Davide Dal Bosco

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Le rappresentazioni di Santiago matamoros in Sicilia

DOI: 10.7431/RIV21032020

L’iconografia di Santiago come cavaliere che travolge i mori in battaglia e porta alla vittoria le truppe cristiane è nota e presente spesso lungo il Camino de Santiago, dove in numerose chiese sono offerte alla devozione statue e dipinti che replicano il modello iconografico del Santo uccisore di musulmani o matamoros. Questa diffusione può suscitare l’impressione che al culto del Santo sia fin dall’inizio associato un aspetto marziale1 o un’esaltazione dell’impresa militare, peraltro piuttosto imbarazzante, anche intesa nel senso di riconquista del territorio occupato dalla penetrazione musulmana del 711 d. C. Non è così: il matamoros è un’invenzione piuttosto tardiva e probabilmente estranea alla devozione popolare2. Fino al XII secolo l’iconografia di Santiago lo mostra principalmente come pellegrino, con bordone, conchiglia e abito da pellegrino (simboli del pellegrinaggio); solo nel XIII secolo all’immagine di Santiago pellegrino si affianca a quella dello Iacobus miles Christi; in questo stesso secolo abbiamo un’immagine del Santo a cavallo e armato di spada3; circa un secolo dopo appare la rappresentazione del matamoros4. Il culto di Santiago matamoros si trova attestato, in letteratura, nella seconda decade del XII secolo, nell’Historia Silense, cronaca leonesse secondo la quale Giacomo predice la conquista di Coimbra ad opera di Ferdinando I di Castiglia nel 1064, episodio ripreso poi nel Codex Calixtinus5. San Giacomo a cavallo è modellato sull’ideale cavalleresco: all’inizio non è ancora esplicitamente matamoros6; solo a partire dal XV secolo per poi diffondersi soprattutto nel XVI e fino al XVII compaiono i musulmani travolti ai piedi del suo cavallo, a testimonianza che il Santo combatte e uccide in prima persona, a guerra di riconquista finita7.

La rappresentazione di Santiago nella sua eccezione di matamoros, ovvero di sterminatore di mori quale difensore della cristianità, tema ricorrente nell’iconografia iacopea in ambito ispanico perché legato all’epopea della Reconquista, si è diffuso anche nell’arte italiana. Identificato da alcuni studiosi in pochi affreschi, il repertorio si potrebbe arricchire di un olio del ’600 e di una stampa settecentesca presenti in una collezione privata. La pittura può essere inserita nel periodo in cui nei Paesi Bassi viene inventato un motivo floreale che funge da cornice pittorica al soggetto rappresentato, nel quale si specializzò la scuola di Anversa. Questo quadro, non firmato, non è tuttavia ascrivibile ad esponenti italiani della corrente fiamminga, quali Bartolomeo Lagozzi (attivo nel 1630) e Pierfrancesco Cittadini detto il Milanese (1616-1681). È la Vittoria delle fede, simboleggiata dalla figura di Santiago matamoros, in mezzo ad una ghirlanda di fiori (Fig. 1). Il quadro ad olio è riprodotto al n. 33 del catalogo di vendita del 4 e 5 novembre 1992 della Casa d’Aste Dorotheum di Vienna8.

La stampa settecentesca è dovuta a Giandomenico Tiepolo (1726-1804) figlio del più famoso Giambattista, e nacque per venire proposta ad un’utenza italiana verosimilmente attratta da questa devozione. Essa riproduce un quadro del padre, che dal 1870 si trova al Museo di Belle Arti di Budapest ma che era stato ordinato nel 1749 per l’ambasciata di Spagna a Londra dove però non era mai approdato a causa proprio del soggetto, ipotizzato come troppo funzionale alla politica espansionistica spagnola. San Giacomo è raffigurato con il mantello del suo ordine. Se già l’Apostolo era stato venerato dopo la battaglia di Lepanto quale mataturcos, ed in seguito ad un’apparizione nelle colonie americane avvenuta a Cuzco davanti all’inca Manco Capac II quale mataindios, impensieriva le autorità inglesi e l’ambasciatore spagnolo Ricardo Wall (che ne informò il ministro Carvajal), l’eventualità di un Santiago matahereje, sterminatore degli eretici protestanti, per cui il quadro fu sostituito nell’ambasciata londinese da un meno impegnativo San Giacomo pellegrino9.

