Matilde Amaturo – Valentina Filamingo – Paola Abenante

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Un estratto del comodato della Scuola Professionale femminile Margherita di Savoia al Museo Boncompagni Ludovisi

DOI: 10.7431/RIV20122019

La Scuola e il Fondo di Matilde Amaturo

Il Museo Boncompagni Ludovisi per le Arti decorative, il Costume e la Moda dei secoli XIX e XX ospita dal 2001 il comodato permanente delle opere – tele e arazzi, ricami, trine e fiori artificiali, merletti, disegni, moda, fotografie, attrezzi e documenti, libri – tutti oggetti di produzione artigianale e artistica della Scuola Professionale femminile “Margherita di Savoia” (Fig. 1). Per mettere in luce le variegate produzioni conservate nei depositi del Museo e rendere noto al pubblico il senso civile e sociale di questo Istituto, è stata allestita un’esposizione temporanea dal titolo La Scuola Professionale femminile Margherita di Savoia al Museo Boncompagni Ludovisi. L’Arte di essere donna1.

La Scuola nacque a Roma nel 1876 su impulso delle politiche scolastiche progressiste del Comune di Roma con l’obiettivo di trasformare tradizionali competenze artigianali femminili forti nell’ambiente romano in mestieri veri e propri, svolti da maestranze femminili specializzate. Ben presto, grazie all’eccellenza della formazione, venne posta sotto l’alto patronato della Regina Margherita e, attraverso gli scambi didattici e le numerose commissioni effettuate per il tramite della Regina, divenne luogo di incontro tra realtà culturali e sociali differenti. Le innovazioni didattiche si pongono in un lasso temporale caratterizzato dal passaggio da sperimentazioni artistico-artigianali, legate anche al clima culturale del Modernismo, di cui Umberto Bottazzi sarà un importante consulente artistico della scuola dal 1922 al 1932, a sperimentazioni capaci di recepire rapidamente le esigenze della nuova civiltà industriale.

La prima direttrice Amalia Prandi Ribighini, di cui si conserva un busto in bronzo, firmato dallo scultore Buttinelli (1880) ha lasciato il Diario, dal titolo I miei trentaquattro anni di organizzazione e direzione della Scuola Professionale femminile del Comune di Roma “Margherita di Savoia” con pagine appassionate della storia della sua carriera scolastica2. La Ribighini negli anni dal 1876 al 1910 stabilì contatti con istituti consimili, come il Museo Artistico Industriale, organizzò la partecipazione a mostre (Fig. 2), con solenni premiazioni delle allieve meritevoli e promosse visite ai laboratori da parte di personaggi illustri. Negli anni si interessò di procurare numerose commissioni per la Scuola da parte di Enti pubblici e privati; la retribuzione che ne derivava, oltre all’annuale premio di merito, era in parte accumulata su un libretto di risparmio a nome delle allieve che avrebbe dovuto sostenerle per l’avviamento di un’attività in proprio una volta terminata l’educazione presso la Scuola, e per un’altra parte diventava fonte di autofinanziamento della Scuola stessa.

Gli anni Venti e Trenta della Scuola furono imperniati sulla programmazione creativa della Direttrice Lucia Pagano con la collaborazione fondamentale per l’insegnamento di disegno dell’artista Umberto Bottazzi3, autore dei disegni e dei cartoni su cui poi le allieve eseguivano i loro lavori. Alcuni dei principali settori della produzione della Scuola riguardarono, sotto la guida di Bottazzi, l’ambito del progetto creativo su disegno fino alla realizzazione dei manufatti ad opera delle allieve. La scuola, accanto agli insegnamenti della lingua italiana, francese, computisteria e calligrafia, disegno geometrico ed ornamentale applicato ai lavori4, si articolava nei seguenti laboratori: ricamo in seta e oro, trine ad ago e a tombolo (Fig. 3), ricamo, cucito, maglieria a mano, a telaio e a macchina, rammendo rappezzo e restauro di tessuti antichi, fiori artificiali, sartoria, buon governo della casa e cucina, modisteria.

