Ferruccio Botto

ferruccio.botto@gmail.com

Neogotico e liturgia a Firenze – Il Tabernacolo della Concezione in Duomo1

DOI: 10.7431/RIV22072020

Il tema della produzione neogotica di suppellettile ecclesiastica fiorentina, ad oggi, è stato poco approfondito. A Firenze questo gusto si sviluppò dalla metà dell’Ottocento fin verso il Concilio Vaticano II (1962-1965), slittando rispetto alla dimensione europea del Gothic revival cominciato in Gran Bretagna tra Settecento e primo Ottocento, tra John Talman e Augustus W. N. Pugin2.Firenze tuttavia, nonostante la dilazione,si avviò a ‘celebrare neogotico’ in grande stile con il Tabernacolo della Concezione in Duomo, che, oltre al prestigio legato alla cattedrale, spicca per l’aggiornamento sulla riflessione architettonica toscana della prima metà del secolo, e sulle attese di una realtà impegnata, da parte sia del cœtus intellettuale sia della comune cittadinanza, nella riscoperta dell’eredità medievale (Fig. 1). L’esistenza di un siffatto tabernacolo,peraltro, crediamo che non sia un mero fiorentinismo, ma un punto di tangenza con le contemporanee ricerche sul revival e con una più ampia circolazione di idee e modelli, che all’epoca coinvolgeva l’industrializzazione, le Esposizioni ed il commercio per corrispondenza. Nel campo del sacro si aggiunge che la Chiesa romana, come taluni ambiti laicali, aveva esigenza di riaffermare la continuità del depositum fidei in un secolo di trasformazioni ideologiche e politiche, e d’inauditi venti dottrinali. Fu ricco il magistero pontificio circa il rapporto con la modernità3, e significativa la consacrazione ufficiale del neotomismo e della neoscolastica4, quasi che l’arredo neogotico, partecipe di questo sentire, vi contribuisse riprendendo il concetto tardomedievale di «ortodossia delle forme»5.

In Toscana una prima fonte di novità tecniche e formali furono le Esposizioni promosse dal granduca Leopoldo II d’Asburgo-Lorena, che, muovendo dallo spirito innovatore del sovrano, erano pensate per il confronto tra la produzione locale e quella estera6. Gli orafi e argentieri fiorentini inizialmente non vi aderirono, ma la Great Exhibition del 1851, alla quale il Granducato prese parte con alcuni arredi, a Firenze come altrove comportò la reazione di rivalutare le tradizioni artigiane, per stornare la competizione dai processi industriali alle antiche tecniche nelle quali gli italiani avevano meno rivali. Nonostante infatti che già sotto il regno del granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena, anch’egli sensibile agli aggiornamenti,si fossero introdotte lavorazioni seriali o protoindustriali dei metalli, con l’impiego di modelli e matrici e con la meccanizzazione degli elementi decorativi, il settore rimaneva in crisi. L’Esposizione londinese fu altrettanto un primo stimolo ad istituire un museo di arte medievale e rinascimentale di monito per gli artisti di ogni tipo, che fu allestito guardando al Musée de Cluny ed al South Kensington Museum presso il Bargello appena restaurato. L’inaugurazione del nuovo «santuario per le arti industriali»7 ebbe luogo nel 1865, l’anno di Firenze capitale e del sesto centenario dantesco, con due mostre a soggetto fiorentino e medievale, alle quali fecero seguito ulteriori depositi privati e pubblici8.

Dopo l’Unità la prima Esposizione Industriale Nazionale si tenne nel 1861 a Firenze, e ne emerse che gli orafi e argentieri cittadini, diciotto su ventiquattro toscani, lasciavano sempre a desiderare9. In anni nei quali anche la Francia contendeva alla Gran Bretagna il primato nell’industria degli argenti, chiaramente con l’Esposizione Universale di Parigi (1867), le botteghe italiane ripararono ancora nel virtuosismo, tanto che alle Esposizioni in giro per l’Europa i prodotti peninsulari erano costosi pezzi unici o articoli inadeguati. Le Esposizioni nazionali dal canto loro continuavano ad incoraggiare gli orafi alla produzione meccanizzata, sull’onda lunga delle Esposizioni di Torino che esprimevano l’avviato percorso sabaudo10. All’Esposizione di Firenze parteciparono numerosi argentieri, fra i quali tre artefici che, soli a porsi il problema del mercato, affiancarono all’argento le sue imitazioni11. Benché dunque le pubblicazioni sull’Esposizione di Firenze del 1861 ribadissero la primazia italiana dell’arte sull’industria, in lode al genio orafo, la giuria premiò Luigi Henin e Antonio Ghezzi di Milano per la fabbricazione abbondante, la buona qualità ed i prezzi moderati. Contestualmente sorgevano in Italia le industrie dell’argento galvanico, sull’esempio britannico, dove i metalli furono sentiti come ambito privilegiato del connubio tra arte e industria, nell’esortazione da più parti a creare scuole specifiche ed a valorizzare le innovazioni tecniche12.Se ciò non avvenne subito con la nascita di istituti nazionali, si concretizzò in scuole locali e musei artistico-industriali, nonché col moltiplicarsi delle Esposizioni nazionali, senza però una repentina inversione nello svantaggio con l’estero e nel pregiudizio di fondo contro la meccanizzazione13.

Nel sacro invece gli imprenditori italiani seppero competere, come la ditta milanese Fratelli Bertarelli che in un tardo catalogo affermava come, dopo una stagnazione pluriennale, la suppellettile liturgica fosse l’occasione per il salto industriale dell’argenteria: operatori organizzati, criteri standard, allargamento del mercato, pubblicità e vendita per corrispondenza14. Il commercio per corrispondenza fu, come accennato, uno dei più efficaci espedienti con cui nel tardo Ottocento le ditte italiane cercarono di colpire l’importazione e di sbarcare sui mercati esteri, e con cui, assieme alle merci,si veicolarono mode e forme. Le ditte inviavano ai potenziali acquirenti i propri cataloghi illustrati, dove erano precisati i materiali degli articoli in vendita e i relativi prezzi; il cliente, a seconda, selezionava dal catalogo oggetti già pronti o da comporre secondo opzioni predeterminate, e procedeva all’ordine a mezzo posta. Similmente alla Bertarelli altri produttori di arredi sacri si dotarono di cataloghi15,che, con le pubblicazioni delle Esposizioni nazionali o internazionali, sono ancor oggi degli indicatori circa l’estensione delle aziende e la loro offerta.

Le Esposizioni legate al mondo cattolico, incoraggiate dall’imprenditoria e dalla politica,furono parimenti floride, come l’Esposizione Vaticana del 1888 per il giubileo di Leone XIII, l’Esposizione Eucaristica di Milano del 1895, e la mostra d’arte sacra dell’Esposizione Generale Italiana di Torino del 1898. Poco prima s’interessò agli oggetti sacri l’Esposizione romana delle opere di ogni arte eseguite pel culto cattolico,allestita nel 1870 per il giubileo sacerdotale di Pio IX, che tenne,accanto ad una sezione storica, una moderna dove furono premiati artefici italiani e stranieri16.L’orafo romano Augusto Castellani vi esibì il calice neogotico donato al Papa nel 1869 dalla Città di Roma, replica con varianti di un prototipo disegnato nel 1845 da Michelangelo Caetani, e proposto dalla ditta per un totale di quattro esemplari17; insieme, Castellani presentò un calice neomedievale di bronzo smaltato e gemmato con la coppa in argento dorato, un calice neogotico con l’arme Condulmer, ed un turibolo neogotico di rame18. Se è vero che un’attenzione industriale alle argenterie del culto emerse con l’Esposizione Universale di Vienna del 1873, dove artefici italiani come Luigi Conti concorsero con suppellettile a prezzi competitivi19, in ogni caso le più prestigiose Esposizioni d’arte sacra di rado ammisero oggetti industriali20. Nondimeno i pezzi unici in mostra assursero a modello per la produzione seriale di arredi, che i cataloghi di vendita riproponevano anche a distanza di anni in edizioni più o meno aderenti al prototipo, e che in modo analogo le botteghe migliori replicavano dal proprio repertorio. Così sul catalogo del 1910 Bertarelli presentava un calice neogotico mutuato da quello di Eugenio Bellosio dell’Esposizione Vaticana, da realizzarsi in argento dorato o in ottone argentato21. In parallelo diverse città si organizzarono per dimostrare il rilievo storico e tecnico dell’arte sacra locale, e fornire ispirazione gli artefici. Pur di respiro minore, spesso queste rassegne furono recensite da note riviste indipendenti quali “Arte italiana decorativa e industriale”, “Emporium”, “Arte Cristiana” ed altre22.

