Giuseppe Giugno

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Domina cultrixque virgo panormitana agri quisquinesis. Il culto di Santa Rosalia nella Sicilia centrale attraverso l’operato dei maestri argentieri

DOI: 10.7431/RIV19052019

I primi anni del Seicento sono caratterizzati in Sicilia dalla proliferazione del culto di Santa Rosalia come rimedio al dilagare in quel tempo della peste nell’isola1. La diffusione della devozione si manifesta nello specifico dopo il febbraio del 1625, data del riconoscimento ufficiale dell’autenticità delle sue reliquie ritrovate nella spelonca di monte Pellegrino2.

Dal quel momento in poi si assiste alla propagazione della venerazione della santa, attestata dalle numerose vedute pittoriche agiografiche che la raffigurano nel suo patrocinio sui centri urbani a lei consacrati, come compare nell’incisione di Gregorio Forstman del 1652 dal titolo S. Rosalia Virgen Panormitana Avogada contra la peste, assunta probabilmente a modello di altre vedute diffuse al tempo3.

Alla produzione pittorica si aggiunge quella scultorea, con riferimento particolare ai reliquiari in argento e legno. Si tratta di opere, in alcuni casi attestate solo attraverso le fonti ed in altri casi ancor oggi esistenti, fondamentali per arricchire il già denso novero di argentieri e manufatti artistici eseguiti da abili maestri al servizio della committenza ecclesiastica e di quella feudale.

La memoria di Santa Rosalia viene documentata in tutto il territorio siciliano, ed in particolare, nella diocesi di Agrigento – «nei luoghi del dominio temporale di lei, Bivona e Santo Stefano altre volte da lei liberati dalla peste» – attraverso l’opera del gesuita Giordano Cascini del 16514. Nell’elenco compaiono, oltre alle città citate, i centri di Racalmuto, Cammarata, San Giovanni Gemini, Castronovo, Alessandria della Rocca, Grotte e Sciacca. Dalla lettura del lavoro emerge il rapporto che congiunge il culto di Santa Rosalia con la costruzione di chiese a lei dedicate, come chiaramente attestato a Santo Stefano di Quisquina, Cammarata, Sciacca e Racalmuto dove le fu, peraltro, intitolata la prima chiesa dell’abitato. A ciò si aggiunge la tradizione secondo cui ad Alessandria della Rocca la stessa santa si sarebbe manifestata nel 1625 ad «una semplice humile e divota Donna disegnando il luogo, dove volea, che le si facesse una chiesa»5.

Oltre alla costruzione di nuove fabbriche dal significato e potere “taumaturgico”, il Cascini fornisce anche indicazioni sui reliquiari realizzati in quel tempo nei diversi centri per l’ostensione alla pubblica venerazione delle reliquie della santa concesse dal cardinale Giannettino Doria a quanti ne facessero richiesta6. Interessa, a tal proposito, il riferimento ai reliquiari topici o ‘parlanti’, il cui messaggio non era soltanto associato alla reliquia custodita all’interno, sovente relativa ad una parte del corpo riprodotta nell’immagine del reliquiario antropomorfo, ma alla forza espressiva che manifestavano per via della rappresentazione fisica della santa. Tra i reliquiari a busto, diffusi in Sicilia nel periodo della Controriforma, che riproducono l’immagine di Santa Rosalia si ricordano quello dell’abbazia di San Martino delle Scale, eseguito dall’argentiere Tommaso Avagnali nel 1625, e quelli dei musei diocesani di Mazara del Vallo dell’argentiere Giovan Battista Accardo e di Palermo, opera di Bartolomeo Ferruccio del 16267.

