Maria Laura Celona

ml.celona@libero.it

L’utensileria europea e l’argenteria laica dei nobili in Sicilia nei secoli XVIII e XIX

DOI: 10.7431/RIV19092019

L’argento fu utilizzato con particolari valenze socio-politiche, magiche, apotropaiche o ancora religiose per la produzione di manufatti artistici eterogenei. Nel Medioevo era comune a tavola l’impiego di vasellame d’argento, si ricorda ad esempio la splendida coppa di Norimberga di epoca carolingia1. Piatti e ciotole di legno, formavano, l’arredamento delle tavole povere, mentre le classi medie avevano stoviglie di peltro e di stagno. Soltanto le classi benestanti godevano il privilegio di possedere argenteria da tavola o ancora da esposizione, come bacili o vasi in argento dorato che venivano posti nelle credenze2. Con l’inizio del Rinascimento, sulle tavole dei nobili, dagli Estensi ai Gonzaga, e della corte ecclesiastica si iniziava a diffondere l’uso di nuovi utensili di argenteria da “credenza”3, sempre più riccamente decorati e arricchiti da guarnizioni in oro, argento e pietre preziose, segno di ricchezza e benessere. La nuova borghesia costituita da mercanti e banchieri, iniziò ad arricchire di suppellettili la tavola, così anche la posateria cominciò a prendere sempre più spazio e importanza nel contesto sociale quotidiano.

Nella seconda metà del Cinquecento, l’uso della forchetta era ormai generalizzato in Italia. Si ricorda ad esempio Michel de Montaigne quando in occasione del suo storico viaggio nell’ultimo quarto del secolo XVI notava l’uso abituale della forchetta individuale4. Il 31 dicembre del 1581, trovandosi a Roma ospite del Cardinale De Sans, lo scrittore francese rilevava la presenza sulla tavola di cucchiaio, coltello e forchetta, sistemati tra due salviette insieme al pane, al posto di ciascun convitato. Siamo ormai in piena regola moderna, ma nel resto dell’Europa permanevano varie resistenze5.

Le corti d’Europa, le nuove classi emergenti e perfino la ricca borghesia si scatenavano in una competizione senza fine commissionando opere raffinate e qualche volta vistose, giungendo ad allestire veri e propri spettacoli, assumendo cuochi e architetti per le scenografie, curando nei minimi dettagli la presentazione delle portate e la sequenza delle vivande imbandite. A tale proposito va citato l’inedito inventario, redatto dal notaio Giovanni Antonio Chiarella, in cui si legge che l’aurifex Pietro De Vita si obbliga con don Blasio de Marchisi, principe della Scaletta, «ut dicitur in farci infrascritta operas cioè in primis sei bacili di argento di piso di libri otto l’uno bianchi item sei bacili di argento di setti libri l’uno bianchi item quattro bacili di argento di piso di libri sei l’uno gisilati conforme a un bacile di esso illustre principi che tiene hoggi in potere suo detto de vita quali si obliga restituire a detto ill. principi»6. L’artista aveva già eseguito per il principe «una conca di testa di argento di piso di libri dieci item dui para di candileri di argento di piso di libri sei lo paro item sei tazzuni di argento di piso di libri tri l’uno torniati item quattro bucali a la romana di argento di piso di libri cinque l’uno» per il prezzo di onze 449 tarì 57. Il predetto principe inoltre «habuisse e recepisse a detto de Vita stipulante catinam unam auri fatta di maglia a madonello» dal valore di onze 100 «absque magisterio nec non et dui tazuni di argento deorati di valuta tra argento oro et mastria ad summam unciarum triginta duarum et tt. novem»8.

Alla luce di candelieri e candelabri tutto si fondeva in perfetta armonia con l’ambiente e con gli altri arredi da tavola, come le oliere, le saliere, le salsiere e le mostardiere, i centri tavola, le zuppiere e i paioli che, per la caratteristica capacità di capienza, erano spesso utilizzati per servire i legumi.

Per quanto riguarda gli accessori da tavola, un posto particolare spetta alla saliera. Essendo il sale uno degli elementi base nella preparazione delle vivande è stata la prima a comparire sulle tavole in fogge sempre più eleganti e riccamente decorate. Era, dunque, a questo manufatto che spettava il posto d’onore, assurgendo spesso a vero e proprio centro tavola, accanto alle zuppiere e ai sontuosi candelieri9. Famosissima è la saliera di Benvenuto Cellini, oggi al Kunsthistoriches Museum di Vienna, dalla raffinata fattura in oro e argento, eseguita su commissione di Francesco I, re di Francia, nel 154310.

Nel Medioevo le saliere erano essenzialmente di due tipi: montate in recipienti aperti come conchiglie o foglie in oro, oppure chiuse. All’origine delle saliere chiuse, spesso realizzate a forma di cofanetto o navicella, ci fu il timore degli avvelenamenti con la conseguente scelta di protezione del prodotto. Nel Rinascimento, le più piccole assunsero una valenza simbolica poiché la loro preziosità era direttamente proporzionate all’agiatezza del padrone di casa: «Ne’ i conviti il grado di ogni ospite era distinto dalla sua situazione sopra e sotto la saliera, la quale inevitabilmente stava collocata nel mezzo del tavolo; il siniscalco aveva ordine di far cangiar luogo a coloro, che si fossero seduti all’insù di quelli, che li superavano o per grado, o per ricchezza»11. I testamenti del XV secolo riportano descrizioni di saliere di ogni forma e specie: tonde, piatte, alte, basse, con o senza coperchio, a forma di dragone o di leone. Generalmente erano realizzate in argento o argento dorato. In Inghilterra, le saliere poste a lato di ogni commensale erano triangolari o circolari con l’incavo nella faccia superiore, successivamente furono aggiunti piedini e piccoli manici. Nel Seicento nacquero i contenitori dotati di diversi scomparti, destinati a sale, pepe ed altre spezie12, si ricorda l’inventario di donna Felice Ventimiglia del 1693 in cui si legge: «un saliera dorata di 7 pezzi cioè paniera sotto con piedi, saliera ornamento di sopra la saliera con statuetta zuccheriera e peparola due bocchetti con coperchii per oglio e aceto. Saliera d’argento bianco in 6 pezzi come sopra senza ornamento sopra la suddetta saliera / Tre saliere due da tavola e una di campagna in 3 pezzi si disfà»13.

