Rita Pellegrini

ritapellegrini@alice.it

Suppellettili sacre palermitane donate dagli emigrati all’antica pieve di Sorico (CO)

DOI: 10.7431/RIV19062019

La pieve di Sorico era un’entità ecclesiastico-geografica posta nella zona dell’Alto Lario Occidentale, in quel lembo della provincia di Como che confina con quella di Sondrio e che anticamente fu strategico per i traffici commerciali verso Nord. Il paese capo-pieve, quello nel quale si trovava la chiesa battesimale di riferimento, è Sorico, posto lungo le rive del Lario, così come Gera, altra località della pieve. Vi sono poi alcuni paesi di mezzacosta: Trezzone, Montemezzo e Bugiallo. Sono questi i centri principali: tutti comuni, a parte Bugiallo, e tutti parrocchie, almeno in un tratto della loro storia, a parte Sorico, chiesa collegiata1.

L’emigrazione storica verso Palermo da queste località si sviluppò soprattutto dal pieno Cinquecento al Settecento e interessò specialmente i paesi di collina, meno quelli costieri2.

Il differente trend emigratorio seicentesco dei paesi costieri rispetto a quelli di mezza costa si desume da una tavola allegata alla visita effettuata alla pieve nel 1643 dal vescovo Lazzaro Carafino. Nei due paesi della piana, Sorico e Gera, si registravano rispettivamente 9 e 10 assenti su 303 e 425 abitanti (percentuali del 2,9% e del 2,4%). Per le località in quota la situazione era invece la seguente: Montemezzo 55/316 (17,4%), Bugiallo 14/110 (12,7%), Trezzone 45/259 (17,4%)3.

Il “segno” più eloquente dell’emigrazione a Palermo da questi centri era (ed è) la presenza in alcuni di essi di reliquie di S. Rosalia. A Montemezzo la reliquia era pervenuta nel 1632 e, in occasione della ricognizione presso la curia di Como, il suo latore aveva affermato di averla portata con sé durante il viaggio da Palermo nella tasca destra dei calzoni «dove l’ho sempre tenuta con particolar diligenza e divotione»4. Il reliquiario d’argento risale al 1642. A Trezzone, ove in occasione della festa della Santuzza si teneva una processione5, ed ove ancor oggi si celebra il 4 settembre, in un inventario del 1669 si registrava la presenza di «un reliquiario picciolo d’argento con il piede di l’ottone dorato con dentro un ossetto si dice di S. Rosalia»6. Ove quel “si dice” trovava le proprie ragioni nel fatto che l’anno precedente il vescovo Torriani aveva decretato in visita pastorale che «la reliquia di S. Rosalea in altre visite sospesa si riponesse sotto l’altare, overo in altro luogo decente, e sicuro senza esporla mai, sin che non si trovi come venuta, da chi donata, riconosciuta, ed approvata»7. La reliquia dovette essere accettata in quanto nel 1731 si registrava fra i beni della chiesa un reliquiario d’argento di S. Rosalia «ad instar ostensorii»8, di cui oggi non si ha però contezza. Molto interessante poi il caso di Gera, ove, in occasione della visita pastorale, il 14 ottobre 1668 fu interrogato un testimone al fine di condurre a termine una ricognizione sulla reliquia di S. Rosalia in dotazione alla chiesa. Emerse che essa era stata portata in patria dal gerese Giuseppe Conti, già emigrato a Palermo. Il testimone Andrea Giulini fu Ludovico affermò che «ogn’anno il giorno della festa di detta santa si porta dalla parrocchiale alla chiesa dell’Assunta, SS. Carlo, e Rosalea9, dove si mette in mezzo la chiesa sopra un tavolino, uno che si è detta la messa cantata, e poi si riporta alla parrocchiale e ciò con il baldachino, con le scole, lumi, e popolo assai»10. A quell’epoca la reliquia gerese era contenuta «in vaso ligneo picto, et deaurato ad modum radii compacto, et vitro tecto»11, oggi non più esistente.

In generale la dotazione in suppellettili d’argento nelle chiese di questi paesi crebbe con il fenomeno dell’emigrazione a Palermo e trovò il proprio culmine tra la fine del XVII e la prima metà del XVIII secolo. Ciò fu riconosciuto per iscritto dal vescovo Neuroni, in visita alla parrocchia di Trezzone il 31 maggio 1756, quando lodò lo zelo con cui la compagnia di Palermo aveva fornito di argenti la chiesa12.

In effetti è noto da tempo il fenomeno per cui gli emigrati a Palermo dai paesi dell’Alto Lario Occidentale, riuniti in Scholae intitolate al Santo della parrocchia del paese di origine, usavano inviare suppellettili sacre preziose alla chiesa locale13, tanto che di una piccola parrocchia come quella di Montemezzo, agli atti della visita pastorale Ninguarda del 1593, si annotava che «di Palermo ricevono molta elemosina mandata da quelle persone habitano ivi sicome anco d’Ancona che perciò causa la chiesa essere ben fornita de paramenti, et d’altre cose»14.

