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Mercanti, identità e devozione: il culto di Santa Rosalia in Liguria in alcune opere di argenteria siciliana
DOI: 10.7431/RIV19042019
L’influenza e l’attività degli hombres de negocios genovesi in Sicilia1 si protrae dal periodo noto con l’espressione di “secolo dei genovesi” (1527 – 1627) fino alla fine del XVII secolo. Numerose sono, infatti, le famiglie liguri appartenenti al ceto mercantile ed alla “nuova” nobiltà2 che, al traino di potenti famiglie, come i Pallavicino ed i Lomellini, ed alle opportunità create dai commerci, vi si trasferiscono.
Il 7 maggio del 1609 prendeva possesso dell’arcidiocesi palermitana il cardinale genovese Giannettino Doria3. Sono ben conosciute le vicende che hanno caratterizzato l’episcopato del Doria nonché i suoi rapporti con la corte spagnola e con il pontefice filofrancese Urbano VIII. In questa sede sarà sufficiente richiamare alla memoria il ruolo del presule genovese nella riscoperta del culto di Santa Rosalia in occasione della peste che flagellò Palermo nel 16244 e l’incisività del suo entourage profusa nella definizione di una «proposta agiografica alternativa alla tradizione palermitana – e siciliana in genere – ancorata fino ai primi decenni del Seicento e oltre, ad un patrimonio martiriale di reliquie sistematizzato in epoca normanna, che si era fatto testimone della precoce diffusione del cristianesimo nell’isola e delle sue origini apostoliche»5. Rosalia, santa taumaturga, vergine di stirpe carolingia6 che rinuncia autonomamente a vivere nel secolo; simbolo di un culto ritrovato che si alimenta, nei primi anni, attraverso una narrazione, in cui l’asperità del paesaggio che circonda Monte Pellegrino, ertosi con l’inventio delle reliquie a “sacro monte” con funzione di santuario, e l’inospitalità dell’antro in cui si ritira in romitaggio la giovane, rientrano pienamente in uno scenario barocco vago ma al contempo grave. Un modello di santità che seppur inserito coerentemente nel ruolo che la controriforma riservava alla devozione verso i santi come intercessori presso la corte celeste si discosta dai profili di fondatori, riformatori, martiri e mistici canonizzati nel primo trentennio del XVII secolo. Certamente l’origine ligure del Doria e la vitalità della nazione genovese nello scenario economico e politico della Palermo del ‘600 hanno costituito un volano per la diffusione del culto in Liguria7. Eloquente può essere la domanda rivolta a Goethe durante la sua visita al Santuario sul Monte Pellegrino nell’aprile del 1787 quando, mentre osservava con sorpresa l’interno della grotta e l’acqua che stillava dalla roccia, un sacerdote gli si avvicinò chiedendoli se fosse genovese8.
Il busto-reliquiario di Bonassola
La prima opera d’argenteria sulla cui analisi ci si sofferma è il busto reliquiario di Santa Rosalia conservato presso la parrocchiale chiesa di Santa Caterina d’Alessandria di Bonassola9. L’arrivo del reliquiario nel piccolo centro in provincia della Spezia è tramandato dalla tradizione orale. Si racconta del dono da parte di Marcantonio Paganetto il quale, partito in stato di miseria dalla frazione di San Giorgio, approdò a Palermo, città in cui fece fortuna grazie alle nozze, ottenute con l’intercessione di Santa Rosalia, con una giovane della nobiltà locale10. La storia è molto romanzata ma gli inediti documenti archivistici ci restituiscono una sorprendente corrispondenza con alcuni elementi del racconto. Il 5 giugno 1604 Marcantonio Paganetto è ammesso fra i confrati della Compagnia dell’Immacolata Concezione di Palermo11, in cui è riscontrabile un’origine ligure12 per la maggior parte dei confrati. Prima di lui erano già stati ricevuti alcuni suoi congiunti13 e nel 1635 verrà ascritto il figlio Paolo, dottore in legge, cancellato nel 1647 a causa della sua iscrizione, avvenuta già nel 164314, nei ruoli della Compagnia della Pace, una delle tre compagnie palermitane a carattere specificamente nobiliare15. Marcantonio Paganetto è un personaggio ben inserito nella società palermitana; figlio di Paolo e Geronima, sposa nel 1616 Francesca Pertuso16, figlia del suo socio in affari Nicolò originario di Quiliano. Fu procuratore dei frati del convento di Santa Maria di Gesù durante gli anni della costruzione della gancia di Sant’Antonio di Padova fuori porta Vicari17 e rettore, più volte, dell’Ospedale di San Bartolomeo18. Nel suo