A Firenze le soluzioni modanate e neoclassiche ritardarono il gusto neogotico, come in architettura, a causa dell’appoggio ideologico lorenese, e dell’eclettismo per cui gli artefici accostavano presso la medesima bottega stilemi diversi o misti23. Dagli anni venti dell’Ottocento alcuni argentieri si rivolsero al revival barocco ed alla plastica rinascimentale24, mentre un effettivo neogotico orafo arrivò a metà secolo col nostro Tabernacolo della Concezione, primo di una serie di suppellettili neomedievali conservatenelle pertinenze della cattedrale25.Si tratta di un’edicola d’argento e rame dorati con all’interno un’Immacolata Concezione su tela,che nel 1796 venne traslata in Duomo,per la fama miracolosa, da una nicchia in via degli Alfani 7426. In quest’occasione l’immagine fu sistemata nella cappella centrale della tribuna sud, allora dedicata a sant’Antonio abate, con la dotazione di un prima cornice preziosa 27. La collocazione si evince dalla Descrizione delle cerimonie in cattedrale con l’arcivescovo Pier Francesco Morali, tenutesi per la visita pastorale del 5 luglio 1818, che riporta come di norma il primo tabernacolo poggiasse sull’armadio reliquiario che esisteva dietro l’altare fino a metà Ottocento28. Non è certo quanto il simulacro sia rimasto stabile in loco poiché altre fonti tralasciano di parlarne29, ma è sicuro che vi fosse tra il 20 dicembre 1851 e il 20 marzo 1853 quando due furti sacrileghi predarono gli arredi ed ex voto di cui si era arricchito, andando a giustificare un nuovo corredo30.

L’immagine e il suo patrimonio d’elemosine, donazioni e rendite, vennero affidati dapprima alla Congregazione dello sposalizio di San Giuseppe, stabilita fra i cappellani di cattedrale, per poi passare poco a poco «nelle mani di taluno dei membri del Reverendissimo Capitolo»31. Tuttavia,il canonico preposto all’Amministrazione del simulacro era anche un membro della Deputazione Ecclesiastica dell’Opera di Santa Maria del Fiore; talché il gestore fattuale non era il Capitolo, ma questa costola clericale dell’Opera del Duomo incaricata delle spese di culto, per le quali riceveva dall’Opera laicale, o Deputazione Secolare, un annuale finanziamento detto «accollo»32. Così, prima degli anni novanta dell’Ottocento i conti della Concezione vennero registrati nei libri della Deputazione Ecclesiastica e non del Capitolo, fino a quando l’arcivescovo Agostino Bausa decise che la gestione spettasse solo all’arciprete del Capitolo; da allora l’Amministrazione cominciò a chiamarsi Opera Pia della Santissima Concezione, e vennero tenuti registri separati ad essa intestati33. La complessa circostanza si verificò perché l’Amministrazione della Concezione era probabilmente un ente di fatto o una pia fondazione non autonoma, che infatti a fini fiscali, su richiesta del Demanio,dovette attribuire il proprio asse ad una persona giuridica34. Ciò detto, il Tabernacolo neogotico non fu il frutto di una committenza definita, bensì dell’evanescente Amministrazione della Concezione retta dalla sinergia fra Capitolo, Deputazione Ecclesiastica e, in via mediata, Deputazione Secolare. A complicare il quadro v’è che l’esborso per l’acquisto e la lavorazione dell’argento intaccasse le elemosine dei fedeli alla Concezione, sollecitate dai furti sacrileghi, un fatto che rese le movimentazioni meno tracciate35. Nondimeno, pur essendo certa la prassi di finanziare arredi dalle cassette degli altari che li avrebbero accolti, questi proventi non bastarono, poiché l’amministratore dell’epoca, il canonico Valentino Baccio Bacci, ancora nel 1857 ricordava di non poter versare una tassa annuale dovuta dall’Amministrazione della Concezione alla Deputazione Ecclesiastica, per ripianare un debito di 400 scudi (circa 2,800 lire toscane) contratto anni prima dall’Amministrazione per pagare il Tabernacolo36. In conseguenza nessuna delle molte fonti archivistiche consultate, né di quelle edite, ha sinora acclarato il nome degli artefici, né il costo esatto né la datazione precisa37. Di quest’ultima tuttavia fissiamo i termini tra il primo furto, che già poté motivare il rifacimento dell’edicola, e l’Assunzione del 1853, che i canonici designarono per inaugurare il nuovo Tabernacolo: «1853. A dì 11 luglio. […]da lungo tempo e notoriamente <è stato>fissato il giorno dell’Assunzione di Maria Santissima per collocare di nuovo nella primitiva cappella, nobilmente adornata ed arricchita a spese di benefattori, l’immagine di Maria Santissima sotto il titolo della Concezione […]»38. Quegli anni erano inoltre propizi poiché Pio IX stava preparando la proclamazione dogmatica dell’Immacolata Concezione di Maria, avvenuta l’8 dicembre 185439, ed al seguito del Papa l’arcivescovo di Firenze Ferdinando Minucci ne aveva molto accresciuto il culto, tanto da vietare usi diversi della cappella della Concezione40.

Per quanto concerne l’identità dell’argentiere, Diletta Corsini e Francesca Favilli propongono su base stilistica un’équipe diretta dal fiorentino Ugolino Francioni41, che marchiò due coppie di candelieri aggettanti a tre bracci da incastrare al Tabernacolo42; all’arredo infatti ne aderivano di altri mobili fatti in parallelo, non in stile gotico ma in sintonia col decoro generale. Ora se il recente restauro del 1994, operato dall’argentiere Romano Mari,non ha riscontrato punzoni sul Tabernacolo43, l’attribuzione può confermarsi per la ricorrenza dei particolari fioriche punteggiano i girali dell’edicola come quelli dei candelieri, e che si ritrovano nella cornice reggi-cristallo della mostra d’altare contenente la Madonna del Conforto ad Arezzo, in bronzo e riporti d’argento, documentata a Francioni (Figg. 23)44. Compatibile coi modi del Francioni ci pare la convivenza degli elementi vegetali, di fattura sapiente per quanto ripetitivi, con l’imbarazzo per la figura umana nei tratti e nelle mani degli angeli laterali, che vengono però ravvivati dal guizzo puntuto della capigliatura pressappoco giottesca (Fig. 4).Pregevole è il trattamento delle superfici nell’alternanza fra la brunitura specchiante e la granitura, che è «chiareggiare l’oro»45,e l’uso perito del cesello e del traforo.

