece un nodo a forma di sfera schiacciata, ornato da sei chiodi sporgenti di forma circolare, con fiori incisi e a smalto all’interno dei castoni. Si tratta di una tipologia ricorrente in diversi esemplari del secolo XV, come nel Reliquiario della cute del capo di Sant’Antonio, datato al 1448 e conservato nel Tesoro della Basilica del Santo30, o nel Reliquiario della Croce del duomo di Monselice, datato alla seconda metà del XV secolo31. Un’attenta osservazione dei decori ci fa notare inoltre come per ogni esemplare ci sia una certa varietà nei modi e nei motivi con cui sono realizzati i fiori a smalto32.

Più in generale, possiamo affermare che l’utilizzo dello smalto traslucido nella prima metà del secolo XV sia testimoniato nell’abbellimento di elementi floreali a fusione, presenti in rapporto alle ricche parti architettoniche33. Con questa funzione esso è impiegato in alcuni reliquiari di notevole rilevanza, come nel Reliquiario della cute del capo di Sant’Antonio, datato al 1433, opera di Corrado Cagnoli da Cortona34. Per il suo carattere, il reliquiario si inserisce in un panorama più generale che vede, a partire dal terzo e dal quarto decennio del secolo, la produzione di opere che introducono aspetti del nuovo linguaggio rinascimentale35, che si stava diffondendo a Padova e nel Veneto grazie all’arrivo di artisti toscani. È infatti indubbia la conoscenza da parte di Corrado delle grandi architetture coeve, esplicitata nel caso del reliquiario padovano nell’impianto sommitale costituito da una cupola sorretta da colonne, adornata a smalto blu con piccole stelle in argento. A smalto è inoltre coperto un gran numero di parti architettoniche, a cui si aggiungono le placchette del piede con raffigurati San Prosdocimo, Sant’Antonio, San Giacomo e San Francesco.

Nel quinto decennio del secolo XV, l’esuberanza decorativa nelle opere d’oreficeria raggiunge la massima espressione grazie alla figura di Bartolomeo da Bologna ed i suoi collaboratori36. Si consideri il Reliquiario dei capelli di Maria Vergine, di Santa Maria Maddalena e altre reliquie37, ma soprattutto il Reliquiario della Croce proveniente dal Tesoro della Cattedrale di Padova, oggi custodito al Museo Diocesano38. Alla complessità e alle dimensioni del manufatto, il più grande tra quelli coevi conservati in città, si affianca la perizia tecnica dell’impianto decorativo, da cui non si sottrae lo smalto, che adorna le architetture a partire dalla grande cupola sommitale, così come diversi elementi a fusione. Il traslucido contribuisce ad amplificare la ricchezza dell’ornato del piede, attraverso motivi floreali a smalto filigranato39 e con una serie di placchette polilobe in argento inciso e smaltate a traslucido, prodotto di alto livello le cui figure la Crocefissione, la Flagellazione e la Resurrezione non possono che richiamare alla mente il linguaggio artistico moderno.

In chiusura, si vogliono brevemente presentare alcune considerazioni circa l’evoluzione dell’uso dello smalto a traslucido in rapporto alla decorazione delle placchette incise a rilievo. In particolare, a partire dal secolo XV alcuni oggetti mostrano una certa preferenza per l’utilizzo di tecniche dai costi di lavorazione più bassi, prive quindi di smalto, come la semplice incisione, ipotizzabile ad esempio per le placchette del calice del duomo di Santa Maria Assunta di Montagnana (Pd), datato alla seconda metà del secolo XV40; oppure ci si può imbattere in placchette sagomate, come nella base del Reliquiario di Santa Chiara della chiesa dei Servi a Padova41, o in quella del Reliquiario della Croce appartenente al duomo di Montagnana (Pd)42, entrambi databili alla seconda metà del secolo XV. Altri manufatti testimoniano invece il passaggio ad una differente tecnica grafica per la decorazione delle placchette, ossia il niello, impiegato sia per oggetti dal sentore ancora tardogotico, come nel calice della chiesa del Redentore a Cittadella (Pd)43, sia per oggetti di fattura rinascimentale, come nel Reliquiario della chiesa dei Santi Giuseppe e Giuliana a San Giorgio delle Pertiche (Pd)44, o ancora nel Reliquiario della tonaca di Sant’Antonio della Basilica del Santo, datato alla fine del secolo XV45.