Uno dei reliquiari seicenteschi di S. Rosalia di fabbricazione palermitana conservati in Alto Lario si trova in pieve di Sorico15 (Fig. 1). Piede e fusto sono in ottone, mentre il ricettacolo è in argento e risulta tripunzonato sul coperchio della teca (contenente la reliquia donata al paese nel 1632), con l’aquila palermitana a volo basso, il marchio del console degli argentieri del 1642 Rocco de Arrigo (RAC)16 e il bollo dell’argentiere Francesco Antonio Parisi (FAP), attivo dal 1631 al 166017 (Fig. 2).

Intorno alla teca ovale si sviluppa una corona decorativa di tipo floreale alternata a quattro testine di cherubino. Permangono vive tracce di colore rosso su quattro rose angolari, mentre si intravvedono residui di cromia su altre parti del ricettacolo, in particolare di colore verde sulle foglie adiacenti alle rose. In sommità, una figurina di S. Rosalia è affiancata da due angioletti che recano i suoi attributi iconografici.

Il gusto floreale dell’opera si inserisce nelle tendenze dell’epoca18 e la costruzione dell’oggetto, con la Santuzza in apice, rammenta altri esemplari di reliquiario dello stesso periodo19.

Negli inventari ufficiali della chiesa, il manufatto viene citato per la prima volta nel 1666: «un reliquiario dove sono poste delle reliquie di S.ta Rosalia d’argento con il piede di lattone sordorato libra una et onze dieci»20. Nei decreti della visita pastorale del 1668, il vescovo Ambrogio Torriani ordinò di trasportarlo per la conservazione nella finestrella in cui si teneva al momento l’olio santo, dopo averla foderata di rosso21.

Nel paese si celebrava la festa di S. Rosalia, come testimoniato agli atti della visita pastorale del 176322.

Qualche anno fa venne casualmente rinvenuta nei depositi una grande lampada in argento23 (Fig. 3), purtroppo mutila in alcune parti. Mancavano infatti la catena e il pendaglio. La prima venne commissionata al cesellatore comasco Elio Ponti, il quale la riprodusse sul modello di alcuni esemplari presenti sul territorio. Inoltre, secondo la testimonianza di un ex parroco, in passato al manufatto sarebbero state appese almeno altre tre lampade più piccole, secondo un modello analogo a quello di un esemplare romano (sempre dono di emigranti), custodito a Civo in Valtellina (SO)24.

In generale, la lampada in argento come dono degli emigranti alle chiese locali dell’Insubria e della Rezia è ben documentata per i secoli XVII e XVIII25. Quella qui considerata si colloca fra gli esemplari aventi notevoli dimensioni, avendo una circonferenza pari a 116 cm, caratteristica che già nell’inventario dei beni mobili della chiesa del 1666 fece sì che venisse segnalata come «una lampada grande d’argento de libre grosse quatro, e mezza»26.

La lampada è punzonata in più punti con i marchi dell’oreficeria palermitana: l’aquila, simbolo della città di Palermo, e la sigla FICC, relativa al console degli argentieri dell’anno 1652, Filippo Cremona27. Reca anche il marchio del fabbricante e cioè la sigla GM seguita da un giglio in orizzontale. Identici marchi si ritrovano su una coppia di candelieri del santuario dell’Annunziata di Trapani, donati da don Giovanni d’Austria28. L’argentiere è Giuseppe Montalbano, attivo tra 1615 e 166329.

La coppa è eseguita a sbalzo, cesello e traforo, ornata con motivi volutiformi, e vi sono inserite tre testine di cherubino di fusione (Fig. 4) destinate all’applicazione delle catene di sospensione. Un’iscrizione apposta sopra di esse allude ai rettori gio batta carracciolo et bernardino carracciolo, nomi dei due emigrati preposti alla Scuola di S. Martino, la congregazione palermitana in cui erano riuniti i latori del dono. Tre medaglioni decorativi si alternano sulla tazza della lampada, incisi, con tratto peraltro abbastanza elementare, in ottemperanza a un’iconografia evocante quella della chiesa di appartenenza dell’oggetto. Su una specchiatura è raffigurato S. Martino, patrono della comunità, che condivide il mantello con il povero e si può leggere l’iscrizione scola di palermo. Un altro medaglione rappresenta le anime del Purgatorio (con la data 1652), con un chiaro richiamo alla decorazione cinquecentesca del presbiterio della chiesa. L’ultima raffigurazione è quella della Madonna del Rosario, la quale porge la corona a S. Domenico, inginocchiato ai suoi piedi insieme a un altro frate domenicano (Fig. 5). Quest’ultimo è genericamente connotato con un libro, ma un’ipotesi plausibile è che possa identificarsi con S. Giacinto Odrovaz, raffigurato nella cappella della Madonna del Rosario della chiesa locale, cappella fatta erigere nel 1611 dalla compagnia di Palermo.

Il cappelletto che raccorda le catene è cesellato con decorazioni fitomorfe e volutiformi che riprendono i motivi del bordo coppa.

