Enrico Colle

e.colle@museostibbert.it

Aggiunte al catalogo delle opere di Giovan Battista Gatti

DOI: 10.7431/RIV20102019

Il ritrovamento di una scrivania impiallacciata di ebano e riccamente intarsiata in avorio dall’ebanista di origine faentina Giovan Battista Gatti (Figg.  123456), recentemente apparsa sul mercato dell’antiquariato1, ha consentito di raccogliere ulteriori informazioni circa le opere prodotte da questo importante artigiano che, formatosi  alla scuola dei rinomati intarsiatori fiorentini attivi verso la metà dell’Ottocento, svolse gran parte della sua attività a Roma, godendo di larga fama sia presso l’aristocrazia capitolina, sia nella cerchia di quei colti viaggiatori stranieri che, dopo aver visitato i principali monumenti  dell’Urbe, non disdegnavano fermarsi ad ammirare e, spesso, comperare i suoi prodotti.

È il caso della citata scrivania che rientra tra gli acquisti fatti dal ricco industriale inglese William Gilstrap per la sua residenza in Inghilterra e la cui particolare foggia dei supporti a forma di volute affrontate ricorda quella di un altro mobile analogo realizzato nel 1855 per un facoltoso magnate americano, Mr. Wright Post, utilizzando anche tarsie in legni colorati come avevano iniziato a fare i fratelli Falcini, famosi ebanisti fiorentini, presso i quali Gatti fece il proprio apprendistato2. A questo proposito si potrebbe supporre che la forma di entrambi i supporti delle due scrivanie possa essere stata derivata dal Gatti da alcuni progetti per arredi eseguiti secondo la moda tardo neoclassica, non esente da richiami neocinquecenteschi, allora ancora in auge a Roma, dall’architetto marchigiano Giovan Battista Carducci (1806 – 1878). Infatti nella capitale, e più in generale nello Stato Pontificio, durante la seconda metà dell’Ottocento, agli ornati di matrice neoclassica si affiancò, come nel caso del mobile qui esaminato, una originale rivisitazione delle grottesche cinquecentesche, secondo un gusto che, nel territorio marchigiano, sarà seguito appunto dall’architetto Carducci e dal pittore Giovanni Nunzi, il quale, a partire dal 1860, svolse gran parte della sua attività artistica nell’Urbe3.

Anche Giovan Battista Gatti, dopo aver lavorato a Faenza, sua città natale, poco dopo il 1843 fu chiamato a Roma dal cardinale Luigi Amat, suo concittadino, che gli concesse di aprire una bottega d’ebanisteria nel palazzo che fu dei Riario, allora sede della direzione della Cancelleria di Stato, divenendo così ben presto famoso sia presso la committenza cittadina che tra i facoltosi viaggiatori stranieri di passaggio nella città.

Tra questi si può annoverare William Gilstrap4, le cui iniziali “G.W” furono incise su uno dei cartigli sorretti da putti del piano del nostro scrittoio, che nacque nella locanda di famiglia a Kirkgate, in Inghilterra, il 20 dicembre 1816. Figlio di Joseph Gilstrap, di cui continuò l’attività nel settore del commercio del malto a North Gate (Newark), William portò l’azienda di famiglia, grazie anche alla realizzazione della nuova rete ferroviaria inglese, ad un livello di grande importanza. Per fare ciò egli si costituì in società con due abili imprenditori, Thomas Earp e John MacRae, dei quali, il secondo entrò a far parte della famiglia Gilstrap sposando la nipote Isabella. I due soci seguirono in prima persona l’andamento dell’azienda e ciò consentì a William Gilstrap di risiedere nella tenuta di Fornham Park e di viaggiare all’estero, senza per questo trascurare di sorvegliare l’andamento degli affari.

Nel 1855 egli affittò la residenza di Winthorpe House nell’omonimo villaggio, per poi trasferirsi, sette anni più tardi nel 1862, nella più grande dimora di Fornham Park, posta all’interno della vasta tenuta di caccia vicino a Bury St. Edmunds, nel Suffolk, ed acquistata da Lord Manners. Winthorpe House fu invece abitata dalla famiglia del fratello minore George (1822 -1864).