A questi si associano, probabilmente in quegli stessi anni, i reliquiari che il Cascini documenta a Bivona e a Santo Stefano di Quisquina, il primo dei quali oggi perduto, mentre il secondo conservato nella Chiesa Madre di San Nicola di Bari8. In quest’ultimo caso, la volontà del committente, Giovanni Ventimiglia, di evidenziare l’importanza delle reliquie custodite all’interno emerge nell’aspetto materiale del busto della santa raffigurata con lo sguardo rivolto verso l’alto ed il capo coronato da una ghirlanda di rose. Sul piano tipologico, il manufatto ricorda il reliquiario a busto di Sant’Oliva, conservato a Caccamo, datato tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, e si avvicina per quanto attiene all’ovale del volto della santa al busto reliquiario di Santa Rosalia eseguito a Palermo nel 1687 dall’argentiere Antonino Lo Castro su volontà dell’arcivescovo Jaime Palafox y Cardona per essere donato alla cattedrale di Siviglia9. Destano interesse nel manufatto di Santo Stefano le lavorazioni a sbalzo e cesello su lamina sottile eseguite secondo un disegno decorativo che raffigura girali acantiformi, poste ad inquadrare la teca polilobata delle reliquie ubicata sul petto del busto delimitata dalla scritta «Domina cultrixq.[ue] Sancta Rosalia virgo panormitana agri quisquinesis»10. È da osservare che una stella ad otto punte posta in asse con la teca delle reliquie arricchisce il mantello argenteo, esprimendo probabilmente sul piano iconologico il rimando alla condizione verginale della santa (Fig. 1).

Un inedito reliquiario “parlante”, oggi non più esistente, viene documentato a Calascibetta nel 1752, in una nota di pagamento di 6 tarì versati dal tesoriere della Regia Matrice di San Pietro, don Salvatore Catanese, al poco noto mastro Salvatore Piazza «per haver accomodato la statua seu reliquiario della Gloriosa Santa Rosalia di ditta Regia Matrice di San Pietro»11.

Oltre al manufatto citato, in Chiesa Madre era anche custodito un reliquiario ad ostensorio di Santa Rosalia in argento sbalzato e cesellato, databile alla prima metà del XVIII secolo, ora esposto al Museo Diocesano di Caltanissetta, che presenta il ricettacolo porta reliquie, purtroppo ormai disperse, inglobato da girali fitomorfi e fiori in filigrana (Figg. 23)12. Il ricettacolo, innestato su un nodo a sezione poligonale scandito da nervature con terminazione a voluta delimitanti specchiature trapezoidali impreziosite da elementi floreali, si pone al di sopra di un piede con decoro foliaceo eseguito a cesello. Il manufatto, verosimilmente realizzato da argentiere siciliano, non presenta purtroppo né la bulla di garanzia né l’indicazione dell’autore a cui si deve la sua fattura13.

Nel novero delle città elencate dal Cascini mancano, tuttavia, alcuni centri della diocesi agrigentina dove la presenza del culto trova attestazione nel XVII secolo. Il primo di questi è Caltanissetta dove è documentato nel 1625 l’arrivo di reliquie donate dall’arcivescovo Doria a frate Carlo dell’Ordine dei Minori Osservanti di San Francesco. Si trattava di tre frammenti ossei: «tria fragmenta ossium unum ex costis lapidi annexum alterum ex homeris tertium ex capite femoris», ai quali se ne aggiunse un ulteriore concesso al nisseno Francesco Parla, «alium fragmentum fractum in duobus pectijs»14.

Sia frate Carlo che Francesco Parla donarono le reliquie alla confraternita nissena di San Paolino, ospitata nell’omonima chiesa. Il riconoscimento canonico dei frammenti avvenne nella chiesa di San Michele Arcangelo, fuori città, ad opera del vicario foraneo Geronimo La Mammana: «ditta fragmenta existentia in ditta Ecclesia fore et esse eadem fragmenta ossium ex reliquijs Sancte Rosalee virginis panormitane»15.

I resti mortali vennero collocati in un reliquiario, andato perduto, documentato nel 1766 tra i beni mobili della chiesa: «reliquia di Santa Rosalia con onstenzorio (sic) d’argento e piedi di rame»16, che doveva probabilmente presentare la reliquia contornata da un serto floreale caratterizzato dalle presenza delle rose: precipuo attributo iconografico della vergine palermitana.

Il culto di Santa Rosalia è anche documentato nel 1725 nella chiesa di Sant’Antonino annessa al convento dei Minori Riformati, oggi non più esistente, attraverso la donazione da monsignore Nicola Terzago, vescovo di Samaria e Narni, di numerose reliquie di santi, beati e martiri cristiani al frate minore Giacomo da Caltanissetta17. I resti, condotti nella chiesa e racchiusi in una teca in oricalco «cum christallis ex utraque parte in forma ovata funiculo serico coloris rubri colligato nostroque paruo in cera rubra hijspanica impresso sigillo pro maiori dictorum Sanctorum reliquiarum identitate»18, potrebbero, come documentato in molte chiese dell’ordine francescano, essere state in parte collocate in una lipsanoteca a fondale del Crocifisso ligneo ed in parte custodite in manufatti appositamente realizzati.