Risale al 1655 un mestolo battesimale in argento30 (Fig. 6) con i marchi della città di Palermo e del console degli argentieri Vincenzo Pantano (VPC)31, che, in mancanza di un punzone specifico dell’argentiere, potrebbe coincidere con l’autore dell’opera32. La coppa, con beccuccio cuoriforme, è bordata da scrimolo con incisioni circolari concentriche ed è ornata nella parte concava da incisioni fitomorfe e volutiformi. Sul bordo esterno è presente un’iscrizione che rimanda al dono da parte della confraternita palermitana: [   ]ani caragolo bernardino caracio returi di la scola panormi. La prima parte dell’iscrizione non è leggibile a causa di una maldestra saldatura del manico, il quale presenta analogie con quello di un mestolo palermitano del 1748 appartenente a collezione privata33. Il manufatto è elencato per la prima volta nell’inventario dei beni della chiesa stilato nel 1666: «una cazza d’argento per il fonte baptismale»34.

Fra le suppellettili sacre della pieve di Sorico provenienti da Palermo vi sono anche un turibolo e una navicella d’argento recanti tre punzoni che consentono di datarli al 1687, anno in cui era console degli argentieri Vincenzo di Napoli (VDNC87). Le iniziali dell’argentiere risultano dalla sigla FM che, secondo Maria Accascina, corrisponde a quella di Francesco Mangini, autore nel 1705 del paliotto in argento del duomo di Enna35. In base ai repertori ad ora redatti però, più di un argentiere potrebbe essere plausibilmente candidato ad autore del manufatto36. Il marchio FM si ritrova anche sul sottocoppa di un calice del Tesoro della Cattedrale di Palermo37.

Su un’ampia coppa vasiforme baccellata, il turibolo (Fig. 7) presenta un coperchio troncoconico, cupoliforme nella parte superiore. È lavorato a sbalzo, a cesello e a traforo, con elementi architettonici semplici costituiti da sei colonnette e da due modanature, una a trecce e una a rombi. La catena, formata da maglie a filo doppio tòrte, si raccorda a un cappelletto cesellato e inciso.

Analogie nei moduli decorativi adottati si riscontrano con un turibolo messinese di Pietro Provenzano, opera della seconda metà del XVII secolo custodita a Lipari nella chiesa di S. Pietro38.

La navicella coordinata (Fig. 8) ha un piede circolare rialzato che presenta esternamente un giro a fogliette ed è decorato con motivi a volute e acantomorfi. Una vera di raccordo lo separa da un breve fusto con internodo e nodo ellissoidali lavorati a bulino. Un anello concavo collega il fusto alla coppa baccellata portaincenso, che si apre superiormente con due valve unite da cerniere a una piastra centrale, ornata da una lamina traforata con incisioni volutiformi e vegetali. Su una valva è incisa una Madonna del Rosario di iconografia “mista”, presentando anche le caratteristiche di una Immacolata; sull’altra la Sacra Famiglia (Fig. 9). I manici laterali della navicella sono conformati a testa di draghetto. Il manufatto presenta analogie di impostazione con una navicella settecentesca del Museo del castello dei Ventimiglia di Castelbuono39. Le teste di draghetto agli apici della navicella costituiscono un motivo caratteristico presente anche in altri esemplari40.

Nel XVII secolo il presbiterio della chiesa di S. Maria delle Grazie di Trezzone subì alcuni lavori di rimodellamento. In particolare nel 1650 l’affresco quattrocentesco della Vergine che ornava l’altare maggiore fu collocato sulla parete sinistra della chiesa, come da iscrizione commemorativa parzialmente leggibile: Figura deiparae M. V. sup.a alt.e maiori depicta an.o 1484 huc traslata an.o 1650 octo immag.es S. Sebast.ni depictae erant in eadem ecc.a Opus exornatum devot.ne […]. Pesantemente rimaneggiato, a fine secolo l’affresco venne insignito di maggior rispetto mediante l’incoronazione di Maria con un diadema in argento dorato di fabbricazione palermitana (Fig. 10) che ha impressi il punzone dell’aquila di Palermo e il marchio consolare F.B.99, corrispondente a quello di Francesco Bracco, console dal 26 giugno 1699 al primo agosto 170041. Su un sobrio arco basale ornato da losanghette e ovoli alternati, si sviluppa un più ricco fastigio, decorato, secondo i gusti dell’epoca42, con volutiformi intrecci floreali alternati a testine di cherubino. Vi è da aggiungere che l’affresco (Fig. 11), accanto al quale sono appesi alcuni ex voto, è stato anche ornato con collane in corallo, secondo una prassi radicata sul territorio e praticata sia con statue che con effigi dipinte della Vergine. Il corallo veniva portato in patria dagli emigrati in Sicilia e utilizzato come componente del costume tradizionale della zona43.

Nella chiesa di Trezzone si conserva un calice in rame dorato e argentato44 (Fig. 12), sotto il cui piede è presente un’iscrizione parzialmente consunta che ne indica una generica provenienza dal Regno di Sicilia: opera fatta in regno siciliae [     ] an[  ] d. scol. s. m. de la gr.a dila cõi ter. part. lomb. civit. mediol. [   ] viscov. come pleb surri. In base all’attestazione che l’opera era stata commissionata da una “schola” di emigrati sotto il titolo della Madonna delle Grazie e sapendo che tali emigrati si recavano a Palermo, è plausibile che il luogo di fabbricazione coincida con tale città.