Nel 1872 Gilstrap ingrandì la scuola costruita dal duca di Norfolk nel 1836 nei pressi di Fornham Park, mentre nel giugno 1883 inaugurò la Newark la Gilstrap Free Library, un suo dono alla città natale, che ancora oggi continua la sua funzione sociale. William  Gilstrap, dal 1866 a capo della contea di Suffolk, fu creato baronetto dalla Regina Vittoria nel 1887 per i suoi meriti filantropici ed è probabile che proprio in quell’occasione, o poco dopo, egli si fece realizzare da Giovan Battista Gatti il pannello (ora conservato nel Nelson – Atkins Museum di Kansas City, Missuri) con intagliati, al centro di elaborati girali di foglie d’acanto, il suo profilo affrontato a quello della moglie Elizabeth (figlia di Thomas Haigh) entrambi contraddistinti dallo stemma raffigurante una mano che tiene un tribolo (sorta di mazza, in inglese caltrop, da cui deriverebbe il nome Gilstrap) sormontato da un cimiero  e con il motto “Candide secure” (Fig. 7).

La conoscenza e l’apprezzamento da parte di Gilstrap delle opere di Gatti doveva però risalire a diversi anni prima e più precisamente al 1878 quando commissionò all’intarsiatore il tavolo qui esaminato per collocarlo tra le raccolte d’arte della residenza di Fornham Park. All’estero, soprattutto in Inghilterra, le opere dell’ebanista romano erano assai diffuse se il duca di Hamilton e la stessa Regina Vittoria ne possedevano degli esemplari. A Osborne House, nell’isola di Wright, la sovrana infatti aveva un suo tavolo realizzato per festeggiare l’anniversario delle sue nozze; mentre il Victoria and Albert Museum esibiva una cornice presentata da Gatti all’Esposizione Universale di Parigi del 1878 insieme ad uno stipo decorato a grottesche e vedute di Roma5. Tra le famiglie reali europee interessate alle prodigiose realizzazioni dell’ebanista bisogna menzionare anche quella di Danimarca che tra le sue collezioni annovera una cornice in ebano avorio e pietre dure conservata nel castello di Frederiksborg a Hillerod (Fig. 8).

I suoi arredi destarono l’ammirazione dei contemporanei, ricevendo spesso lodi incondizionate, come quelle decretate dal maggior storico delle arti decorative italiane, il conte Demetrio Carlo Finocchietti che ebbe a scrivere quanto i lavori usciti dalla bottega di Gatti fossero superiori alla produzione corrente “per correttezza e venustà di disegno, per buon gusto e raffinatezza di esecuzione”.  I suoi piani di tavoli, gli stipi e i cofani di diverse grandezze, continuava il critico, erano “gioielli d’arte” e rappresentavano a pieno titolo “quello che di più superlativamente bello” era stato fatto fino ad allora nel settore della “lignotarsia”. Nessuno infatti era “arrivato a trattare con tanto sottile magistero l’ebano e l’avorio quanto il Gatti”, il quale riprodusse “lo stile delle belle epoche con una precisione singolare, aggiungendo a questo pregio quello della ebanisteria, giacché i suoi mobili”, anche sotto questo aspetto, apparivano “commendevolissimi, e la costruzione dei loro scheletri, le commettiture e le ugnature dei loro quartiboni nulla lasciavano a desiderare”6.

Abbandonata la tecnica fiorentina, e poi umbra, della tarsia in legni policromi egli infatti si specializzò negli intarsi di avorio graffito, talvolta impreziositi con inserti di madreperla o pietre dure su fondi di ebano, inserendo spesso nelle sue opere, come nel nostro caso, medaglioni raffiguranti i ritratti di uomini illustri, composizioni allegoriche e piccole vedute capitoline racchiuse entro esuberanti ornati a grottesche meritandosi la fama del più rinomato intarsiatore romano.