In Sicilia ci sono 25 rappresentazioni di Santiago matamoros in 11 località diverse: una ad Agrigento; due a Camaro, nell’area urbana di Messina, una a Capizzi, in provincia di Messina, due a Messina; una a Mazara del Vallo, una a Partanna, in provincia di Trapani, una a Trapani; una a Sclafani Bagni, in provincia di Palermo; una a Modica, dodici a Scicli, in provincia di Ragusa, due a Ragusa.

Ad Agrigento, nel duomo, l’affresco della parte sinistra dell’abside, raffigurante San Giacomo matamoros, dipinto dal palermitano Vincenzo Bongiovanni, risale al 1710 (Fig. 2)10: il Di Bella lo definisce “uno scontro armato tra un cavaliere cristiano e un esercito di infedeli”11.

A Camaro, oggi nell’area urbana di Messina, nella chiesa di Santa Maria Incoronata, ci sono due rappresentazioni di Santiago matamoros: 1) nelle lunette dei tre portali trovano posto dei bassorilievi raffiguranti l’incoronazione della Vergine, lo sposalizio di Maria con San Giuseppe e San Giacomo a cavallo che combatte contro i mori. 2) San Giacomo matamoros nella battaglia di Clavijo, lamina d’argento di Giovanni Gregorio Frassica (1664-’65), compare in un pannello della piramide superiore del seicentesco fercolo d’argento, opera dell’oreficeria barocca siciliana del XVII secolo, degli argentieri messinesi Juvarra: il Ferculum ha una forma piramidale, alla cui sommità è posto il Santo in vesti marziali latine (Fig. 3)12.

A Capizzi, nella chiesa di San Giacomo, troviamo quattro rappresentazioni di San Giacomo matamoros: 1) la volta della navata centrale è arricchita da affreschi, uno dei tre quadroni (il dipinto centrale) raffigura la battaglia di Clavijo fra il re Ramiro I di Asturia e Abd-al-Rahmàn III di Cordoba, combattuta nel IX secolo, con San Giacomo nella veste di matamoros, realizzati da Giuseppe Crespadoro, appartenente alla scuola di Vito D’Anna (Fig. 4). 2) L’arazzo rosso del leggio mostra un Santiago matamoros 3) All’interno, precisamente all’ingresso della chiesa di San Giacomo, una statuina lo raffigura nelle vesti del matamoros (Fig. 5). 5) Infine all’esterno una grande statua lo rappresenta nelle stesse vesti (Fig. 6).

A Messina, ci sono due rappresentazioni di Santiago matamoros: 1) nella chiesa della Santissima Annunziata dei padri Teatini, nella cappella dedicata all’Apostolo, tra gli affreschi di Giovanni Battista Quagliata, del 1756, uno raffigura Santiago matamoros; 2) nel duomo, sulla nona campata si erge la statua di San Giacomo Maggiore scolpita da Enrico Tadolini: alla base della statua si distinguono tre formelle che raffigurano il matamoros (1a a sx), il martirio (centrale) e la traslazione del corpo in Galizia  (3a a dx) (Fig. 7)13.

A Mazara del Vallo, nella cattedrale del Santissimo Salvatore, un altorilievo sul portale principale raffigura il Gran Conte trionfante Ruggero I d’Altavilla e Giovanni I Grifeo che ne protegge le spalle e guida il resto della truppa (Fig. 8). L’opera risale al 158414. L’altorilievo dunque non rappresenta San Giacomo, ma Ruggero il Normanno che abbatte un saraceno. Se Ruggero il Normanno, nel 1075, conquistò la città ai saraceni, sembra comunque che la scultura sia un omaggio alla vittoria di Lepanto contro i Turchi nel 1571. L’originalità consiste nel fatto che il liberatore non é qui il San Giacomo venuto dal cielo, ma il vincitore arrivato dalla Normandia, costruttore della cattedrale al posto della moschea e benefattore di tutta la diocesi. Dal 1570 al 1588 il vescovo del posto, Bernardo Gasch, fu uno spagnolo originario di Toledo, nominato dal re Filippo II di Spagna. Nulla di stupefacente quindi che il tema scelto sia questo. Bisogna aggiungere che questo rilievo non terminato non é al suo posto iniziale, ma che fu messo lì in epoca barocca.