Ugolino Francioni dunque consacrò la carriera al revival barocco e rococò, dove il medioevo trovò spazio in ruolo marginale46. Mai più invece si cimentò in un neogotico dai riferimenti così raffinati, per cui nelle soluzioni formali, al netto del décor interno, ipotizziamo che sia stato coadiuvato da un architetto al corrente del dibattito d’allora sul Trecento toscano, che propose una sintesi stilistica del Duomo e di altri interventi arnolfiani veri o presunti47. La cuspide molto acuta ricorda la struttura delle porte del Campanile e dei Cornacchini, nonché delle loro edicolette, ma anche di interventi più tardi come l’incorniciatura delle bifore delle tribune ola Porta della Mandorla(Figg. 56). Il ‘merletto’ polilobo del più stondato intradosso ogivale, a sua volta,attinge a motivi comuni come quello della Porta dei Canonici,ed i pinnacoli rivisitano le longilinee guglie medievali delle fiancate, laddove,per la loro possanza, potrebbero altrettanto ispirarsi ai pilieri di un polittico tardogotico. L’idea del padiglione aggettante, ugualmente contemplata dalle cornici tardogotiche48, sembra meglio derivare dal Tabernacolo dei Medici e Speziali attribuito a Pietro di Giovanni Tedesco verso il 1399, la cui calotta fu mutuata dall’erigenda cupola del Duomo immaginata da Orcagna nel sacello marmoreo di Orsanmichele (1359)49; un’auctoritas che nel nostro caso diventa anche la reale versione di Brunelleschi (Figg. 78). Nella ghimberga, sotto il padiglione, si apre un oculo che gioca sul motivo dell’ogiva triloba, ma ritmato da una coroncina interna di stami impollinati che lo uniforma alle infiorescenze del resto. I fianchi e la sezione superiore del fronte vengono scanditi da monofore trilobe cieche che variano sull’articolazione delle paraste e dei contrafforti del Duomo (Figg. 910).I motivi decorativi, peraltro,rispondono ad una gamma eclettica spaziante dalle plurime citazioni della cattedrale trecentesca, alla candelabra tardo quattrocentesca con grappoli, rose e gigli, al riporto traforato primo secentesco, all’intreccio fogliaceo neobarocco (Fig. 11)50. Infine troviamo rimarchevole l’inserimento, ai lati del monogramma mariano sullo zoccolo basamentale, degli emblemi fiorentini al giglio del Comune ed alla croce del Popolo, spiegabile come cifra identitaria per sottolineare il legame della città con l’Immacolata, nel quadro dell’imminente dichiarazione dogmatica (Fig. 12)51.

Gli altri oggetti solidali al Tabernacolo,che non possiamo attribuire con certezza all’argentiere pur essendone possibile l’esecuzione contemporanea, sono una mensola per l’esposizione dell’Eucaristia o del Reliquiario argenteo del soggolo della Madonna52, e due peducci neocinquecenteschi rispettivamente con l’arme dell’Opera di Santa Maria del Fiore e del Capitolo, che fino al 25 settembre 1954 si trovavano al piè dell’edicola (Figg. 1314)53.

Abbreviazioni
ACF: Archivio del Capitolo Metropolitano Fiorentino.
AOSMF: Archivio dell’Opera di Santa Maria del Fiore.

Crediti fotografici
Figg. 1-4, 7, 9, 11-12: Opera di Santa Maria del Fiore / Foto Antonio Quattrone; figg. 13-14: Opera di Santa Maria del Fiore; figg. 5-6, 8, 10: Maximillian Hernandez.