L’origine della caffettiera è legata alla diffusione di tale bevanda proveniente dalla regione etiope del Kaffa all’Inghilterra durante il Commonwealth (1649-1660), prima dell’introduzione del tè14. Le credenze popolari sul nefasto effetto di un suo uso continuo ne limitarono, almeno inizialmente, il suo consumo15. La prima caffettiera inglese nota, conservata al Victoria & Albert Museum di Londra, è di forma tronco conica, ispirata a modelli turchi e datata 168116. Gli esemplari successivi, tuttavia, presenteranno il manico, a 90° rispetto al beccuccio, almeno fino al primo trentennio del Settecento, quando la bevanda diventò la più richiesta dagli intellettuali illuministi. Nel XVIII secolo si assistette al dominare della forma ovale. Le caffettiere rimasero immuni da decorazioni “alla moda” per quasi tutto il secolo, fatta eccezione per il periodo del rococò quando si diffusero beccucci di teiere e caffettiere dalla foggia di mostri equiformi, animali marini, maschere antropomorfe e manici a forma di cavalluccio marino, leone o cane, non mancarono poi gli ortaggi finemente modellati tratti dai disegni di Meissonnier, tra cui carciofi e rape, ma anche fiori spesso impiegati per ornare il pomolo delle zuppiere. Teiere e bollitori per l’acqua assunsero la forma di zucche e di meloni, non vennero risparmiati nemmeno i cestini, le lattiere, i cucchiaini per il tè, le salsiere, i calamai, e, come detto prima, i grandiosi centro tavola, costituiti da un corpo centrale al quale spesso erano appesi cestini e portavivande.

Tra il XVII ed il XVIII secolo, vennero comunque prodotti modelli a foggia di pera o a balaustro, così chiamato dal De Candolle17, nuovamente di moda nel terzo quarto del Settecento. È, infatti, a partire da questo momento storico che il beccuccio divenne a collo di cigno, la vasca piriforme, i manici di legno o, più raramente, in lamina d’argento isolata con cuoio o paglia di fiume intrecciata o ancora in avorio.

Intorno alla metà del XVIII secolo, lo stile rococò divenne imperante nella posateria, venne interpretato attraverso un’elaborata realizzazione di manici in porcellana o in ceramica, alcuni con decorazioni a chinoiserie. Tutte le posate vennero create sempre con una gran varietà di materiali dall’avorio all’osso con abbellimenti in tartaruga al giaietto e ambra, e ancora con il cristallo di rocca e l’agata, perfino arricchiti da incisioni o ornamenti a sbalzo. Interessante è ricordare una serie di posate18, realizzate nella seconda metà del XVIII secolo, di collezione privata, annoverati tra i beni della famiglia del pittore Antonio Maria Caraccioli (1727-1801), costituita da quattro cucchiai, tre forchette e un coltello, tutti in argento recanti il marchio della città di Palermo con l’aquila a volo alto e differenti punzoni consolari19. Con il passare degli anni si diffusero altri elementi d’argenteria d’uso, quali i cucchiai da frutta e di altro genere, mentre per i bambini i cucchiai da pappa vennero realizzati in argento per sfruttare il potere battericida proprio del metallo prezioso. Si ricorda a tal proposito il dipinto di Jean Baptiste Greuze, Il bambino viziato, datato 1765, custodito presso il Museo Statale l’Ermitage di San Pietroburgo, in cui è raffigurato un bambino che, nonostante si trovi in un contesto umile, porge con il cucchiaio d’argento la propria minestra al cane.

Insieme alla posateria, altrettanto remota fu la richiesta di argenteria laica, quali candelabri, zuppiere, centri tavola e trionfi, il cui ingresso sulle tavole risale già al XVII secolo, su indicazione della moda francese, che con la maestosità della corte di Versailles dettava legge in tutta Europa. I maestri argentieri apprendevano sempre di più la sofisticata arte dello sbalzo e cesello, conferendo ai manufatti forme sinuose, inventando disegni sempre nuovi, in una sfrenata corsa alla raffinatezza e all’eleganza. Significative, in ambito siciliano, sono alcune alzate da tavola della seconda metà del XVII secolo: una firmata da Sebastiano Juvarra, oggi custodita al Victoria and Albert Museum di Londra20, già rintracciata da Maria Accascina21, e una esposta presso il Museo di Arte decorativa di Oslo, opere di argentiere messinese22. Pure pregevole è l’alzata da tavola, realizzata da Giuseppe D’Angelo, già nella collezione Konsberg di Buenos Aires23. L’opera, recante il marchio della città di Messina e le iniziali, GIOS D’ANG, è composta da quattro cavalli marini che sorreggono una base su cui poggiano quattro conchiglie alternate a puttini; al di sopra si ergono due alzate sostenute da tritoni e ninfe. Il motivo ispiratore dell’opera è evidentemente derivato dalla fontana di Orione del Montorsoli a Messina, che l’argentiere esalta negli aspetti di rara eleganza formale piuttosto che nell’assetto monumentale. Tale evoluzione stilistica ha necessariamente coinvolto un copioso insieme di accessori da tavola, documentata dalle analisi di dipinti e dalle stampe dell’epoca. Una ricchezza rappresentativa del benessere e del rango del padrone di casa. Si deve, dunque, alla famiglie Juvarra e Martinez, spesso in viaggio tra Roma e Messina, la più originale produzione di suppellettili in argento, purtroppo oggi dispersa a causa delle disastrose calamità naturali ed epidemiche avvenute24.

L’uso delle zuppiere si diffuse nel XVIII secolo, quando i banchetti si trasformarono in vere e proprie occasioni mondane e il numero dei commensali aumentò rendendo impossibile il trasporto dalle cucine delle fondine singole con le porzioni di zuppa o di minestra. Le zuppiere dotate di coperchio e poggianti su vassoi d’argento, nascevano, dunque, per tenere calde le vivande durante il tragitto dai locali di preparazione alle stanze del banchetto. Un esemplare è quello da me rintracciato nel Fondo Accascina25 (Fig. 1) caratterizzato da una forma bombata, tipica ormai dell’orientamento stilistico della produzione orafa settecentesca. Il coperchio, in lamina modellata a sbalzo, anch’esso lontano dalle fogge seicentesche, presenta caratteristiche formali e stilistiche di sensibilità neorinascimentale, aventi come protagonisti non più cherubini alati, ma una sobrietà decorativa che bene si addice all’uso domestico. Sul documento allegato alla fotografia si legge che l’opera reca l’aquila a volo basso, le iniziali PC89, da riferire all’argentiere palermitano Placido Caruso26 operante nella qualità di console dal 27 giugno 1689 al 26 giugno del 169027. Differente deve, invece, essere la data del coperchio dell’opera, vista la presenza di un punzone purtroppo lacunoso della firma di argentiere e console, ma completo di una ben leggibile aquila a volo alto che lascia supporre la sua realizzazione post 171528.