È interessante osservare come lo smalto traslucido trovi impiego, per il ruolo di lucentezza svolto dal colore delle paste vitree, in oggetti dai caratteri ormai riferibili alla nuova sensibilità moderna, come nel Reliquiario del legno della Santa Croce del Tesoro della basilica del Santo a Padova46, dove viene mantenuta una decorazione a fiori smaltati e a smalto filigranato. Altri esempi moderni con una decorazione a traslucido sono circoscrivibili alla prima metà del secolo XVI, come il Reliquiario dell’ampolla del Sangue di San Felice papa47 e una Croce48, sempre della Basilica del Santo.

Con questo intervento si è voluto quindi proporre un approfondimento sull’arte dell’oreficeria a smalto traslucido presente Padova e nel suo territorio, uno studio favorito dalla valenza e dalla rilevanza degli stessi manufatti. Consapevoli di non aver potuto definire in maniera assoluta l’argomento, si è cercato in questa sede di far emergere gli elementi di maggior interesse, cercando di ricostruire, seppur brevemente, un percorso evolutivo sull’utilizzo di questa tecnica, nell’ottica di favorire la conoscenza di una tematica che, in relazione a questo contesto, è stata raramente presa in considerazione.

Abbreviazioni

ACVPd = Archivio della curia vescovile di Padova

Referenze fotografiche

Figg. 1-3, 5, 7, 9-11, 17 – Per gentile concessione del Centro Studi Antoniani, Padova
Figg. 4, 6, 8 – Per gentile concessione del Comune di Padova – Assessorato alla Cultura
Figg. 12, 15-16, 19 – Per gentile concessione della Diocesi di Padova, Ufficio Beni Culturali
Fig. 13 – https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Padova_Basilica_di_Sant’Antonio_Innen_Cappella_del_beato_Luca_Belludi.jpg (tratta e modificata da), Wikimedia Commons, Zairon, CC-BY-SA-4.0
Figg. 14, 18, 20: Foto di Andrea Missagia – Per gentile concessione della Diocesi di Padova, Ufficio Beni Culturali

* Desidero ringraziare in modo particolare l’Ufficio per i Beni Culturali della Diocesi di Padova e Carlo Cavalli per la disponibilità e per l’aiuto prestatomi ai fini di questo lavoro, nonché i parroci che hanno collaborato con le mie ricerche. Desidero poi esprimere profonda riconoscenza al Comune di Padova nella persona di Federica Millozzi per l’autorizzazione alla pubblicazione delle immagini relative alla Cappella degli Scrovegni e a tutto il Centro Studi Antoniani di Padova per le immagini relative alle oreficerie del Tesoro della Basilica del Santo.

