Ivana Bruno

i.bruno@unicas.it

Il deposito, “magazzino degli studiosi”, del Museo Nazionale di Palermo negli anni Trenta del Novecento dalle ricerche documentarie sull’attività di Maria Accascina

DOI: 10.7431/RIV19112019

Nel panorama dei musei italiani del terzo decennio del Novecento, delineato da Francesco Pellati nella Enquête internationale sur la réforme des galeries publiques, si distingue il Museo Nazionale di Palermo, dove la giovane ispettrice Maria Accascina aveva appena completato il riordinamento e l’allestimento della sezione di arte medievale e moderna1. La storica dell’arte, allieva di Adolfo Venturi, aveva elaborato un progetto di restyling che rispondeva, per molti aspetti, agli orientamenti museografici espressi in quegli anni dall’Office International des Musées (OIM) e oggetto di approfondita riflessione nell’ambito del dibattito europeo2.

Il progetto, illustrato nella relazione del 2 maggio 1929, fu pubblicato nel mese di marzo del 1930 sul “Bollettino d’Arte del Ministero dell’Educazione Nazionale”, corredato dalla planimetria del museo e integrato con la descrizione dei lavori realizzati3. In quest’ambito grande attenzione fu riservata al deposito, di cui Maria Accascina elaborò una “proposta di ordinamento”, che è conservata in forma dattiloscritta con il titolo Relazione sull’ordinamento dei magazzini del Museo Nazionale contenente materiale medievale e moderno, firmata e datata giugno 1930, tra i documenti inediti dell’Archivio del Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas di Palermo e di cui, in questa sede, si fornisce la trascrizione completa4.  Nel documento emerge chiaramente la visione della studiosa che considera tale luogo uno spazio vitale del museo, da cui sarebbe dovuta prendere avvio l’opera di riorganizzazione di tutta la collezione.

A considerare una delle cause principali «delle ristrettezze e della disorganizzazione» del Museo di Palermo il «disordine» che regnava nei magazzini era stato nel 1927 Enrico Brunelli, commissario per gli oggetti d’arte medievali e moderni della Sicilia5, che in quell’anno scrisse una lunga lettera alla Direzione Generale di Antichità e Belle Arti esponendo tale problema: «È ammassato confusamente materiale di ogni genere, antico, moderno, medievale, cocci, terrecotte, mattonelle, quadri – scrisse il 24 agosto del 1927 – e il disordine porta di conseguenza che lo spazio non è abbastanza sfruttato; i magazzini infatti potrebbero contenere molto più materiale di quanto effettivamente si è depositato. Pertanto chi voglia portare un principio di ordine deve cominciare dalla sistemazione dei magazzini»6.

Ma ancora prima delle affermazione di Brunelli, dallo spoglio dei documenti riguardanti l’attività di Maria Accascina dell’Archivio del Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas di Palermo, ricaviamo che già nel 1914 l’ispettore Ugo Nebbia, in una sua lettera al Soprintendente delle Gallerie di Palermo, mettendo in evidenza l’opportunità di procedere ad una incisiva selezione delle opere da esporre forniva suggerimenti sulla realizzazione del deposito: «un’ulteriore selezione, basata sul criterio di ciò che deve essere una pubblica pinacoteca, e non una semplice quadreria annessa ad un Museo così importante come quello di Palermo, può ancora diminuire di un terzo almeno i 543 quadri ora esposti; senza per questo diminuire l’interesse della pinacoteca stessa, sia come mostra pittorica in genere, sia come rappresentazione in particolare della pittura siciliana. Un’ulteriore limitazione della pinacoteca, ripeto, non ne diminuirebbe l’importanza, la quale, se non è altissima rispetto alla maggior parte delle nostre pubbliche Gallerie, ha però quanto basta per affermare come anche il Museo di Palermo possieda e possa offrire al pubblico ed agli studiosi una collezione pittorica degna di riguardo. L’eliminazione di opere di dubbio valore o di limitato interesse permetterebbe in parte una migliore collocazione delle altre, sotto i riguardi della luce e del decoro armonico degli ambienti; vale a dire permetterebbe una miglior presentazione all’esame del visitatore di tutte le opere degne davvero»7.