Ad impreziosire le tavole furono anche i piatti da parata, lavorati a sbalzo e cesellati, dalla funzione esclusivamente decorativa, segno della ricchezza della famiglia, che si tramandavano da padre in figlio. Seguivano poi brocche, bacili, versatoi, ciotole e scodelle, tutti usati per mescere le bevande o per la detersione delle mani dei commensali tra una portata e l’altra. I vassoi, invece, furono utilizzati esclusivamente per il trasporto dalla cucina alla sala del banchetto dei bicchieri, dei piatti da portata e delle vivande. A tal riguardo significativo è ricordare il piatto da parata della metà del XVIII secolo, opera di maestro argentiere siciliano, caratterizzato da un bordo a fascia larga, delimitato da modanature mistilinee e da due manici a doppia voluta lavorati secondo un motivo comune nell’argenteria da tavola del pieno Settecento. Sul vassoio (Fig. 2) sono impressi il marchio della città di Palermo con l’aquila a volo alto e le iniziali del console seguite dalle due cifre indicanti l’anno, GL65, da riferire a Leone Gaspare, documentato al 1762 e al 176529. L’opera risulta affine per foggia e stile ad altri vassoi rintracciati da Maria Concetta Di Natale presso collezioni private, in occasione della mostra Ori e argenti di Sicilia30 del 1989, che presentano il marchio della città di Palermo con l’aquila a volo alto. Tali esemplari furono particolarmente richiesti nel Settecento non soltanto dalla committenza laica, ma anche da quella religiosa, come attesta il piatto del Museo Diocesano di Monreale realizzato nel 1747 da Antonino Pensallorto, recante lo stemma dell’arcivescovo Francesco Testa31.

Nel Settecento, in Francia e poi in altri Paesi, si diffondeva l’utilizzo di anfore, orci, crateri e rinfrescatoi, adatti a contenere grandi quantitativi di ghiaccio o neve per rinfrescare le bevande in occasione di banchetti. A questi esemplari si aggiunse, con dimensioni più ridotte, il glacettes, caratterizzato da una forma ovale dentellata adatta a immergere le flûte, che ancorati alla base del frastaglio venivano a contatto con il ghiaccio o neve per l’occasione raccolti. Un esemplare è raffigurato nel dipinto La carriera del libertino: il risveglio, opera del 1733 di William Hogarth, custodita al Soane’s Museum di Londra, in cui appare un fantino inginocchiato su una gamba mentre regge un trofeo in argento a guisa di glacettes. La simbologia legata ai manufatti appena citati trova le sue radici in ambito biblico, secondo cui i contenitori per acqua e vino rappresentavano il corpo e la sua mortalità: sono espressioni allegoriche di avarizia se contenitori di acqua, di meditazione se destinati al vino32. Dalla seconda metà del XVIII secolo i maestri argentieri di tutta Europa creavano nuovi tipi di posate per usi diversi. Le palette per i dolci, ad esempio, nacquero in quel periodo, come pure i primi servizi di posate da pesce che comparvero sul finire del secolo. Si ricorda, ad esempio, la paletta per dolci di collezione privata, realizzata da argentiere catanese, pregevole esemplare di oreficeria di uso domestico della metà del Settecento33.

Nel periodo Impero, con la ventata di novità propagandate in tutta l’Europa dalle armate francesi, il ritorno alla classicità dava modo ai maestri argentieri di esprimere nuova capacità creativa. La Francia e l’Italia ebbero il predominio in questo periodo per quanto riguarda la bellezza degli ornamenti per la tavola. La fine dell’impero napoleonico e l’affermarsi di una borghesia efficiente ed industriosa apportò alcuni cambiamenti nelle tendenze, ma sostanzialmente il gusto del bello era ormai diffuso a tutta la società. Nell’Ottocento il panorama internazionale mutava profondamente. Fra la fine del 1814 e il giugno del 1815 si riunì il Congresso di Vienna in cui fu stabilito il ripristino degli Stati e dei monarchi ante Rivoluzione. Murat, in seguito al trattato con l’Austria, ritornò a fianco di Bonaparte sancendo così la fine del suo regno napoletano. Re Ferdinando, già nel maggio del 1815 era pronto a far ritorno a Napoli. L’8 dicembre del 1816, Ferdinando III, re di Sicilia, assumeva il titolo di Ferdinando I re della Due Sicilie, annettendo sotto lo stesso Regno gli antichi possedimenti del Regno di Napoli e di Sicilia. Dietro l’impulso degli avvenimenti che investirono l’Europa, a partire dagli anni Trenta dell’Ottocento, l’Italia iniziò, dunque, a rivalutare il proprio passato incitata dalle correnti patriottiche del Risorgimento, che individuava nelle forme artistiche classiciste e medievali i canoni estetici adatti ad interpretare i valori della storia patria e a caricarsi di simbolici atti al fine di esaltare le vicende risorgimentali. In seguito alla nascita dello Stato italiano, particolarmente sentito era il problema dell’unità non soltanto linguistica ma di uno stile nazionale in cui il popolo si doveva riconoscere, capace di suggerire una direzione comune per rintracciare le proprie radici attraverso la ripresa della grande tradizione italiana. Ecco, dunque, che nel XIX secolo i riferimenti all’arte del passato si moltiplicarono esponenzialmente, accogliendo un’imponente eterogeneità di modelli stilistici ricavati da periodi storici differenti, quali forme e decori neoclassici, neoegizi, neogotici, neorinascimentali e neorococò. Nel caso precipuo dell’argenteria laica, all’interno della moda per il revival, vennero a costituirsi due diversi orientamenti che videro alcune botteghe impegnarsi nella fedele riproduzione di originali antichi; altre, invece, si espressero realizzando opere in un revival versatile, nel tentativo di reinterpretare, secondo un gusto più vicino alla modernità, le fogge e i tratti stilistici desunti da modelli di riferimento differenti. Nel caso della Sicilia, con il finire del Settecento, il dilagante gusto per il nuovo stile neoclassico era ormai imperante. Domenico La Villa, che più di altri si era espresso nella realizzazione di manufatti dalle fantasiose asimmetrie e torsioni delle superfici, aderì ai nuovi canoni stilistici eseguendo manufatti dalle linee più moderate come la decorazione alla greca che finì per scalzare il posto del ricciolo delle volute rococò.