Attraverso i materiali conservati al museo si racconta la vita sociale dei manufatti delineando i contesti culturali, politici e produttivi in cui circolano, dalla pre-produzione alla post-produzione, tra cui: il contesto politico-sociale di Roma neo-capitale in cui si trovano incontrano liberalismo e cultura ecclesiastica, rappresentanza istituzionale e tradizione locale e popolare; il contesto scolastico e politico internazionale cui la Scuola, per il tramite della sovrana e della sua prima direttrice fa riferimento; gli ambienti proto-industriali del nord Italia, primi esempi di meccanizzazione e della produzione in serie. La tipologia dei beni spazia in vari ambiti e se ne fornisce un breve elenco al fine di circoscrivere ed evidenziare la mappa di interesse.

Categorie del fondo della Scuola Professionale femminile Margherita di Savoia presso il Museo Boncompagni Ludovisi:

– Tele e arazzi

– Ricami, trine, fiori artificiali (articolati in stoffe antiche, ricami in oro e seta, merletti, fiori)

– Disegni (disegni di moda e ricami, modelli di moda)

– Fotografie (articolato in fotografie delle alunne al lavoro, delle esposizioni della scuola, dei manufatti)

– Oggettistica (cofanetti, accessori di moda, cuscini, medaglie, busti, arredamento)

– Attrezzi (tomboli, fusi, telai, manichini)

– Documenti (diplomi, album con firme e dediche)

– Libri (tra gli argomenti principali il taglio, il cucito, il tessuto, l’ornamento, le trine, i ricami)

Pannelli decorativi, cuscini e scialli dai disegni e cartoni di Umberto Bottazzi di Valentina Filamingo

Nel comodato permanente della Scuola Professionale Femminile “Margherita di Savoia” al Museo Boncompagni Ludovisi sono conservati alcuni manufatti direttamente ispirati ai cartoni e disegni di Umberto Bottazzi (Roma, 1865-1932). Dal 1922 al 1932 l’eclettico architetto, pittore, ceramista e incisore fu consulente artistico della Scuola presso cui diresse i corsi di disegno e pittura. In quel decennio le allieve della Scuola realizzarono i loro lavori – arazzi, scialli, pannelli, merletti, cuscini – direttamente sui suoi disegni e cartoni.

Come nel pannello Le donnole (1922-1932 ca.) (Fig. 4) eseguito con una larga applicazione del riporto di stoffe diverse e nel pannellino in seta, filati metallici e taffetas Aracne (1922-1932 ca.), realizzato con le tecniche del punto filza e del punto lanciato. I due pannelli furono presentati alla Mostra postuma su Umberto Bottazzi, tenutasi dal 15 al 31 dicembre 1932 a Palazzo Doria in Roma, sede della S.A.C.A. (Società Anonima Cultori d’Arte) e organizzata da Cesare Picchiarini, maestro vetraio e amico dell’artista.

La mostra articolata in due sale5 riunì gran parte delle opere pittoriche e delle applicazioni decorative dell’artista romano, tra cui “saggi di ricami in oro e seta, a mano e a telaio, a macchina e a riporto”6 realizzati dalle allieve dei laboratori della Scuola Margherita di Savoia. Tra le 73 opere7 esposte in quell’occasione figuravano, oltre ai due citati pannelli, altri manufatti oggi presenti nel comodato del Museo: il pannello decorativo I Tulipani (1922-1932 ca.) realizzato con filati metallici e filati in seta, il pannello Lo Scoiattolo (1922-1932 ca.) (Fig. 5) che presenta “l’alternativa dei punti lunghi in seta e lana in direzioni anatomiche per offrire ai corpi l’effetto del movimento”8, il pannello Notturno (1922-1932 ca.) (Fig. 6) eseguito con la tecnica del “liston” (stoffa tramata d’oro e d’argento) e il piano per tavolo da gioco Tentacoli (1922-1932 ca.) (Fig. 7) ricamato a punto palestrina su tela di sacco che raffigura due polipi con i tentacoli semi estesi e arricciati alle estremità.