In questa lunga lettera Nebbia scese anche nei dettagli proponendo precise modifiche. La sua proposta prendeva in esame per primo il Corridoio dei Primitivi, dove «l’eliminazione di qualche opera di minor valore, o di dubbia autenticità, permetterebbe di fare entrare in questo primo corridoio alcune delle opere che cronologicamente e stilisticamente vi dovrebbero entrare. Tali quelle del Quartararo e del Ruzzolone che si trovano nella contigua sala De Pavia»8. Si soffermò poi sulla sala intitolata a De Pavia, di cui notò «le condizioni di luce ed anche murarie particolarmente infelici, per non dire addirittura inadatte ad una Pinacoteca» e fece proposte migliorative in tal senso9. Nella sua visione quest’ambiente sarebbe dovuto diventare la «sala del Cinquecento siciliano», accogliendo le opere più notevoli della «Sala Scuole diverse». In tal modo si sarebbe anche potuto sgombrare parte della Galleria, che era in ottima condizione di luce e di decoro, dove Nebbia proponeva «di collocare, nelle migliori condizioni possibile, il Novelli coi principali rappresentanti del periodo seicentesco siculo-fiammingo»10, trasferendolo dal salone dov’era collocato fino a quel momento, che presentava al contrario cattive condizioni di luce ed era sovraffollato di quadri di diverso valore. L’idea era dunque quella di «creare un salone degno della Pinacoteca e dell’artista al quale la nuova sede sarebbe consacrata»11. L’ispettore avanzò inoltre l’ipotesi di utilizzare quel salone come «esposizione-deposito di opere ingombranti o di limitato interesse»12. Nello specifico propose «di adattare alle pareti od al centro un particolare sistema a telai girevoli, che permettesse di costituire in questo ampio locale il vero deposito della pinacoteca, dove possano essere visibili le numerose opere, le quali, senza avere particolare interesse per il consueto visitatore, tuttavia non meritano di essere sepolte nei magazzini. Potrebbe anzi, ripeto, essere questo il vero magazzino nel quale, escluse tutte le opere effettivamente trascurabili, l’accesso e lo studio non ne sia vietato a chi ne fa richiesta, ma ordinariamente non compreso nel “giro” dei visitatori del Museo, ai quali, credo fin inutile affermarlo, converrebbe sempre presentare, non un affollamento di opere, ma soltanto quelle più significative, esposte e collocate nel miglior modo possibile per apprezzarne l’interesse»13.

Già nella proposta di Nebbia affiorava l’idea di un deposito accessibile a tutti i visitatori che ne avessero fatto richiesta.

Il progetto portato avanti da Maria Accascina – come emerge dalla sua Relazione – teneva conto degli avanzamenti in campo museologico in ambito internazionale.

In primo luogo fu perseguito il proposito di adottare un sistema che distinguesse le collezioni per il pubblico generico e quelle per il pubblico specializzato, sulla scia del modello americano del doppio percorso, che già nel 1916 era stato applicato all’interno del Cleveland Museum of Art14.

Questo principio derivava dalle teorie − già avanzate nella seconda metà dell’Ottocento da Louis Agassiz e riprese da George Brown Goode e William Henry Flower, direttore del Natural History Museum di Londra − che suggerivano la divisione tra collezioni di studio (study series) ed esposizioni per il pubblico non specializzato (exhibition series)15. Per primo fu Louis Agassiz, naturalista svizzero, fondatore nel 1859 del Museum of Comparative Zoology di Harvard, a proporre uno schema basato sulla distinzione tra la serie, sufficientemente rappresentativa, di opere scelte da mostrare al pubblico generico e quella, di maggiore entità, destinata agli studiosi e organizzata per la consultazione. La stessa scelta, adottata e sistematizzata nel Natural History Museum di Londra nel 1886, fu introdotta con successo da Wilhelm von Bode a Berlino alla fine del secolo16.

Tale concetto trovò una teorizzazione negli scritti dell’architetto Sidney Fiske Kimball, direttore dal 1925 al 1955 del Philadelphia Museum of Art, che fissò in forma definitiva i principi programmatici del museo d’arte moderno17.

Alla base della nuova teoria si poneva la considerazione – chiaramente espressa da Clarence S. Stein nel suo celebre scritto The Art museum of Tomorrow del 1930 – che «i musei d’arte attraggono gruppi diversi di persone con interessi differenti: il pubblico generico li visita per passare il tempo libero o per trovare ispirazione osservando le esposizioni; studiosi ed esperti per informarsi o approfondire le proprie conoscenze»18. Lo stesso Stein, nel suo scritto, partendo da questa premessa, propugnò il suo «museo di domani» in un luogo distinto in «Museo per il pubblico: museo per la contemplazione» e in «Museo per gli studiosi: un museo didattico», il primo selettivo, il secondo comprensivo19.

Maria Accascina, aderendo a questi precetti, assimilati anche indirettamente grazie ad una costante attenzione e vivace curiosità verso quanto accadeva in campo internazionale, nella sua relazione del 1929 sostenne la necessità di realizzare all’interno del museo un «magazzino per gli studiosi», cioè una sala – di cui peraltro c’era la disponibilità al secondo piano dell’edificio – dove fossero riunite le opere da lei considerate «di scarto» perché avrebbero appesantito il percorso pur essendo di qualche interesse per gli studiosi e per l’avanzamento della ricerca20. «Ciò lascerebbe libertà e serenità maggiore nella scelta dei quadri da esporre – scrisse nel 1929 nel progetto del nuovo ordinamento della pinacoteca – e toglierebbe l’inconveniente di precludere agli studiosi una parte di pitture suscettibile ancora di eventuali ricerche»21. Diede così forma all’idea espressa da Ugo Nebbia un decennio prima di riservare un ambiente esclusivamente agli studiosi, in modo che la scelta di esporre le opere note e attestate dalla critica non precludesse a loro la possibilità di sottoporre a nuove ricerche quadri di indubbia attribuzione.