I maestri argentieri siciliani34 che caldeggiarono questa seconda tendenza riuscirono a formulare repertori in grado di riassumere in un singolo manufatto molteplici secoli di storia, merito di un’incredibile fantasia e, per dirlo con le parole di Giulio Carlo Argan, «Come modo, e modo romantico, di concepire la storia, il revival è un ritorno. Non tanto un ritorno al passato quanto ritorno del passato, ciò che presuppone una sua latente ma non spenta vitalità»35. Utile per la ricostruzione degli orientamenti di gusto della committenza ottocentesca è stata la ricerca di archivio dalla quale sono emerse le mode riguardanti il corredo degli apparati da mensa, di credenza e gli utensili da lavoro per il credenziere, ossia colui che era eletto alla tutela delle stoviglie e all’allestimento della tavola. Significativa, in tal senso, è l’analisi dell’elenco dettagliato dei beni mobili custoditi dal «maestro ripostiero Favata Giuseppe», al servizio della famiglia Lanza -Filangeri36, e in particolare l’inventario degli argenti in cui compaiono un «cocchiarone da ragù», l’altro «per zuppa, duodeci cocchiarelli per cafè, una cafitiera mezzana», tutti in argento, e «cinque cafittiere napoletane» in rame37. Riguardo alle stoviglie in rame è noto che, già dal secolo precedente, fossero molto richieste anche agli stessi argentieri, i quali si adoperarono nella lavorazione anche di questo metallo, creando il malumore degli abbudatori, che lavoravano il rame38. Tra gli arredi in argento della famiglia Lanza-Filangeri, eseguiti in un arco temporale che va dal 1802 al 183539, ben numerosi erano gli «arnesi da cocina»40, consegnati al monsù Silvestre Andreoli il 6 novembre del 1802. Dagli inventari, dunque, affiorano centinaia di arnesi censiti in base ai materiali di cui sono costituiti, sulla base di criteri sommariamente comuni che tengono conto della differente preziosità. Tra i manufatti da tavola elencati nei documenti si ricorda «una salera grandi alla romana dorata» annotata nell’inedita Lista dell’argento indorato e bianco di don Francesco, principe di Paternò. In Sicilia il passaggio al gusto neoclassico fu tutt’altro che immediato e lineare, anzi fu caratterizzato da un eccessivo sovraccarico di dettagli. Ciò è attestato da alcuni manufatti prodotti nei primi anni del XIX secolo, ricchi di palmizi, ghirlande di fiori e perline, come nel caso dell’inedito Candelabro a cinque bracci rintracciato presso una collezione privata palermitana. L’opera presenta, infatti, un’audace composizione caratterizzata da un’originale commistione di spunti stilistici in cui sono presenti un’alternanza di volute a foggia di festoni e mascheroni grotteschi, che fungono da sostegno, e carnose foglie d’acanto che si ripetono anche sul nodo di raccordo. Sul fusto sono inoltre presenti motivi decorativi di gusto più classicheggiante. Sulla parte inferiore, frammentata in più raccordi, figurano motivi geometrici alternati dalla riproposizione del motivo della foglia d’acanto che introduce la sezione centrale a guisa di mezza colonna scanalata su cui è avvolto un festone composto da piccoli elementi floreali e fitomorfi che finiscono per caratterizzare l’intero manufatto. L’interesse enciclopedico manifestato dalla cultura ottocentesca, trovò un ulteriore campo di applicazione nella passione per il mondo esotico e orientale, in questo periodo identificato non tanto con la Cina e l’Estremo Oriente, quanto con il mondo turco, persiano, islamico e arabo-moresco. Accanto agli arredi di gusto neogotico, rinascimentale, barocco e rococò, le case dei siciliani, dunque, iniziarono ad arricchirsi di manufatti in stile egiziano, moresco e ottomano41. Testimonianza di tale gusto è l’inedita Zuccheriera, di collezione privata palermitana, elegantemente composta da elementi neoclassici e dalla tipica austera linearità propria dello stile impero, uno dei pochi esemplari di argenteria laica prodotti dalle maestranze siciliane d’inizio Ottocento raramente superstiti. L’opera si caratterizza per la presenza di tre fastosi elementi rinascimentali reggi ansa a guisa di sfinge alata, raffigurate secondo i classici dettami iconografici dell’antica Grecia42 e della leggenda di Edipo. Essi, più di ogni altro elemento ornamentale presente nell’opera, sono una preziosa testimonianza delle eccelse capacità orafe raggiute dai maestri argentieri siciliani dell’Ottocento che, sempre al passo con la moda circolante in Europa, riuscirono a realizzare manufatti al pari della coeva produzione degli maestri orafi francesi43. L’opera in esame, reca una doppia punzonatura relativa a due periodi che lascia ipotizzare un suo rimaneggiamento o, più probabilmente data l’omogeneità stilistica della Zuccheriera, a una coesistenza di punzoni che per un certo periodo caratterizzò molti manufatti del primo trentennio del XIX secolo. Sul coperchio dell’opera sono, infatti, leggibili lo stemma della città di Palermo con l’aquila a volo alto, il marchio del console VB15, riferibile a Vincenzo Lo Bianco, documentato nel ruolo di console vidimatore nel 181244 e il marchio con la testa di Cerere, in vigore dal 182645, seguito dal marchio del saggiatore, che propone un’anatra, da riferire a Salvatore La Villa, documentato per tale incarico dal 1834 al 3 agosto 183746.

