Loris Panzavecchia

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Il San Giuseppe con Gesù Bambino di Domenico Nolfo a Partinico – Dallo studio al restauro

DOI: 10.7431/RIV21082020

Il gruppo scultoreo raffigurante San Giuseppe con Gesù Bambino, custodito nell’omonima chiesa di Partinico, rappresenta un’opera ben nota alla comunità locale, per la forte tradizione che ancora oggi mantiene la festività del Santo, celebrata, attraverso la venerazione del suo simulacro. Nella ricorrenza annuale la scultura, infatti, viene portata in processione per le  vie del paese perché tutti i cittadini rendano omaggio al Santo Patriarca, accolto con le tradizionali preghiere, le offerte e i festosi fuochi pirotecnici. La storica Confraternita1, che cura l’organizzazione delle celebrazioni, provvede anche al mantenimento dell’opera, attraverso l’applicazione di tradizionali “cure” tramandate e reiterate fino ad oggi. Il recente restauro2, diretto e condotto da chi scrive, ha portato alla luce maggiori conoscenze sulla scultura di Domenico Nolfo, non solo storiche ma soprattutto tecniche, ed ha condotto ad un nuovo approccio alla conservazione e la manutenzione dell’opera, nel rispetto delle qualità materiali del manufatto e delle istanze del restauro moderno.

L’opera e il suo contesto

L’opera (Fig. 1), interamente realizzata in legno, rientra nelle produzioni artistiche di carattere devozionale della seconda metà del Settecento3. Essa raffigura San Giuseppe, con una mano protesa al Figlioletto, mentre con l’altra si appoggia ad un bastone in argento4, la verga miracolosamente fiorita perché Egli divenisse il casto sposo di Maria5. Erette su un alto podio rivestito da nuvole e da una teoria di testoline angeliche, le due figure sono rappresentate nell’atto di accennare un passo, in maniera speculare, con le rispettive gambe più esterne flesse e avanzate. Tale espediente va letto non solo come tentativo di dare maggiore dinamicità intrinseca alle figure (aspetto pure evidenziato dal movimento dei panneggi), ma anche nell’ottica – già programmata nel momento dell’ideazione della scultura – di un’opera destinata al culto cittadino e ai riti processionali. La postura “andante” doveva già di per sé comunicare l’idea di due figure realmente in movimento – l’avanzata della processione, appunto – e questo aspetto non dovette sfuggire allo scultore, che aveva già elaborato importati commissioni.

Riguardo all’autore, la tradizione popolare e storiografica rimanda allo scultore Domenico Nolfo6, seppure fino ad oggi non siano state pubblicate dettagliate notizie documentarie.

Figlio d’arte, nasce a Trapani nel 1730 da Antonio, anche lui scultore, così come il fratello Francesco e il nonno, Giuseppe o Domenico il Vecchio7. Una famiglia dunque di artisti dediti all’arte della scultura in legno e in “legno, tela e colla”, una tecnica8, che oggi definiremo più genericamente come “polimaterica”, tipica del trapanese. Della sua vita privata alcune notizie sono fornite dal Serraino9: egli contrae il matrimonio con Francesca Corso nel 1753 ed abita nella città natale in una casa di fronte la chiesa di Sant’Agostino; possiede alcuni terreni nelle vicine Paceco e Nubia. Sappiamo che Domenico era anche mobiliere, come si evince dalle notizie riportate sempre dal Serraino10 in cui lo scultore si impegna nel 1765 ad inviare dei letti in legno al distaccamento militare di Mazara. La sua attività principale rimaneva, comunque, quella dello scultore in legno e polimaterico. Insieme al padre e al fratello Francesco, si dedica anche all’arte del presepe11, realizzando personaggi ed animali.

Tra le sculture più importanti di Domenico vanno ricordate le statue lignee del San Giuseppe col Bambino12 nella chiesa della SS. Annunziata a Trapani e il Santo Alberto13, rivestito d’argento, realizzato per l’ex chiesa di Santa Maria delle Grazie ed oggi nella omonima chiesa parrocchiale della stessa città.