Alla luce di quanto esposto, e in virtù anche della recente scoperta dello scrittoio qui esaminato, si possono attribuire con certezza altri lavori usciti dal fiorente opificio di Gatti, come ad esempio il tavolo battuto all’asta Sotheby’s di Londra dell’aprile 1998 (Figg.  910), forse proprio quello menzionato nelle collezioni del duca di Hamilton, che presenta, oltre ai consueti medaglioni con vedute romane, profili di uomini illustri e putti entro racemi di foglie d’acanto molto simili a quelli intarsiati sul nostro mobile7.  Analoghe decorazioni a grottesche e piccoli riquadri d’avorio con incise scenette con putti si trovano pure inseriti in due stipi di ebano recentemente comparsi nel mercato dell’antiquariato: uno riccamente intarsiato con grottesche d’avorio recante al suo interno la firma di Gatti (Figg. 1112), mentre l’altro risulta impreziosito con inserti di malachite e lapislazzuli (Figg. 131415) e il cui stemma posto in alto al centro di un ricco fastigio intarsiato porta il motto “Memor et Fidelis” riferibile alla famiglia Brewer8. Pietre semipreziose decorano inoltre una sfarzosa cornice (Fig. 16) con al centro un cammeo raffigurante un profilo muliebre9; mentre all’Esposizione Universale di Vienna del 1873 Gatti presentò un cofanetto (Fig. 17) recensito con lode e illustrato nel giornale dell’Esposizione. Scrisse infatti l’anonimo recensore dell’opera che essa era “adorna di graziosi lavori in avorio e incrostata di tante pietrine di lapislazzuli” e che la sua semplice forma faceva risaltare gli ornati in “un tutto armonico che accarezza dolcemente l’occhio”10.

Un altro lavoro riconducibile alla bottega di Gatti, proprio in virtù di quella originale rivisitazione degli stili storici e della correttezza del disegno degli ornati rilevata da Finocchietti, può essere il monumentale mobile a due corpi formato da una parte bassa ad uso di scrivania su cui poggia una vetrina con scaffalature per i libri (Fig. 18). Anche qui i motivi a grottesca in avorio, sapientemente disposti sulle superfici del mobile, includono medaglioni con ritratti virili stilisticamente riconducibili alla mano del Gatti11.

Altri due arredi usciti dal suo atelier sono passati di recente sul mercato delle aste europee: si tratta di due già citati stipi in ebano dei quali il primo (figg. 15 – 16), dall’originale forma allungata, presenta inserite, all’interno della consueta decorazione neocinquecentesca in avorio, delle placchette raffiguranti  rispettivamente una veduta del Pantheon  e del Tempio di Vesta seguite da un ritratto di Raffaello posto all’interno del piano ribaltabile12; mentre il secondo (fig.  17), che reca un’etichetta  con la scritta “Cav. Gio. Battista Gatti / INTARSIATORE / in Avorio, Ebano, Pietre dure, etc. / Via Sistina N. 47” (fig. 18), si presenta come una abile copia degli stipi  in pietre dure eseguiti a Roma a partire dalla fine del XVI secolo e, allo stesso tempo documenta come all’interno del laboratorio di Gatti, nel frattempo trasferito da Palazzo Riario in via Sistina,  si lavorassero anche  studioli completamente decorati  con pietre colorate sul genere di quelli che, nella seconda metà dell’Ottocento, realizzavano gli ebanisti lombardi13.

Gli arredi di Gatti, che lentamente riemergono da quasi un secolo di oblio, risultano dunque una ulteriore conferma di quanto riportato dalla critica ottocentesca, sempre concorde a lodare le opere dell’intarsiatore come virtuosistici lavori di tarsia dove la preziosità dei materiali impiegati andava di pari passo con i colti richiami alla mitologia e alla storia.