Il piede esalobato rimanda all’idea del calice cinquecentesco45, ma gli altri elementi del manufatto e il tipo di lavorazione lasciano propendere per una datazione agli inizi del XVII secolo46. Il nodo semiovoidale del fusto è decorato da testine alate di cherubino alternate a grappoli d’uva, motivi ripresi nel sottocoppa, lavorato a cesello e a traforo. Sui lobi del piede sono cesellati l’Immacolata, S. Pietro, S. Rocco, S. Sebastiano, S. Vincenzo e S. Vito e sulla raffigurazione di tali effigi si possono proporre alcune considerazioni. Ai santi Vincenzo e Sebastiano erano dedicati i due altari laterali nella chiesa cinquecentesca del paese a cui il calice appartiene47. In ogni caso, il diacono Vincenzo è uno dei più importanti santi della pieve di Sorico e S. Sebastiano, insieme a S. Rocco, è uno dei santi venerati in tutto il territorio altolariano per le sue virtù taumaturgiche48. S. Vito è invece estraneo alla tradizione iconografica della pieve di Sorico e si può ritenere la sua rappresentazione più legata all’ambito cultuale siciliano, e nello specifico a quello trapanese. Peraltro fu proprio dalla seconda metà del Cinquecento e nei primi decenni del XVII secolo che si registrò un incremento nell’edificazione di chiese a lui dedicate, «in particolar modo nella diocesi di Mazara del Vallo e nel palermitano»49. Si può ritenere che la devozione a tale santo sia giunta a Trezzone attraverso l’emigrazione: negli atti della visita pastorale del 1683, possiamo leggere che in paese erano due le feste di voto: quella di S. Rosalia, che veniva celebrata da tutti, e quella di S. Vito che invece, si specifica, non veniva osservata da tutta la popolazione50. Del resto il riferimento a santi del territorio trapanese nella cultura e nella devozione altolariana, a seguito dell’emigrazione in Sicilia, è già noto51. A tal proposito è da osservare che, nella stessa chiesa in cui si conserva il calice, è presente una tela raffigurante la Madonna di Trapani, firmata dal trapanese Giuseppe Rodriquez (Ioseph Rodiquez Trapanesi Pingebat) e donata nel 1610 da Giacomo Aureggia, figlio di Guglielmo, di 31 anni. La relazione con Trapani degli emigrati altolariani era viva almeno dagli inizi del XVII secolo, come testimonia il testamento del 12 marzo 1601 di Giacomo Cassera fu Giovanni di Vercana (paese confinante con la pieve di Sorico), il quale, intendendo partire per Palermo e temendo l’eventualità della morte, dispose fra i propri legati di lasciare uno scudo alla fabbrica della chiesa della Madonna di Trapani52.

L’Immacolata è rappresentata con la luna sotto i piedi, secondo moduli seicenteschi53. A parte questo, essa trova le proprie ragioni raffigurative nell’ambito devozionale palermitano: infatti nel 1624, dopo un processo culturale preparatorio, l’Immacolata venne proclamata patrona della città54.

È stato di recente rinvenuto un calice in argento di fattura palermitana (Fig. 13) che va ad aggiungersi al repertorio di quelli noti delle chiese dell’Alto Lario. I marchi permettono di datare l’oggetto al 1713-1714, nel periodo in cui fu console degli argentieri Giuseppe Palumbo (GP713)55, ma sul manufatto non è impresso il punzone dell’argentiere, il che non consente l’attribuzione a uno specifico artefice, a meno di non ammettere che si tratti del console stesso56. Si tratta di un dono elargito alla parrocchia da Bartolomeo Terza e da Cesare Oreggia, come testimoniato da un’iscrizione sotto il piede: + bartolomeo terza cesare oricchia.

È un calice di gusto barocco, il cui piede circolare, con rimandi ancora seicenteschi, si presenta leggermente sagomato e bordato da una cornice esterna perlinata e da una interna a fogliette. La parte più rialzata della base è decorata con motivi tipici del gusto dell’epoca (teste alate di cherubino, festoni, conchiglie), così come il nodo piriforme, raccordato a piede e sottocoppa con doppi anelli strozzati incisi. Sul sottocoppa, ornato in sommità da una guarnizione fitomorfa, si alternano festoni vegetali e testine di cherubino. L’orlo della coppa presenta ancora la doratura originale.

Per questo calice si riscontrano analogie con un esemplare del 1718 appartenente alla chiesa di S. Francesco di Ciminna (PA)57.

Somiglianze nella forma e struttura del sottocoppa si rilevano con un esemplare trapanese del 1711 della Chiesa Madre di Erice58 e con tre palermitani: uno del 1729 custodito in diocesi di Como59, un altro del 1735 presente in Valchiavenna60 e l’ultimo del 1745-1746 del Museo del Castello dei Ventimiglia a Castelbuono61.