Al tema animalistico, tanto caro a Bottazzi, sono ispirate anche altre opere del comodato: il pannello Cerbiatta (1922 – 1932 ca.) (Fig. 8), ricamato a punto raso e punto lanciato con foglie applicate in seta, il cuscino Tre pesci palla (1925 ca.) (Fig. 9) in taffetas blu, filati in seta e metallici ricamato a punto raso e punto lanciato e la sua versione quasi gemella in tela ricamata con applicazioni lenci raffigurante una Girandola di pesci palla (1922-1932 ca.).

Completa la panoramica dei manufatti realizzati dalla Scuola su disegno di Umberto Bottazzi lo Scialle (Fig. 10) in seta nera e filati di seta colorata (1930 ca.) su cui spiccano il volo due fenici policrome. Gli scialli, tra i vari prodotti realizzati dalle allieve (Fig. 11), rivestirono per la Scuola Femminile una grande importanza: nel giugno 1931 la Scuola indisse infatti la Gara dello Scialle nella quale le allieve, eseguirono 50 scialli9 su disegni originali di Umberto Bottazzi e di sette insegnanti. Il complesso delle opere eseguite sui disegni dell’“animatore artistico”10 della scuola e conservate al Museo Boncompagni Ludovisi riporta “garbatamente (…) al nostro passato più prossimo”11.

I campionari di filati nella manifattura tessile della Scuola: cambiamenti economici e sociali di settore tutto al femminile di Paola Abenante

Tra i materiali del comodato permanente della Scuola Professionale Femminile “Margherita di Savoia” al Museo Boncompagni Ludovisi, un comodato principalmente costituito dai manufatti delle allieve, si distingue una collezione di oggetti che appartengono alla pre-produzione: i campionari di filati e bottoni di cui la Scuola si approvvigionava presso le nascenti industrie italiane e che le allieve utilizzavano durante le attività laboratoriali per la realizzazione dei lavori di sartoria, maglieria, trine e ricami.

La presenza di questi campionari restituisce il ruolo della Scuola all’interno del più ampio tessuto economico, sociale e politico dell’Italia postunitaria e di una Roma appena annessa al paese.

Alla fine dell’Ottocento Roma era dotata di una forte tradizione di bottega spesso con competenze altamente specializzate e che l’Amministrazione comunale romana intendeva sostenere tramite le proprie politiche educative progressiste e l’investimento nelle scuole professionali, con l’obbiettivo di avviare delle maestranze di artigiani locali. Si voleva così dare impulso alla piccola impresa del territorio della capitale, rendendola complementare al nascente mercato dei prodotti industriali12. In una Scuola come il “Margherita di Savoia”, dedicata all’apprendimento e al perfezionamento dell’artigianato tessile, l’utilizzo di filati industriali testimonia della missione di costruire un “nuovo concetto di lavoro come opera d’arte”13: il lavoro artigianale di trine, ricami e sartoria era valorizzato alla luce dei progressi industriali ed economici del paese, mettendo le artigiane nelle condizioni di poter lavorare con gli strumenti e i prodotti più innovativi e tecnologici.

La varietà dei campionari (Fig. 12) – filati più pregiati, quali la seta naturale e l’ovatta di cotone, e filati più resistenti ed economici quali la seta artificiale, la juta e i bottoni di corozo – suggerisce la diversità dei manufatti prodotti dalla Scuola per rispondere alle esigenze di un mercato in evoluzione: dai più sofisticati ed elitari, spesso effettuati su commissione della sovrana Regina Margherita di Savoia patronessa della Scuola o degli altri membri del patronato, a prodotti più commerciali, utili per formare al mestiere le giovani donne romane. Grazie alle commissioni la Scuola produceva manufatti per nobildonne italiane e straniere, oltre che per la Chiesa stessa, facendo da anello di congiunzione fra Italia liberale e Stato Pontificio. Allo stesso tempo le allieve producevano campionari di trine e ricami, oltre che calze e calzini e indumenti di sartoria, per il commercio locale, testimoniato dalla presenza di annotazioni di prezzi su alcuni oggetti del fondo14.