Altro esempio della ricchezza neoclassica secondo l’interpretazione degli argentieri siciliani è dato da una coppia di Coperchi scaldavivande, recanti il marchio della maestranza di Palermo, peraltro raffrontabile con gli altrettanti eclettici esemplari di manifattura inglese e francese d’inizio Ottocento. I manufatti presentano una decorazione con motivi fitomorfi a rilievo sulla parte inferiore, dove si scorge l’iscrizione con le iniziali del committente GS, che prosegue con una superfice scevra di ornati interamente sbalzata a specchio per culminare con una piccola cupola decorata con slanciate foglie d’acanto e sormontata da un bocciolo esotico a guisa di frutto d’ananas sapientemente sbalzato e cesellato. Le opere recano, inoltre, appena sotto il pomolo, il marchio della città di Palermo con l’aquila a volo alto, il punzone del console PM807, da riferire a Paolo Maddalena, in carica nel 180747. Non figurano le iniziali dell’autore dell’opera, che potrebbero coincidere con quelle del suddetto console.

Opera siciliana che testimonia il mutar delle forme e degli ornati è la caffettiera già esposta in occasione della mostra Ori e argenti di Sicilia48, perfetto esemplare di transizione tra le caffettiere dal corpo rigonfio verso il basso, in uso ancora nell’ultimo ventennio del XVIII secolo, e quelle ovaleggianti che caratterizzeranno, invece, i manufatti del XIX secolo. Si avvicina a quest’ultima tipologia l’inedito servizio di collezione privata palermitana, composto da Caffettiera e Zuccheriera, caratterizzato da una base circolare e da un’ansa dall’andamento ovoidale ornata da slanciate foglie d’acanto e un coperchio, in piena rispondenza con la sobria linearità del servizio, con bordo perimetrale su cui si ripete, in ridotte dimensioni, la decorazione acantiforme già presente sulla parte inferiore dell’ansa. La Caffettiera presenta inoltre un manico sagomato in ebano e un pregevole versatoio a foggia di cigno. Un insieme stilistico che interpreta al meglio la moda stile Impero su modelli francesi particolarmente sentita in tutta la Penisola. Le inedite opere, entrambe con il marchio della città di Palermo, l’aquila a volo alto, e il punzone del console VB15, recano sul piede un’iscrizione con le iniziali relative al proprietario: GS. Le iniziali del console sono da riferire a Vincenzo Lo Bianco, documentato nel ruolo di console vidimatore nel 181249. Riprende la stessa decorazione fogliacea una Applique, rintracciata presso i depositi del Museo Diocesano di Monreale, recante la testina di Cerere, in uso dal 14 aprile del 1826 al 2 maggio del 187250.

Un vero cambiamento nei modelli si osserva a partire dal 1830 con la prevalenza di forme piriformi lisce, decorate con attardati motivi ancora rococò, a coste che ne coprono l’intero corpo che tende a volte ad assumere forme poligonali ad angoli molto smussati. I manici sono ora quasi esclusivamente in argento isolato con inserti d’avorio e i pomelli si arricchiscono con riproduzioni di fiori e altri motivi naturalistici. Nel primo decennio del XIX secolo, le caffettiere divennero più panciute, più basse e tozze somiglianti sempre più a delle teiere, mentre qualche decennio dopo, intorno al 1870, la forma piriforme tende alquanto a snellirsi diventando a volte cilindrica e si osserva un revival della forma a “tamburo”. Esemplificativo in proposito è il dipinto Un dopo pranzo di Silvestro Lega, del 1868, custodito presso la Pinacoteca di Brera di Milano, che presenta su un vassoio un’analoga suppellettile51.

Nell’Ottocento, i maestri argentieri forgiarono, nuovi tipi di posate per servire, ancora palette per i dolci, mestoli, schiumarole, pinze e gli utensili per preparare e servire il pesce (Fig. 3). La produzione fu industrializzata, concentrandosi, ad esempio in Inghilterra, a Sheffield ed eclissando così i fabbricanti di posate di Londra52. In questo periodo i servizi assunsero notevoli proporzioni essendo arricchiti da coltelli e forchette di dimensioni diverse per i vari usi.

Dalla metà dell’Ottocento, un ruolo primario per la diffusione delle nuove tendenza eclettiche venne svolto dalle grandi Esposizioni nazionali e internazionali, eventi che contribuirono, insieme ai commerci sempre più serrati, alla diffusione della culture inglese e francese, che divennero simboli da imitare soprattutto da parte delle famiglie benestanti53. A partire dal 1890 le caffettiere osserveranno un revival del cosiddetto stile Qeen Anne, riproduzioni di modelli neoclassici a vaso. Il gusto per il revival fu certamente incoraggiato dalla formazione e ristampa di cataloghi e repertori di immagini destinati agli studenti degli istituti professionali, agli addetti ai lavori e agli appassionati d’arte, che fornivano utili strumenti per lo studio e il riconoscimento degli stili elaborati dalle diverse scuole nel corso dei secoli. A livello nazionale si venne a costituire un orientamento generale di stampo storicista; sul piano regionale, invece, si registrarono importanti differenze dovute al sostrato culturale presente in ciascun territorio. I vari centri artistici e culturali della penisola fecero riferimento a diversi periodi storici, scelti in base alle proprie tradizioni locali.

Anche in Sicilia e in particolare a Palermo, vennero organizzate delle Mostre, in relazione a queste si ricordano i periodici editi in occasione della mostra Etnografica siciliana del 1892, Palermo e l’Esposizione Nazionale dal 1891-92 e L’Esposizione Nazionale di Palermo 1891-9254, di cui si ricorda l’allestimento dedicato agli oggetti di uso domestico, che vide esposti disegni relativi a una varietà di manufatti che andarono dai coltelli, ai bicchieri, ai cucchiai da cucina e da tavola55, e mise in evidenza l’importanza che tale evento ebbe nell’economia dell’Isola56. È noto, infatti, quanto tali manifestazioni siano state occasione per gli artigiani locali di farsi conoscere anche al di fuori dell’ambito regionale. Si ricordi, ad esempio, che Francesco Fecarotta nel 1843 realizzò un ostensorio dorato dalle grandi dimensioni esposto poi alla mostra regionale di Belle Arti di Palermo e alla Nazionale di Milano57. Antonio Fecarotta, figlio di Giovanni, nel 1846 partecipò all’Esposizione d’Incoraggiamento e, insieme al fratello Nicolò, all’Esposizione Nazionale di Firenze del 186158 e ancora all’Esposizione del ’9159. Anche Raffaele esponeva alle mostre d’Incoraggiamento del 183660 e del 1844 con manufatti di oreficeria, ma nel 1877 si mise in proprio realizzando opere per prestigiosi committenti come la famiglia Florio61. Nel 1891 partecipò alla citata Esposizione Nazionale di Palermo, come espositore e in qualità di segretario della Commissione Ordinatrice della VIII sezione, Lavori in metalli fini, in leghe e in metalli finti62, e nel 1902 alla “Mostra Regionale Agricola di Palermo” ricevette una medaglia d’oro63. Ma alla divisione VIII dell’Esposizione parteciparono ancora altri argentieri siciliani, si ricordano: il catanese Francesco Bianco Motta e il palermitano Girolamo La Villa con lavori di argenteria e oreficeria64.