Data al 1732-1733 un reliquiario a ostensorio in argento (Fig. 14), punzonato (sia sulla teca e sia sul piede) con l’aquila palermitana e con il marchio del console degli argentieri di Palermo Bartolomeo La Grua (BLG32, attivo dal primo luglio 1732 al 25 giugno 1733)62, contenente la reliquia dei capelli della Vergine63. Si tratta di una tipologia strutturale abbastanza consueta, di cui si trova un analogo, per quanto attiene alla forma del ricettacolo, in un esemplare fabbricato a Palermo nel 1741 e conservato in una parrocchia confinante con la pieve di Sorico64. Sul coperchio posteriore della teca, che non è quello originale, figurano il punzone della città di Palermo e il marchio GIF seguito da una pignetta, che corrisponde alla sigla dell’argentiere Gaspare Infallera, attivo a Palermo tra il 1727 e il 1743, anno della sua morte65.

Il piede del reliquiario, circolare e sagomato, presenta belle cornici vegetali a sbalzo e cesello, entro cui si distinguono testine alate di cherubini, riprese nel nodo piriforme del fusto. Il ricettacolo rococò, con volute acantiformi, motivi fitomorfi e conchiglia centrale, è sormontato da crocetta di avellana.

Secondo l’inventario dei beni della chiesa del 1763, la dotazione della parrocchia era all’epoca di quattro reliquiari in argento e uno in rame argentato e il catalogo delle reliquie comprendeva una reliquia del legno della S. Croce, una reliquia dei capelli della Beata Vergine (quella in oggetto), una reliquia delle SS. Cristina e Rosalia ed altri santi e una reliquia di S. Vincenzo Ferrer66. Attualmente risulta reperibile solo questo reliquiario.

Un altro calice rinvenuto recentemente è quello donato nel 1766 dai fratelli Panizzera figli di Pietro, come testimoniato da un’iscrizione sotto il piede: fratelli ∙ panizzerd ∙ del ∙ qm pro: 1766 ∙ (Fig. 15). La famiglia Panizzera era una di quelle maggiormente in vista nella comunità. Infatti Giuseppe Panizzera, insieme a Guglielmo e a Bartolomeo Triaca, risultava rettore della “Scola Panormi” quando nel XVIII secolo questa donò alla statua mariana un raffinato manto in seta ricamato.

Il piede mistilineo sagomato e gradinato è suddiviso in specchiature da costoloni volutiformi e ornato da motivi fitomorfi. Tali decorazioni si ritrovano anche su fusto e sottocoppa. La coppa è dorata.

Sebbene l’apparato decorativo del calice risponda ai moduli tipici dell’argenteria rococò, si può rilevare un certo ordine compositivo che prelude in qualche modo alla ricerca neoclassica.

I marchi consentono di datare l’oggetto al 1765-1766, nel periodo in cui fu console degli argentieri Gaspare Leone (GL65)67, il cui marchio è impresso sul manufatto. Manca il punzone dell’argentiere.

Il reliquiario dei capelli della Vergine più sopra considerato è formato, come visto, dall’unione di due parti differenti. Simili “composizioni” sono state rilevate in più di una occasione nelle ricognizioni in territorio altolariano: evidentemente si cercava, a seguito dell’usura di parti delle suppellettili, di recuperare sempre quanto possibile. Tale situazione si riscontra anche in un altro reliquiario della stessa parrocchia, quello attualmente adibito all’esposizione di una reliquia di S. Antonio da Padova, contenuta in una capsula ottocentesca68 (Fig. 16). Si tratta di un’opera eterogenea, derivante dall’assemblaggio di parti diverse, nella quale teca e fusto presentano peraltro un’evidente differenza di argentatura.

Il modello è quello del reliquiario a ostensorio. La base dell’oggetto è punzonata con il marchio della città di Palermo e con un bollo del console degli argentieri leggibile solo parzialmente, ma riferibile agli anni Ottanta del XVIII secolo. Il piede mistilineo tripartito, caratterizzato da gradinature, e il fusto a balaustra rientrano nel novero di quel tipo di argenteria siciliana rococò che già presenta alcune istanze neoclassiche69.

Il ricettacolo risulta punzonato solo sul coperchio posteriore della teca, che non è però quello originale. Sono presenti l’aquila palermitana, il marchio del console degli argentieri Giuseppe Morgana (GM80), relativo all’anno di fabbricazione 178070, e la sigla SM che potrebbe corrispondere a un argentiere Salvatore Mercurio71.

La mancanza di punzoni sul ricettacolo vero e proprio pone il problema della sua effettiva provenienza.

L’emigrazione verso Palermo scemò già durante il XVIII secolo, quando gli altolariani iniziarono a scegliere come meta le città del Nord Europa, ma alcune tracce di persistenza si rilevano ancora nel XIX secolo72, sebbene il dono di suppellettili sacre alle chiese in quell’epoca si fece meno consistente. Un esempio lo troviamo in una elegante pisside in argento parzialmente dorato del 180073 (Fig. 17), che presenta il punzone dell’aquila palermitana e il marchio DGC800, relativo al console degli argentieri Giuseppe Ciambra74. Il gusto compositivo è quello che caratterizza gli oggetti a partire dalla fine del XVIII secolo, quando diventa predominante lo stile neoclassico: il piede gradinato assume forme più regolari, sottolineate da bordature dorate che si alternano alle cornici a godroni e perlinate. Il nodo geometrico ben si distingue tra le ordinate modanature della base e della coppa e i sobri festoni.