La possibilità di produrre manufatti con filati di costi e qualità differenti contribuì anche a diversificare e ampliare il mercato della moda, agendo sulle dinamiche interne alle classi sociali. La comparsa della seta artificiale, fra gli altri prodotti più commerciali, brevettata e presentata all’Esposizione Internazionale di Parigi nel 1885, cambiò rapidamente le abitudini di consumo: grazie alla sua maggiore resistenza la seta artificiale fu subito utilizzata per produrre ricami, frange, merletti e altri ornamenti di abiti, rendendo da una parte il lavoro didattico più agevole, meno costoso e più efficace, dall’altra rendendo gli indumenti più accessibili economicamente. La doppia rivoluzione, industriale e di classe, dovuta alla comparsa delle calze in seta artificiale suggerisce poi come i filati industriali modificarono, democratizzandolo, anche il gusto per la moda: nel corso di un decennio una moda elitaria vestì le comuni gambe delle casalinghe.

Allo stesso tempo i campionari raccontano un cambiamento economico e sociale più ampio che investiva l’Italia intera: sono prodotti provenienti da cotonifici, lanifici, serifici, bottonifici del Nord che, su impulso dell’introduzione dell’energia elettrica e di filatoi e telai meccanici alle soglie del Novecento, si svincolavano dalla dipendenza dai corsi d’acqua e passavano da una produzione manifatturiera proto-industriale, spesso familiare e domestica, a una produzione seriale.  Ciascun oggetto era, infatti, inserito in un tessuto di relazioni di produzione, locale e nazionale, che evolveva velocemente al passaggio del secolo e che di conseguenza modificava radicalmente anche condizioni di genere e di classe all’interno di un settore produttivo connotato al femminile, quello del tessile.

Nel mondo contadino dell’Ancien Régime la manifattura tessile era competenza antica della donna che, nel Settecento e Ottocento conciliava il ruolo di massaia, contadina e operaia. Fra le attività più diffuse vi erano: la filatura della lana, del lino e della canapa, l’allevamento del baco da seta, la lavorazione della seta grezza, la coltivazione della canapa, la preparazione della fibra. Madri di famiglia e giovani svolgevano tali attività per lo più all’interno delle mura domestiche o nelle filande e negli opifici delle campagne circostanti, conciliandole con il lavoro casalingo e familiare, per ottenere un salario alternativo a quello del padre di famiglia. Il matrimonio non ostacolava affatto questo lavoro ma lo incoraggiava, nella prospettiva maschile di divisione delle spese domestiche: “Donna al telaio, marito senza guaio” recita un proverbio diffuso nelle campagne ancora agli inizi del Novecento.

L’industrializzazione ebbe un doppio effetto di aggravio sulla condizione lavorativa femminile. La meccanizzazione dei processi produttivi ottenne il risultato di intensificare l’orario lavorativo e di rendere sempre più complicato conciliare il lavoro salariato con quello domestico. La centralizzazione del lavoro in fabbrica contribuì a impoverire le zone rurali, facendo venir meno il lavoro a domicilio e favorendo in tal modo l’impiego di donne e bambini a basso costo15.

I campionari del comodato sono testimoni dunque di una storia ambivalente che tocca il lavoro, soprattutto femminile, tra fine Ottocento e inizi Novecento: strumenti di innovazione ed emancipazione lavorativa da una parte, sono anche il prodotto di un cambiamento faticoso e travagliato del lavoro femminile nel settore del tessile.