Lo stile neorinascimentale trovò ampia diffusione soprattutto nelle manifatture attive in Toscana, Emilia Romagna, Abruzzo e Marche, ovvero nelle regioni che vantavano una prestigiosa tradizione artistica rinascimentale e che vissero il proprio apogeo politico, culturale ed economico nel corso del XV e XVI secolo. La produzione di manufatti d’argento dell’Italia meridionale, rappresentata in particolare dalle diverse manifatture prevalentemente siciliane e napoletane, si discostò dalla tendenza storicista fin qui analizzata per preferire scelte di stampo verista e naturalista. Le ragioni vanno ricercate nelle differenze culturali e politiche createsi tra le due aree del paese: se, infatti, la riscoperta delle radici culturali e delle gloriose tradizioni artistiche italiane erano dettate dal desiderio di affermare l’identità nazionale attraverso la condivisione di un passato comune, gli abitanti del Sud, sentendosi meno coinvolti nel programma nazionale e avendo subito ripercussioni negative in seguito all’annessione al nuovo Regno d’Italia, si allontanarono dalle scelte revivalistiche neorinascimentali per cercare ispirazione nella cultura popolare locale e nella natura, che fornì un ampio campionario di soggetti floreali, animali e marini da applicare con grande fantasia e libertà a oggetti d’uso e d’arredo. Chiaro esempio di orientamento revivalistico di come le diverse maestranze, sebbene differenziandosi per sfumature interpretative individuali degli artefici, si rifacessero tuttavia in modo uniforme ai modelli maggiormente diffusi nel periodo, è una Coppia di candelabri a tre luci, di cui è pervenuto anche il disegno facente parte di un catalogo, di proprietà della famiglia Lo Cicero65. Il catalogo, interamente realizzato a matita su carta, venne commissionato dallo stesso autore dell’opera Peppino Formusa ad un ignoto professore dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, che con maestria di effetti coloristici e chiaroscurali riuscì a documentare la produzione argentiera di quegli anni (Fig. 4). Le opere realizzate da Pietro Formusa66 proposero il revival di uno stile prettamente settecentesco, mostrando una superficie fortemente sbalzata che ricorda la linea mistilinea dei vassoi in voga alla metà del Settecento così come le caffettiere e le teiere caratterizzate dalla presenza di costolature orizzontali e le decorazioni fitomorfe. Le opere risultano inoltre citate in un Inventario degli oggetti del Palazzo Arcivescovile di Monreale, 11 feb. 1961, custodito presso l’Archivio Storico di deposito dell’Arcidiocesi di Monreale dal quale è emerso siano stati commissionato da S. E. Corrado Mingo, arcivescovo di Monreale.