ABBREVIAZIONI

ASDC = Archivio Storico Diocesano Como

  1. M. Longatti, La Storia, in A. Rovi – M. Longatti, Sorico. Storia di acque, terre, uomini, Menaggio 2005, pp. 36-38. []
  2. R. Pellegrini, Emigrazione dall’Alto Lario Occidentale tra XV e XIX secolo. Dati acquisiti, criticità, prospettive, in Emigrazione lombarda. Una storia da riscoprire, Atti del convegno (Cuggiono, 13-14 novembre 2015) a cura di O. Magni – E. R. Milani – D. Tronelli, Oggiono 2018, p. 77. []
  3. Archivio Storico Diocesano Como (ASDC), Visite Pastorali, 40/3, f. 609. []
  4. R. Pellegrini, Gioielli storici dell’Alto Lario, Como 2009, pp. 43-44. []
  5. ASDC, Visite Pastorali, 69/2, f. 341. []
  6. ASDC, Visite Pastorali, 55/2, f. 373. []
  7. R. Pellegrini, Le sacre suppellettili del convento di S. Maria del Fiume, in Il Campo del Tesoro. Santuario e Convento di Dongo. 400 anni di presenza francescana, Gravedona ed Uniti 2014, p. 225. []
  8. ASDC, Visite Pastorali, 110/1, f. 335. []
  9. La chiesa, consacrata il 17 maggio 1627, era in verità dedicata alla Immacolata. Conteneva due altari dedicati rispettivamente a S. Carlo e a S. Rosalia. Quest’ultimo assunse poi il titolo di SS. Rosalia e Sigismondo. ASDC, Visite pastorali, 110/1, ff. 313-314. Ancora nel 1763 si annotava che «il giorno di S.ta Rosalia si porta processionalmente la sua sagra reliquia alla chiesa filiale dell’Immacolata cantandosi ivi la S.ta Messa, e dopo pranzo cantato li vesperi si riporta processionalmente alla chiesa matrice». ASDC, Visite Pastorali, 149/1, f. 288. []
  10. ASDC, Visite Pastorali, 55/2, ff. 587-588. []
  11. ASDC, Visite Pastorali, 69/2, f. 416. []
  12. «Poiché con nostra grande consolazione abbiamo ritrovato questa chiesa parrochiale tanto rispetto alla struttura quanto alla provisione di sagre suppelletili di calici reliquiarii candiglieri e lampade d’argento assaj ben tenuta, quali sono preziosi istrumenti della compagnia di questi populi abitanti in Palermo che col loro zelo procurano di maggiormente arichire la loro chiesa, altro non ci resta di ricordare senonché di fare una chiave di argento per il santuario […]». ASDC, Visite Pastorali, 140/1, f. 251. []
  13. M. Zecchinelli, Arte e folclore siciliani sui monti dell’Alto Lario nei secoli XVI-XVIII, in “Rivista Archeologica Comense”, 131-132, 1950-51, passim. []
  14. ASDC, Visite Pastorali, 12, 6, f. 55. []
  15. Il reliquiario è nominato in M. Zecchinelli, Arte e folclore, 1951, p. 81. Cfr. anche P. A. Comalini – N. Spelzini, Sulle tracce di antichi “argenti”, dono degli emigrati, in “Altolariana”, 3, 2013, p. 120. []
  16. S. Barraja, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo dal XVII secolo ad oggi, saggio introduttivo di M.C. Di Natale, Palermo 1996, p. 64. []
  17. Indice degli orafi e argentieri di Sicilia, in Ori e Argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della Mostra (Trapani, Museo Regionale Pepoli, 1 luglio – 30 ottobre 1989) a cura di M.C. Di Natale, Milano 1989, p. 403. Il Parisi risulta attivo tra il 1631 e il ’36. Muore nel 1660. S. Barraja, Gli orafi e argentieri di Palermo attraverso i manoscritti della maestranza, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della Mostra (Palermo, Albergo dei Poveri, 10 dicembre 2000 – 30 aprile 2001) a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001, p. 675. Si veda anche S. Barraja, Parisi Francesco Antonio, in Arti decorative in Sicilia. Dizionario Biografico, a cura di M.C. Di Natale, II, Palermo 2014, ad vocem, p. 477. []
  18. G. Gregorietti, Il gioiello nei secoli, Milano 1969, pp. 207-210; P. Venturelli, Gioielli e gioiellieri milanesi. Storia, arte, moda (1450-1630), Milano 1996, pp. 99-100. []
  19. R. Pellegrini, Argenti palermitani del XVII e XVIII secolo in Vachiavenna, in “OADI – Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, 13, giugno 2016, pp. 24-25. []
  20. ASDC, Visite Pastorali, 55/2, f. 91. []
  21. ASDC, Visite Pastorali, 55/2, f. 147. []
  22. ASDC, Visite Pastorali, 149/1, f. 219. []
  23. La lampada è citata da M. Zecchinelli, Arte e folclore…, 1951, p. 81. Cfr. inoltre R. Pellegrini, Di alcune suppellettili d’argento donate dagli emigrati, in “Quaderni della Biblioteca del Convento francescano di Dongo”, 70, 2013, pp. 54-55. []