A Partanna, nel castello Grifeo, accedendo al salone dei ricevimenti dello stesso (Sala del Trono o Salone delle Armi) si ammira un affresco parietale, unico superstite dei quattro che adornavano l’ambiente, che raffigura l’uccisione dell’arabo Mokarta ad opera di Giovanni I Grifeo, intervenuto per salvare la vita al Gran Conte Ruggero durante la liberazione della Sicilia dagli arabi da parte dei normanni (Fig. 9). Fu a seguito di questa battaglia che i Grifeo ricevettero da Ruggero II nell’aprile del 1139 il casale di Partanna. Nell’affresco si vede l’arabo disteso per terra con indosso il tipico turbante mentre viene colpito da Giovanni Grifeo I, che campeggia al centro dell’affresco, al seguito del quale ci sono due cavalieri di cui uno regge lo scudo dei Grifeo (dove è iscritto il privilegio del 1139 con cui re Ruggero II concedeva a Giovanni Grifeo il feudo di Partanna); la scena si svolge a Mazara del Vallo fortezza araba dell’epoca: la città è rappresentata sullo sfondo del dipinto in cui si riconosce la cattedrale che ancora oggi mostra in un alto rilievo presente sul portale principale la stessa scena della pittura parietale del castello Grifeo15.

A Trapani, nel Museo regionale Agostino Pepoli, si può ammirare un pendente con la croce dell’Ordine di San Giacomo della Spada sopra uno zaffiro, già facente parte del tesoro della Madonna di Trapani del santuario dell’Annunziata. L’opera di orafo siciliano, che si ispira a modelli spagnoli, diffusi in tutta l’area mediterranea, ha come termine ante quem per la realizzazione il 1647, anno in cui è citata nell’inventario redatto dai padri carmelitani. L’opera reca nel verso la figura di Santiago matamoros, con la spada sguainata su cavallo in corsa ornato con smalti neri. Emanuele Cariglio era capitano di giustizia a Palermo negli anni 1616-1617, periodo in cui dovette donare il monile alla Madonna di Trapani16.

A Modica alta, nella chiesa di San Giovanni Evangelista, vicino alla porta d’ingresso, è rappresentata la Madonna delle Milizie. Madonna delle Milizie è uno degli appellativi con cui la chiesa cattolica venera Maria, madre di Gesù. È venerata dai fedeli cattolici di Scicli come protettrice della cittadina. Secondo la tradizione cattolica, nel 1091, nella piana di Donnalucata nei pressi di Scicli stavano per sbarcare i saraceni nell’Isola Bella, allora di dominazione normanna con a capo Ruggero D’Altavilla. I saraceni capitanati dall’emiro Belcane, volevano riscattare i tributi sull’isola, facendola così diventare regione di loro appartenenza. Appena sopraggiunti sulle coste di Donnalucata, gli sciclitani e i normanni, popoli divinamente cattolici, invocarono l’aiuto della Vergine, che apparve su un cavallo bianco in veste di gloriosa guerriera, sconfiggendo così i saraceni e liberando la Sicilia. La battaglia essendosi svolta in contrada Milizie, frazione di Scicli, conferisce alla Madonna tale attributo, per questo è comunemente conosciuta come la Madonna delle Milizie. La tradizione è confermata dai Codici Sciclitani. La Madonna però non appare su un cavallo bianco, ma in una nuvola splendente come il sole. I normanni partecipano alla battaglia, accanto al popolo di Scicli, ma non risulta la presenza di Ruggero D’Altavilla.