I filati per maglieria e l’industria laniera: da Biella ‘Manchester Italiana’ a Borgosesia

Il Biellese in particolare meritò l’appellativo di Manchester Italiana. Sede di lavorazione della lana sin dal Seicento per via di un territorio poco incline all’agricoltura e più incline all’allevamento ovino, il Biellese si industrializzò a fine Ottocento, grazie alla famiglia Sella, pioniera della meccanizzazione16. Progressivamente il campo si aprì a nuove imprese familiari che, soppiantando l’aristocrazia laniera, diventarono fabbriche di rilievo internazionale.

Nel Biellese l’industrializzazione del settore laniero tracciò una storia di genere ancora più conflittuale rispetto alle altre campagne italiane. In queste valli la lavorazione della lana era occupazione di uomini oltre che di donne, i primi dedicati ai lavori più onerosi di tessitura e le seconde ai lavori complementari di filatura (arcolaio), individuazione dei filati e rammendo. L’introduzione dei telai meccanici rese superflua la forza fisica maschile e le fabbriche cominciarono a impiegare principalmente donne, modificando sensibilmente l’equilibrio di genere nel mercato del lavoro.

I rocchetti di filati per maglieria presenti nel comodato della Scuola provengono dalla Società Anonima Manifattura Lane Borgosesia che fu la prima ditta a carattere familiare a trasformarsi in Società Anonima.  A testimonianza dell’alta qualità dei prodotti, la Società vinse la medaglia d’argento per filati per aguglieria e da ricamo all’Esposizione Universale di Parigi del 1900.

Industria Serica e i campionari di sete grezze e artificiali

In Lombardia la coltivazione del gelso e l’allevamento del baco da seta occupavano sin dalla metà del Seicento il 60% delle famiglie contadine. Nel XX secolo l’industria della seta di Como intraprese una rapida meccanizzazione della produzione e, con l’adozione dell’energia elettrica, le fabbriche furono trasferite nelle pianure e nelle aree urbane, dove si formò una classe operaia che iniziò a prendere coscienza di sé attraverso scioperi e proteste. Contemporaneamente le seterie di Como passarono a produrre nuove varietà di seta, riuscendo a creare tessuti tinti in pezza che permisero loro di entrare nel mercato dell’alta moda. Negli anni Venti del Novecento si diffuse inoltre la seta artificiale, il rayon, che aprì il mercato dei prodotti in seta alla massa grazie ai prezzi più contenuti17.

Tra i campionari del comodato si conservano sia sete naturali sia artificiali – campionario Luminosa dell’Industria sete cucirine (Fig. 13) – che ci testimoniano la doppia anima dell’Istituto, da una parte volto a soddisfare commissioni reali e il mercato della nobiltà italiana e, dall’altra, una clientela medio borghese e un mercato cittadino cui le allieve erano destinate nel lavoro quotidiano.

Campionari e industrie dei Bottoni

Il campionario dei bottoni presenta bottoni in semi di corozo che si impongono sul mercato italiano negli anni Trenta dell’Ottocento. I semi di corozo, semi di palme tropicali provenienti dall’America Latina, erano chiamati anche ‘avorio vegetale’. Permetteva grazie alla sua durezza, qualità cromatica ed estetica di produrre bottoni con un miglior rapporto qualità prezzo rispetto ai preziosi bottoni in avorio o passamaneria, e rispetto ai più comuni bottoni in legno o metallo allora prevalenti sul mercato europeo. Il seme di corozo trasformò il bottone in oggetto di lavorazione seriale consentendo di avviare i primi bottonifici industriali in Italia tra il 1860 e il 1870, soprattutto nel bergamasco e nel bresciano18. Abbassando i costi di produzione ma mantenendo la qualità del prodotto, il nuovo bottone contribuì a rendere la moda accessibile alle classi meno agiate.