Tra le opere più famose dello scultore troviamo alcuni gruppi facenti parte dei cosiddetti Misteri14 di Trapani, diciotto carri, con le rappresentazioni di alcuni momenti della Passione di Cristo, che vengono portati in processione per la città durante le celebrazioni del Venerdì Santo. Domenico, insieme al fratello Francesco15, realizza con la tecnica “legno, tela e colla” almeno tre gruppi16, la Sentenza17, la Spogliazione18 e la Ferita al costato19 (Figg. 234), gruppi che, a detta del Mondello20 si distinguono per espressività ed eloquenza.

Sono note pure diverse opere realizzate con la stessa tecnica interamente di mano di Domenico, ma risulta di particolare interesse una scultura, analoga alla nostra, che rappresenta appunto San Giuseppe con il Bambino21 (Fig. 5), già nella chiesa di San Giuseppe a Trapani, oggi conservata nella chiesa del Carminello, nella quale possiamo rintracciare una perfetta corrispondenza tra i due gruppi. Le figure hanno una posa pressoché identica: Giuseppe con una mano si regge al bastone mentre porge l’altra al Bambino; entrambi, colti nell’atto di accennare un passo, si rivolgono l’uno all’altro con uno sguardo amorevole.

Una differenza la riscontriamo però nella trattazione volumetrica delle vesti e dei panneggi, ma non è un caso: la scultura trapanese infatti non è realizzata interamente in legno come la nostra, ma ha una struttura interna rigida su cui i due corpi sono modellati con tele imbevute di colla, gesso e poi dipinte.

Un confronto è pure possibile con un altro gruppo scultoreo già citato, sempre con gli stessi soggetti, custodito presso la chiesa di Maria SS. Annunziata di Trapani. Questa scultura (Fig. 6), talvolta attribuita alla mano di Francesco22 Nolfo, è realizzata in legno policromo, e ripropone con caratteri simili lo schema delle due figure sacre, ma con una dinamicità diversa: la gestualità è accentuata dalla mano del Bambino protesa verso il padre, che regge però in mano una croce. È importante notare la scelta di soluzioni simili nei due gruppi scultorei per l’esecuzione della base: anche nel gruppo dell’Annunziata, come in quello di Partinico, infatti, il piedistallo è avvolto da nuvole e da teste angeliche, disposte ed assemblate con le stesse tecniche.

Tornando alla nostra scultura, le notizie storiche che ce la fanno riferire con certezza alla mano di Domenico Nolfo non sono molte: è lo studioso trapanese Serraino23 che fa un cenno alla commissione, citando notaio e data della stipula dell’atto, ma non aggiungendo nessun altro dato. Queste fonti, comunque, hanno consentito di condurre una ricerca archivistica mirata, che ha permesso di rintracciare i documenti originali.

Si riporta di seguito la trascrizione dell’atto24 dal notaio trapanese D. Francesco Aloisio Buzzo redatto in data 3 luglio 1778:

«Die Tertio Iulii undecimae indictionis Millesimo Septingentesimo Septuagesimo Octavo

Pateat qualiter Dominicus Nolfo Civis huius Urbis Drepani mihi notario cognitus praesens coram nobis sponte dixit, et fatetur habuisse, et recepisse a Reverendo Sacerdote Don Cajetano tripodo Partinici et modo hic Drepani reperto quoque mihi notario cognito praesente et stipulante uncias trigintanovem, tarenos vigintiquatuor, et granos decem et octo habitas in diversis vicibus, diebus, et partitis […].

Declarans dictus Reverendus de Tripodo dictas pecunias fuisse, et esse ei contributas […], videlicet: uncias decem a Domino Joseph Giganti Partinici, et reliquas uncias vigintinovem, tarenos vigintiquatuor et granos decem et octo a diversis piis Christifidelibus[…].