A Ragusa, nella chiesa di San Giacomo Apostolo, ci sono due rappresentazioni di Santiago matamoros: 1) nella facciata della chiesa, alla base della torre si colloca un altorilievo che dovrebbe rappresentare San Giacomo nelle vesti di matamoros con la spada sguainata, ma qui il Santo è raffigurato in un’iconografia insolita, su un cavallo che calpesta un drago di georgiana memoria (Fig. 10). 2) Interessante è il quadro raffigurante San Giacomo che combatte contro i mori, realizzato contestualmente dai due artisti Vincenzo Fazello e Ignazio Scacco nel 1682, con rifacimenti del 1708.

A Scicli, la Madonna delle Milizie è raffigurata in undici rappresentazioni. 1) A Donnalucata, sulla Marina di Scicli, nella chiesa di Santa Caterina, è presente una Madonna delle Milizie, olio su tela di pittore ignoto, di fine Seicento o inizio Settecento (Fig. 11). 2) Nella chiesa di Santa Maria del Gesù, la Madonna delle Milizie è rappresentata da un olio su tela seicentesca di pittore ignoto (Fig. 12). 3) Nella chiesa madre di Scicli, un tempo dedicata a Sant’Ignazio ed oggi a San Guglielmo, nella navata di destra e accanto alla statua della Vergine, è conservata una tela che rappresenta Santa Maria Militum, opera di Francesco Pascucci del 1780: spiccano la figura della protagonista sul cavallo rampante di fronte e sulla destra i volti terrorizzati degli sconfitti (Fig. 13). 4) Nella chiesa di Santa Maria di Valverde, conosciuta come Madonna del Carmine perché sede dell’ex monastero femminile, è conservata un’altra opera che onora la patrona di Scicli, la Madonna delle Milizie, di Costantino Carasi: la Vergine è qui rappresentata in tutto il suo splendore durante la battaglia tra normanni e saraceni (Fig. 14). 5) Nella sacrestia della chiesa di Santa Maria la Nova, la Madonna delle Milizie è rappresentata in un olio su tela del 1745 (Fig. 15). 6) Nel convento delle suore domenicane si trova sempre un olio su tela della Madonna delle Milizie (Fig. 16). 7) Nella chiesa di San Bartolomeo, nel primo altare di destra, il dipinto di Maria Militum, opera di metà Settecento che la rappresenta in tutta la sua bellezza. 8) e 9) C’è poi un’altra immagine della Madonna delle Milizie, in un dipinto non localizzato di Scicli (Fig. 17).  10) Un altro dipinto della Madonna delle Milizie appartiene ad una collezione privata del prof. Carlo Mineo (Fig. 18). 11) Infine una statua della Vergine delle Milizie, simulacro settecentesco, a tecnica mista con il cavallo scolpito in legno, mentre i saraceni che si trovano sotto gli zoccoli sono realizzati in cartapesta e la Madonna è un manichino con testa lignea coperta da una parrucca di capelli veri. La figura si trova all’interno del santuario della Madonna delle Milizie e presenta notevoli affinità stilistiche con il San Giacomo matamoros dello scultore siciliano Giuseppe Gambino (Fig. 19)17: la Vergine è sopra un cavallo bianco, armata di spada come un’amazzone (Fig. 20)18.

A Scaflani Bagni, nella chiesa di San Giacomo, Francesco Brugnone dipinge le Storie di San Giacomo nella cappella del Santo, con la raffigurazione, in uno dei pannelli laterali, del Santo matamoros, su cavallo con la spada sguainata, nell’atto di intervenire in aiuto dei cristiani nella lotta della riconquista della Spagna, opera del 161319.