  1. Ringrazio la prof.ssa Dora Liscia Bemporad. Sono inoltre grato al dott. Lorenzo Fabbri, al dott. Giuseppe Giari ed alla dott.ssa Dalia Di Giacomo dell’Archivio dell’Opera di Santa Maria del Fiore; alla dott.ssa Silvia Mori del Capitolo Metropolitano; al diacono don Alessandro Bicchi, al dott. Alessandro Ciandella, al dott. Guido Scatizzi. []
  2. Per la cultura settecentesca che preparò il revival sacro in Gran Bretagna, vedi A. Capitanio – C. M. Sicca, Viaggio nel rito. John Talman e la costruzione di un Museo Sacro Cartaceo, Firenze 2008, in specie pp. 26-55, 73-79. Su Augustus W. N. Pugin è utile il paragrafo di F. Bologna, Dalle arti minori all’industrial design. Storia di una ideologia (1972), Napoli 2017, pp. 193-206. Sul Pugin teorico è imprescindibile il testo di C. Powell, Augustus Welby Pugin Designer of the BritishHouses of Parliament. The Victorian Quest for a Liturgical Architecture, Lewiston (NY) 2006; per le realizzazioni d’architettura e suppellettile si veda M. Fisher, ‘Gothic for Ever’.A. W. N. Pugin, Lord Shrewsbury, and the Rebuilding of Catholic England, Reading 2012. []
  3. Ad esempio: Pio IX, litt. enc. Qui pluribus, 9 novembre 1846, in Pii IX Pontificis Maximi Acta, I, Roma 1854, pp. 4-24; Idem, litt. enc. Quanta cura, 8 dicembre 1864, Acta Apostolicæ Sedis III (1867), pp. 160-176; Pio X, litt. enc. Pascendi dominici gregis, 8 settembre 1907, AAS XL (1907), pp. 593-650; Pio XII, litt. enc. Humani generis, 12 agosto 1950, AAS XXXXII (1950), pp. 561-578. Sulla correlazione fra i documenti citati si veda R. Amerio, Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX (1985), “I classici della tradizione, 2”, Verona 2017, pp. 35-38, 40-45, nn. 24, 26-28. L’argomento richiederebbe maggiore sviluppo, con la menzione almeno del Concilio Vaticano I (1868-1870) e dell’enciclica Rerum novarum di Leone XIII (15 maggio 1891). []
  4. Leone XIII, litt. enc. ÆterniPatris, 4 agosto 1879, AAS XII (1879), pp. 97-115. Per la neoscolastica si veda la voce dell’Enciclopedia Italiana redatta nel 1934 da Agostino Gemelli, fra gli ultimi esponenti della corrente, accessibile su treccani.it (URL consultato 04/09/2019). Più recente, ma compendiaria, è la voce di H. Vorgrimler, Scolastica (ad vocem), in Neuestheologisches Wörterbuch (2000), a cura di L. Marinconz-R. Mela, Bologna 2004, pp.655-657. []
  5. Cit. da D. Liscia Bemporad, La bottega orafa di Lorenzo Ghiberti, “Arti del Fuoco, 3”, Firenze 2013, p.21. Fino al Concilio di Trento (1545-1563), certa committenza tendeva a non lasciare che le movenze paganeggianti del rinascimento venissero assorbite dai vasi sacri. Solo le Instructiones di san Carlo Borromeo, del 1577, costituirono una vera cesura stilistica. Cfr. C. Borromeo, Instructiones fabricæ et supellectilis ecclesiasticæ, in Trattati d’arte del Cinquecento fra manierismo e controriforma, “Scrittori d’Italia, 222”, a cura di P. Barocchi, III, Bari 1962, pp. 1-113; riedito come Instructionum fabricæ et supellectilis ecclesiasticæ. Istruzioni intorno alla fabbrica ed alla suppellettile ecclesiastica, “Monumenta studia instrumenta liturgica, 8”, a cura di S. Della Torre-M. Marinelli, Città del Vaticano 2000. []
  6. Le Pubbliche Esposizioni di prodotti di arti e manifatture presero avvio nel 1839 con cadenza triennale, e ne erano escluse le belle arti in quanto tali. Le giurie dovevano tenere conto della qualità e della convenienza commerciale dei prodotti. []
  7. Cit. da M. Branca-A. Caputo, Problematiche di arte applicata a Firenze nella seconda metà dell’Ottocento, tra formazione artigiana, collezionismo e mercato antiquario, in “DecArt”, X, 2009, p. 48. []
  8. Sui temi menzionati e, più in genere, sulla produzione e circolazione degli argenti toscani nell’Ottocento, cfr. ad esempio: M. E. Bastianelli, Argenti fra sacro e profano dall’invasione francese a Firenze capitale. 1800-1871, in Argenti fiorentini dal XV al XIX secolo. Tipologie e marchi, a cura di D. Liscia Bemporad, I, Firenze 1993, pp. 269-313;C. Strocchi, Produzione seriale e «onesta libertà» di industria. Dall’Arte della Seta alla Camera di Commercio. 1765-1800, Ivi, pp. 229-268; D. Liscia Bemporad, Lezione IV. Le arti decorative a Firenze nel XIX secolo tra arte e industria, in L’arte del fare il fare arte,“I mestieri d’arte-esperienze d’artigianato, 1”, a cura di M. P. Lebole, I, Firenze 2003, pp. 59-65; G. Raspini, Argenti toscani del ‘700 e dell’800 e l’archivio inedito di Costantino Bulgari sugli argenti toscani con esclusione degli oggetti ad uso religioso e dei manufatti dello Stato di Lucca, Firenze 2004; M. Branca-A. Caputo, Problematiche…, 2009, pp. 41-56. []
  9. Esposizione Italiana Agraria, Industriale e Artistica tenuta in Firenze nel 1861. Catalogo Officiale, Firenze 1861. Insieme furono pubblicati i numeri di un giornale illustrato dedicato alle tematiche dell’Esposizione. Fra le botteghe fiorentine in decadenza v’erano i Marchesini, i Gherardi, i Frilli ed altre. Cfr. M. E. Bastianelli, Argenti…, 1993, pp. 278, 303; Orafi e argentieri in Firenze dal XV al XIX secolo. Profili biografici, matricole, censimenti, documenti, a cura di D. Liscia Bemporad-D. Corsini-E. Nardinocchi [et al.], in Argenti fiorentini…, 1993, pp. 411-412, 414-415, 423; A. Capitanio, Tra arte e industria. Argentieri italiani nelle grandi esposizioni del secondo Ottocento, Livorno 1996, p. 13 e nota 21, p. 15; Eadem, Il recupero ottocentesco degli smalti «en ronde-bosse», in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia. Quaderni”, IV ser., XV, 2003, p. 138; D. Liscia Bemporad, Lezione…, 2003, pp. 61-63. []
  10. Oltre alle Esposizioni di Torino (1829, 1844, 1858) ed a quelle leopoldine ricordate, si mossero diverse città dell’Italia preunitaria, con iniziative supportate dalle Accademie o Società interessate al campo tecnico-educativo. A. Capitanio, Tra arte…, 1996, pp. 11-12, 15. []
  11. Fra i virtuosi v’erano i fiorentini Luigi Maluberti e Francesco Vagnetti, ed il romano Fortunato Pio Castellani; gli argentieri in linea con le novità di mercato erano invece Domenico Piranzola di Genova e i milanesi Luigi Henin e Antonio Ghezzi & Figlio. Ivi, p. 13. []
  12. Sostenitore di queste tesi fu il patriota Pietro Coccoluto Ferrigni, alias Yorick, che intervenne a più riprese sull’Esposizione di Firenze. Cfr. Ivi, p. 14. []
  13. Dal clima dell’industrializzazione e delle Esposizioni, nel 1869 nacque a Firenze la Scuola d’intaglio, primo istituto tecnico di arti decorative della città con sede in Santissima Annunziata, e dal 1878 in Santa Croce. L’istituto, denominato Scuola Professionale per le Arti Decorative e Industriali dal 1880, sentì la tradizione medievale e rinascimentale come la più appropriata ad ispirare l’arredo liturgico. Pochi orafi e argentieri tuttavia vi parteciparono, ancora legati alla formazione di bottega. Sulla formazione artigiana nell’Ottocento a Firenze cfr. S. Chiarugi, Botteghe di mobilieri in Toscana 1780-1900, I, Firenze 1994, pp. 39-50; D. Liscia Bemporad, Lezione…, 2003, p. 64; M. Branca-A. Caputo, Problematiche…, 2009, pp. 41-56. La dott.ssa Mirella Branca, che ringrazio, mi segnala come nell’archivio dell’attuale Istituto d’Arte di Porta Romana, erede della Scuola di Santa Croce, si conservino progetti acquerellati per suppellettile liturgica; a riguardo si veda anche Le arti decorative a Firenze. Il patrimonio storico dell’Istituto d’arte 1869-1940, catalogo della mostra a cura di M. Branca-A. Caputo, Livorno 1994, p. 54, n. 33. []