testamento19, redatto in Palermo il 9 settembre 1659 alla presenza, fra gli altri, del dottore in legge Bernardino Masbel e dell’erudito Onofrio Manganante, egli dichiara di voler essere seppellito nella sua cappella dedicata all’Immacolata Concezione dentro la chiesa del convento di Sant’Antonio da Padova la quale risultava «noviter fabbricata» già nel 163420. La cappella è ornata dalla tela raffigurante l’Immacolata Concezione attribuita a Pietro Novelli21 commissionata certamente dal Paganetto, come dimostra lo stemma di famiglia raffigurato in basso22 (Fig. 1) e che si ritrova inciso sulla pisside (Fig. 2) e sul calice d’argento donati alla parrocchia di Santa Caterina di Bonassola e sulla facciata del palazzo di famiglia. È un legame forte quello fra la Dominante e la Madonna che il 25 marzo del 1637, con una fastosa cerimonia presso la cattedrale di San Lorenzo, verrà proclamata Regina di Genova dal cardinale Giovanni Domenico Spinola. L’avvenimento è denso di significati politici ed il pittore Domenico Fiasella definirà l’iconografia ufficiale della “Madonna della città”23.
Il 2 giugno 1638, presso il notaio Arrighi di Palermo, Marcantonio Paganetto conferma la donazione in favore della comunità e della Chiesa Madre di Bonassola di alcuni argenti già mandati tra il 1620 ed il 1626, come espressamente dichiarato nell’atto: «et prima una custodia con sua sfera d’argento di peso di libre sei in circa mandatoli sino all’anno 1620 incirca; item uno rocchetto di damasco rosso carmisino con sua frinza di seta quando va il cappellano a comunicare col Santissimo sino all’anno 1620; item un turribolo con sua navetta e cucchiarella d’argento et un vaso d’acqua benedetta con il suo aspersorio di peso libre otto incirca mandatoli in detto tempo; item un lamperi grande d’argento di peso libre cinque incirca et una pace d’argento di peso libre tre incirca mandatoli sin dall’anno 1626»24 ai quali si aggiungono i seguenti manufatti imbarcati in una galea a carico del marchese del Viso, Alvaro de Bazan y Benavides, capitano delle galee di Sicilia ed imparentato col cardinale Doria25, con un carico destinato a Vincenzo Pellingero a Genova: «una statuetta d’argento della Gloriosa Santa Rosalia di peso di libre due e menza incirca con suo piede di ramo dorato dentro la sua investa di coiro dorato con sua chiave d’argento nella quale statuetta in menzo al petto vi è un pezzo di reliquia di cannella di braccio di detta Gloriosa Santa Rosalia con il suo cristallo d’innanzi; item numero 7 cannileri d’argento in uno de quali vi è la sua croce e crocifisso di peso libre 38 incirca con sue investe di legno cassette di coiro; item una campanella d’argento di peso oncie sei e mezo; item una bussola d’argento dorata per deposito del Santissimo Sacramento di peso di onze nove incirca; item un piatto d’argento per l’impolletti delli messe di peso di libre una et onze cinque e menzo»26. Insieme agli argenti il Paganetto inviava i seguenti «giogali di seta oro et argento» ossia: «palmi 34 tabi d’argento tutta lama per palio e casubula, borze e manipolo e palmi 18 terzanello cremisino con sue frinze d’oro et argento d’oro e sita e passamano d’oro e sita; palmi 34 damasco verde con sua passamano di sita e frinze per le casubule e palio; palmi 16 broccatello di sita bianco color d’oro, palmi 12 passamano per uno palio»27. Col medesimo atto si richiede, al beneficiale ed ai massari della Chiesa Madre di Bonassola, di solennizzare un giorno di festa in onore di Santa Rosalia «nel quale debbiano fare per tutta la detta terra una solenne processione di detta santa reliquia con quel maggior decoro che si conviene», e scelta la data si dovrà ripetere ogni anno. Inoltre, sarà compito del beneficiale ottenere dal vescovo di Sarzana che il 4 settembre, dies natalis della Santa patrona di Palermo, sia festa di precetto a Bonassola. Gli argenti dovranno essere conservati diligentemente e le chiavi dovranno rimanere una in potere degli amministratori della parrocchia e l’altra presso il fratello Giulio Paganetto e suoi eredi in perpetuo. Questi dovranno intervenire alla processione e ad ogni altra festa solenne in cui si farà uso degli argenti, legando così, indissolubilmente, il nome della famiglia Paganetto a Santa Rosalia e consacrando i suoi eredi ad un nuovo status manifestato tramite una veste pubblica centrale nella vita religiosa e, di riflesso, civile di Bonassola28.