Et sunt dictae unciae 39.24.18 superius confessae pro materiale tam lignaminum quam colorum, et aliorum necessariorum ac magisterio, manifactura, sculptura et pictura binarum statuarum unius videlicet Gloriusi Patriarchae Sancti Ioseph et alterius Divini Infantis […] in unico pedemstallo […]»

Come si legge, con tale atto, stipulato presso lo studio del notaio, il reverendo sacerdote don Gaetano Tripodo di Partinico affida al trapanese Domenico Nolfo la realizzazione dell’opera; la spesa è sostenuta in parte da don Domenico Giuseppe Gigante, partinicese, il quale dona la generosa cifra di 10 once, e la restante somma da parte di “alcuni pii fedeli cristiani”. La cifra totale di 39 once, 24 tarì e 18 grani dovrà servire per l’approvvigionamento delle materie prime, il legno i colori e quant’altro necessario per l’ideazione, la realizzazione, la scolpitura e la coloritura del gruppo di due statue, raffiguranti il “Glorioso Patriarca San Giuseppe” e il “Divino Infante” su un unico piedistallo.

È importante notare come buona parte della commissione sia stata sostenuta economicamente dai fedeli, segno, questo, della grande affezione che gli abitanti della città di Partinico dimostravano verso la figura del Santo e della già radicata tradizione cultuale. Non è un caso che la Confraternita del Glorioso Patriarca San Giuseppe, fondata già nel 1611, sia una delle più antiche della città25; essa inoltre ha svolto un ruolo primario nell’edificazione dell’omonima chiesa, trasferendosi dall’antica sede del Monastero del Carmine26 nel nuovo edificio sacro, edificato tra il 1737 e il 1739 sui resti dell’ex chiesa di San Francesco lo Vecchio27. La commissione del gruppo scultoreo a Domenico Nolfo, si inserisce infatti in un ricco corollario di iniziative, condotte nell’arco di quarant’anni, volte al completamento e alla decorazione della nuova chiesa28 e all’esecuzione di opere destinate alla venerazione del Santo. Tra queste, oltre alla nostra scultura, merita di essere citato il ciclo pittorico di sei tele ottagonali con storie della vita di San Giuseppe commissionate nel 1747 da Domenico Maddalena ai fratelli Antonio e Vincenzo Manno29.

Tecniche esecutive, stato di conservazione e interventi precedenti

La scultura realizzata dal Nolfo nasce, quindi, sia come principale “immagine” del Santo presso la nuova chiesa, posto in una grande nicchia al centro dell’abside, sia come simulacro per il culto popolare.

Essa è composta da varie porzioni di legno, assemblate e lavorate per ottenere i volumi desiderati30. Troviamo vari legni, come il faggio, usato per il basamento, e il pioppo, con il quale sono realizzate le due figure e la maggior parte degli elementi. Attraverso lesioni e fessurazioni che si propagano dal supporto fino agli strati di finitura, è possibile osservare le linee di commettitura, cioè i punti di giuntura delle varie parti di legno. In particolare è interessante notare il modo in cui la figura di San Giuseppe è ancorata alla base (Fig. 7): si può osservare infatti una trave in noce che dalla base, fermata con grossi chiodi in ferro, si innesta nella schiena del santo. Interessante anche la realizzazione della parte decorativa della base: sul volume principale sono prima applicate le nuvole, poi le teste dei cherubini e per ultime le ali, realizzate tutte in diversi pezzi.

Quasi tutta la statua è rivestita di foglie d’oro o d’argento: per arrivare a questa finitura era prima necessario trattare la superficie lignea con una preparazione a base di gesso e colla che, una volta levigata, veniva rivestita da due o più stesure di bolo armeno, un’argilla rossa che serve sia ad accogliere la foglia sia a dare profondità di tono al metallo31. L’oro o l’argento, quindi, a seconda delle superfici, veniva applicato con una colla leggera e poi brunito per renderla lucente. Molte parti della scultura erano in origine decorate con delle lacche, ossia resine colorate trasparenti che rivestivano parti come le ali dei putti, dove è ancora visibile, ma anche le vesti delle due figure. Basandoci su queste tracce, e confrontandola anche con la analoga scultura del Carminello a Trapani prima esaminata, la figura di San Giuseppe in origine doveva avere una veste azzurra con decori in oro e un mantello verde (Fig. 8), mentre il Bambino una tunica rossa con il mantello dorato (in argento meccato).