La sua proposta si concretizzò nell’analisi accurata dei numerosi spazi, spesso non idonei, allora adibiti a magazzini e nell’individuazione di una serie di soluzioni metodologiche illustrate in modo dettagliato nella stessa Relazione22.

In essa la studiosa sottolineava che raramente le opere conservate nei magazzini erano fornite di numero di inventario e che lo scopo di essi non doveva essere quello «di seppellire per sempre gli oggetti, rendendone impossibile ogni ulteriore esame, ed abbandonandoli alla lenta rovina del tempo»23. Suggeriva quindi una prima indicazione di metodo per metterli in ordine distinguendo «fra rottami ed oggetti fuori d’uso, che è d’uopo siano messi a parte, od alienati, e che in ogni modo ingombrano inutilmente i locali, rubando spazio, e quei materiali che è impossibile collocare nelle sale di esposizione, dato che la precedenza e la scelta sono date alle opere più significative e più ricche di valore, ma che non sono da dimenticare o da disprezzare, che hanno un loro interesse ed una loro importanza, che debbono essere salvaguardati dalla rovina e dalla dispersione e debbono essere collocati in modo da essere facilmente sottoposti ad esami od a revisioni, e disposti in modo razionale, con tutta la cura»24.

Una seconda indicazione riguardava gli aspetti conservativi e microclimatici degli ambienti: «inoltre è necessario, come minimo provvedimento, che gli oggetti da magazzino siano posti in locali asciutti e puliti, resi adatti all’uopo, e siano descritti, elencati, anche se non inventariati; e non accatastati alla rinfusa, sì che uno rechi danno all’altro, ma disposti in modo da potere essere esaminati, per ragioni di studio, o controllati per ragioni amministrative»25.

Come soluzioni per il caso specifico del Museo Nazionale, propose di distinguere due gruppi di magazzini, l’uno di arte classica e l’altro di arte medievale e moderna, attribuendo alle opere contenute in ciascuno numerazioni diverse. A loro volta, i magazzini di arte medievale e moderna sarebbero dovuti essere divisi in «magazzini per quadri» e «magazzini per scarti vari»26. Fatte queste distinzioni, scese nei particolari e, se per le tele irreparabilmente guaste e corrose dispose che andassero in un magazzino inaccessibile, suddivise tutti gli altri quadri in vari gruppi in rapporto al loro valore storico e ne indicò la collocazione precisa27. Il primo gruppo di opere, che doveva radunare le pitture «di particolare interesse per lo studio di limitati problemi d’arte», sarebbe stato esposto nel «magazzino degli studiosi», un grande spazio situato al secondo piano dove «i quadri debbono essere sempre visibili e, malgrado la stanza sia vasta e alta, dato il numero dei quadri sarà necessario provvedere alla formazione di telai da supporto. Naturalmente nella disposizione dei quadri non si terrà conto né di spaziatura, né di studiata illuminazione»28.

La studiosa si propose inoltre di applicare un nuovo sistema per la conservazione dei quadri nei magazzini, che descrisse nella sua relazione: «Il magazzino si dividerebbe in quattro quarti, due quarti in linea diagonale verrebbero ad essere occupati dai quadri. I quadri mediante uncini verrebbero ad essere sostenuti a bastoni traversi in modo da mantenere l’appiombo. A seconda la maggiore o minore altezza dei quadri l’uncino avrebbe la maggiore o minore altezza per raggiungere il bastone. In tal modo ogni tela sarebbe libera da sovrapposizione e avrebbe una sua piccola zona da renderne possibile il movimento. Qualora si volesse vedere un’opera basterebbe staccare l’uncino e trarla nella metà di stanza libera. Il sistema semplice e di poca spesa permetterebbe di mantenere in condizioni igieniche la stanza perché facilmente si potrebbe procedere alla pulizia degli ambienti spostando i quadri negli spazi liberi»29.

Infine sostenne da un lato la necessità di «formare singoli elenchi delle opere contenute nei magazzini, elenchi che costituirebbero un rapido mezzo di riscontro e di ricerca», dall’altro il vantaggio di assecondare le richieste di prestito di opere per motivi di arredo in modo da liberare così il più possibile i magazzini30.

Negli anni Trenta il sistema della distinzione delle due collezioni (study series e exhibition series) e l’importanza di rendere chiaro ed efficace il percorso espositivo furono tra i temi più presenti negli scritti di museologia nel contesto internazionale, ma anche oggetto di discussione in ambito italiano.

Su «Costruzioni-Casabella» del febbraio 1934 si legge: «Siccome la maggior parte dei musei soffre dell’eccessiva ricchezza del materiale vi è soltanto un rimedio: la collezione esposta e la collezione di studio che sarà consultata in pace da pochi specialisti. Non importa tanto che gli oggetti siano ordinati secondo punti di vista storici, geografici, tecnici od artistici; l’essenziale è che questo ordine sia chiaro e perspicuo, che il visitatore si ricordi anche più tardi quali sculture ha visto su una parete, quali ceramiche in una vetrina, quale forma avesse un armadio, quale ornamento un cassone, invece di serbare un ricordo confuso di un magazzino di mobili, di una catasta di stoffe, di un cumulo di bicchieri, di un groviglio di collane australiane»31.