  1. Si tratta della ricerca condotta da chi scrive nell’ambito di tesi di laurea magistrale: A. Missagia, Oreficerie medievali a smalto traslucido in territorio veneto, rel. M. Agazzi, Università Ca’ Foscari di Venezia, a.a. 2017/2018. []
  2. G. Ericani, in Oreficeria Sacra in Veneto, I, Secoli VI-XV, a cura di A.M. Spiazzi, Cittadella 2004, pp. 152-153, cat. 75. []
  3. La croce è menzionata per la prima volta nell’Inventario del Tesoro della Cattedrale datato 1339 (ACVPd, E.66, 1, f.1v, n.11), vedi Gli inventari della sacrestia della cattedrale di Padova, I, Secoli XIV-XVIII, a cura di G. Baldissin Molli-E. Martellozzo Forin, Padova 2016, p. 89. []
  4. Sulla figura ed il ruolo di Guccio di Mannaia si veda E. Cioni, Scultura e smalto nell’oreficeria senese dei secoli XIII e XIV, Firenze 1998, pp. 1-154. Per i contributi più recenti, Eadem, Guccio di Mannaia e l’oreficeria senese del XIII secolo, in Il calice di Guccio di Mannaia nel tesoro della basilica di San Francesco ad Assisi: storia e restauro, a cura di F. Valori di Vignale-U. Santamaria, Città del Vaticano 2014, pp. 17-107. []
  5. Sulla figura di Ildebrandino ed il Tesoro della Cattedrale di Padova nel secolo XIV si veda C. Cavalli, Il tesoro nel Trecento, in Gli inventari della sacrestia…, 2016, pp. 39-59, sp. pp. 43-51. []
  6. Il rinvio è alla trascrizione dell’Inventario del Tesoro della Cattedrale del 1339, vedi Gli inventari della sacrestia…, 2016, pp. 89-90. []
  7. H.R. Hahnloser, Opere occidentali dei secoli XII-XIV, in Il Tesoro di San Marco. Il Tesoro e il Museo, a cura di H.R. Hahnloser, vol. II, Firenze 1971, pp. 131-175, sp. pp. 136 -137; André Grabar, Opere Bizantine, in Il Tesoro…, 1971, pp. 68 -70, cat. 61, tavv. LIII-LV, CXLIX; Daniel Alcouffe, Danielle Gaborit-Chopin, in The Treasury of San Marco, Venice, exh. cat. (New York, Metropolitan Museum of Art), Milan 1984, pp. 286 -291, cat. 42. []
  8. G. Mariani Canova, Presenza dello smalto traslucido nel Veneto durante la prima metà del Trecento, “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia”, s. III, XIV/2 (1984), pp. 733-755. []
  9. G. Mariani Canova, Presenza…, 1984, pp. 737- 739, tavv. LXXXIV-LXXXV. La studiosa analizza in particolare il medaglione alla base del calice, raffigurante l’Angelo di Matteo, il cui stile di rappresentazione richiamerebbe le soluzioni pittoriche messe in atto da Giotto a Padova, con un riferimento alla figura della Prudenza appartenente al ciclo dei Vizi e delle Virtù presente nella Cappella degli Scrovegni. []
  10. G. Mariani Canova, in Basilica del Santo. Le oreficerie, a cura di M. Collareta-G. Mariani Canova- A.M. Spiazzi, Padova 1995, pp. 85- 87, cat. 4; G. Baldissin Molli, in Giotto e il suo tempo, catalogo della mostra (Padova, 2000 -2001), a cura di V. Sgarbi, Milano 2000, pp. 403-404, cat. 42. []
  11. Si rimanda in via generale a Il calice di Guccio…, 2014. []
  12. In questa rappresentazione il richiamo a Giotto andrebbe all’affresco della Stigmatizzazione di San Francesco presente nella Sala Capitolare del Convento di Sant’Antonio a Padova, vedi G. Mariani Canova, Presenza dello smalto…, (1984), p. 743. []
  13. M. Collareta, in Basilica del Santo…, 1995, pp. 87- 88, cat. 5. []
  14. A questa tipologia appartengono ad esempio le placchette del calice di Serpentino e del Reliquiario del bicchiere di Aleardino, così come quelle del Reliquiario di Santo Stefano della Cattedrale di Padova, databile alla prima metà del secolo XIV (A.M. Spiazzi, in Oreficeria Sacra…, 2004, p. 102, cat. 18) e quelle del Reliquiario di un osso di San Sebastiano (A.M. Spiazzi, in Oreficeria Sacra…, 2004, pp. 112-113, cat. 31), sempre della Cattedrale e datato al primo decennio del secolo XV, ma le cui placchette presentano strettissime affinità con quelle del Reliquiario di Santo Stefano. []
  15. Basti considerare il calice firmato da Guccio di Mannaia o il calice firmato da Duccio di Donato e soci, a Gualdo Tadino, vedi E. Cioni, Scultura e smalto…, 1998, p. 27. È da segnalare inoltre il suo impiego in diverse opere legate alla bottega di Guccio, come la croce processionale del Victoria and Albert Museum (M. Campbell, L’oreficeria italiana nell’Inghilterra medievale. Con una nota sugli smalti italiani del XIV e XV secolo nel Victoria and Albert Museum, “Bollettino d’arte”, Roma 1987, pp. 1-16, sp. p. 7, tav. I) o la stessa Croce-reliquiario di Padova. []