La scultura, destinata alla devozione popolare e a riti processionali in occasione della festività del Santo, mostrava i segni del naturale invecchiamento dei materiali costitutivi, ma anche di danni di origine antropica e trasformazioni accorse durante i secoli.

Osservando la scultura ai raggi UV (Fig. 9), era evidente la stratificazione di sostanze sovrammesse, dovute sia a rifacimenti sia a interventi di manutenzione. Su tutta la superficie era presente uno spesso strato di oli applicati per la manutenzione cui  ogni anno la statua era sottoposta con l’intento di renderla più vivida, anche se questa pratica ha causato sia problemi di conservazione sia un’alterazione della leggibilità dell’opera.

Sul supporto ligneo erano presenti molte fessurazioni, lesioni e distacchi, talvolta anche con perdita di materiale plastico, come, ad esempio, l’alluce del piede sinistro di San Giuseppe, e altre piccole porzioni nelle nuvole, nelle ali dei putti e nelle modanature della base.

Tutte le superfici mostravano vari livelli di abrasione superficiale, dovuta sia all’uso cultuale dell’opera sia al citato procedimento di manutenzione annuale. Inoltre alcuni materiali inseriti in interventi precedenti si erano alterati, come i ritocchi sull’oro che erano incrostati e anneriti a causa della presenza dell’olio di noce non polimerizzato.

Anche il posizionamento del Bambino era stato modificato nel tempo: la figura infatti, distaccatasi, dalla sua sede originale è rimasta mal posizionata e soprattutto in condizioni precarie per lungo tempo.

L’accumulo di depositi coerenti e la sovrapposizione dei vari stesure di protettivi e ravvivanti, ormai imbruniti e alterati, conferivano all’opera un’immagine appesantita e cromaticamente non equilibrata. Ne risultava una lettura complessiva falsata che impediva la corretta comprensione della scultura (Fig. 10).

Come spesso accade alle opere devozionali, sulla scultura sono accorsi nel tempo vari interventi che potremmo definire di innovazione. Questi erano volti a mantenere fruibile l’opera per il culto dei fedeli o anche per aggiornare la sacra immagine al gusto dell’epoca. Tra questi interventi i più importanti hanno riguardato il rifacimento parziale delle vesti di San Giuseppe e del Bambino, e forse in queste fase si sono perse le cromie delle lacche sopra descritte.

Anche gli incarnati sia delle figure che degli angeli avevano subito vari rimaneggiamenti. Al di sotto dello strato di olio, infatti, erano presenti più livelli di pittura con colorazioni diverse, ma che in fase di restauro si è deciso – in accordo con la Soprintendenza BB.CC.AA. di Palermo – di non mantenere per riportarli all’originale.

Il restauro: materiali e metodi

Avendo ben chiaro il quadro complessivo dell’opera, con l’autorizzazione delle Curia di Monreale, si è dato inizio all’intervento di restauro, condotto sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza BB.CC.AA. di Palermo. Tutti gli interventi sono stati eseguiti con materiali compatibili e distinguibili, nel massimo rispetto del manufatto, della sua integrità e delle sue qualità materiche. Le metodologie adottate sono state scelte secondo i principi di reversibilità e ritrattabilità32, così da assicurare possibili interventi futuri. Tutte le operazioni sono state effettuate nell’ottica del minimo intervento, a garanzia dell’autenticità e originalità dell’opera33. Il cantiere è stato allestito presso i locali annessi alla chiesa.

Dopo una prima spolveratura per rimuovere i materiali di deposito incoerenti, si è proceduto con la messa in sicurezza di tutti i margini delle lacune e delle altre parti distaccate, per evitare la perdita di materiale originale. Tutte le parti in legno sono state poi disinfestate per prevenire attacchi da insetti xilofagi.