Pur non essendo stata rinvenuta documentazione d’archivio sulla presenza nella chiesa di Sant’Antonino di un reliquiario di Santa Rosalia, è verosimile pensare che l’omologo manufatto argenteo conservato nel Museo Diocesano di Caltanissetta possa essere stato eseguito su volontà dei Minori Riformati per custodire la reliquia della santa giunta nella loro chiesa nel 1725 (Fig. 4). Tale ipotesi viene suggerita dall’esecuzione dell’opera nel 1727 – solo due anni dopo l’arrivo dei frammenti ossei – e viene suffragata dal fatto che lo stesso reliquiario prima di giungere nel museo diocesano nisseno sia stato conservato nella chiesa di Santa Maria Maggiore o della Saccara: la stessa chiesa nella quale fu trasferito il culto patavino, e con esso verosimilmente anche parte degli arredi sacri che stavano nella chiesa riformata prima della sua demolizione nella prima metà del Novecento. Nello specifico, l’opera si caratterizza per il ricettacolo porta reliquie, purtroppo oggi disperse, contornato da rose e fogliame, eseguite a sbalzo e cesello (Fig. 5). Questo si innesta su un fusto segnato da un nodo ricoperto da elementi acantiformi posto su un secondo nodo con decori floreali e spigoli segnati da volti alati (Fig. 6) che funge da raccordo con il piede a «sezione mistilinea, con orlo modanato e decoro a foglie d’acanto, collo dal piede tripartito da nervature a voluta»19, delimitanti specchiature trapezoidali che includono tre scudi, uno di essi riproducente l’effigie di Santa Rosalia (Fig. 7). Sul bordo inferiore del reliquiario è visibile il punzone con le lettere GCN dell’argentiere Giuseppe Conoscenti20, oltre alla bulla di garanzia con l’aquila a volo alto – in uso dopo il 1715 – e la sigla DLR27 riferita all’orafo palermitano La Rosa Dimitrio, che nel 1727-1728 ricopre il ruolo di console degli argentieri (Fig. 8)21.

Nella cittadina nissena, il culto della santa palermitana viene anche attestato da una chiesa a lei dedicata, fondata probabilmente nel Seicento dalla famiglia Garsia, che vantava il titolo di marchesi di Savochetta e baroni di Niscima dal nome del feudo dove sorge ancor oggi l’edificio22. La devozione dei Garsia si pone in relazione al diritto di patronato che la famiglia possedeva a Palermo su una cappella della chiesa del Santissimo Salvatore annessa all’omonimo monastero. Si legge, infatti, che nel 1734 il marchese Carlo Pariggi e Garsia nomina il nisseno don Silvestro Lentini titolare di un beneficio ecclesiastico, non meglio precisato, fondato nel 1690 dalle monache Laura Francesca e Anna Battista Roselli nella cappella di San Biagio della chiesa citata, poi trasferito in quella di Santa Rosalia nello stesso edificio, per la celebrazione di messe a suffragio dell’anima del defunto padre, il marchese Geronimo Garsia23.

Oggi la nuova chiesa parrocchiale edificata nell’ex feudo di Niscima custodisce due reliquiari della vergine della Quisquina: uno ligneo, di fattura settecentesca proveniente da una chiesa della Sicilia orientale ed uno argenteo24. Il primo presenta un ricettacolo ovale delimitato da un profilo modanato, con ricca decorazione di elementi fogliacei e rose, innestato su un piede a sezione mistilinea segnato da robuste nervature con terminazione a spirale acantiforme (Fig. 9).