Pochi anni dopo l’ordinamento di Maria Accascina il principio della separazione delle collezioni fu sancito da Guglielmo Pacchioni negli atti del Congresso Internazionale di Museografia di Madrid del 193432 e illustrato nell’articolo Coordinamento dei criteri museografici, pubblicato su «Le Arti» nel 1939, per poi essere da lui stesso applicato nel riordinamento del Palazzo Ducale di Mantova, della Galleria Sabauda, del Broletto di Novara e del Museo della Ceramica di Pesaro33.

AMARPa, b. 396, Relazione di Maria Accascina sull’ordinamento dei magazzini del Museo Nazionale contenente materiale medievale e moderno, giugno 1930

AL DIRETTORE DEL MUSEO NAZIONALE  DI PALERMO

RELAZIONE SULL’ORDINAMENTO DEI MAGAZZINI DEL MUSEO NAZIONALE CONTENENTI MATERIALE MEDIEVALE E MODERNO

A)    CONDIZIONI ATTUALI

Il lavoro già compiuto sull’ordinamento della Pinacoteca pone in prima linea e urgentissima una sistemazione globale e concreta dei magazzini del Museo destinati a materiale medievale e moderno.

Fino a tre anni or sono, materiale di qualsiasi genere era ammonticchiato nei locali di magazzino di tutti i piani del Museo. L’anno scorso, quasi tutto il materiale classico venne ritirato nei grandi sotterranei (specie in quello detto di Selinunte), e tutti i locali di magazzino classico vennero numerati e il loro contenuto esaminato; ma per contro, molti oggetti ed opere ritirate dalle sale di esposizione del secondo piano sono venute ad aggiungersi, sia nei magazzini di materiale medievale e moderno, sia in qualche locale del terzo piano, già di esposizione.

Attualmente, i magazzini destinati al materiale e moderno (oltre ai locali di esposizione del terzo piano, che, quando ne sarà ritirato il materiale classico, dovranno contenere la sezione di arti industriali medievali e moderne) sono: nel terzo piano del Museo nove ambienti, undici ambienti dei quali uno sarà adibito a sala di esposizione, altri due comunicanti con le sale riservate all’esposizione delle stampe serviranno per ingrandirle, degli otto vani restanti, più di metà sono luminosi e in buone condizioni.

Nel secondo piano, ora contenente […] de sala alla quale si accede dal corridoio della Galleria del Settecento, che ospita il laboratorio di restauro, e nel tempo stesso contiene una quantità veramente considerevole di quadri; è una sala molto vasta e con alto soffitto attualmente in condizioni mediocri di luce essendo illuminata da balcone che si apre sopra una terrazza ed essendo chiuse altre finestre;

un bugigattolo quasi completamente buio, cui si accede dal salone del Cinquecento; dalla Galleria dei Primitivi, una porticina (nascosta dall’arazzo di sfondo alla Madonna del vestibolo), dà accesso a tre piccoli magazzini, di cui uno raccoglie il cospicuo scarto dei quadri bizantini e bizantineggianti, il secondo molti piccoli oggetti di scarto (piccole scolture, plastiche, oggetti di metallo, ceramiche, ecc. ) già collocate in quattro bacheche nel corridoio di ponente del secondo piano del Museo; il terzo . . .  infine, dalla seconda Saletta della collezione Serradifalco si accede ad un magazzinetto cieco, che contiene cornici di stampe e qualche quadretto di scarto.

Nel cortile classico una stanza non illuminata, aperta all’aria, umida, nella quale prendono posto quadri, insieme con vario scarto di materiale classico; due o tre altri magazzinetti bui contengono mattonelle maiolicate e scolture di scarto; altri due conservano, in ordine, i ferri battuti già esposti in una sala del secondo piano, ora sala delle pittura del ‘400, e che dovranno passare in esposizione nel terzo piano, nella sezione delle arti minori.

Nel cortile moderno, una stanza contiene i quadri ricevuti in consegna dalla Chiesa di Santa Cita e molto scarto di scolture e marmi (pur non volendo considerare come magazzino la cosidetta Sala di San Giorgio).

Infine qua e là, nei luoghi più impensati, si aprono porticine che immettono in ambienti bui dove si conservano i più disparati oggetti: divani sdruciti e stampe incorniciate, sedie rotte e qualche bella portiera del settecento, casse da imballaggio e ottimi avanzi di stalli corali ecc.

Poiché non esisteva una pianta topografica dei magazzini del Museo Nazionale e poiché, purtroppo, i vecchi custodi del Museo sono morti, non si ha notizia di questi piccoli vani se non per caso.