Canapifici, Linifici cotonifici e Jutifici: i campionari dei filati di fibre vegetali

Sino alla metà dell’Ottocento l’Italia era il secondo produttore mondiale di canapa dopo la Russia e detenne il primato fino all’arrivo di tessuti più economici come la juta, tessuto vegetale ottenuto da una pianta indiana simile alla canapa, e poi dei tessuti artificiali agli inizi del Novecento. Fra i campionari si conservano le matassine di canapa del Linificio e Canapificio Nazionale S.p.A. che nacque nel 1873 nel bergamasco per volontà di Andrea Ponti. Considerata una delle più antiche aziende europee e simbolo dell’eccellenza del Belpaese nella produzione di canapa e lino, le sue prime attività si concentravano sulla filatura a bagno e su quella a secco. Nel 1879 Il Linificio era la terza società italiana quotata alla Borsa di Milano e tra il 1920 e il 1960 diventò un colosso nazionale e si affacciò al mercato internazionale. Oltre alla canapa, all’interno del comodato troviamo dei campioni di tessuti in juta prodotti dal più modesto stabilimento di Pietro Majoni, a Verbania, in Piemonte. Lo stabilimento Majoni fu fra gli stabilimenti che sostituirono la lavorazione della canapa con la lavorazione della juta, prodotto d’importazione che garantiva maggiore convenienza.

Anche l’industria cotoniera lavorava con materia prima in larga parte d’importazione, proveniente principalmente da Stati Uniti, Egitto, sub-continente Indiano ed Eritrea. Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, l’industria cotoniera moltiplicò la propria produzione in maniera esponenziale al punto che negli anni Venti del Novecento la quantità di cotone greggio lavorata in Italia ammontava a un terzo del totale mondiale.

Tra i materiali del comodato particolare rilievo hanno i campionari di ovatta di cotone (Fig. 14) dell’Ovattificio di Delfino e del figlio Zaverio Bracco e della ditta A. Bracco & C. Filatura Pettinata S.a.s. di Cossato. Quella dell’ovatta di cotone è una lavorazione particolare che non trovava analogie nel panorama industriale biellese del XX secolo.

Il campionario di manufatti di coperte in cotone proviene invece dall’azienda Frette, che si stabilì negli anni 1860 a Milano e Monza e aprì il suo primo negozio a Milano nel 1878 in via Manzoni. Fornitore della casa reale dal 1880, nel 1881 vinse la prima medaglia d’oro all’Esposizione Nazionale di Milano con ‘La Vega’, un quadro in lino jacquard sulla base del dipinto di Francesco Lietti.

Questa breve rassegna di campionari di filati industriali suggerisce le potenzialità del fondo Margherita di Savoia di raccontare, attraverso la storia di donne e del loro lavoro quotidiano, i mutamenti culturali sociali ed economici al passaggio del secolo.