Il reliquiario argenteo conservato nella stessa chiesa parrocchiale presenta un fusto ed un piede privi di decori, sui quali però si innesta un ricettacolo ovale impreziosito da fogliame e rose eseguite a sbalzo e cesello (Fig. 10). Sul piede si osserva il punzone con la sigla P59 che rimanda ad Antonino Pensallorto, console degli argentieri nel 1759-1760 (Fig. 11)25. Il marchio è posto tra l’aquila a volo alto della città di Palermo ed un secondo punzone poco visibile dell’argentiere che ne curò la fattura. Benché il riferimento all’autore non sia ben leggibile, si riescono ad individuare le iniziali SD ripetute due volte sia nell’intradosso che nell’estradosso del piede del reliquiario, che potrebbero rimandare all’argentiere D’Allio Stefano, attivo a Palermo tra il 1729 e il 1776 (Fig. 12)26. Desta attenzione, inoltre, nella parte intradossale del piede il segno di una stella, simile a quella che decora il petto del busto reliquiario di Santo Stefano di Quisquina.

Nella topografia sacra del Cascini dedicata a Santa Rosalia manca tra i centri della diocesi agrigentina la terra di Delia. Tale assenza può, tuttavia, essere motivata dal fatto che il culto della santa vi giunse dopo la stampa del lavoro del gesuita, probabilmente a fine secolo col matrimonio nel 1698 di Anna Maria Lucchese con Ferdinando Francesco Gravina. Tale possibilità viene suggerita da un inedito reliquiario della vergine della Quisquina dal carattere monumentale, ancor oggi custodito nella Chiesa Madre di Santa Maria di Loreto, sul quale compare la bulla di garanzia con l’aquila a volo basso e la scritta R.U.P. (Regia Urbs Panormi)27. Assieme alla bulla si legge il punzone con la sigla PC94, riferibile a Placido Caruso console degli argentieri nel 1694-169528. In assenza del marchio dell’argentiere, si può ipotizzare che l’autore dell’opera coincida con la figura dello stesso Caruso. Il ricettacolo ovale del reliquiario si inserisce in una cornice lavorata a sbalzo e cesello secondo un disegno che raffigura fogliame e rose. Le fa da contorno un ricco traforo di girali di acanto, in prossimità delle quali si saldano figure di cherubini, fogliame, rose eseguite a sbalzo su lamina sottile, turgidi grappoli di frutta e putti. Quest’ultimi inquadrano nella parte sommitale la figura della santa riprodotta col tipico attributo iconografico delle rose e con uno stelo di giglio nella mano sinistra. Il piede del reliquiario ha sezione mistilinea, con orlo modanato e decoro a foglie d’acanto e presenta un collo tripartito da nervature acantiformi con terminazione a voluta che marcano campi segnati da figure alate. La parte inferiore del manufatto si raccorda col ricettacolo mediante un fusto con nodo tripartito da spigoli, sui quali si stagliano foglie d’acanto che individuano specchiature nelle quali sono rappresentate tre frecce spezzate: chiaro rimando alla liberazione dal flagello della peste operata dalla santa palermitana.

Sempre nella cittadina dei Gravina di Palagonia, il riferimento al culto di Santa Rosalia compare anche in una cornice lignea di fine Seicento tardo barocca per icona dai bordi frastagliati conservata nella Chiesa Madre. La qualità del suo intaglio ricorda opere documentate in Sicilia tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo, come la custodia di Pietro Bencivinni realizzata nel 1710 per la Badia Nuova di Polizzi Generosa o la consolle della chiesa del Crocifisso di Calatafimi29. Sul piano stilistico essa è inquadrabile tra le cornici dette “Sansovino” adorne di festoni, fiori, cartigli e mascheroni30. L’opera, giunta forse a Delia da Palermo per volontà degli stessi Gravina di Palagonia, è caratterizzata da rami acantiformi e girali vegetali, sui quali si dispongono simmetricamente putti svolazzanti che inquadrano la figura della santa, posta a sinistra, assieme alle allegorie delle virtù teologali. Tra queste si legge chiaramente nella parte destra la carità nell’immagine di una donna che allatta; la speranza nella parte sommitale in una donna in preghiera. In basso, si ritrova invece una figura dalle braccia mutili, nella quale parrebbe leggersi o l’allegoria della fede, raffigurata di norma con l’Ostia ed il Calice del Corpo e Sangue di Cristo nelle mani, o la virtù della prudenza, rappresentata con gli attributi iconografici dello specchio e del serpente31.