Tra gli oggetti, elencati nella donazione e che ancor oggi si conservano, si distingue il piccolo e armonioso busto-reliquiario di Santa Rosalia in argento sbalzato, cesellato e bulinato con parti in rame dorato (Figg. 3 – 4 – 5). Il busto poggia su una base rettangolare sagomata con volute a ricciolo presenti solo sulla parte frontale con al centro una testa di cherubino sovrastato da un motivo conchiliforme. L’effigie della Santa è di raffinata bellezza: lo sguardo è assorto e sereno, il volto accenna ad un movimento tramite una leggera rotazione della testa, le labbra sono leggermente dischiuse. I capelli scendono sparsi sulle spalle e sulla morbida veste, interamente decorata con fitta puntinatura e mossa da pieghe verticali, stretta sopra la vita da una sottile fascia e definita da ampie maniche appena abbozzate tramite volute. Al centro il ricettacolo ovoidale inquadrato da cartocci dorati accoglie le reliquie di Santa Rosalia. La centralità riservata alla teca contenente i resti mortali della santa, qui rimarcata dalla diversa cromia dell’oro rispetto all’argento, assolve ad una specifica funzione: il sottile cristallo, dietro il quale si rivela al devoto il frammento osseo, espone alla venerazione la reliquia che proponendo ai fedeli opportuni esempi da imitare, in linea con il binomio riformistico devozione-educazione, ha il fine di proclamare le meraviglie di Cristo attraverso le virtù dei suoi servi.
L’opera non presenta nessun marchio riferibile al consolato degli argentieri e orafi di Palermo, ma la documentazione rintracciata, tuttavia, rende plausibile il riferimento ad artisti palermitani. La mancanza di punzoni non era insolita tra le opere in argento siciliane. Come osservava Maria Accascina, non sempre gli argentieri apponevano la “bulla” poiché «costante era l’evasione alla legge nonostante le pene stabilite»29.
Non si conservano più i candelieri d’argento «con loro crocifisso di peso di libre trentotto all’incirca». Probabilmente si trattava degli stessi «sex candelabra cum eius cruce argentea eiusque pede argenteo ponderis librarum quatraginta argenti bullati de bulla nova» acquistati il 3 giugno 1637 da Marcantonio Paganetto dall’argentiere Francesco Castagnetta30. All’atto della vendita il «faber argentarius» si obbligava «d’intagliare a tutti li facciati l’infrascritti Santi cioè San Pietro Apostolo, Santa Caterina Vergine e Martire e Santo Erasmo Vescovo» ossia due Santi, Erasmo e Pietro, il cui culto è radicato tra le genti di mare, e Santa Caterina alla quale è intitolata la Chiesa Madre di Bonassola. Dal medesimo artigiano, indicato come «aurifex», attivo a Palermo tra il 1618 e il 164331, il Paganetto aveva acquistato nel 1626 diversi oggetti d’argento, probabilmente per servizio di casa, per la considerevole cifra di onze 294, tarì 11 e grani 532. Nel 1635 è invece l’argentiere Diego Curiali, documentato tra il 1620 e il 166333, a vendere a Marcantonio Paganetto una «crucem argenteam cum imagine del Santissimi Crucifixi et cum pomo in calce longitudinis palmi unius et unius quarti», forse una croce astile, come quella che il medesimo mastro ha realizzato per la Chiesa Madre di Naro «con dovervi incidere nel pomo lo stemma del committente e la scena dell’Annunciazione»34.