Si può affermare con assoluta sincerità che buona parte del mobilio recentemente esposto nelle Sale della Pinacoteca proviene da scarti di magazzini intravisti tra la polvere e le ragnatele e poi adattati e restaurati. Citiamo, per esempio, le due belle portiere settecentesche e i due armadietti pure del settecento nella Galleria del Settecento, le panche del vestibolo, la vetriata della Cappella di Antonello, tutte le basette dei marmi della Sala Laurana.

Naturalmente, molto di rado gli oggetti contenuti entro tutti questi magazzini sono forniti di numero di inventario. Sicché la dispersione ne è facile, e troppo spesso impossibile il controllo degli oggetti, conoscerne l’originale ecc.

B)     PROPOSTA DI ORDINAMENTO

In un Museo, lo scopo dei magazzini non è quello di seppellirvi per sempre gli oggetti, rendendone impossibile ogni ulteriore esame, ed abbandonandoli alla lenta rovina del tempo.

Occorre distinguere fra rottami ed oggetti fuori d’uso, che è duopo siano messi a parte, od alienati, e che in ogni modo ingombrano inutilmente i locali, rubando lo spazio, e quei materiali che è impossibile collocare nelle sale di esposizione, dato che la precedenza e la scelta sono date alle opere più significative e più ricche di valore, ma che non sono da dimenticare o da disprezzare, che hanno un loro interesse ed una loro importanza, che debbono essere collocati in modo da essere facilmente sottoposti ad esami od a revisioni, e disposti in modo razionale, con tutta la cura.

Inoltre è necessario, come minimo provvedimento, che gli oggetti da magazzino siano posti in locali asciutti e puliti, resi adatti all’uopo, e siano descritti, elencati, anche se non inventariati; e non accatastati alla rinfusa, sì che uno rechi danno all’altro, ma disposti in modo da poter essere esaminati, per ragioni di studio, o controllati per ragioni amministrative; possibilmente, ogni magazzino dovrebbe essere riserbato ad una categoria di oggetti o di opere.

Scendendo ad una applicazione di questi criteri al caso nostro, a me pare anzitutto necessario procedere ad uno sgombero di tutti i ciarpami completamente inutili e fare in modo che il materiale vi sia non accatastato, ma disposto con criterio; questo soprattutto è detto per i quadri; per evitare che la vicinanza di rottami non li danneggi o li nasconda.

In seguito eliminare i residui di antica promiscuità fra oggetti di arte classica e oggetti di arte medievale e moderna che delle sale di esposizione era l’inconveniente più grave; nel terzo piano ci sono ancora due magazzinetti di materiale preistorico e di scavo classico che dovrebbe essere disposto nei locali destinati alla sezione antica.

Si verrebbe così a formare due gruppi di magazzini (di arte classica e magazzini di arte medievale e moderna) tra loro ben distinti, con due numerazioni diverse.

I magazzini di arte medievale e moderna dovrebbero essere divisi in due gruppi: magazzini per quadri e magazzini per scarti vari.

Riuniti tutti i quadri non di esposizione e non degni di essere collocati nel magazzino degli studiosi, si potrebbe procedere alla revisione del catalogo e nel tempo stesso alla catalogazione di quei quadri che non presentano alcun numero d’inventario, procedendo nel lavoro secondo le norme e le precauzioni illustrate nel rapporto particolare già presentato. Una volta compiuto questo lavoro si potrebbe passare alla sistemazione dei quadri secondo i criteri che espongo:

a)      Anzitutto, separare recisamente le tele irreparabilmente guaste e corrose sulle quali non osiate più traccia di pittura e i rottami dei quadri da tutto il resto. Siffatto materiale che molto opportunamente potrebbe finire in un bruciamento di inutilità si può disporre in un magazzino inaccessibile che si trova nel cortile rustico e al quale si accede solo mediante una scala a pioli. Se queste tele sono già fornite di un numero d’inventario, si segnerà nel catalogo la conservazione e l’ubicazione, nel caso non l’abbiano mi pare veramente inutile procedere a una catalogazione.

b)      Tutti gli altri quadri si potrebbero distinguere in vari gruppi in considerazione del loro valore e dipendentemente a questo distribuirli nei vari locali.

1° gruppo ― Pitture che possano presentare un particolare interesse per lo studio di limitati problemi d’arte.

Copie antiche di quadri ―

Farebbero parte di questo gruppo: alcune grandi tele di pittori siciliani – es. la Natività (n. 496) di Leonardo Bazano m. 3,18 x 2,11, la Natività (n.896) di Pietro D’Asaro m. 3,86 x 2,78 che non sono stati esposti nella Pinacoteca insieme ad Altri quadri, per ragione di spazio, come anche affreschi in mediocre conservazione come la Natività di Pietro Novelli;

–          Grandi tavole di pittori che hanno lavorato in Sicilia e la di cui attività ha avuto una certa influenza sullo svolgimento della pittura siciliana, tavole non esposte o perché di limitato interesse artistico o perché in cattive condizioni come ad esempio la Madonna e Santi di Simone di Wobreck;

–          Quadri appartenenti a scuole varie e non esposti per le ragioni già chiarite nel progetto di ordinamento.