  1. La mostra è aperta presso il Museo dal 1 dicembre 2019 all’8 marzo 2020. []
  2. Cfr. A. Prandi Ribighini, I miei trentaquattro anni di organizzazione e direzione della Scuola Professionale femminile del Comune di Roma “Margherita di Savoia”, Roma 1919. []
  3. La figura di Umberto Bottazzi è stato oggetto di attenzione da parte del Museo Boncompagni Ludovisi già nel 2007 nell’ambito della mostra Il Modernismo a Roma 1900-1915 tra le riviste ‹‹Novissima e ‹‹La Casa›› (Roma, Museo Boncompagni Ludovisi 11 dicembre 2007-10 febbraio 2008). Cfr. Il Modernismo a Roma 1900-1915 tra le riviste ‹‹Novissima e ‹‹La Casa››, catalogo della mostra a cura di Archivi delle Arti Applicate Italiane del XX secolo, Roma 2007. []
  4. Cfr. A. Prandi Ribighini, I miei trentaquattro anni…, 1919, p. 14. []
  5. Cfr. “Mostra postuma delle pitture di Umberto Bottazzi”, catalogo della mostra (Roma, Palazzo Doria, 15-31 dicembre 1932), Roma, SACA, 1932. L’articolo è consultabile presso gli Archivi delle arti applicate italiane del XX secolo (Roma). Fondo: Archivio delle arti applicate italiane del XX secolo, sezione Ceramica Romana, “Bottazzi Umberto”. []
  6. Cfr. “Il Messaggero”, 22 dicembre 1932, “Note d’arte”. L’articolo è consultabile presso gli Archivi delle arti applicate italiane del XX secolo (Roma). Fondo: Archivio delle arti applicate italiane del XX secolo, sezione Ceramica Romana, “Bottazzi Umberto”. []
  7. Cfr. “Mostra postuma delle pitture di Umberto Bottazzi”, catalogo della mostra (Roma, Palazzo Doria, 15-31 dicembre 1932), Roma, SACA, 1932. L’articolo è consultabile presso gli Archivi delle arti applicate italiane del XX secolo (Roma). Fondo: Archivio delle arti applicate italiane del XX secolo, sezione Ceramica Romana, “Bottazzi Umberto”. []
  8. Cfr. “Il Messaggero”, 22 dicembre 1932, “Note d’arte”. L’articolo è consultabile presso gli Archivi delle arti applicate italiane del XX secolo (Roma). Fondo: Archivio delle arti applicate italiane del XX secolo, sezione Ceramica Romana, “Bottazzi Umberto”. []
  9. Cfr. P. Cintoli e M. V. De Matteis, Artigianato e arti applicate alle piccole industrie. La Scuola Professionale Femminile “Margherita di Savoia” di Roma, in Il Modernismo a Roma…, 2007, p. 98. []
  10. Cfr. “La Tribuna”, 24 dicembre 1932, “Pitture di Umberto Bottazzi a Palazzo Doria”. L’articolo è consultabile presso gli Archivi delle arti applicate italiane del XX secolo (Roma). Fondo: Archivio delle arti applicate italiane del XX secolo, sezione Ceramica Romana, “Bottazzi Umberto”. []
  11. Ibidem. []
  12. L.Francescangeli, L’arte applicata all’industria: l’istruzione operaia e la Scuola Professionale “Margherita di Savoia”. Fonti documentarie nell’Archivio Storico Capitolino in I primi quarant’anni del Novecento: un viaggio attraverso arte, architettura, letteratura, e scienza, tecnica, a cura di L. Di Ruscio e L. Francescangeli, Roma, Publiprint, 2003, pp.57.74. []
  13. Il Comune di Roma per l’Istruzione media e professionale. 1871 – 1824. Roma Tip. L. Cecchini, 1924, p. 3. []
  14. Alcuni esempi tra le commissioni più prestigiose sono il corredino ricamato per la nascita della principessa Iolanda Margherita di Savoia, commissionato dal Comune stesso nel 1901, comprendente copertina, un cuscino e delle cortine tutti ricamati in seta, da dare in dono ai reali di Savoia; Il cofanetto illustrato è stato realizzato su commissione per le nozze d’argento di Umberto I e Margherita di Savoia (22 aprile 1893) ricamato in oro; le stole e manipoli sacerdotali e le pianete ricamate in oro su commissione ecclesiastica; il cuscino ricamato per la principessa Yasu del Giappone portata in dono nel 1910 all’imperatrice del Giappone, che ci racconta una storia di connessioni internazionali. []
  15. Sul lavoro femminile e le condizioni lavorative dall’unità d’Italia alla prima guerra mondiale si veda ad esempio R. Ropa e C. Venturoli, Donne e lavoro, Un’identità difficile, Istituto per i beni artistici culturali e naturali della regione Emilia Romagna, Soprintendenza per i beni librari e documentari, Emilia Romagna Biblioteche e Archivi n. 70, 2010. []
  16. R. Allio, Distretto Laniero del Biellese, Centro online storia e cultura dell’industria: il Nord Ovest dal 1850, 2010. []
  17. F. Battistini, L’industria della seta in Italia in Età moderna, il Mulino, Bologna, 2003. []
  18. B. Bettoni, Da gioielli ad accessori della moda. Tradizione e innovazione nella manifattura del bottone in Italia dal tardo Medioevo a oggi, Marsilio Editori Spa, Venezia, 2014. []