  1. La scrivania (che misura 100 x 65 x 87) risulta interamente impiallacciata in ebano e reca al centro del piano, riccamente decorato con intarsi in avorio raffiguranti girali di foglie d’acanto e putti disposti entro una raggiera, a sua volta inserita tra riquadrature geometriche, un ovale, parimenti d’avorio, con inciso una scenetta bacchica con putti danzanti; al centro di ogni lato del piano vi sono quattro medaglioni con pirografati i ritratti di Michelangelo Buonarroti, Galileo Galilei, Raffaello Sanzio e Benvenuto Cellini, mentre agli angoli del piano sono stati inclusi quattro tondi raffiguranti altrettanti putti con le allegorie dell’Architettura, dell’Astronomia, della Pittura e della Scultura. Sempre lungo il bordo del piano, al centro di due racemi di foglie d’acanto, due putti recano in mano i cartigli con la firma dell’autore “G. B. GATTI ROMA” e le lettere “G.W”. Sotto il piano vi è un cassetto che aprendosi si trasforma in scrittoio; qui è stata incisa, sempre sull’avorio, la data “1878”. Il mobile poggia su quattro gambe a forma di volute, anch’esse impreziosite da intarsi in avorio a motivo di piccoli festoni, raccordate in basso da una traversa. []
  2. Il mobile è pubblicato in E. Colle, Il mobile dell’Ottocento in Italia. Arredi e decorazioni d’interni dal 1815 al 1900, Milano 2007, pp. 74 – 75, n. 13. Su Gatti, la cui riscoperta critica va assegnata a R. Valeriani, Un Tavolo di Giovanni Battista Gatti, in Arte all’incanto. Mercato e prezzi dell’arte e dell’antiquariato alle aste. Finarte 1991/92, Milano 1992, pp. 352 – 357 si veda la biografia (con la relativa bibliografia) redatta da F. Trerè, in E. Colle, Il mobile dell’Ottocento in Italia …, 2007, pp. 443-444. []
  3. Cfr. E. Colle, Il mobile dell’Ottocento in Italia … 2007, p. 25. []
  4. Per quanto riguarda William Glistrap (1816 – 1896) si veda C. Clark, The British Malting Industry Since 1830, London 1998, pp. 95 – 96; B. Burke, A Genealogical and Heraldic History of the Landed Gentry of Great Britain and Ireland, London 1898, p. 506; J. Campbell, Secret Newark, London 2015; www.winthorpe.org.uk. []
  5. Entrambi gli arredi sono stati illustrati in D. Alcouffe- M. Bascou- A. Dion-Tenenbaum- P. Thiébaut, 1851 – 1900. Le arti decorative alle grandi esposizioni universali, Milano 1988, pp. 233 – 234, nn. 335 – 336. []
  6. Cfr. D. C. Finocchietti, Della scultura e tarsia in legno dagli antichi tempi ad oggi, Firenze 1873, pp. 247 – 248. []
  7. Cfr. il catalogo dell’asta Sotheby’s di Londra dell’aprile 1998, lotto 301. Si noti come sotto al riquadro centrale con il Trionfo di Galatea, sia stata inserita una testina di gatto spesso utilizzata dall’intarsiatore per firmare le sue opere. []
  8. Il primo stipo risultava di proprietà della galleria antiquaria londinese Butchoff; mentre il secondo è stato pubblicato nel catalogo dell’Asta Christie’s di Londra il 22 settembre 2011, lotto 230. Altri mobili con analoghe decorazioni sono pubblicati in E. Colle, Il mobile dell’Ottocento in Italia…, 2007, pp. 392 – 395. []
  9. Cfr. Asta Sotheby’s, Melbourne, 28 ottobre 2008, lotto 625. []
  10. Cfr. L’Esposizione Universale di Vienna del 1873 Illustrata, Milano 1873, p. 368 e E. Colle, Il mobile dell’Ottocento in Italia…, 2007, p. 394. []
  11. Il mobile fu battuto all’Asta Bonhams, New Bond Street, Londra 5 dicembre 2012, lotto 75, con la possibile attribuzione a Gatti. Nella scheda di catalogo i ritratti sono stati identificati nelle figure di Galileo, Ariosto e Michelangelo, mentre sul piano dello scrittoio vi è quello di Cristoforo Colombo. []
  12. Lo stipo è stato battuto all’asta Sothebys di Parigi  del 19 novembre 2019, lotto 138. Su due dei quattro cassetti interni vi è inciso a fuoco il nome dell’ebanista “G.B. Gatti”, mentre sulla calatoia compaiono le iniziali del probabile committente “IBC”. []
  13. Cfr. Asta Sotheby’s, Londra 4 dicembre 2019, lotto n. 38. []