Nel piccolo tesoro della Chiesa Madre di Bonassola si conservano anche un calice, con coppa ornata da una lastra applicata, sbalzata a motivi fitomorfi, ed una pisside con doratura a fuoco all’interno della coppa e del coperchio (Fig. 6). Il piede ed il fusto, animato al centro da nodo ovoidale compreso fra collarini aggettanti, identici in entrambi i manufatti, riportano il marchio del consolato degli argentieri di Palermo, ossia l’aquila coronata ed a volo basso accompagnata dalla sigla RVP, abbreviazione di Regia Urbs Panormi, ed il punzone °F°A°P, entro rettangolo, forse riferibile all’argentiere Francesco Antonio Parisi, attivo a Palermo tra il 1631 e il 166035. Sia sul piede del calice che su quello della pisside è riportato lo stemma della famiglia Paganetto che si ritrova, ancora, su un piatto d’argento di forma circolare, con incisioni e parti dorate, datato 1599 (Fig. 7), particolari che riconducono le opere alla committenza della famiglia anche se nella donazione del 1638 non compare alcun calice ma è elencata una «bussola d’argento dorata per deposito del Ss.mo Sacramento».
L’ostensorio e l’urna-reliquiario di Rapallo
Nel Museo Diocesano di Chiavari è custodito un ostensorio a raggiera in argento sbalzato e cesellato, proveniente dalla Basilica dei Santi Gervasio e Protasio di Rapallo, recante il punzone con l’aquila a volo basso, marchio del consolato degli argentieri di Palermo, accompagnato dalle lettere CDNC (“D” ed “N” sovrapposte e giglio finale), entro un rettangolo, riferibili al console Carlo Di Napoli36, che resse l’importante carica all’interno della maestranza nel 1656-1657 ed ancora nel 1663-1664, nel 1668-1669 e nel 1673-167437. Il manufatto riccamente decorato con motivi fitoformi e teste di cherubini aggettanti intorno alla teca, secondo un motivo stilistico ampiamente diffuso all’epoca in ambito siciliano, reca sulla base, entro tre piccole targhe, le immagini dei Santi Gervasio e Protasio, della Madonna di Montallegro e di Santa Rosalia (Figg. 8 – 9 – 10). Sul fusto, lungo il collarino superiore e, in forma più estesa, sotto la base vi è l’indicazione dell’anno, 1671, preceduto dall’espressione FIERI FECIT, ed il nome del committente, il facoltoso mercante Gervasio Pescia38. Questi, originario di Rapallo e figlio di Girolamo, morto a Palermo nel 1658 e sepolto nella chiesa di Sant’Antonio di Padova39, era particolarmente attivo nell’acquisto in Sicilia di seta grezza rivenduta sul mercato ligure, regione in cui erano numerosi i centri celebri per la lavorazione della seta specializzati nella produzione di ricchi damaschi, lampassi e morbidi velluti in cui primeggiavano le manifatture di Lorsica e Zoagli40.