  24. M. Gnoli Lenzi, Inventario degli oggetti d’arte d’Italia. IX. Provincia di Sondrio, Roma 1938, pp. 92-93. []
  25. O. Zastrow, Capolavori di oreficeria sacra nel Comasco, Como 1984, pp. 179-180; R. Pellegrini, Tra Noc e Sass – Storia della Comunità di Stazzona, Gravedona 2004, pp. 83-84; I tesori degli emigranti, catalogo della Mostra (Sondrio, Sala Ligari della Provincia, 15 marzo – 28 aprile 2002) a cura di G. Scaramellini, Milano 2002, passim. []
  26. ASDC, Visite Pastorali, 55/2, f. 94. []
  27. S. Barraja, I marchi degli argentieri…, 1996, p. 65. []
  28. M. Vitella, Coppia di candelieri, in Il Tesoro Nascosto. Gioie e Argenti per la Madonna di Trapani, (Trapani Museo Regionale Pepoli, 2 dicembre 1995 – 3 marzo 1996) a cura di M.C. Di Natale, V. Abbate, Palermo 1995, pp. 206-208. []
  29. S. Barraja, I marchi di bottega degli argentieri palermitani, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale, atti del convegno internazionale di studi in onore di Maria Accascina (Palermo-Erice, 14-17 giugno 2006) a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2007, p. 522. Nel testo, la riproduzione del punzone è raffigurata con giglio in verticale, ma il dott. S. Barraja mi ha comunicato che, in base ai suoi recenti studi, il punzone ha il giglio in orizzontale. Si veda anche M.C. Di Natale, Montalbano, in Arti decorative…, II, 2014, ad vocem, pp. 440-441. []
  30. Il mestolo è nominato in M. Zecchinelli, Arte e folclore…, 1951, p. 81 e descritto in R. Pellegrini, Di alcune suppellettili…, in “Quaderni…”, 2013, p. 55. []
  31. S. Barraja, I marchi degli argentieri…, 1996, p. 65. []
  32. Così è stato supposto anche in altri casi. Cfr. M.C. Di Natale, Scheda II,78 e Scheda II,142, in Ori e argenti…, 1989, pp. 239, 296-297. Il criterio risulta adottato anche in altri sistemi, come quello napoletano. E. Catello – C. Catello, Argenti napoletani dal XVI al XIX secolo, Napoli 1973, p. 93.  Sull’argentiere si veda S. Barraja, Pantanu Vincenzo, in Arti decorative…, II, 2014, ad vocem, p. 474. []
  33. M.C. Di Natale, Scheda II,180, in Ori e argenti…, 1989, pp. 311, 313. []
  34. ASDC, Visite Pastorali, 55/2, f. 92. []
  35. M. Accascina, I marchi delle argenterie e oreficerie siciliane, Milano 1976, p. 55. []
  36. Indice degli orafi…, in Ori e argenti…, 1989, p. 402. []
  37. M.C. Di Natale, M. Vitella, Il Tesoro della Cattedrale di Palermo, Palermo 2010, p. 65. []
  38. M.M. Ziino, Le argenterie sacre della cattedrale di San Bartolomeo a Lipari, in “OADI. Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, 10, dicembre 2014, pp. 90-91. []
  39. M. C. Di Natale, Tesoro di Sant’Anna nel Museo del Castello dei Ventimiglia a Castelbuono, in M.C. Di Natale – R. Valdalà, Il tesoro di Sant’Anna nel Museo del Castello dei Ventimiglia a Castelbuono, Appendice documentaria di R.F. Margiotta, Palermo 2010, p. 42. []
  40. Cfr. la navicella del 1686 della collezione A. Virga: R. Di Natale, Scheda II,82, in Ori e argenti…, 1989, pp. 241-243. []
  41. S. Barraja, I marchi degli argentieri…, 1996, p. 70. []
  42. Cfr. supra, nota 18. []
  43. R. Pellegrini, Gioielli…, 2009, pp. 70-79, 113-123. []
  44. Cfr. R. Pellegrini, Di alcune suppellettili…, in “Quaderni…”, 2013, pp. 56-58. []
  45. C. Rohault de Fleury, La messe. Etudes archeologiques sur ses monuments, Parigi 1883, Vol. IV, p. 151: Calices. Tableau chronologique. []
  46. Elementi strutturali cinquecenteschi continuarono ad essere utilizzati nell’arte argentiera siciliana lungo il Seicento. Ritroviamo una base esalobata (ma con cesellature a maggior rilievo) nel reliquiario della Santa Croce del 1666 della Chiesa Madre di Caccamo, che presenta un fusto di chiara impostazione barocca. M. Accascina, I marchi…, 1976, fig. 14. Più simile al calice altolariano per la levità del cesello e per la struttura del fusto, fatta eccezione invece per la forma della base, è quello ericino datato all’ultimo decennio del XVI secolo e descritto in M. Vitella, Rassegna tipologica di calici e ostensori nel territorio trapanese, in Argenti e ori trapanesi nel museo e nel territorio, a cura di A. Precopi Lombardo – L. Novara, Trapani 2010, p. 44. Nella seconda metà del XVII secolo la chiesa di Trezzone non possedeva calici in argento ma solo «tre calici n.o tri con coppe di argento et sue patene». ASDC, Visite Pastorali, 69/2, f. 355. []