  14. Catalogo Generale della Ditta Fratelli Bertarelli, Milano 1910, cit. in A. Capitanio,Tra arte…, 1996, p. 75 nota 1. La ditta asseriva di essere la prima e l’unica vera industria del sacro. Secondo il catalogo, la via maestra dell’arte industriale sarebbe stata riprodurre a macchina i pezzi unici artistici, senza che cesello e bulino fossero più gli strumenti imprescindibili dell’oreficeria. []
  15. Vedi i cataloghi: Antica Fabbrica di Arredi Sacri della Ditta Levati Giuseppe & C.- Catalogo Generale Arredi di Chiesa, aprile-giugno 1890, nelle cui illustrazioni si presentavano oggetti già realizzati e pronti all’uso, anziché un repertorio di modelli da realizzare su commissione; Ditta L. Muscetti e G. Knight. Catalogo di Argenteria per il Culto Cattolico, Napoli, s.a.; A.&C. Ghezzi, Successori di Antonio Ghezzi & Figlio, Milano 1900, dove la ditta rivendicava la specialità di lavorare a cesello e bulino anziché utilizzare gli stampi. Cfr. A. Capitanio, Tra arte…, 1996, p. 76 note 8-9, p. 77 note 10-11. []
  16. Catalogo degli oggetti ammessi alla Esposizione romana del 1870 relativa all’arte cristiana e al culto cattolico, Roma 1870. Tra i premiati stranieri, il britannico John Hardman Powell, pupillo di Augustus W. N. Pugin, ed i francesi della Société catholique pour la fabrication, la vente, la commission de tous les objects consacrésau culte catholique, nata negli anni quaranta. Cfr. A. Capitanio,Tra arte…, 1996, p. 76. []
  17. Il calice fu riprodotto nel catalogo dell’Esposizione e nel repertorio di modelli Pattern Book for Jewellers, Gold- and Silversmiths, III, London 1880-1883, tav. 149; oggi si trova a Firenze, Museo dell’Opera del Duomo. Il prototipo disegnato nel 1845 fu donato dalla Città di Roma al neoeletto Pio IX (1846), e si trova nel Tesoro di Santa Maria Maggiore a Roma. Un terzo esemplare è segnato nel contabile Castellani al 1887-1888, come calice d’argento dorato e gemme donato a Leone XIII dall’arcivescovo di Spoleto, in rappresentanza dei vescovi umbri, e comparve all’Esposizione Vaticana del 1888. Il quarto è recentemente emerso da una collezione privata, ed è stato riferito da Stefanie Walker agli anni 1846-1870. Sui calici vedi A. Capitanio, Tra arte…,1996, p. 78 e nota 15; D. Corsini-F. Favilli, OA 09/00348368, 2002; M. Hargrave – Y. Elshafei- E. Wagner, Checklist of the Exhibition, in Castellani and Italian Archæological Jewelry, catalogo della mostra a cura di S. Walker-S. Weber Soros, New Haven (CT) 2004, p. 345 nn. 14-16; S. Walker, Founders, Family Members and the Firm, Ivi, p. 41 nota 33, p.43 note 34-36; S. Weber Soros, «Under the Great Canopies of Civilization». Castellani Jewelry and Metalwork at International Exhibitions, Ivi, p. 258; M. Donati, L’ oreficeria. Michelangelo Caetani e i Castellani, in Palazzo Caetani. Storia, arte e cultura, a cura di L. Fiorani, Roma 2007, p. 349; S. Sergiampietri, Lasciti e donazioni preziose alla Cattedrale di Santa Maria del Fiore nel secondo Ottocento, tesi magistrale, Università di Pisa, A.A. 2009-2010, pp. 41-44, n. 6; S. Guido, Un tagliacarte di Alessandro Castellani su disegno di Michelangelo Caetani e l’utilizzo in oreficeria di un nuovo prezioso metallo: l’alluminio, in “OADI”, XX, dicembre 2019 (www.unipa.it/oadi/rivista/, URL consultato il 04 febbraio 2020). []
  18. S. Weber Soros, Under the Great…, 2004, p. 258. []
  19. L’Esposizione Universale di Vienna del 1873 Illustrata, I, Milano 1873, cit. in A. Capitanio, Tra arte…, 1996, p. 76 nota 7. []
  20. Per esempio, l’Esposizione Vaticana raccoglieva oggetti artistici per il giubileo pontificio. Vedi L’Esposizione Vaticana Illustrata, Roma 1888, cit. in A. Capitanio, Tra arte…, 1996, p. 77 nota 12. []
  21. Catalogo Generale della Ditta Fratelli Bertarelli, 1910, pp. 220, 223 n. 39, cit. in A. Capitanio, Tra arte…, 1996, p. 77 nota 14. Si noti che gli oggetti in questione, pur essendo revivalistici, non sono tutti strettamente classificabili a causa del loro eclettismo, ma anche dell’attitudine corsiva all’identificazione degli stili nei cataloghi di vendita. []
  22. Sulle riviste citate vedi S. Scarrocchia, L’Arte Industriale e il restauro in Camillo Boito, in “Anagkē”, n.s. LVII, 2009, pp. 82-99; A. Capitanio,«Emporium che non conosce limiti di luoghi né di argomenti». Gli oggetti d’arte sacra nelle pagine della rivista, in Emporium II. Parole e figure tra il 1895 e il 1964, “Seminari e convegni, 36”, atti a cura di G. Bacci- M. Fileti Mazza, Pisa 2014, pp. 153-172. []
  23. Gli stili architettonici prediletti dalla committenza ufficiale, senza grandi cesure tra gli Asburgo-Lorena, gli sconvolgimenti napoleonici (1801-1814), e in ultimo la Restaurazione, furono il neoclassicismo o il cinquecentismo, poiché appropriati, nell’instabile temperie, a trasmettere la solidità di valori illuminati ed imperiali. Così fu per le arti minori che,dal secondo Settecento,in Toscana trovarono fortuna anche nelle più razionalizzate forme modanate nordeuropee. I Lorena favorirono altresì questi stili per ‘svecchiare’ rispetto al fasto mediceo, sentito come ormai inadatto ad una corte moderna e bisognosa di risanare l’erario. M. E. Bastianelli, Argenti…, 1993, in specie pp. 276-280, 290-294;C. Strocchi, Produzione…, 1993; G. Carrari, La facciata di S. Croce, in “Città di vita”, LV, 2000, 1, p. 7; D. Liscia Bemporad, Lezione…, 2003, pp. 69-70. []
  24. Ad esempio i Guadagni, gli Scheggi, Francesco Lombardi e Giuseppe Sorbi. Sui Guadagni vedi E. Nardinocchi, Guadagni (ad vocem), in Dizionario Biografico degli Italiani, LX (2003), online su treccani.it (URL consultato 30/09/2018); e Orafi…, 1993, pp. 416-417; sugli Scheggi vedi Ivi, pp. 434-435. Lombardi e Sorbi sono citati in M. E. Bastianelli, Argenti…, 1993, p. 300. []
  25. Per le altre suppellettili cfr. S. Sergiampietri, Lasciti…, 2009-2010. Tra queste si trova la lampada pensile in bronzo della cappella della Concezione, disegnata da Mariano Coppedè e realizzata dai Fratelli Grazzini del Ponte Vecchio per il cinquantenario del dogma dell’Immacolata (1904). La lampada rivisita il tema della cupola fiorentina, unendolo a citazioni medievali, bizantine e barocche. Vedi D. Corsini, OA 09/00347088, 2002. []
  26. Per una bibliografia sul Tabernacolo della Concezione vedi A. Cocchi, Notizie storiche intorno antiche immagini di Nostra Donna che hanno culto in Firenze, Firenze 1894, p. 74; Brevi Notizie storiche intorno alle tre Sacre Immagini più venerate in Firenze. SS. Annunziata, SS. Concezione del Duomo, Madonna delle Grazie, Firenze 1897, pp. 7-12; Brevi Notizie del Culto della SS. Concezione in Firenze e della Divozione alla Prodigiosa Immagine che si venera nella Chiesa Metropolitana, Firenze 1904, pp. 11-16; W.-E. Paatz, Die Kirchen von Florenz. Ein kunstgeschichtliches Handbuch, III, Frankfurt am Main 1952, pp. 376, 521 nota 313; M. E. Bastianelli, Argenti…, 1993, pp. 301-302; S. Chiarugi, Botteghe…,1994, p. 375 nota 228; A. Bicchi- A. Ciandella, Testimonia Sanctitatis. Le reliquie e i reliquiari del Duomo e del Battistero di Firenze, Firenze 1999, pp. 17, 24; D. Corsini-F. Favilli, OA 09/00625408, 2002; E. Colle-A. Piccardoni, Proposte per un regesto degli argentieri italiani attivi nel XIX secolo, in “DecArt”, IX, 2008, p. 84; S. Sergiampietri, Lasciti…, 2009-2010, pp. 109-110 e note 34-35; A. Ciandella, Liturgia in Santa Maria del Fiore (XX secolo). Documenti e testi dell’Archivio Capitolare, a cura di A. Ciandella, I, Firenze 2019, p. 288. Sullo zoccolo dell’arredo è scritto «Quæretur peccatum illius / et non invenietur» (Volg. Ps 9:36). Sul dipinto vedi D. Corsini-F. Favilli, OA 09/00625060, 2002. []