2° Gruppo – Quadri bizantini tardi e bizantineggianti.

3° Gruppo – Pitture di grandi dimensioni.

4° Gruppo – Pitture di limitato interesse artistico. A tale gruppo appartengono le copie, i saggi per pensionati ecc.

DISPOSIZIONE DEI QUADRI NEI MAGAZZINI

I quadri appartenenti al primo gruppo sarebbero esposti nel grande magazzino del secondo piano che diventerebbe il magazzino degli studiosi (pianta II, n. 1) qui i quadri debbono essere sempre visibili e, malgrado la stanza sia vasta e alta, dato il numero dei quadri sarà necessario provvedere alla formazione di telai da supporto. Naturalmente nella disposizione dei quadri non si terrà conto né di spaziatura, né di studiata illuminazione.

I quadri appartenenti al secondo gruppo cioè i bizantini e i bizantineggianti occuperanno la stanzetta luminosa e in buone condizioni annessa al vestibolo della Pinacoteca (pianta II, n. 2). I quadri grandi saranno appesi al muro, i piccoli saranno racchiusi in una bacheca per evitarne la dispersione.

I quadri appartenenti al terzo gruppo, cioè quelli di assai grande dimensione che non meritano o non possono essere esposti nel magazzino degli studiosi, occuperanno un magazzino che trovasi nel cortile medievale.

I quadri appartenenti al quarto gruppo prenderanno posto nelle salette al terzo piano (pianta III, n. 1,8).

Questo gruppo di quadri è naturalmente il più numeroso perché comprende mediocri quadri di scuola siciliana o di autori incerti siciliani e moltissimi altri di scuole varie.

Per questi quadri sarebbe opportuno attuare un criterio di conservazione adatto a permetterne la buona conservazione e nel tempo il facile ritrovamento per controllo amministrativo o per studio.

Il sistema comunemente seguito perché di una grande semplicità consiste nel poggiare un quadro con lieve inclinazione sulla parete e quindi accatastare su questo tutti gli altri.

Ciò danneggia la conservazione dei quadri e rende impossibile la visione di un’opera senza procedere al faticoso spostamento di tutte le altre.

Per la conservazione dei quadri nei magazzini vorremmo applicare un sistema diverso.

Il magazzino si dividerebbe in quattro quarti, due quarti in linea diagonale verrebbero ad essere occupati dai quadri. I quadri mediante uncini verrebbero ad essere sostenuti a bastoni traversi in modo da mantenere l’appiombo. A seconda la maggiore o minore altezza dei quadri l’uncino avrebbe la maggiore o minore altezza per raggiungere il bastone.

In tal modo ogni tela sarebbe libera da sovrapposizione e avrebbe una sua piccola zona da renderne possibile il movimento. Qualora si volesse vedere un’opera basterebbe staccare l’uncino e trarla nella metà di stanza libera.

Il sistema semplice e di poca spesa permetterebbe di mantenere in condizioni igieniche la stanza perché facilmente si potrebbe procedere alla pulizia degli ambienti spostando i quadri negli spazi liberi.

ELENCHI TOPOGRAFICI DEI QUADRI CONSERVATI NEI MAGAZZINI

Formati i vari gruppi dei quadri e destinati gli ambienti, si potranno formare singoli elenchi delle opere contenute nei magazzini, elenchi costituirebbero un rapido mezzo di riscontro e di ricerca.

SFOLLAMENTO DEI MAGAZZINI

Subordinato al criterio di ordinamento dei magazzini è il progetto di sfollamento dei magazzini stessi, mediante cessione di quadri o cambi. Mi permetto di proporre che eventuali domande di enti pubblici per avere quadri di ornamento possano essere soddisfatte con larghezza maggiore di quanto sia avvenuto finora. Vi sono molti quadri di assai limitato interesse che rimarrebbero ad ingombrare inutilmente spazio prezioso o a consumarsi in sito inadatto. Molto meglio per essi sarebbe se, fattane regolare ricerca inventariale ed elenchi potessero essere conservati in sale di rappresentanza dove troverebbero spazio e collocazione più idonea e conveniente.

MAGAZZINI PER SCARTI VARI

Lo scarto vario tolto dai magazzini dei quadri dovrebbe essere sottoposto ad accurato esame. Togliendo tutto il materiale inusabile, resterebbero gli oggetti di piccola arte, tanto quelli che hanno avuto sempre dimora in magazzino, tanto quelli che potranno restare dopo compiuto l’ordinamento del terzo piano, quanto quelli tolti dalle bacheche del corridoio di tramontana. Già fin d’ora appare chiaro che lo scarto della piccola arte non può assumere le proporzioni dello scarto della Pinacoteca, tenendo specialmente conto del grande uso che si è fatto del materiale di scarto trovato nei magazzini per l’arredamento della Pinacoteca, e tenendo conto che molte maioliche di scarto oggi poste in magazzino serviranno come elementi decorativi nella scala e nelle sale di esposizione. Lo scarto vario occuperà i magazzini n. 4, 5, 6, 7 del secondo piano (pianta II) i magazzini 9, 11 del terzo piano e tutti i magazzini nel cortile medievale.