Sono stati quindi eseguiti su varie aree della superficie i test di pulitura per trovare i punti di solubilità delle sostanze da rimuovere. Questa fase, che è forse la più importante in un intervento di restauro, è stata complessa ed è stato necessario trovare diverse soluzioni per ogni tipo di superficie, in modo da restituire la superficie originale dell’opera senza rischiare di comprometterla. La pulitura ha principalmente rimosso gli strati di olio di noce che nel tempo si erano stratificati sull’opera. Come accennato prima, questa pratica che sicuramente aveva il nobile obiettivo di mantenere la scultura vivida e protetta, in realtà ha avuto il risultato contrario, sia per lo sfregamento della superficie che ha certamente provocato delle abrasioni, sia perché le stesure di olio – che impiegano mesi ad asciugare – avevano assorbito dall’ambiente polvere, particolato, fumo e ogni altra sostanza dispersa nell’aria. Un trattamento più complesso è stato adottato invece per gli incarnati, che presentavano vari livelli di ridipintura; le analisi ai raggi UV sono state fondamentali per distinguere gli strati originali da quelli di rifacimento (Figg. 1112). La metodologia ha previsto l’applicazione di un gel contenente solventi, una pulitura a tampone, e poi la rifinitura a bisturi (Fig. 13).

È stato necessario procedere al disassemblaggio della figura del Bambino per poter completare la pulitura, ma anche per riconfigurarla poi nella posizione corretta. Si è quindi proceduto con le reintegrazioni plastiche, cioè con la ricostruzione di alcune parti mancanti, come l’alluce del piede sinistro di San Giuseppe. Per avere una maggiore resistenza è stato inserito un perno sul quale poi è stata fatta la ricostruzione plastica. Lo stesso procedimento è stato adottato per ricostruire parti delle dita delle mani mancanti sia nella figura di San Giuseppe che del Bambino. Alcuni altri perni inoltre sono stati inseriti come rinforzo di parti originali distaccate.

Un aspetto di fondamentale importanza ha riguardato la stabilità delle due figure sulla base: il San Giuseppe, infatti, sebbene fosse trattenuto da quella piccola trave di cui si è detto, era distaccato dalla base e aveva troppo margine di movimento. Per ovviare al problema, i piedi sono stati incollati con iniezioni di adesivo e forati in punti nascosti per inserire dei perni di vetroresina che attraversano lo spessore dei piedi e della base. Le intercapedini, infine, sono state colmate con polpa di cellulosa legata con adesivo vinilico a bassa concentrazione di acidi. Con lo stesso sistema è stato ricollocato il Bambino, che ha ritrovato la sua posizione originale e ha rimesso la sua mano in quella di Giuseppe.

L’ultimo gruppo di operazioni ha riguardato la presentazione estetica, ovvero la stuccatura di tutte le lacune e la reintegrazione delle superfici. Le parti dorate e argentate presentavano lacune molto vaste e diffuse. Sussisteva inoltre, come sopra descritto, il problema delle decorazioni a lacca, non più esistenti, ma di cui si erano trovati e recuperati ampi lacerti (nelle zone più interne e protette). Si è presentato quindi un problema di metodologia nella reintegrazione che doveva tenere conto sia delle lacune, sia delle trasformazioni, ma soprattutto dell’uso cultuale cui la scultura è destinata. Si è ritenuto innanzitutto importante mantenere le superfici argentate e dorate, lasciando l’aspetto ormai storicizzato e fissato nella memoria collettiva della scultura; di conseguenza, le lacche non sono state integrate, considerando sia la loro volontaria rimozione in un intervento di rinnovamento dell’opera, sia l’invasività di una loro eventuale riproposizione.

Le aree più grandi sono state reintegrate con foglia oro o argento, applicate con tecnica a guazzo, in maniera analoga all’originale, ma interponendo uno strato di sacrificio tra le parti integrate e quelle originali. Gli incarnati e le altre parti dipinte sono state poi integrate con colori ad acquerello e a vernice con tecnica mimetica, mentre i decori delle vesti, laddove mancavano, sono stati reintegrati con la stessa foglia oro applicata a missione, cioè fatta aderire con un’oleoresina, sempre con uno strato di sacrificio interposto. La scelta di eseguire integrazioni mimetiche è stata dettata sia da considerazioni tecniche sia dalle esigenze cultuali che richiedevano un aspetto quanto più completo e leggibile possibile. Le successive fasi di equilibratura, in particolare delle lamine metalliche integrate, sono state volte alla distinguibilità dei materiali d’intervento, oltre che alla riduzione delle interferenze visive. L’intervento si è concluso con la verniciatura finale protettiva, prevedendo i fattori di rischio cui l’opera va incontro durante le celebrazioni in onore del Santo Patriarca (Figg. 141516).