  16. La stessa Elisabetta Cioni, con i suoi studi sulla produzione senese a smalto traslucido della prima metà del secolo XIV, si è interrogata sul rapporto intercorso tra orafi e pittori, notando ad esempio delle analogie tra i clipei utilizzati nella Maestà di Simone Martini e le cornici che delimitano il campo delle placchette a smalto, vedi E. Cioni, Scultura e smalto…, 1998, p. 371, tav. IV, figg. 1-2. []
  17. M. Collareta, in Basilica del Santo…,1995, pp. 95-96, cat. 10. []
  18. A.M. Spiazzi, in Basilica del Santo…, 1995, pp. 97-98, cat. 11. []
  19. Si segnala la presenza di simili motivi in altri esemplari datati alla seconda metà del secolo XIV, come nel Reliquiario del dito di Sant’Antonio del Tesoro della Basilica del Santo a Padova, vedi M. Collareta, in Basilica del Santo…,1995, pp. 98-99, cat. 13. Un’altra testimonianza è fornita dalla descrizione data dall’Inventario della Cattedrale di Padova del 1472, circa il piede originario del Reliquiario di Sant’Agapito: apprendiamo infatti che vi erano raffigurati dei volatili decorati a smalto. Per il reliquiario, vedi C. Cavalli, Tra devozione pubblica e privata. Un reliquiario trecentesco per la confraternita di Santa Maria dei Battuti nella Cattedrale padovana, in Pregare in casa, a cura di G. Baldissin Molli-C. Guarnieri-Z. Murat, Padova 2018, pp. 131-148, figg. 1-4, 7, 9; per la descrizione dell’inventario, vedi Gli inventari della sacrestia…, 2016, p. 166. []
  20. Si rimanda in particolare al gruppo di reliquiari del duomo di Monselice, vedi oltre, nota 28. []
  21. Una simile decorazione è presente anche nei tronchetti di piramide del fusto del Reliquiario dei capelli del Santo, appartenente alla Basilica padovana e datato alla seconda metà del secolo XIV, vedi M. Collareta, in Basilica del Santo…,1995, pp. 92-94, cat. 8. []
  22. A.M. Spiazzi, in Oreficeria Sacra…, 2004, p. 112, cat. 30. []
  23. Una certa somiglianza può essere vista anche nei volti degli Angeli che un tempo abbellivano il soffitto della cappella della Reggia dei Carraresi, oggi ai Musei Civici agli Eremitani, facenti parte delle Gerarchie angeliche, databili tra il 1345 ed il 1360, opera del Guariento. []
  24. G. Ericani, in Oreficeria Sacra…, 2004, pp. 89-91, cat. 5. []
  25. A.M. Spiazzi, in Basilica del Santo…, 1995, pp. 102-104, cat. 17; M.L. Mezzacasa, New light on two late-medieval reliquaries from Venice and the Veneto, “Ricche minere”, 10 (2018), pp. 31-55, sp. pp. 38-43. []
  26. M.L. Mezzacasa, New light…, 2018, p. 104. []
  27. Sulla figura di Michelino da Besozzo a Venezia, cfr. A. De Marchi, Gentile da Fabriano: un viaggio nella pittura italiana alla fine del gotico, Milano 2006, pp. 20 e segg.; E. Cozzi, Il gotico internazionale a Venezia. Un’introduzione alla cultura figurativa nell’Italia nord-orientale, “AFAT”, 31(2013), pp. 11-30, sp. pp. 11, 18. []
  28. Per il Reliquiario di Santa Giustina, vedi G. Ericani, Oreficeria Sacra…, 2004, pp. 117-118, cat. 39; per il Reliquiario di San Luigi Gonzaga, M. Pregnolato, ivi, pp. 119-120, cat. 42; per il Reliquiario di San Giuseppe, G. Ericani, ivi, p. 119, cat. 41; per il Reliquiario di Sant’Antonio, Eadem, ivi, pp. 118-119, cat. 40. []
  29. Si tratta di una tipologia di nodo che trova riscontro in altri reliquiari di produzione padovana, come nella Croce con medaglione appartenente al Tesoro della Basilica del Santo, datata al terzo quarto del secolo XV, vedi M. Collareta, in Basilica del Santo…, 1995, pp. 124-124, cat. 34. Nel manufatto, la decorazione a traslucido interessa anche i motivi vegetali dei rocchetti del fusto. []
  30. A.M. Spiazzi, in Basilica del Santo…, 1995, pp. 128-129, cat. 37. []
  31. G. Ericani, in Oreficeria Sacra…, 2004, pp. 137-138, cat. 64. []
  32. Simile decorazione era presente anche nel calice appartenente alla chiesa della Santa Croce a Padova, M. Pregnolato, ivi, pp. 92-95 cat. 9. Questo tipo di decoro si presta anche ad altre tipologie di nodo, come quella del calice della Chiesa del Redentore a Cittadella (Pd), G. Ericani, ivi, p. 91, cat. 6; in maniera simile è presente nel Reliquiario di San Pietro Martire della Cattedrale di Padova, datato al terzo decennio del secolo XV, A.M. Spiazzi, ivi, pp. 128-129, cat. 51. []