Una particolare cura sarà data alla buona conservazione delle cornici che saranno riunite nel magazzino n. 3 del secondo piano.

L’ordinamento dei magazzini offre il vantaggio di non precludere agli studiosi il materiale di scarto perché, quello ritenuto di un certo interesse occuperà due ambienti nello stesso piano della Pinacoteca che sarà a richiesta a disposizione del pubblico: il resto sarà quasi tutto riunito al terzo piano e quivi sistemato in modo da esserne sempre possibile la visione.

Dal punto di vista amministrativo l’ordinamento dei magazzini permette la vigilanza e il controllo di tutto il materiale non esposto al pubblico.

Giugno 1930                                                                   Dott.ssa Maria Accascina

ABBREVIAZIONI ARCHIVI

Roma, Archivio Centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale di Antichità e Belle Arti: ACS, MPI, AABBAA

Palermo, Archivio del Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas: AMARPa

  1. Sul tema: I. Bruno, Dalla «più difforme congerie di oggetti» ad un «perfetto ambiente spirituale» per l’opera d’arte. L’allestimento del Museo Nazionale di Palermo alla fine degli anni Venti del Novecento, in “Il Capitale Culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage”, n. 14 (Museo e mostre tra le guerre), 2016  pp. 53-88. []
  2. Maria Accascina fu assunta nella Real Amministrazione delle Belle Arti in qualità di ispettore addetto al Real Commissariato per la tutela degli oggetti d’arte in Sicilia nel 1927. Per un profilo biografico e intellettuale di Maria Accascina (Napoli 1898-Palermo 1979) cfr. M.C. Di Natale, Maria Accascina storica dell’arte: il metodo, i risultati, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale, Atti del convegno internazionale di studi in onore di Maria Accascina (Palermo-Erice, 14-17 giugno 2006) a cura di M.C. Di Natale, Caltanissetta 2007, pp. 27-50; Eadem, I primi studi di oreficeria di Maria Accascina: la lezione di Adolfo Venturi, in Adolfo Venturi e la Storia dell’Arte oggi, Atti del convegno (Roma, 25-28 ottobre 2006) a cura di M. D’Onofrio, Modena 2008, pp. 329-342. []
  3. AMARPa, b. 396, Progetto per il nuovo ordinamento della Pinacoteca al Direttore del Museo Nazionale di Palermo, Palermo, 2 maggio 1929. La relazione, datata il 2 maggio 1929, fu protocollata dalla Direzione del Museo Nazionale il 27 dello stesso mese. Il progetto fu immediatamente approvato dal Ministero della Pubblica Istruzione, come si desume dalla lettera del Commissariato Straordinario per la tutela degli oggetti d’arte della Sicilia del 12 giugno 1929, nella quale è anche espresso grande compiacimento per il lavoro di catalogazione della Sala detta del Tesoro, contenente oreficerie, avori medievali e moderni (AMARPa, b. 396, Lettera del R. Commissariato Straordinario, Palermo, 12 giugno 1929). Nel 1930 fu pubblicato sul «Bollettino d’arte del Ministero dell’Educazione nazionale»: M. Accascina, Il riordinamento della galleria del Museo Nazionale di Palermo, “Bollettino d’Arte del Ministero dell’Educazione Nazionale”, 1930, a. IX, marzo, s. II, fasc. IX, pp. 385-400. Al termine dei lavori, Maria Accascina scrisse una lunga e dettagliata relazione, firmata e datata 25 giugno 1930, conservata in forma dattiloscritta tra gli atti del Museo Nazionale (AMARPa, b. 396, Relazione di Maria Accascina indirizzata al Direttore del Museo Nazionale, Palermo, 25 giugno 1930), nella quale indicò in modo puntuale i lavori compiuti in ogni ambiente. []
  4. AMARPa, b. 396, Relazione di Maria Accascina sull’ordinamento dei magazzini del Museo Nazionale contenente materiale medievale e moderno, giugno 1930. []