  1. A. Grabar, Opere bizantine, in Il tesoro di S. Marco: il tesoro e il museo, a cura di H.R. Hahnloser, Firenze 1971, p. 70. []
  2. Cfr. E. Battisti, Storia dell’artigianato europeo, Milano 1983. []
  3. Nelle grandi famiglie nobiliari gli incaricati alla preparazione degli alimenti erano uomini e spesso anche di alta estrazione sociale, almeno sino alla prima età moderna. Gli avvelenamenti erano, infatti, molto temuti. Significativamente in Italia, tanto il mobile dove si appoggiavano cibi freddi e piatti, quanto la ritualità di servirli avevano il nome di “credenza”, derivato dal latino, credo, ovvero dare fiducia. Per ulteriori approfondimenti sulla condizione economica e organizzativa della vita familiare in Europa e in particolar modo in Italia cfr. Storia della famiglia in Europa. Dal Cinquecento alla Rivoluzione francese, a cura di M. Barbagli – D.I. Kertzer, Roma-Bari 2002, p. 9. []
  4. C. Benporat, Storia della gastronomia italiana, Milano 1990, p. 50. []
  5. F.J. Noel – P. Figlio, in Dizionario delle invenzioni, origine e scoperte, relative ad arti, scienze, geografia, storia, agricoltura, commercio che indica le epoche dello stabilimento dei popoli, delle religioni delle sette, leggi e dignità; l’origine delle costumanze e delle mode, degli usi, delle monete, ecc: ugualmente che le date delle invenzioni utili e scoperte importanti fatte sino al presente, (trad. it. A. Orvieto), Livorno 1850, ad vocem Cucchiaj e forchette, p. 135; F. Braudel, Capitalismo e civiltà materiale, Torino 1977. []
  6. Archivio di Stato di Palermo (da ora in poi ASPa), Notai defunti, Chiarella Giovanni Antonio, V Stanza, n. 2 vol. 14, c. 908 r. e v. 24 febbraio XIV Ind. 1631. []
  7. Ibidem. []
  8. Ibidem. []
  9. British Museum, Guide to medieval antiquities, Londra 1924, p. 223. []
  10. B. Cellini, Vita di Benvenuto Cellini orefice e scultore fiorentino da lui medesimo scritta, nella quale molte curiose particolarità̀ si toccano appartenenti alle arti ed all’istoria del suo tempo, tratta da un ottimo manoscritto, Colonia 1728, pp. 227–228. []
  11. Cfr. G. Ferrario, Abiti e costumanze, in Costume antico e moderno e storia del governo della milizia, della religione, delle arti, scienze ed usanze di tutti i popoli antichi e moderni. Provata con monumenti dell’antichità e rappresentata cogli analoghi disegni del Dottor Giulio Ferrario, vol. VII, Firenze MDCCCXXX, p. 164. []
  12. Cfr. Storia …, 2002, pp. 17-18. []
  13. M.C. Di Natale – R. Vadalà, Il tesoro di Sant’Anna nel Museo del Castello dei Ventimiglia a Castelbuono, appendice documentaria di R.F. Margiotta, Palermo 2010, p. 96. []
  14. Nell’Inghilterra del Settecento il tè era una bevanda diffusa a tal punto da divenire presto simbolo di nazionalità e nobiltà. Per ulteriori approfondimenti cfr. A. Dumas, Grande Dizionario di cucina, Como – Pavia 2002, pp. 476-477. []
  15. A. Di Bennet – K. Weinberg – Bonnie, I mondi della caffeina tra storie e culture. Tè, caffè, cioccolata, Roma 2001, pp. 167-170; A. Dumas, Grande dizionario…, 2002, pp. 476-477. []
  16. Per la caffettiera: https://collections.vam.ac.uk/item/O78577/coffee-pot-unknown/; Londra Victoria and Albert Museum, n. inv. M 389-1921. []
  17. A. De Candole, The origin of cultivated plants, Cambridge 2011, pp. 327-328. []
  18. Per ulteriori notizie sulle suppellettili palermitane giunte nell’Alto Lario occidentale cfr. R. Pellegrini, Di alcune suppellettili d’argento donate dagli emigrati, in “Quaderni della Biblioteca del Conventi francescano di Dongo”, n. 70, dicembre 2013, pp. 60-61. []
  19. Ibidem. []
  20. https://collections.vam.ac.uk/item/O91877/table-ornament-juvarra-sebastian/ []
  21. I documenti fotografici, testimonianza dell’instancabile studio dell’Accascina, proprietà della BCRS, sono recentemente stati digitalizzati dall’Osservatorio per le Arti decorative intitolato a “Maria Accascina” diretto da M.C. Di Natale, alla sezione Fondo Accascina, database argenti, a cura di M.L. Celona, n. inv. 105.1.C.0007; 105.1.C.0008, visibili al link: https://www.unipa.it/oadi/index.php?option=com_content&task=view&id=506&Itemid=272. []
  22. M. Accascina, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974, p. 331, p. 335 (figg. 217, 218), pp. 336, 337 (fig. 220). []
  23. M. Accascina, Oreficeria di Sicilia…,1974, p. 331, p. 335 (figg. 217, 218), pp. 336, 337 (fig. 220). []
  24. La maggior parte dei disegni di Filippo Juvarra sono raccolti in album conservati in musei e biblioteche italiani ed esteri quali Chatsworth, Dresda, Londra, presso il Victoria and Albert Museum, New York al Metropolitan Museum, Parigi, presso la Bibliothèque Nationale de France, Venezia, Città del Vaticano presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, Vienna alla Graphische Sammlung Albertina; altri disegni sono conservati in fogli sciolti a Madrid presso la Biblioteca Nacional de España, Berlino alla Kunstbibliothek e Stoccolma. Nel 2010 ha, inoltre, preso avvio nel una collaborazione tra la Facoltà di Lettere dell’Università di Torino con lo studioso Giuseppe Dardanello e l’Accademia delle Scienze di Torino in particolar modo dedicata alla sezione sui disegni del Juvarra, cfr. https://www.palazzomadamatorino.it/pagina3.php?id_pagina=649. Palazzo Madama possiede, infatti, quattro album con legatura settecentesca in pelle con fregi d’oro, che compaiono nell’inventario del 1764 dell’Archivio particolare di Carlo Emanuele III di Savoia. Cfr. Filippo Juvarra (1678-1736). Architetto dei Savoia, architetto in Europa, in Convegno di studi (13 – 16 novembre 2011, Palazzo Madama, Reggia di Venaria, Castello di Rivoli, Torino), a cura di P. Cornaglia, A. Merlotti, C. Roggero, Roma 2014. []
  25. Supra, nota 21, nn. inv. 105.7.A.00084, 110.8.A.000102. []
  26. Cfr. L. Bertolino, Indice degli orafi e degli argentieri di Palermo, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della Mostra (Trapani, Museo Regionale “A. Pepoli”, 1 luglio – 30 ottobre 1989) a cura di M.C. Di Natale, Milano 19891989, pp. 399-340. []
  27. S. Barraja, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo dal XVII secolo ad aggi, saggio introduttivo di M.C. Di Natale, Palermo 1996, p. 69. []
  28. S. Barraja, I marchi …, 1996, p. 36. []
  29. S. Barraja, I marchi …, 1996, p. 78. []
  30. M.C. Di Natale, scheda II, 224, in Ori e argenti…, 1989, pp. 339-340. []
  31. L. Sciortino, Monreale: il Sacro e l’Arte la committenza degli arcivescovi, Palermo 2011, p. 143. []
  32. S. Malaguzzi, Il cibo e la tavola, in Dizionari dell’Arte, collana a cura di S. Zuffi, Milano 2006, p. 369. []
  33. M.C. Di Natale, scheda II, 247, in Ori e argenti…, 1989, p. 352. []