  47. ASDC, Visite Pastorali, 23/1, ff. 256-257. []
  48. Nell’inventario dei beni mobili della chiesa, compilato nel 1668, leggesi: Tre quadri grandi in Choro, uno in mezo dell’Assonta, uno dell’Annontiata, et l’altro con le figure della Madonna, di Santa Rosalia, di S. Sebastiano, et di S. Rocco. ASDC, Visite Pastorali, 55, 2, f. 372. []
  49. A. Filippi, Topografia e toponomastica. I luoghi del culto di San Vito in Sicilia, in Congresso internazionale di studi su San Vito ed il suo culto, (Mazara del Vallo, 18-19 luglio 2002), a cura di F. Maurici, R. Alongi, A. Morabito, Trapani 2004, p. 251. []
  50. ASDC, Visite Pastorali, 69/2, f. 341. []
  51. A Stazzona la rappresentazione iconografica di S. Giuliano, patrono del paese, si trasformò, a causa della emigrazione, su modello di quella ericina. R. Pellegrini, Tra Noc e Sass…, 2004, pp. 59-62. S. Alberto degli Abati, patrono di Trapani, è effigiato in corone da rosario e medaglioni devozionali presenti in territorio altolariano a seguito dell’emigrazione. R. Pellegrini, Gioielli…, 2009, pp. 129, 183, 187. []
  52. Archivio di Stato Como, Notai, Pietro Polti fu Antonio, 902. []
  53. M. Righetti, Storia liturgica, Milano 1969, vol. II, p. 388. []
  54. M C. Di Natale, L’Immacolata: arte e devozione in Sicilia, in La Sicilia e l’Immacolata. Non solo 150 anni, a cura di D. Ciccarelli, M.D. Valenza, Palermo 2004, pp. 204-205; F.S. Fiasconaro, Il pensiero immacolatista di Ignazio Como, OFM Conv († 1774) nella controversia con L. A. Muratori sul “voto sanguinario”, Palermo 2004, pp. 65-66. []
  55. S. Barraja, I marchi degli argentieri…, 1996, p. 72. []
  56. Cfr. supra, nota 32. []
  57. G. Cusmano e Scheda 2, in Argenti e Cultura Rococò nella Sicilia Centro-Occidentale 1735-1789, catalogo della Mostra (Lubecca, St. Annen Museum, 21 ottobre 2007 – 6 gennaio 2008) a cura di S. Grasso, M.C. Gulisano, Palermo 2008, pp. 148, 168-169. []
  58. M. Vitella, Rassegna tipologica…, in Argenti e ori…, 2010, p. 45. []
  59. O. Zastrow, Capolavori…, 1984, p. 77. []
  60. R. Pellegrini, Argenti palermitani…, in “OADI …”, 2016, pp. 30-31. []
  61. M.C. Di Natale, Tesoro di Sant’Anna…, M.C. Di Natale – R. Valdalà, Il tesoro di Sant’Anna…, 2010, p. 40. []
  62. S. Barraja, I marchi degli argentieri…, 1996, p. 74. []
  63. R. Pellegrini, Di alcune suppellettili…, in “Quaderni…”, 2013, p. 58. []
  64. O. Zastrow, Capolavori…, 1984, p. 136, n. 173. L’autore data il reliquiario al 1745, ma il marchio è GLC41 corrispondente al 1741. S. Barraja, I marchi degli argentieri…, 1996, p. 75. []
  65. Ringrazio per l’informazione il dott. S. Barraja. Sull’Infallera cfr. S. Barraja, Gli orafi e argentieri…, in Splendori…, 2001, p. 673.  Per l’argentiere si veda anche S. Barraja, Infallera (Insallera) Gaspare, in Arti decorative…, I, 2014, ad vocem, p. 317. []
  66. ASDC, Visite Pastorali, 149/1, ff. 145, 147. []
  67. S. Barraja, I marchi degli argentieri…, 1996, p. 78. []
  68. R. Pellegrini, Di alcune suppellettili…, 2013, p. 59. []
  69. Si veda A. Cuccia, Scheda 117, in Argenti e Cultura Rococò…, 2008, pp. 424-425. []
  70. S. Barraja, I marchi degli argentieri…, 1996, p. 80. []
  71. Si distinguono tre omonimi Salvatore Mercurio vissuti nello stesso periodo e che potrebbero aver realizzato il lavoro nel 1780: S. M. del fu Ioachim (noto 1764-1806), S. M. di Giuseppe (noto 1776-1834) e S. M. di Giuseppe (noto 1779-1807). S. Barraja, Gli orafi e argentieri…, in Splendori…, 2001, p. 674. Cfr. inoltre S. Barraja, Mercurio Salvatore, in Arti decorative…, II, 2014, ad voces, pp. 428-429. []
  72. R. Pellegrini, Emigrazione…, in Emigrazione lombarda…,  2018, p. 48. []
  73. R. Pellegrini, Di alcune suppellettili…, in “Quaderni…”, 2013, p. 59. []
  74. S. Barraja, I marchi degli argentieri…, 1996, p. 82. []