  1. Sull’origine e diffusione del culto di Santa Rosalia in Sicilia si rimanda a G. G. Grevio, Thesaurus Antiquitatum et Historiarum Siciliæ. Quo continentur Rarissimi & Optimi Scriptores, qui nobilissimarum insularum, Siciliæ, Sardiniæ, Corsicæ et adjacentium Situm, Res gestas, Antiquitates & Imperiorum vicissitudines memoriæ prodiderunt: Digerico ceptus Cura & Studio, volumen decimum tertium, MDCCXXV, pp. 245-259. ((Sul significato del termine reliquia si veda V. Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, VI, p. 112, sub voce Reliquiae. Per una sintesi della nascita del culto delle reliquie associato a quello dei martiri si veda A. Luciano, Santuari paleocristiani in Italia, Tesi di Dottorato in Scienze dell’Antichità, ciclo XXV, Università degli Studi di Udine, pp. 25-27; P. Brown, Il culto dei santi. L’origine e la diffusione di una nuova religiosità, Torino 2002 (ed. or. 1881); A. Grabar, Martyrium. Recherchessur le culte des reliques et l’art chretien antique, Paris 1943. Sul culto di Santa Rosalia si veda V. Petrarca, Genesi di una tradizione urbana. Il culto di Santa Rosalia a Palermo in età spagnola, Palermo 2008. []
  2. Sul significato del termine reliquia si veda V. Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, VI, p. 112, sub voce Reliquiae. Per una sintesi della nascita del culto delle reliquie associato a quello dei martiri si veda A. Luciano, Santuari paleocristiani in Italia, Tesi di Dottorato in Scienze dell’Antichità, ciclo XXV, Università degli Studi di Udine, pp. 25-27; P. Brown, Il culto dei santi. L’origine e la diffusione di una nuova religiosità, Torino 2002 (ed. or. 1881); A. Grabar, Martyrium. Recherchessur le culte des reliques et l’art chretien antique, Paris 1943. Sul culto di Santa Rosalia si veda V. Petrarca, Genesi di una tradizione urbana. Il culto di Santa Rosalia a Palermo in età spagnola, Palermo 2008. []
  3. Cfr. C. Barbera Azzarello, Raffigurazioni, Vedute e Piante di Palermo dal sec. XV al sec. XIX, Caltanissetta 2008, p. 89. []
  4. Cfr. G. Cascini, Di S. Rosalia Vergine Palermitana libri tre. Nei quali si spiegano l’Inventione delle Sacre Reliquie, la Vita solitaria e gli Honori, di lei. Con Aggiunta di tre’ Digressioni historiche, del Monte Pellegrino, ove visse e morì: di suo Parentado, c’hebbe discendenza dall’Imperadore Carlo Magno, Palermo M.DC.LI, ff. 370-378. []
  5. Cfr. Idem, Di S. Rosalia Vergine…, M.DC.LI, f. 376. []
  6. Per un’analisi dei caratteri dell’agiografia traslativa si rinvia a N. Herrmann – Mascard, Les reliques dessaints. Formation coutumière d’un droit, Paris 1975; M. Heinzelmann, Translations berichte und andere Quellendes Reliquien kultes, Turnhout 1979. Si suggerisce anche il rimando a F. Veronese, Reliquie in movimento. Traslazioni, agiografie e politica tra Venetiae Alemannia (VIII-X secolo), Tesi di Dottorato in Scuola di Dottorato di Ricerca in Scienze Storiche, ciclo XXIV, Università degli Studi di Padova, Université Paris 8 – Vincennes-Saint-Denis, p. 22. []
  7. Cfr. M.C. Di Natale, Argentieri e miniatori a San Martino delle Scale, in L’Abbazia di San Martino delle Scale, Storia, Arte, Ambiente, Atti del convegno a cura di A. Lipari, Palermo 1990, p. 136; Eadem, Santa Rosalia nelle arti decorative, Palermo 1991, pp. 39, 41. Sulla diffusione dei busti reliquiario in Sicilia di Santa Rosalia si rimanda a P. Russo, L’“evidenza dell’invisibile”. Busti reliquiario d’argento in Sicilia tra XV e XVIII secolo, in Il tesoro dell’isola. Capolavori siciliani in argento e corallo dal XV al XVIII secolo, a cura di S. Rizzo, vol. I, Giuseppe Maimone, Catania 2008, pp. 244; 250-251. []