  34. Per ulteriori approfondimenti sulla dimensione storico sociale siciliana degli inizi dell’Ottocento cfr. A. Torrisi, Tra Settecento e Ottocento: la Sicilia del 1812, in Sicilia 1812. Laboratorio costituzionale la società la cultura le arti, catalogo della Mostra, (Palermo, Palazzo Reale 26 maggio – 31 dicembre 2012) a cura di M. Andaloro – G. Tomasello, Palermo 2012, pp. 24-41. []
  35. G.C. Argan, Il concetto di revival, in Il neogotico nel XIX e XX secolo, vol. 1, Atti del convegno Il neogotico in Europa nei secoli XIX e XX (Pavia, 25-28 settembre 1985) a cura di R. Bossaglia e V. Terraroli, Milano 1989, p. 27. []
  36. Cfr. T. Lucchetti, Corredi da cucina e da mensa: l’arte di apparecchiare, in Sicilia…, 2012, pp. 89-91. []
  37. Ibidem. []
  38. S. Barraja, Spigolature d’archivio per gli argenti sacri e profani tra tardo barocco e rococò, in Argenti…, 2008, p. 643. []
  39. Per l’inedito documento cfr. Archivio Storico-Gentilizio, Famiglia Lanza-Filangeri, Palazzo Mirto, b. 1768, c. 21 ss., a 1803-1835, Nota di tutta quella robba che si trova esistente nello riposto di Sua Eccellenza Signor Principe Conte di San Marco Grande di Spagna a maestro Giuseppe Favata Ripostiero consegnata (fasc. 3); M.L. Celona, L’argenteria laica in Sicilia nei secoli XVIII e XIX, tesi del Dottorato di ricerca – ciclo XXV in analisi, rappresentazione e pianificazione delle risorse territoriali, urbane e storiche -architettoniche e artistiche architettura, indirizzo “arte, storia e conservazione in Sicilia”, Coordinatore Prof. F. Lo Piccolo, Tutor Prof.ssa M.C. Di Natale, A.A. 2012-2015, Università degli Studi di Palermo. []
  40. Archivio Storico-Gentilizio, Famiglia Lanza – Filangeri, Palazzo Mirto, b. 1768, c. 21 ss., a 1803-1835, Inventario di tutti l’arnesi di cocina dell’eccellentissimo signor Conte di San Marco consegnato a maestro Vincenzo di Trapani, cc. 25r – 27r.; M.L. Celona, L’argenteria laica…, 2015. []
  41. Per approfondire il problema della diffusione del gusto orientalista nell’architettura e nella pittura ottocentesca italiana si rimanda a: Gli orientalisti italiani. Cento anni di esotismo 1830-1940, (Torino, Palazzina di Caccia, 13 settembre 1998 – 6 gennaio 1999), catalogo della Mostra a cura di R. Bossaglia, Venezia 1998; L’orientalismo nell’architettura italiana tra Ottocento e Novecento, atti del Convegno Internazionale di Studi (Viareggio 23-25 ottobre 1997) a cura di M.A. Giusti, E. Godoli, Siena 1999; O. Selvafolta, L’orientalismo nel gusto decorativo eclettico: uno sguardo all’Italia della seconda metà dell’Ottocento, in Architettura dell’eclettismo. La dimensione mondiale, a cura di L. Mozzoni – S. Santini, Napoli 2006, pp. 443-474; M. Fochessati, Orientalismi a confronto, in L’Ottocento elegante. Arte in Italia nel segno di Fortuna 1860-1890, (Rovigo, Palazzo Roverella, 29 gennaio – 12 giugno), catalogo della Mostra a cura di F. Cagianelli – D. Matteoni, Cinisello Balsamo 2011, pp. 78-85. []
  42. J. Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, introduzione di K. Clark, Varese 2007, p. 373, ad vocem. []
  43. Cfr. Odiot L’orfèvre 3 siècle d’Histoire d’Arte e de creations, a cura di J.M. Pinçon, U. Gaube di Gers, Parigi 1990, tav. 72, p. 39. []
  44. S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 84. []
  45. S. Barraja, I marchi…, 1996, pp. 53-57. []
  46. S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 56. []
  47. S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 83. []
  48. L. Ajovalasit, scheda II, 250, in Ori e argenti…, 1989, p. 353. []
  49. S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 84. []
  50. S. Barraja, I marchi…,1996, pp. 53-59. []
  51. Cfr. S. Bietoletti, I macchiaioli: la storia, gli artisti, le opere, Milano 2001, p. 174. []
  52. E. Battisti, Storia …, 1983, p. 157. []
  53. N. Squicciarino, La greatexibition del 1851: una svolta epocale nella comunicazione, Roma 2014, pp. 61-64. []
  54. D’all’artigianato all’industria. L’esposizione nazionale di Palermo del 1891-1892, a cura di M. Ganci – M. Giuffré, Palermo 1994. []
  55. J. Vibaek, La mostra etnografica, in “Nuove Effemeridi. Rassegna trimestrale di cultura”, a. IV, n. 16, Palermo 1991, p. 92. []
  56. D. Malignaggi, L’Arte siciliana all’Esposizione Nazionale del 1891-’92, in La presenza della Sicilia nella cultura degli ultimi cento anni, Palermo 1977, pp. 749-757. []
  57. Catalogo dei saggi de’ prodotti d’industria nazionale presentati nella solenne esposizione fatta dal R. Istituto d’Incoraggiamento d’Agricoltura d’Arte e Manifatture per la Sicilia nel dì 30 maggio 1834 giorno onomastico di S. M. Ferdinando Secondo Re di Sicilia, Palermo 1847, pp. 9, 20; P. Palazzotto, in Enciclopedia della Sicilia, a cura di C. Napoleone, Parma 2006, p. 393, ad vocem. Per la famiglia Fecarotta cfr. P. Palazzotto, in Arti decorative in Sicilia. Dizionario biografico, a cura di M.C. Di Natale, vol. I, Palermo 2014, ad vocem. []
  58. M.L. Celona, Fabbriche di argenteria degli inizi dell’Ottocento: i Contino e i Fecarotta negli appunti Accascina, in “OADI. Rivista per l’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, n. 8, dicembre 2013. []
  59. Esposizione Nazionale, Palermo, 1891-1892, Catalogo generale, a cura dell’Accademia Nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Palermo già del Buon Gusto, presentazione di G. La Grutta, introduzione R. Giuffrida, Palermo 1991, p. 256. []
  60. Catalogo dei saggi …, 1836, p. 22. []
  61. Per i rapporti tra i Florio e i Fecarotta si veda R. Vadalà, L’età di Franca Florio. Donne e gioielli a Palermo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, in Gioielli in Italia. Donne e Ori. Storia, arte e passione, atti del convegno di studi a cura di L. Lenti, Venezia 2003, pp. 111-124. []
  62. Cfr. F. Grasso, Le arti figurative dell’esposizione Nazionale di Palermo 1891-1892, in Dall’artigianato all’industria. L’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-1892, a cura di M. Ganci – M. Giuffrè, Palermo 1994; Catalogo dei saggi de’ prodotti d’industria nazionale presentati nella solenne esposizione fatta dal R. Istituto d’Incoraggiamento d’Agricoltura d’Arte e Manifatture per la Sicilia nel dì 30 maggio 1834 giorno onomastico di S. M. Ferdinando Secondo Re di Sicilia, Palermo 1847, p. 23; Esposizione Nazionale, Palermo, Palermo, 1891-1892, Catalogo generale, Palermo 1991, p. 256. []
  63. Cfr. Bontempelli & Trevisani. Rivista Industriale, Commerciale e Agricola della Sicilia, Milano 1903, p. 141. []
  64. Esposizione Nazionale…,1991, pp. 256 – 258. []
  65. M.L. Celona, Gli argenti Formusa, in “OADI…”, n. 3, 2011. []
  66. S. Barraja, I marchi …, 1996, p. 121. []