  5. Enrico Brunelli ricoprì la carica di direttore del Museo Nazionale di Palermo dal febbraio 1928 al novembre 1928. Sulla realtà museale a Palermo tra l’Ottocento e i primi decenni del Novecento cfr. V. Abbate, Dalla quadreria privata alla pinacoteca pubblica: origini e vicende delle raccolte seicentesche della Galleria Regionale della Sicilia, in Pittori del Seicento a Palazzo Abatellis (Palermo, Galleria Regionale della Sicilia, 31 marzo-28 ottobre 1990) a cura di V. Abbate, Milano 1990, pp. 58-63; I. Bruno, Prime ricerche sul collezionismo privato dell’Ottocento in Sicilia, in Ottocento Siciliano. Dipinti di collezioni private agrigentine, catalogo della Mostra (Agrigento, Complesso Chiaramontano Basilica dell’Immacolata, 24 marzo-20 maggio 2001) a cura di G. Barbera, Napoli 2001, pp. 31-54; P. Palazzotto, La realtà museale a Palermo tra l’Ottocento e i primi decenni del Novecento, in Enrico Mauceri 1869-1966. Storico dell’arte fra connoisseurship e conservazione, Atti del convegno internazionale di studi (Palermo, 27-29 settembre 2007) a cura di S. La Barbera, Palermo 2009, pp. 227-237. []
  6. AMARPa, b. 396, Lettera del Real Commissario per la tutela degli Oggetti d’arte medievale e moderni Enrico Brunelli alla Direzione Generale di Antichità e Belle Arti, Palermo, 24 agosto 1927. []
  7. AMARPa, b. 396, Lettera dell’ispettore Ugo Nebbia al Soprintendente delle Gallerie di Palermo, s.d (ma giugno 1914). Su Ugo Nebbia (Perugia 1880-Genova 1965) cfr. R. Cara, voce Nebbia Ugo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 78, Roma 2013. []
  8. AMARPa, b. 396, Lettera dell’ispettore Ugo Nebbia…, s.d (ma giugno 1914). []
  9. Ibidem. []
  10. Ibidem. []
  11. Ibidem. []
  12. Ibidem. []
  13. Ibidem. []
  14. Come mette in evidenza Patrizia Dragoni (Accessible à tous: la rivista «Mouseion» per la promozione del ruolo sociale dei musei negli anni ’30 del Novecento, “Il capitale culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage”, 2015, n. 11, pp. 148-221, p. 170), il Cleveland Museum of Art può considerarsi il «prototipo di “museo democratico”, che già nel 1916 aveva riservato alle esposizioni il livello principale dell’edificio, ospitando al piano terra sale di studio, sale conferenza, biblioteca, sala per bambini, nonché caffetteria, bookshop, uffici, e presentando al centro due corti vetrate, di cui una, allestita a jardin d’hiver, era specialmente destinata ad alleviare la “fatica da museo”». Cfr. anche L. Basso Peressut, Il Museo Moderno. Architettura e museografia da Perret a Kahm, Milano 2005, pp. 31-34 (con bibliografia infra). []
  15. L. Basso Peressut, Il Museo Moderno…, 2005, pp. 17-18; P. Dragoni, Accessible à tous …, 2015, pp. 169-170. []
  16. Cfr. anche P. Dragoni, Accessible à tous …, 2015, pp. 169-170. []
  17. S.F. Kimball, The Modern Museum of Art, “The Architectural Record”, LXVI, n. 6, dicembre 1929, pp. 559-580, tradotto e pubblicato in L. Basso Peressut, Il Museo Moderno…, 2005,  pp. 39-46. []
  18. L. Basso Peressut, Il Museo Moderno…, 2005, p. 53. []
  19. L. Basso Peressut, Il Museo Moderno…, 2005, p. 55. []
  20. AMARPa, b. 396, Progetto di Maria Accascina per il nuovo ordinamento della Pinacoteca al Direttore del Museo Nazionale di Palermo, Palermo, 2 maggio 1929. M. Accascina, Il riordinamento della galleria…, 1930, p. 386. []
  21. Ibidem. []
  22. AMARPa, b. 396, Relazione di Maria Accascina sull’ordinamento dei magazzini del Museo Nazionale contenente materiale medievale e moderno, giugno 1930. []
  23. AMARPa, b. 396, Relazione di Maria Accascina, giugno 1930, p. 3. []
  24. AMARPa, b. 396, Relazione di Maria Accascina, giugno 1930, pp. 3-4. []
  25. AMARPa, b. 396, Relazione di Maria Accascina, giugno 1930, p. 4. []
  26. Ibidem. []
  27. AMARPa, b. 396, Relazione di Maria Accascina, giugno 1930, pp. 5-6. []
  28. AMARPa, b. 396, Relazione di Maria Accascina, giugno 1930, p. 6. []
  29. AMARPa, b. 396, Relazione di Maria Accascina, giugno 1930, p. 7. []
  30. AMARPa, b. 396, Relazione di Maria Accascina, giugno 1930, pp. 7-8. []
  31. E. Moses, I musei viventi, in “Costruzioni-Casabella”, VII, n. 74, 1934, pp. 28-35, in L. Basso Peressut, Il Museo moderno…, 2005, p. 113. []
  32. Cfr. M. Dalai Emiliani, “Faut-il brûler le Louvre?”. Temi del dibattito internazionale sui musei nei primi anni ’30 del Novecento e le esperienze italiane, in Per una critica della museografia del Novecento in Italia. Il “saper mostrare” di Carlo Scarpa, Venezia 2008, pp. 24-29. []
  33. G. Pacchioni, Coordinamento dei criteri museografici, in “Le Arti”, I, fasc. 2, dicembre-gennaio, 1938-1939, pp. 149-155. []