Il 28 gennaio 1671 Gervasio Pescia prende investitura della baronia d’Irosa41. Nel vasto feudo situato sulle Madonie il nuovo barone fonda nel 1673 una cappella dedicata alla Madonna del Rosario42. Tuttavia, con un atto del 1675 il fondatore dichiarerà nullo il precedente documento notarile del 1673 poiché contenente un errore nell’intitolazione della cappella e beneficio da lui fondati che saranno da intendersi eretti, fin dal principio, sotto il titolo dei Santi Gervasio e Protasio43. Non sappiamo quanto possa essere considerato veritiero l’errore dichiarato, è però ipotizzabile che tale ripensamento sia legato all’iter che consentì a Gervasio Pescia di poter ratificare nel maggio del 1679 la concessione di una cappella nella Chiesa Madre dei Santi Gervasio e Protasio di Rapallo, il cui esito era ancora incerto alla data di redazione del testamento solenne stilato nel febbraio del 167944. Certamente il Pescia nutriva devozione verso la Madonna del Rosario se nel 1679 pagava a Giuseppe Giovenco «intagliator lignaminis» onze 8 per aver fatto una «statua» di Nostra Signora del Rosario ed una «figura» di Santa Rosalia collocate rispettivamente sulla porta della sala e nel portone della casa esistente in Palermo nella «vanella […] degli Azzimmaturi»45. A fianco alla Madonna del Rosario compare dunque un’immagine di Santa Rosalia della quale il mercante di Rapallo aveva ottenuto, nel dicembre del 1668, un frammento di reliquia da suor Vincenza e Giovanna Falcone, moglie e figlia del defunto Giovan Giacomo Falcone, genovese, al quale era stata rilasciata con autentica del cardinale Doria del 3 gennaio 162646. Come già accennato nel maggio del 1679, agli atti del notaio Leonardo Di Miceli di Palermo, Gervasio Pescia ratifica l’atto di concessione, dell’ottobre 1678, di una cappella da parte dei massari della chiesa dei Santi Gervasio e Protasio di Rapallo e dei rappresentanti della famiglia Maggioca, titolari di diritti sulle cappelle, ottenuta tramite la mediazione del fratello Giacomo47. Viene promessa la concessione perpetua dell’altare, con tutti i suoi ornamenti, sotto il titolo della Santa Croce, situato nel coro, «in cornu epistole», con facoltà di traslarlo in altro sito all’interno della chiesa nella navata dove è la cappella del Santissimo Rosario48. Allo stesso tempo la famiglia Maggioca rinuncia ai suoi diritti sulle cappelle della chiesa in favore dei massari mantenendo solo lo jus patronatus della cappella dell’Annunciata annessa al coro, «in cornu evangeli»49. Il Pescia dovrà pagare la somma di lire mille per il trasferimento dell’altare della Santa Croce con la facoltà di costruire al posto di esso la sua cappella ed ornarla con l’immagine che preferirà.
Il 6 giugno 1680 Gervasio Pescia dona50 alla chiesa Madre Rapallo un «fragmentum ossij ulne lapidem circumvolutum» di Santa Rosalia, il medesimo ottenuto da suor Vincenza e Giovanna Falcuni nel 1668, posto «in una urna d’argento lavorata con soi cristalli davanti, dietro et alli lati» con lo scopo di collocarla nella sua cappella dedicata alle Anime del Purgatorio e San Gervasio «nel mezzo delli scalini di detta cappella in una grada di ferro» con tre chiavi, una in potere dell’arciprete, una ai massari ed una al maggiore fra i discendenti del defunto fratello Giacomo che sarà a Rapallo51. Risulta dunque che fra il maggio del 1679 ed il giugno del 1680 la famiglia Pescia aveva costruito la propria cappella e che questa era dedicata alle Anime Purganti ed ai Santi Gervasio e Protasio. Attualmente l’altare si trova ubicato nella navata destra della chiesa mentre la tela che l’ornava, con un’insolita rappresentazione che vede Santa Rosalia e i Santi Gervasio e Protasio intercedere presso la Trinità per le Anime del Purgatorio, opera attribuita al genovese Domenico Piola52, è collocata nella parte destra del coro (Fig. 11). Tra le argenterie della Basilica di Rapallo si conserva ancora oggi l’inedita urna reliquiaria donata dal Pescia e realizzata, con molta probabilità, a Palermo tra il 1671 ed il 1680 sulla base dei documenti qui resi noti (Fig. 12)53. L’opera, in argento sbalzato e cesellato con parti fuse, richiama nella struttura la tipologia di manufatti più antichi, come l’arca di Santa Rosalia del 1625 della Cattedrale di Palermo54, il reliquiario della stessa santa della Chiesa Madre di Cammarata55 e la cassetta contenente i resti mortali di San Pellegrino della Chiesa Madre di Caltabellotta, eseguita da argentiere palermitano del 1667-1668, che risente ancora, come l’opera in esame, di echi manieristi56. Il gusto richiama inoltre le fastose “invenzioni” che si realizzavano, per iniziativa pubblica e di singoli, in occasione del festino istituito con l’inventio delle reliquie, non nuove al panorama civico se messe in relazione con quanto veniva realizzato per l’ingresso dei viceré in città.