  8. Cfr. M. C. Di Natale, Santa Rosalia…, 1991, pp. 35, 39. []
  9. Cfr. M.C. Di Natale, Serpotta e le arti decorative, in Serpotta e il suo tempo, a cura di V. Abbate, Cinisello Balsamo 2017, pp. 77-78. Si veda anche P. Russo, L’“evidenza dell’invisibile”…, 2008, pp. 246-247. []
  10. Cfr. G. Cascini, Di S. Rosalia Vergine…, M.DC.LI, ff. 370-371. Sui reliquiari parlanti si rimanda a H. Keller, Zur Entstehung der sakralen Vollskulptur in der Ottonischen Zeit, in Festschrift für Hans Jantzen, Berlino 1951, pp. 71-90; B. Abou-El-Hai, The audience for the Medieval Cult of Saints, in “Gesta”, 30, n. 1 (1991), pp. 3-15; B. Drake Boehm, Body-part reliquaries: the state of research, in “Gesta”, vol. 36, n. 1 (1997), pp. 8-19; C. Hahn, The Voice of the Saints: speaking reliquaries, in “Gesta”, vol. 36, n. 1 (1997), pp. 20-31; M. Bagnoli, The stuff of Heaven. Materials and craftsmanship in medieval reliquaries, in Treasures of Heaven. Saints, relics and devotion in medieval Europe, catalogo della mostra a cura di M. Bagnoli – H. A. Klein – C. G. Mann – J. Robinson, Londra 2010, pp. 137-147. []
  11. Archivio di Stato di Enna (da ora in poi ASEn), Not. A. Iemboli, b. 1813, f. 103r. []
  12. Secondo un’altra lettura dell’opera, il reliquiario di Santa Rosalia proveniente da Calascibetta ed oggi conservato nel Museo Diocesano di Caltanissetta potrebbe essere stato eseguito alla fine del XVII secolo. Sull’argomento si veda scheda 124, in Il Museo Diocesano di Caltanissetta, a cura di S. Rizzo, A. Bruccheri e F. Ciancimino, Caltanissetta 2001, p. 236. []
  13. Cfr. Catalogo delle Opere del Museo Diocesano “Giovanni Speciale” di Caltanissetta. Guida alle collezioni, a cura di F. Fiandaca, Caltanissetta 2013, pp. 87, 93. []
  14. Archivio di Stato di Caltanissetta (da ora in poi ASCl), Not. F. Volo, b. 1035, f. 111r II. []
  15. ASCl, Not. F. Volo, b. 1035, f. 111r II. []
  16. Interessante è la lettura nello stesso inventario delle altre suppellettili sacre della chiesa come un ostensorio del Santissimo Sacramento dalla «sfera d’argento con piede di rame»; due calici d’argento: uno con piede anch’esso argenteo e l’altro di rame; una patena ed una chiave argentea «con sua scocca pel tabernacolo»; un’immagine di «Cristo resuscitato con sua bandiera» e una «testa di Madonna con mani pell’incontro» (ASCl, Not. F. N. Curcuruto, b. 3861, f. 19r). Sulla chiesa di San Paolino si veda G. Giugno, Pittori e scultori nella chiesa di san Paolino a Caltanissetta tra Cinquecento e Seicento, in “Agorà. Periodico di cultura siciliana”, 47, 2014, pp. 16-19. []
  17. Su Nicola Terzago vescovo di Narni si rimanda a F. Piantoni, Gli archivi del Capitolo della collegiata e della parrocchia di S. Maria Assunta di Otricoli e fondi aggregati, Foligno 2017, p. 85. []
  18. A Caltanissetta, oltre alla chiesa di Sant’Antonino viene attestato che nel 1719 l’arcivescovo di Palermo Joseph Gasch donò al convento dei Minori Conventuali diverse reliquie della vergine palermitana collocate in un reliquiario argenteo in forma ovata andato perduto. Sul tema si veda Stato della città di Caltanissetta nel 1731 sotto l’arciprete Giovanni Agostino Riva, a cura di G. Giugno, D. Vullo, Caltanissetta 2016, p. 323. Sulla chiesa di Sant’Antonino dei Minori Osservanti si rimanda a G. Giugno, Il convento dei Minori Riformati di Sant’Antonino a Caltanissetta, in Il Palazzo delle Poste. Dal Convento dei Riformati alla Banca del Nisseno. Fabbrica di cultura nel cuore della Sicilia, Caltanissetta 2018, pp. 11-23. []