  27. L’antico proprietario Giovanni Battista Biagiotti collocò l’immagine nella nicchia di via degli Alfani, all’epoca via del Ciliegio, nel 1788, come scritto sul telaio retrostante. Questa suscitò una devozione che le fonti equipararono all’Annunziata, tanto che con gli eventi bellici del 1796 l’arcivescovo Antonio Martini, per evitare assembramenti, ne decretò la traslazione in Duomo. In via degli Alfani 74 un’epigrafe ricorda che «[…] Depicta imago Beatæ Mariæ Virginis sine labe conceptæ / Quam ei cibi posuerat Ioannes Baptista Biagiotti / Obquam plurima signa et prodigia / Magna populifrequentia / Interdiunoctuque concelebrata / Ut Dei Mater sanctis coleretur / Religiosa supplicatione / Antelucano tempore / In ecclesiam metropolitanam translata est / Kalendisseptembris anno MDCCIVC [sic] / Collegio presbyterorum Divi Iosephi / Concredita cura». Per la traslazione, oltre alla bibliografia sul Tabernacolo, si veda: ACF, G104, Notizie della Cappella della SS. Concezione. Duomo, pp. 2-3; E. Bacciotti, Il Fiorentino istruito. Calendario per l’anno 1846. Anno III, Firenze 1846, pp. XXXI, 64-65; G. Conti, Firenze Vecchia, II ed., I, Firenze 1928, pp. 12-14. Del primo ornamento potrebbe essere la cornicetta d’argento cesellato a foglie ovate che oggi raccorda la tela all’edicola ottocentesca. []
  28. ACF, G99, Atti diversi, ff. n. n., nota (z): «<Presso l’altare di sant’Antonio> vi era l’immagine della Madonna sotto il titolo della Concezione, che non pareva che avesse luogo in tal circostanza non potendo osservarsi bene le reliquie, che erano nell’armadio dietro al tabernacolo della detta immagine». Qui dunque sembra che l’immagine fosse stata spostata provvisoriamente, per consentire all’arcivescovo di visionare le reliquie retrostanti. Un verbale di questa visita si trova in Archivio Arcivescovile, vedi L’Archivio della Cancelleria Arcivescovile di Firenze. Inventario delle visite pastorali, “Pubblicazioni dell’Archivio Arcivescovile di Firenze. Inventari, 2”, a cura di G. Aranci, Firenze 1998, pp. 113, 213. La cappella di Sant’Antonio aveva un sacello marmoreo a colonne e timpano inquadrante un armadio reliquiario, che misurava da terra al frontone circa 5 m. Federigo Fantozzi, menzionandole reliquie nel 1844,lascia intendere che l’armadio non fu dismesso nel restauro di Gaetano Baccani (1842), cosa che avvenne nel 1852 quando fu realizzato il piedistallo per il Tabernacolo neogotico; l’edicola marmorea tuttavia restò(infra, nota 53).L’antica titolatura viene ancora denunciata dalla soprastante vetrata quattrocentesca, con Sant’Antonio abate in trono. Cfr. A. Bicchi-A. Ciandella, Testimonia, 1999, pp. 14-17, 153 doc. 268; A. Ciandella, Liturgia…, 2019, p. 288. Il culto della Concezione presso l’altare di Sant’Antonio non va confuso con l’altare della Concezione sulla controfacciata del Duomo, a destra dell’ingresso centrale, dove si venerava un affresco del XIV secolo con la Madonna detta dei Cherici o Gratiarum plenissima del Popolo. La Gratiarum plenissima fu staccata verso il 1842,incorniciata e ricollocata nella cappella di San Giovanni della tribuna di San Zanobi.La struttura fisica dell’altare, col riordino di Baccani, fu donatadall’Opera del Duomo all’Opera di Santa Croce. Cfr. AOSMF, XI.8.2, Inventario degli arredi sacri, argenti, ori, mobili, consegnati dall’ex-provveditore dell’Opera a monsignore arcivescovo come presidente della nuova Deputazione Ecclesiastica. 28 aprile 1818, p. 185 n. 1955, p. 188, n. 1983; Ivi, Inventario generale degli oggetti esistenti nella Metropolitana. 1836, ff. 1r-2 (con una nota in grafia successiva, forse di Cesare Guasti); ACF, P110, Deputazione Ecclesiastica, Filza seconda di giustificazioni 1832-1846, doc. 302 (21/08/1845); F. Fantozzi, Nuova guida ovvero descrizione storico-artistico-critica della città e contorni di Firenze compilata da Federigo Fantozzi architetto, Firenze 1844, pp. 332-333, 337; C. J. Cavallucci, S. Maria del Fiore e la sua facciata. Narrazione storica, Firenze 1887, pp. 239-240; L. Fabbri, Il riordinamento ottocentesco del Duomo e lo smantellamento del coro di Bandinelli, in Sotto il cielo della cupola. Il coro di Santa Maria del Fiore dal Rinascimento al 2000. Progetti di Brunelleschi, Bandinelli, Botta, Brenner, Gabetti e Isola, Graves, Hollein, Isozaki, Nouvel, Rossi, a cura di T. Verdon, Milano 1997, p. 115. []
  29. L’Inventario degli arredi sacri, argenti, ori, mobili, consegnati dall’ex-provveditore dell’Opera a monsignore arcivescovo come presidente della nuova Deputazione Ecclesiastica. 28 aprile 1818, omette di parlare dell’Immacolata in Duomo, forse perché già di pertinenza ecclesiastica e non dell’Opera. La presenza del primo tabernacolo tuttavia può venire sottintesa nell’Inventario generale degli oggetti esistenti nella Metropolitana. 1836, ff. 13-14, dovei «custodi della medesima» scrivono: «Sonovi in questa cappella diversi oggetti, quali si omette descriverli nel presente inventario, per appartener questi a diverse pie persone, le quali per accrescere il culto a Maria Santissima della Concezione, hanno questi donati, fino dall’epoca che questa immagine fu dalla via del Ciliegio ov’era situata, trasferita per ordine sovrano dell’anno 1794 [sic] nella Metropolitana fiorentina». []
  30. Per i dettagli sui furti vedi: ACF, G104, Notizie della Cappella della SS. Concezione. Duomo, pp. 4-5; ACF, P127, Erezione della Deputazione Ecclesiastica […], pp. 123-130; ACF, P215, Inserti vari, fasc. 37; AOSMF, XI.1.2, Deliberazioni ed ordini, pp. 96-97; AOSMF, XI.2.19, Negozi, fasc. 2, f. 54r, e fasc. 34; AOSMF, XI.2.20, Negozi, fasc. 16; AOSMF, XI.2.23, Negozi, fasc. 11. I furti sono menzionati in Brevi Notizie storiche…, 1897, p. 8. []
  31. Cit. daACF, G104, Notizie della Cappella della SS. Concezione. Duomo, p. 3; cfr. anche A. Ciandella, Liturgia…, 2019, p. 288. []
  32. La Deputazione Secolare aveva cura del mantenimento strutturale delle «fabbriche insigni», ossia Duomo, Battistero e Campanile, e di altri edifici come il Collegio Eugeniano. La bipartizione dell’Opera di Santa Maria del Fiore avvenne nel 1818, cfr. A. Muratori, Sulla natura giuridica dell’Opera di S. Maria del Fiore. Parere per la verità dell’avv. prof. Angelo Muratori, Firenze 1910; L. Fabbri, Il tempio e il culto. L’Opera di Santa Maria del Fiore e l’Atto di accollo del 1818, in E l’informe infine si fa forma… Studi intorno a Santa Maria del Fiore in ricordo di Patrizio Osticresi, a cura di L. Fabbri -A. Giusti, Firenze 2012, pp. 133-141. []
  33. ACF, G104, Notizie della Cappella della SS. Concezione. Duomo, p. 3. I registri separati sono in ACF, A12, Opera Pia della Cappella della Santissima Concezione in Duomo. []
  34. «La direzione generale del Demanio decise che l’Amministrazione della Santissima Concezione in Duomo non era un ente morale di per sé stante, poiché i capitali appartenenti a detta Amministrazione sono il provento dell’elemosine ed offerte raccolte in chiesa per il culto di detta immagine. Siccome però questi capitali devono necessariamente appartenere a qualcuno il Demanio dovrà decidere se appartengano al Capitolo del Duomo, alla Parrocchia o all’Opera e Fabbriceria. Se debbano appartenere al Capitolo, la tassa del 30% sarebbe dovuta sui capitali ovvero sulla rendita annua in infinito, se appartenesse all’Opera e Fabbriceria quella tassa del 30% dovrebbe corrispondersi per un tempo determinato cioè dal 1867 al 1870, a forma di legge, se finalmente questo capitale appartenesse alla Parrocchia, in tal caso questa sarebbe esente da detta tassa», Cit. da ACF, O254, Atti diversi, fasc. Documenti della Pia Opera della SS. Concezione 1849-1964, ff. n. n., minuta non firmata né datata. Dunque la proprietà del Capitolo può altrettanto dedursi poiché l’Opera Pia versò contributi ancora nei primi decenni del Novecento, principalmente sotto forma d’imposte di ricchezza mobile, la cui memoria si trova sparsa fra i documenti dell’Opera Pia; per esempio in ACF, O113, Miscellanea, fasc. Quietanze cappella SS. Concezione. L’Amministrazione della sacra immagine, prima di essere regolarmente detta Opera Pia, veniva anche chiamata Congregazione della Concezione, quest’ultimo caso ad esempio in ACF, A26, Libro di partiti N, 7 settembre 1854, pp. 450-451. Sulle attività dell’Amministrazione vedi A. Ciandella, Liturgia…, 2019, pp. 287-289. Ad ogni modo non sono sin qui emersi statuti che chiariscano la natura e finalità canonica dell’ente. []