L’opera, caratterizzata da un corpo parallelepipedo e quattro facce di cristallo, riccamente decorato lungo i lati con motivi fitomorfi, è chiusa da un coperchio piramidale su cui si erge la statuetta di Santa Rosalia adagiata sopra una piccola rosa dischiusa e smaltata. I piedi dell’urna sono figurati e rappresentano quattro arpie, mentre gli angoli sono rimarcati da volute ed elementi zoomorfi reggi fiaccola che sorreggono quattro piccoli vasi con frasche, elemento caratterizzante gli addobbi degli altari di chiese, oratori e monasteri, di case patrizie e di credenze di sacrestie come testimoniano alcuni disegni di Giacomo Amato57. Nella realizzazione di vasi con frasche dovette eccellere, come ipotizzato da Maria Concetta Di Natale58, la bottega dell’argentiere Giovanni Duro, che vidimò le magnifiche frasche della Cappella Palatina di Palermo59, probabilmente note al Villabianca che nei suoi Opuscoli così scriveva: «la nobile fattura dei fiori d’argento alla naturale, colle lor frasche e piramidi, che sono di meraviglioso lavoro riconosce per suo inventore […] il mastro argentiere ingegnosissimo chiamato Giovanni Duro che nacque in Palermo»60. Sul fronte dell’urna, entro cartocci, uno scudo con alla base una testa di cherubino riporta la scritta GERVASIUS PESCIA BARO IROSE D.D., specularmente ad un’altra targa presente sul retro e riportante lo stemma della famiglia Pescia (Fig. 13). L’opulenta decorazione del manufatto continua lungo i lati obliqui del coperchio con motivi antropomorfi. Dietro i cristalli della piccola e fastosa urna si rivela la reliquia della Santa posta dentro una vezzosa teca contornata da una corona di rose smaltate retta da due puttini recanti un mazzetto fiori, verosimilmente gigli (Fig. 14).
Anche in questo caso l’arrivo della reliquia di Santa Rosalia in territorio ligure si lega alla volontà di manifestare una posizione sociale di grande agiatezza conquistata da un abile mercante lontano dal suo luogo natìo. La devozione verso la Santa della nuova patria trova infine prova tangibile, tramite il dono e l’esposizione della cassetta, nel luogo primario della comunità religiosa di Rapallo, ossia la Chiesa Madre dei Santi Gervasio e Protasio, nella quale i Pescia riescono ad ottenere, come già visto, una nuova cappella di jus patronatus familiare che si aggiunge a quella già eretta nella chiesa di San Francesco d’Assisi sotto il titolo di San Giovanni Battista61 ed a cui è forse riferibile la tela raffigurante il Battesimo di Cristo che attualmente si trova posta sopra la porta d’ingresso del convento dei Minori Osservanti di Rapallo62 (Fig. 15).
La devozione verso la “Santuzza”, così come chiamata dai palermitani, nel levante ligure è inoltre attestata a Pegli, dove si conserva presso la chiesa di San Martino un busto reliquiario ligneo del XVII secolo. La diffusione del culto è documentata anche a La Spezia. Nel 1634, lo spezzino Giovan Battista Gallese63, dettando il suo testamento ordinava al suo erede universale di impiegare cinquanta onze per la fabbrica di una cappella da costruirsi nel monastero di monache «novamente fatto» nella città ligure e porre sull’altare l’immagine di Santa Rosalia che era in potere del padre Giulio64. La devozione di questo personaggio verso la Santa è inoltre ricordata nell’inventario ereditario in cui compare una Santa Rosalia di corallo65. Purtroppo, la genericità dell’indicazione relativa al Monastero in cui si sarebbe dovuta fabbricare la cappella non ha consentito fino ad ora di verificare se l’altare fu mai costruito e l’immagine collocata. Al momento si può ipotizzare, in base alla data del testamento, che si tratta del monastero di clarisse sotto il titolo di Santa Cecilia e della Vergine della Misericordia, ad oggi non più esistente, interessato da importanti lavori fra il 1633 ed il 164866.