  33. Gli smalti, sia traslucidi che opachi, avevano un ruolo importante nel conferire colore ai manufatti: da esemplari in cui gli elementi smaltati sono limitati ad alcune parti, come nel Reliquiario delle Sante Anatolia ed Emerenziana (Eadem, ivi, pp. 110-111, cat. 28) o nel Reliquiario di San Taddeo e Santa Carissima martire (Eadem, in Basilica del Santo…, 1995, p. 124 cat. 33), si passa ad oggetti complessi, in cui lo smalto è riccamente presente nelle parti floreali, come nel Reliquiario della pietra del Santo Sepolcro, della metà del secolo XV (Eadem, in Basilica del Santo…, 1995, pp. 121-122 cat. 30) o ancora nel Reliquiario dei Santi Vincenzo, Gregorio, Cosma e Damiano, datato ante 1466 (Eadem, in Basilica del Santo…, 1995, p. 135 cat. 41). []
  34. Eadem, ivi, pp. 108-110, cat. 24. []
  35. Il linguaggio rinascimentale è chiaramente percepibile in una delle opere d’oreficeria del secolo XV più preziose conservate a Padova, ossia il Reliquiario della lingua incorrotta di Sant’Antonio della Basilica del Santo, datato al 1434-36 ed opera di Giuliano da Firenze, Eadem, ivi, pp. 110-114, cat. 25. Nel reliquiario sono presenti anche un gran numero di smalti, tuttavia completamente rifatti a seguito di un restauro avvenuto nel 1858. []
  36. Sulla figura di Bartolomeo da Bologna, vedi A. Moschetti, Bartolomeo da Bologna orefice del secolo XV e il grande tabernacolo del Duomo di Padova, “Bollettino del Museo Civico di Padova”, 12 (1909), pp. 115-140; e più recentemente G. Baldissin Molli, Fioravante, Nicolò e altri artigiani del lusso nell’età di Mantegna. Ricerche di archivio a Padova, Padova 2006, pp. 77-84. []
  37. A.M. Spiazzi, in Basilica del Santo…, 1995, pp. 129-131, cat. 38. []
  38. Eadem, in Oreficeria Sacra…, 2004, pp. 120-121 cat. 43. []
  39. Per la diffusione dello smalto a filigrana in ambito veneto, vedi A.M. Spiazzi, La prima metà del Quattrocento, in Basilica del Santo…, 1995, pp. 40-41, con relative note; Eadem, L’oreficeria a Venezia e nel Veneto tra Gotico e Rinascimento, in Pisanello, catalogo della mostra (Verona 1996), a cura di P. Martini, Milano 1996, pp. 352-357, sp. p. 355. Altri esempi presenti a Padova sono il Reliquiario della tonaca di Sant’Antonio, datato al 1448 (Eadem, in Basilica del Santo…, 1995, pp. 125-127, cat. 35), il Tabernacolo delle ossa di San Taddeo, datato ante 1448 (Eadem, ivi, pp. 127-128, cat. 36) ed il Reliquiario dei capelli di Maria Vergine, di Santa Maria Maddalena e altre reliquie (vedi supra, nota 37), tutti appartenenti al Tesoro della Basilica del Santo. []
  40. B. Cogo-P. Dal Prà, I tesori del Duomo: oggetti di culto, arredi sacri, paramenti, antichi documenti del Duomo di Santa Maria Assunta, cuore della Magnifica Comunità di Montagnana, Urbana (Pd) 2002 , pp. 8, 43. Il calice è stato oggetto di un pesante intervento di doratura in epoca imprecisata. []
  41. G. Baldissin Molli, Suppellettili liturgiche nella chiesa di Santa Maria dei Servi, in La Chiesa di Santa Maria dei Servi in Padova. Archeologia Storia Arte Architettura e Restauri, a cura di G. Zampieri, Roma 2012, pp. 241-258, sp. p. 250. []
  42. B. Cogo-P. Dal Prà, I tesori del Duomo…, 2002, pp. 27, 47; G. Ericani, in Oreficeria Sacra…, 2004, pp. 124-125, cat. 46. []
  43. Vedi supra, nota 32. []
  44. Una scheda del manufatto è consultabile al sito: https://www.beweb.chiesacattolica.it/benistorici/bene/1920896/ []
  45. M. Collareta, in Basilica del Santo…, 1995, pp. 146-147, cat. 49. []
  46. Per il reliquiario, terminato nel 1482, vedi Idem, ivi, pp. 141-143 cat. 47; G. Baldissin Molli, Orafi e argentieri, in Botteghe artigiane dal Medioevo all’età moderna: arti applicate e mestieri a Padova, a cura di G. Baldissin Molli, Padova 2000, pp. 127-144, sp. p. 136, fig. 110. []
  47. Il reliquiario, datato tra il 1505 ed il 1507, presenta nel piede due medaglioni con mezze figure di Sant’Antonio, M. Collareta, in Basilica del Santo…, 1995, pp. 149-151, cat. 52. []
  48. Per la croce, datata al IV-V decennio del secolo XVI, M. Collareta, in Basilica del Santo…, 1995, pp. 161-162, cat. 60. []