  35. Allo scopo di risarcire i furti furono organizzate diverse pratiche pie dal 1851 al 1853. Si veda per esempio l’adunanza capitolare del 29 dicembre 1851, dove l’arciprete Emilio Bardini partecipava che l’arcivescovo Ferdinando Minucci, al fine «di riparare gli oltraggi fatti nella notte precedente il dì 21 corrente alla sacra immagine della Santissima Concezione che si venera nella nostra Metropolitana, aveva ordinato con sua pastorale un solenne triduo da farsi nei giorni 1, 2 e 3 del futuro gennaio. […] Fu pure proposto di fare una offerta in denari ad oggetto di riparare e riprovvedere con questa, e con altre che venissero fatte dai fedeli quelle argenterie che furono guastate e portate via in detta notte, come di mettere una cassetta sul banco del nostro distributore per ricevere quelle offerte che spontaneamente venissero fatte dai signori capitolari, anche questa proposizione mandata a partito venne approvata» (ACF, A26, Libro di partiti N, pp. 346-347). Il 30 luglio 1853 l’arcivescovo Minucci indisse una novena solenne dell’Assunta, che il 4 agosto spinse il canonico Valentino Baccio Bacci a scrivere a Bardini: «La fausta circostanza della riapertura della cappella di Maria Santissima sotto il titolo della Immacolata Concezione nella nostra chiesa Metropolitana, mi offre il motivo d’incomodare Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima per pregarLa in quest’anno soltanto a rilasciare a me come amministratore, e provveditore ex mandato delle offerte che si elargiscono dai fedeli a detta sacra immagine, tutte le elemosine che si faranno mattina e sera alla novena dell’Assunzione di Maria Santissima, la quale verrà eseguita a guisa di santi esercizi, onde supplire alle spese straordinarie dell’apparato, consumo di cera, ed altro […]». Sia il bando dell’arcivescovo sia la missiva di Bacci sono in ACF, B44, Reverendissimi arcipreti Palagi e Bardini. Tomo VII, ff. n. n.. []
  36. «A dì 5 febbraio 1858 […] il signore canonico Valentino Baccio Bacci amministratore delle elemosine della Santissima Concezione, ha reso conto delle entrate e spese a tutto l’anno 1857 ed ha fatto conoscere che l’avanzo di scudi 20 circa verificatosi alla suddetta epoca [1857], proponeva che fosse disposto, riunito agli avanzi degli anni decorsi, all’estinzione di un debito di scudi 400 che era stato fatto per finire di pagare il tabernacolo di argento della Santissima Concezione. La Deputazione approvando il progetto che veniva fatto dal suddetto signore canonico Bacci esonerò l’Amministrazione della Madonna dal pagamento della tassa di lire 266.13.4 per l’anno decorso solamente, comprendendo tutto l’arretrato» (ACF, P127, Erezione della Deputazione Ecclesiastica […],pp. 140-142). Un caso simile furono «sei candelieri di argento, secondo il disegno del nostro argentiere Codacci, per l’altare di San Zanobi co’ denari provenienti dall’elemosine ad onore di detto santo, ed in supplemento provvisorio alle medesime co’ denari della nostra cassa generale» (Ivi, 9 ottobre 1826, p. 24). []
  37. Tacciono ad esempio: ACF, N152, Reverendissimo Capitolo, Entrata e uscita; ACF, N153, Reverendissimo Capitolo, Entrata e uscita; ACF, N159, Reverendissimo Capitolo, Debitori e creditori; ACF, P111, Deputazione Ecclesiastica, Debitori e creditori; ACF, P112, Deputazione Ecclesiastica, Debitori e creditori; ACF, P118, Deputazione Ecclesiastica, Entrata e uscita; ACF, R271, Documenti presentati nelle adunanze della Deputazione(danneggiato). Nulla anche dai Bilanci consuntivi annui della Deputazione Ecclesiastica, in ACF, P140 e sgg., e dai bilanci preventivi dell’Opera secolare, in AOSMF, XI.2.17, Negozi, e sgg.. Non aiuta l’inventario di Carlo Pini del 1862, che descrive il Tabernacolo senza specificazioni: «Tredicesima cappella della Madonna. Ricco tabernacolo di legno alla gotica, con intagli dorati, dentro il quale è una piccola immagine della Concezione. Opera moderna», ACF, G101, Duomo e suoi annessi […], n. 42; copia dell’inventario Pini si trova in AOSMF, XI.8.4, Libri corali. Inventarii d’oggetti d’arte. Rimarrebbe da consultare l’Archivio dei cappellani del Duomo, ad oggi non accessibile. []
  38. ACF, A26, Libro di partiti N, p. 401. []
  39. Bulla dogm. Ineffabilis Deus, in Pii IX…, 1854, pp. 597-619, in specie p. 613: «Nos itaque […], vix dum […] totius Ecclesiæ gubernacula tractanda suscepimus, nihil certe antiquius habuimus, quam […] ea omnia peragere, quæ ad huc in Ecclesiæ votis esse poterant, ut BeatissimæVirginis honor augeretur, eiusque prærogativæ uberiori luce niterent» («Noi dunque […], non appena […] assumemmo il governo della Chiesa intera[1846], stimammo che certamente nulla avesse la precedenza sul compiere quel che ancora fosse negli auspici della Chiesa, affinché l’onore da tributare alla Beatissima Vergine fosse accresciuto, e splendessero di più abbondante luce le sue prerogative», trad. nostra). []
  40. Così scriveva l’arcivescovo al Capitolo il 22 agosto 1853, a tutela della liturgia e dei nuovi arredi della Concezione: «Decorata coll’offerte dei fedeli di ricche suppellettili, e di oggetti preziosi la cappella della Santissima Concezione, […] e […] vedendo che ogni dì più va crescendo il culto a quella sacra immagine, crediamo necessario […] impedire che a quell’altare non si facciano più quelle funzioni mortuarie che fino a quest’oggi sono state praticate […]». ACF, I21, Scritture varie tomo XLI, doc. 14. []
  41. D. Corsini- F. Favilli, OA 09/00625408, 2002. Ugolino Francioni fu pagato dalla Deputazione Ecclesiastica per ripuliture di argenti nel 1861-1862; per mansioni simili in precedenza la Deputazione si rivolse a Giuseppe Brandani (Jr.), negli anni 1851-1860. Vedi ACF, P112, Deputazione Ecclesiastica, Debitori e creditori, f. 41. Per Francioni cfr. M. E. Bastianelli, Francioni Ugolino (ad vocem), in Argenti fiorentini…, 1993, p. 411. Per Brandani (Jr.) cfr. Eadem, Brandani Giuseppe (ad vocem), Ivi, p. 398. []
  42. D. Corsini-F. Favilli, OA 09/00382233, 2002; Eædem, OA 09/00382253, 2002. []
  43. Sul restauro vedi ACF, Deposito, Restauro tabernacolo argenteo dell’Immacolata 1994; ACF, Deposito, Restauro tabernacolo altare dell’Immacolata 1996; D. Corsini-F. Favilli, OA 09/00625408, 2002. Presso l’Archivio Capitolare esiste una relazione tecnica, al momento non consultabile. Precedenti interventi sono documentati in ACF, O113, Miscellanea, fasc. Quietanze cappella SS. Concezione. []
  44. La cornice fu disegnata da Francioni nel 1850 e da lui realizzata nel 1858. Cfr. Arte aurea aretina II. Oreficeria aretina attraverso i secoli, catalogo della mostra a cura di D. Bartoli, Firenze 1986, p. 84; S. Pichi, Tra sacro e profano. Ori e argenti dell’Ottocento, in Arte in terra d’Arezzo. L’Ottocento, a cura di L. Fornasari-A. Giannotti, Firenze 2006, p. 250 fig. 324, p. 260. []