La devozione nel ponente ligure
Pochi mesi prima del 1639 giunge da Palermo alla dogana di Genova un «ostensorio argenti quadrato cum vitreo et figuris quattuor in capitis» con le reliquie di Santa Rosalia destinato al santuario di Nostra Signora di Misericordia di Savona67. Esso veniva inviato dal sacerdote Domenico Besio rispettando le volontà del padre Giacomo, facoltoso mercante di panni, morto a Palermo il 2 agosto 1636 e sepolto nella sua cappella dedicata alla Madonna di Misericordia, nella chiesa del convento di Sant’Antonio di Padova68. Coloro che ricevono la reliquia per conto del Santuario attestano che trattavasi del medesimo manufatto visto quattro anni prima in Palermo nell’abitazione di Giacomo Besio. Alla persona di Giacomo Besio, cittadino savonese figlio di Andrea, mercante panniere, come inequivocabilmente mostrano gli inventari post mortem della bottega69 e numerosi atti di società70, è stata associata, di recente, la figura dell’architetto della chiesa di San Giuseppe dei Teatini di Palermo, anch’egli savonese e di nome Giacomo, fratello laico dei chierici regolari. In questa sede ci si limiterà a notare come nella Palermo della prima metà del Seicento operassero almeno due Giacomo Besio rimandando il tema ad un futuro approfondimento. Sulla questione ci viene in aiuto un documento in cui il pittore Marco Antonio Parisi si obbligava nel gennaio del 1625 con Giacomo Besio ad eseguire un quadro con l’immagine di San Giacomo su disegno di «fratrem Jacobum Besio clericum regularem»71. Inoltre, nel 1645, quindi successivamente alla morte del Giacomo panniere, veniva concesso72 a donna Francesca Ventimiglia vedova di don Berlingerio il cappellone del beato Gaetano nella chiesa di San Giuseppe dei Teatini di Palermo con l’obbligo, da parte dei padri di San Giuseppe, di abbellirlo «juxta designum fattum per fratellum Jacobum Besio eiusdem religionis»73.
Dalla lettura degli inventari in esame il Besio risulta essere un discreto collezionista; numerosi sono i quadri, prevalentemente di soggetto religioso, a cui si affiancano opere di carattere laico provenienti anche da Roma e da Napoli e di buona qualità74. Del reliquiario, andato disperso, ci tramanda una descrizione il Picconi: «evvi un gran reliquiario d’argento di quadra figura con cupola sostenuta da quattro colonnette d’argento, alla sommità della quale v’è statuina parimente d’argento di S. Rosalia, e quattro statuine d’angioli sono più a basso ne’ quattro angoli, e sotto la cupola ergesi altro piccolo reliquiario rotondo d’argento con cristallo da ambe le parti in cui si conserva un grosso pezzo d’osso ed altro più piccolo di S. Rosalia»75.
Anche nel caso di Besio il dono di una reliquia della Santa patrona palermitana si accompagna ad una testimonianza della devozione del ligure verso la patrona del suo luogo natìo a Palermo. È infatti della famiglia Besio la cappella nella chiesa di Sant’Antonio di Padova ornata dal quadro di Gerardo Astorino raffigurante la Madonna di Misericordia di Savona76. Si realizza, così, un legame simbolico tramite il culto dei santi che sottintende un apparentamento ideale fra due luoghi e che porta con sé una serie di riferimenti culturali nutrendosi ed alimentandosi del côté economico alla base degli scambi fra la Sicilia e la Liguria.