  19. Cfr. Catalogo delle Opere del…, 2013, p. 129. []
  20. Sul profilo artistico dell’argentiere Giuseppe Conoscenti si rimanda a S. Barraja, in Arti decorative in Sicilia, Dizionario biografico, a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2014,vol. I, p. 142, ad vocem. []
  21. Cfr. S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, vol. II, p. 348, ad vocem. []
  22. Sui marchesi di Savochetta si veda F.M. Emanuele e Gaetani, Appendice alla Sicilia nobile, I, Palermo MDCCLXXV, pp. 425-426. []
  23. ASCl, Not. B. Caccamo, b. 4573, f. 74v III. []
  24. Il sacerdote Giuseppe Canalella asserisce che il reliquiario ligneo fu donato alla nuova chiesa parrocchiale di Santa Rosalia da una famiglia che lo condusse da Vittoria. []
  25. Cfr. S. Barraja, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo, saggio introduttivo di M. C. Di Natale, Palermo 1996, II ed. 2010, p. 77. []
  26. Cfr. S. Barraja in Arti decorative…, 2014,vol. I, p. 163, ad vocem. Il reliquiario potrebbe essere appartenuto alla famiglia Barrile. Del resto è noto che la stessa conservasse in casa anche un dipinto raffigurante Santa Rosalia, oggi custodito in una collezione privata, del pittore nisseno Vincenzo Roggeri eseguito sul modello della pala che riproduce la Madonna con Bambino, Santa Rosalia e Sante monache della chiesa nissena di Sant’Agata, attribuita allo stesso pittore da Felice Dell’Utri. Sull’argomento si veda F. Dell’Utri, Vincenzo Roggeri. Pittore siciliano del XVII secolo, Caltanissetta 2004, pp. 45-46. []
  27. Il punzone con l’aquila ad ali abbassate fu usato a Palermo dal 1459 sino alla fine del XVII secolo. Si veda M. Accascina, I marchi delle Argenterie e Oreficerie Siciliane, Trapani 1976, pp. 21, 44-45. []
  28. È doveroso ringraziare la prof.ssa Maria Concetta Di Natale per aver suggerito nella lettura del punzone del reliquiario il rimando al console Placido Caruso. Per un ulteriore approfondimento su Placido Caruso si veda anche la scheda di S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, vol. I, p. 154. []
  29. Si ringrazia Rosalia Francesca Margiotta per i preziosi consigli forniti sullo studio della cornice tardo barocca della Chiesa Madre di Delia. Sulla custodia di Polizzi Generosa si rimanda a S. Anselmo, Da Giovan Pietro Ragona a Pietro Bencivinni, in Manufacere et scolpire in lignamine. Scultura e intaglio in legno in Sicilia tra Rinascimento e Barocco, a cura di T. Pugliatti – S. Rizzo – P. Russo, Catania 2012, p. 271. Per un confronto dell’intaglio della cornice di Delia con la consolle della chiesa del Crocifisso di Calatafimi si veda G. Bongiovanni-V. Menna, La scultura e l’intaglio in legno a Trapani e nel trapanese, in Manufacere et scolpire…, 2012, pp. 303-304, 307. []
  30. Sulla cornice di tipo “Sansovino” si veda M. Mastrapasqua – F. Canto, Cornici XV-XVIII secolo-Frames 15th/18th century, Roma 2015. Si segnala anche il contributo di E. Riccobene, Lo sviluppo storico-artistico nelle chiese di Delia, Caltanissetta 2015, p. 89. []
  31. Sugli attributi iconografici delle allegorie delle virtù si veda C. Ripa, Iconologia, notabilmente accresciuta d’Immagini, di Annotazioni e di Fatti dall’abate Cesare Orlandi, tomo III, Perugia MCXXLXV. []