  45. C. Cennini, Il libro dell’arte o trattato della pittura (inizi XV secolo), § CXL, Come dèi principalmente volgere le diademe, e granare in su l’oro, e ritagliare i contorni delle figure. []
  46. Emblematico il reliquiario che Francioni realizzò nel 1862, conservato presso la Badia delle Sante Flora e Lucilla ad Arezzo. L’arredo, benché spesso definito neogotico in base a vaghi elementi, di medievale ha poco. Vedi Arte aurea…, 1986, p. 84; S. Pichi, Tra sacro…, 2006, pp. 259-260. []
  47. Gaetano Baccani ad esempio, architetto del riordino interno del Duomo (dal 1842) e pioniere del neogotico toscano. Un altro possibile nome è Niccolò Matas, già impegnato con le facciate di Santa Croce e del Duomo, che tra l’altro propose un colossale «tempio o tabernacolo» gotico a rimpiazzare il coro di Baccio Bandinelli. Secondo Giuseppe Tassinari si doveva trattare di una declinazione a pinnacoli e traforo del baldacchino di San Pietro, in bronzo e ferro; cfr. G. Tassinari, A proposito della nuova facciata della cattedrale fiorentina. Commentario di un uomo di buona fede sulle riflessioni di un artista privato, Firenze 1843, p. 24 nota 3, cit. in M. Maffioli, Il neogotico purista di Niccola Matas, in Il neogotico nel XIX e XX secolo,atti a cura di R. Bossaglia- V. Terraroli, II, Milano 1989, p. 327 nota 3. []
  48. Sulla carpenteria del polittico tardogotico toscano, vedi A. De Marchi- M. Mazzalupi, La pala d’altare. Dal polittico alla pala quadra. Dispense del corso tenuto nell’a.a. 2011-2012, Firenze 2012, pp. 27-43. []
  49. Il Tabernacolo dei Medici e Speziali era stato recentemente riprodotto in G. P. Lasinio, Il tabernacolo della Madonna d’Orsanmichele lavoro insigne di Andrea Orcagna e altre sculture di eccellenti maestri le quali adornano la loggia e la chiesa predetta, Firenze 1851, tav. 9. La medesima calotta aggettante fu progettata da Niccolò Matas per la sommità del portale maggiore del Duomo, ma approntata solo nel 1861 nel cantiere della facciata di Santa Croce per accogliere l’Addolorata di Giovanni Dupré, che sostituì il San Ludovico di Tolosa di Donatello spostato in controfacciata. Infine anche Emilio De Fabris pensò ad una simile cupoletta per il registro inferiore di nicchie sulla facciata del Duomo, nel 1877. N. Matas, Dimostrazione del progetto del cav. prof. architetto Niccolò Matas per compiere colla facciata la insigne basilica di S. Maria del Fiore metropolitana della città di Firenze, Firenze 1859, tav. 3; D. Pegazzano, OA 09/00229957, 1992;G. Carrari, La facciata…, 2000, pp. 28, 31; A. Griffo, The Trecento Sculptures in the Exterior Tabernacles at Orsanmichele, in Orsanmichele and the History and Preservation of the Civic Monument, “Studies in the History of Art, 76”, “Center for Advanced Study in the Visual Arts. Symposium Papers, LIII”, atti a cura di C. B. Strehlke, Washington (DC) 2012, pp. 132-133; E. Neri Lusanna, Andrea Pisano’s Saint Stephen and the Genesis of Monumental Sculpture at Orsanmichele, Ivi, p. 62. []
  50. In contemporanea venne approntato il paliotto argenteo per l’altare dell’Immacolata, commissionato da Enrico Danti e Filippo Matteoni agli argentieri Giovanni Stanghi e Raffaello Morelli, con le cornici del bronzista Manzini. L’oggetto, di gusto neobarocco non dissimile dalla decorazione sotto l’immagine del Tabernacolo della Concezione, fu presentato all’Esposizione Toscana del 1854, ricevendo lode per la qualità tecnica. Tuttavia la commissione non approvò «in ogni sua parte la composizione, che avrebbe desiderata più nuova e svariata nello spirito delle linee, e di maggiore semplicità ed eleganza nella scelta degli ornamenti». La delusione potrebbe denunciare l’aspettativa di un più chiaro pendant, se non con il Tabernacolo medievaleggiante, con l’intera cappella gotica della Concezione. L’arredo si trova oggi presso il Museo dell’Opera del Duomo. Cit. da V. Manteri, Rapporto sui lavori di litotarsia, di xilografia, d’intaglio, di scagliola, di doratura e verniciatura,in Rapporto generale della Pubblica Esposizione dei Prodotti Naturali e Industriali della Toscana fatta nell’I. e R. Istituto tecnico Toscano nel MDCCCLIV, Firenze 1854, p. 399, cit. in M. E. Bastianelli, Argenti…, 1993, p. 290 nota 97. Sul paliotto vedi inoltre: ACF, G103, Atti cappella della SS. Concezione, ff. n. n., Copia del contratto di donazione alla Deputazione Ecclesiastica (Prot. XV n. 41, Rep. n. 61, 05/12/1854); Catalogo dei prodotti naturali e industriali della Toscana presentati all’esposizione del 1854 fatta in Firenze nell’I. e R. Istituto Tecnico, Firenze 1854, p. 129; Brevi Notizie storiche…, 1897, p. 9; Brevi Notizie del Culto…,1904, p. 14; M. E. Bastianelli, Argenti…, 1993, pp. 290, 302-303. []
  51. Diverse fonti fissano le origini fiorentine di un culto stabile all’Immacolata agli anni quaranta del XV secolo. Oltre alla bibliografia citata sul Tabernacolo e sulla sua immagine, si veda: ACF, G104, Notizie della Cappella della SS. Concezione. Duomo, p. 1. []
  52. La mensola reca delle spighe, a denotare la principale destinazione eucaristica. Il reliquiario, in stile neogotico ‘toscaneggiante’, proviene da Roma ed è conservato presso il Capitolo, insieme all’autentica dell’arcivescovo Eugenio Cecconi datata 3 gennaio 1877. Sul retro della cuspide si trova la punzonatura «Fonderia Spagna Roma 1876». L’elenco dei reliquiari della cattedrale ricorda che l’arredo è un dono Gerini pervenuto prima del 1889. Cfr. A. Bicchi – A. Ciandella, Testimonia, 1999, pp. 24, 84 n. 45; D. Corsini- F. Favilli, OA 09/00382229, 2002; F. Favilli, OA 09/00347090, 2006; S. Sergiampietri, Lasciti…, 2009-2010, pp. 67-68, n. 16. []
  53. Nel 1954 furono smantellate le colonne ed il frontone del sacello marmoreo secentesco che inquadrava l’armadio reliquiario della cappella di Sant’Antonio, rimpiazzato dal 1853 col Tabernacolo della Concezione (supra, nota 28). Il progetto fu anzitutto approvato dal Capitolo con lettera all’Opera di Santa Maria del Fiore (11/10/1954, prot. S.18/54), e prevedeva, secondo la domanda di nulla osta inoltrata alla Soprintendenza ai monumenti per le province di Firenze, Arezzo e Pistoia dal commissario prefettizio dell’Opera Rodolfo Francioni, «la semplice remozione dell’esistente edicola seicentesca in marmo e la collocazione del tabernacolo della Madonna su due colonnette provenienti dall’edicola da rimuovere», con l’urgenza di «ultimare il lavoro per il prossimo 8 dicembre, data di chiusura dell’anno mariano» (29/10/1954, prot. 193). Il soprintendente Alfredo Barbacci autorizzò l’Opera alla «trasformazione dell’altare della Madonna secondo il progetto numero 32 del settembre 1954 presentato da codesta Opera, purché il tabernacolo marmoreo ora esistente sia accuratamente smontato e sistemato in magazzino, in modo da potere essere eventualmente ricomposto. Il tabernacolo d’argento dovrà essere disposto in prossimità della parete esterna fondale della cappella» (04/12/1954, prot. 3686, class. A166); vedi AOSMF, Lavori a tutti i monumenti 1938-1959, n. 119 (provvisorio), fasc. Opera di Santa Maria del Fiore. Soprintendenza ai monumenti Firenze (in fase di riordino). Le ultime fotografie prima dello smantellamento, datate 25/09/1954, furono scattate da Foto Electra di via Aretina 112, e mostrano i peducci che nelle foto dell’avvenuto restauro spariscono. Queste ultime, non datate, furono scattate poco dopo dalla medesima ditta, il cui timbro tuttavia cambiò in Elettra; vedi AOSMF, Conservazione e restauro, fasc. 3 Cappella dell’Immacolata (in fase di riordino). In base al succitato carteggio possiamo datare gli interventi al dicembre 1954 o primi mesi 1955. []