Abbreviazioni

A.S.T.             Archivio di Stato di Trapani

B.F.T.             Biblioteca Fardelliana di Trapani

M.R.P.T          Museo Regionale Pepoli di Trapani

  1. F. La Franca, Confraternita del Patriarca San Giuseppe, Partinico. Memoria e ricerche – 1611-2011, Partinico 2011. []
  2. Il gruppo scultoreo è stato restaurato, previo nulla osta dell’Arcidiocesi di Monreale e sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza BB.CC.AA. di Palermo, tra settembre 2018 e marzo 2019. []
  3. G. Bongiovanni – V. Menna, La scultura e l’intaglio in legno a Trapani e nel trapanese, in Manufacere et scolpire in lignamine. Scultura e intaglio in legno in Sicilia tra Rinascimento e Barocco , a cura di T. Pugliatti – S. Rizzo – P. Russo, Catania 2012, pp. 283 ss. []
  4. Il bastone ha un’anima in legno rivestita con lamine di argento cesellato (mentre il fiore è in rame dorato) che presentano dei punzoni, così come le aureole delle due figure e le rispettive medaglie a forma di sole, quest’ultime in argento con parti dorate. Tutti questi elementi, complementari alla scultura, insieme a diversi altri ex-voto sempre in argento, meriterebbero uno studio approfondito per poter individuare l’argentiere e la data di esecuzione. []
  5. Cfr. Giuseppe, in J. Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, Milano 1983, ad vocem. []
  6. I. Bruno, Nolfo Domenico, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani. Vol. III. Scultura, a cura di B. Patera, Palermo 1994, ad vocem. []
  7. Sul capostipite della famiglia Nolfo le fonti ottocentesche (G.M. Fogalli, Memorie biografiche degli illustri Trapanesi per santità, nobilità, dignità, dottrina ed arte, 1840, M.R.P.T., ms. 14 C 8, pp. 675-676; G.M. Di Ferro, Biografia degli uomini illustri trapanesi, vol. I, Trapani 1830, rist. anast. Palermo 1973, p. 163) e le successive ricerche del Serraino (M. Serraino, Trapani nella vita civile e religiosa, Trapani 1968, p. 133), sono discordi e riportano date e commissioni (riprese dagli studiosi successivi) che risultano incompatibili; è possibile che qualche errore di interpretazione delle fonti primarie sia stato reiterato nel tempo generando confusione non solo cronologica ma anche nella distinzione di personaggi omonimi. Ad esempio, alcune sculture in marmo che il Fogalli cita come opere di Domenico il Vecchio, sono talvolta ricondotte al nipote, tra l’altro con vistosi salti temporali. L’esatta discendenza della famiglia rimane da chiarire, come notato da Ivana Bruno nella voce sulla famiglia Nolfo: cfr. Corallari e scultori in corallo, madreperla, avorio, tartaruga, conchiglia, ostrica, alabastro, ambra, osso, attivi a Trapani e nella Sicilia occidentale dal XV al XIX secolo, a cura di R. Vadalà, in Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2003, p. 388. []
  8. B. Figuccio, La scultura polimaterica trapanese e la tecnica di esecuzione, in Legno, tela &… La scultura polimaterica trapanese tra Seicento e Novecento, catalogo della mostra a cura di A. Precopi Lomabrdo – P. Messana, Erice 2011, pp. 47-54. []
  9. M. Serraino, Trapani…, 1968, p. 134. []
  10. Ibidem. []
  11. F. Mondello, L’arte nel presepio per le piccole figure degli scultori Nolfo di Trapani, 1905, B.F.T., ms. 190, p. 9. []