  1. Il carattere guerriero di Santiago era il punto fondamentale dell’interpretazione data al suo culto da Américo Castro nel  suo famoso studio su La realidad histórica de España. L’interpretazione si fondava sostanzialmente in due punti: 1) la confusione nella tradizione tra Giacomo il Maggiore, figlio di Zebedeo e l’altro apostolo detto Giacomo il minore, grazie al quale si crea una sorta di sdoppiamento nella figura del Santo; 2) questa interpretazione permette a Castro di affermare che il carattere originario dell’aspetto marziale di Santiago e dunque il suo ruolo chiave nella guerra contro i musulmani: l’invocazione all’Apostolo diventa il grido di battaglia che le truppe cristiane possono contrapporre alla cavalleria araba che carica invocando il nome del profeta (in A. Castro, Il cristianesimo di fronte all’islam, in La Spagna nella sua realtà storica, Firenze 1970, pp. 121-180). []
  2. G. Ferracuti, Iacobus. Storie e leggende del Camino de Santiago, in “Mediterránea”, rassegna di studi interculturali, n. 25 (2015), pp. 181-182. []
  3. Nel timpano della cattedrale di Compostela, dove è rappresentata la battaglia di Clavijo, databile 1230. []
  4. In un altorilievo della chiesa di Santiago do Cacém ad Alentejo, in Portogallo, nel 1330. []
  5. G. Feracuti, Iacobus. Storie e…, 2015, pp. 184-186. []
  6. Nella prima raffigurazione nella cattedrale di Santiago sono raffigurate ai suoi piedi le donzelle che ringraziano per la liberazione. []
  7. G. Feracuti, Iacobus. Storie e…, 2015, p. 188. []
  8. G. Tamburlini, Appunti sul matamoros nell’arte italiana, in “Compostella”, rivista del Centro italiano di studi compostellani, n. 27 (gennaio-dicembre 2000), p. 51. []
  9. G. Tamburlini, Appunti sul matamoros, in “Compostella”, 2000, p. 53. []
  10. M. C. Di Natale, Santi mori e santi matamoros nell’arte in Sicilia, in “Incontri mediterranei”, n. 1-2 (2008), pp. 197-198. []
  11. E. Di Bella, Agrigento Cattedrale di San Gerlando, da www.agrigentoierieoggi.it. []
  12. Nei pannelli del basamento inferiore sono rappresentate 4 scene: 1) il miracolo dell’impiccato risuscitato e dei polli arrostiti che cantarono sul desco dell’alcade; 2) l’apparizione di San Giacomo a Carlomagno diretto verso la Spagna; 3) la conversione del mago Ermogene; 4) l’arrivo dell’Apostolo a Cartagine. Nei pannelli della piramide superiore altre 4 scene: 1) il matamoros alla battaglia di Clavijo; 2) il trasporto del corpo di San Giacomo su una barca guidata da un angelo; 3) l’arrivo a Compostella e la regina Lupa inginocchiata; 4) San Giacomo vestito da pellegrino, circondato dai confrati. M. Frasca Rustica, L’avventura del Ferculum processionale di S. Giacomo, da www.filodirettonews.it; Elio G. F. Robberto, L’Arche de Saint-Jacques le Majeur à Camaro et la propagation du culte compostellan en Sicile, Università degli studi di Perugia, Napoli 1987, pp. 46-52. []
  13. G. Arlotta, Guida alla Sicilia jacopea. 40 località legate a Santiago di Compostella, Somigliano d’Arco, 2004, pp. 109, 111. []
  14. La rappresentazione equestre di San Giacomo è coerente con la rappresentazione equestre che i re danno di sé, sostituendo l’immagine ieratica del re assiso nel trono. Si tratta di una rappresentazione che viene promossa dall’ordine cavalleresco di Santiago, istituito nel 1170 e ratificato l’anno successivo dall’arcivescovo di Compostela, poi, cinque anni dopo, da papa Alessandro III (in G. Ferracuti, Iacobus. Storie e…, 2015, p. 188). []
  15. G. Arlotta, Il matamoros nella propaganda bellica del Cinquecento e l’altorilievo di Mazara in Sicilia. Repertorio iconografico, in “Compostella”, rivista del Centro italiano di studi compostellani, n. 40 (2019), pp. 55-56. []
  16. M. C. Di Natale, Santi mori e…, in “Incontri mediterranei”, 2008, pp. 198-199. []
  17. Una bella statua in legno policromo esposta nel lato settentrionale del transetto della cattedrale di Santiago de Compostela e oggetto di un grande fervore devozionale. []
  18. C. Pugliese, La Madonna delle Milizie di Scicli e il Santiago matamoros, in “Compostella”, rivista del Centro italiano di studi compostellani, n. 30 (2009), pp. 38-39. []
  19. M. C. Di Natale, Santi mori e…, in “Incontri mediterranei”, 2008, p. 197. []