  12. Cfr. M. Serraino, Trapani…, 1968, p. 135. []
  13. Ibidem. []
  14. M. Mineo, Trapani: i Misteri del Venerdì Santo, Trapani 1995. []
  15. La collaborazione di Domenico con il fratello Francesco nella esecuzione dei tre Misteri è riportata dalla storiografia locale, sebbene non vi siano fonti documentali che lo attestino. []
  16. F. Mondello, La Processione del Venerdì Santo in Trapani ossia la Passione di Gesù Cristo illustrata con venti gruppi statuari detti Misteri e con cenni storico-esegetici, 1901, B.F.T., ms. 313, p. 15;  M. Serraino, I Misteri, Trapani 1950, p. 17. []
  17. L. Novara, I gruppi processionali di Trapani, in Legno, tela…, 2011, pp. 142. []
  18. Idem, p. 144. []
  19. Idem, pp. 146-147. []
  20. Mondello, La Processione…, 1901, p. 15. []
  21. Va notato che nella stessa chiesa sono conservati due gruppi scultorei analoghi, che hanno talvolta generato confusione nella corretta interpretazione delle fonti storiografiche. Tuttavia, il confronto con l’opera partinicese rende particolarmente evidenti le analogie (posture, dimensioni, stile) con solamente uno dei due gruppi trapanesi. []
  22. M. Serraino, Trapani…, 1968, p. 135. []
  23. Idem, p. 134. []
  24. A.S.T. Fondo notarile di Trapani, Notaio Domenico Francesco Aloisio Buzzo, minute 1777-1778, XI indizione, pp. 836-837. Si ringraziano la dott.ssa Fulvia Bartolone per la collaborazione nella ricerca archivistica e il prof. Giovanni Travagliato per la trascrizione e interpretazione del testo. []
  25. Ricordiamo che Partinico, sebbene sia stato un territorio i cui primi insediamenti risalgono all’antichità e sia stato sfruttato per le sue risorse agricolo-boschive durante tutto il basso Medioevo, sia diventato un vero e proprio centro abitato solo tra il XVI e il XVII secolo; cfr. S. Bonnì, Partinico nella storia, Palermo 1983, pp. 116 ss.; cfr. anche L. D’Asaro, Partinico dalle origini al XIX secolo, Vol II. – Dal decollo urbanistico della Sala al XIX secolo, Palermo 2018, pp. 5 ss. Per la fondazione della Confraternita cfr. F. La Franca, Confraternita del Patriarca …, Partinico 2011, p. 23. []
  26. L. D’Asaro, Partinico dalle origini…, 2018, pp. 143-157. []
  27. Idem, 110-112; cfr anche F.M.E.G. Villabianca, Storia della Sala di Partinico, ms. trascritto da N. Cipolla, Palermo 1997, pp. 101-102. []
  28. Nel 1775 il sacerdote Domenico Rizzo fa decorare l’altare maggiore con stucchi; nel 1780, con la donazione di Antonio Lo Medico, viene eretto il campanile  con tre campane. Cfr. F. La Franca, Confraternita del Patriarca…, 2011, pp. 11-34. []
  29. M. Guttilla, Manno Antonio e Manno Vincenzo, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani. Vol. II. Pittura, a cura di M.A. Spataro, Palermo 1993, ad voces. []
  30. C. Baracchini-G Parmini – Scultura lignea dipinta. I materiali e le tecniche, Firenze 1996, pp. 13-17; S. Rinaldi, Storia tecnica dell’arte. Materiali e metodi della pittura e della scultura (secc. V-XIX), Roma 2011, pp. 257 ss. []
  31. G. Pignolo, Effetti d’oro. Storia tecnica della doratura nell’arte, Bologna 2000, pp. 99-103. []
  32. U. Baldini, Teoria del restauro e unità di metodologia, Vol. I, Firenze 2003, pp. 23 ss. []
  33. C. Brandi, Teoria del restauro (1963), Torino 1977, p. 9. []