La tela di Gerardo Astorino ci permette di soffermarci su un’altra opera presente presso la medesima chiesa, testimonianza, anche questa, della devozione di una famiglia savonese verso la “Santuzza”. Si tratta della tela raffigurante la Sacra Famiglia con Sant’Anna e i Santi Rosalia e Onofrio attribuita a Geronimo Gerardi, che si trovava collocata nella cappella di Sant’Anna posta di fronte a quella dei Besio. Come ipotizzato da Santina Grasso77, il titolare della cappella, individuato in tale Luca d’Onofrio, è parente di Giacomo Besio per via dello stemma (Fig. 16) che si trova alla sinistra araldica dello scudo raffigurato nella tela della Madonna di Misericordia di Savona, identico a quello presente nel dipinto della cappella che era dedicata a Sant’Anna78. Il blasone riportato nella tela attribuita al Gerardi coincide, infatti, con quello della famiglia d’Onofrio di Savona contenuto nello stemmario del Musso79 (Fig. 17). Dall’inedito testamento80 di Luca d’Onofrio, anch’egli panniere, del 1653, apprendiamo che egli dispone di essere sepolto «in eius cappella» nella chiesa del Convento di Sant’Antonio fuori porta Vicari81 ed ancora nel testamento del 1655 della sorella Francesca, vedova Del Bono, si legge che il suo cadavere «seppellire et humari iubsit in Venerabile Conventum Santi Antonini extra menia huius urbis et in cappella Sante Anne quondam Luce de Honofrio»82. La famiglia d’Onofrio, attiva anch’essa nel commercio di panni, estendeva i suoi interessi, come i Brignone di Quiliano e di Vado, nel trapanese ed a Castelvetrano. È probabile, pertanto, che il prezioso calice di manifattura trapanese83, che si contraddistingue per il virtuosistico miniaturismo dell’esecuzione e per le qualità formali, custodito presso il Santuario della Madonna di Misericordia di Savona, sia dono di una delle famiglie savonesi residenti a Trapani (Fig. 18).
Sempre nel savonese una reliquia di Santa Rosalia giunse a Valleggia84 nel 1627 ed una seconda a Quiliano nel 1630 tramite i fratelli Nicolò e Francesco Pertuso85. Nella chiesa parrocchiale del Santissimo Salvatore e San Giuseppe di Valleggia si conserva nell’altare dedicato a San Giuseppe, nel quale nel 1600 Gabriele Brignone, del fu Girolamo, per disposizione testamentaria fondava una cappellania86, una tela raffigurante la Santissima Trinità con la Madonna, San Giuseppe, Santa Rosalia e Santi Francescani (Fig. 19). L’opera, pubblicata per la prima volta da Magda Tassinari87, è stata ricondotta alla scuola del Novelli88 del quale richiama, nell’impostazione che ruota intorno alla Santissima Trinità, alcune opere note. Santa Rosalia, la cui vaghezza dei lineamenti e l’iconografia attingono al modello definito dal Van Dyck, è raffigurata con un saio, l’abito89 che nelle prime raffigurazioni successive all’inventio delle reliquie la identifica come anacoreta, ancora distante dai tentativi di benedettini e basiliani, della seconda metà del XVII secolo, di «elaborare una proposta di perfezione religiosa femminile maturata all’ombra di una congregazione regolare, che si ponesse come contro-modello rispetto a un’esperienza religiosa laica, selvatica, autogestita»90. È dunque pacifica una riferibilità dell’opera alla congiuntura flandro-novellesca in cui si distinsero gli allievi più abili e originali del Novelli e del fiammingo Geronimo Gerardi il cui catalogo nonostante diversi e fondamentali studi91 rimane ancora non del tutto definito.
Allo stato attuale delle ricerche nessun dato utile è emerso sulla committenza della tela di Valleggia da parte dei numerosi Brignone, possibili committenti, residenti tra Palermo e Trapani, avendo fatto compra nel 1637 delle isole Egadi passate nel 1648 ai Pallavicino di Genova92.
In conclusione, se da un lato è facile intuire come questi preziosi doni alle comunità d’origine sottintendono la volontà di mostrare ai propri conterranei la ricchezza raggiunta in Sicilia e le opportunità che Palermo offriva ai forestieri, è anche vero che il culto di Santa Rosalia segna il passaggio da una città «come somma dei suoi quartieri […] ad un’unica grande città con la vocazione della capitale, da una somma di sante protettrici “locali” […] ad un unico, o quantomeno principale patrono cittadino»93 nella cui santità Palermo riafferma e recupera l’immagine di Urbs felix. Ed è verso la città di Palermo che molti genovesi, ben inseriti nella macchina dell’amministrazione civica e nel tessuto economico e sociale, pur mantenendo almeno per le prime generazioni un’identità consociativa tramite la pratica di matrimoni endogamici, scoprono una nuova patria in cui fissare radici, manifestando una viva inclinazione affettiva tramite l’esportazione di pratiche devozionali e di culti.
Su questa scena, durante la tragica peste del 1624, Santa Rosalia, come sembra suggerire la nota tela di Vincenzo La Barbera94, viene quasi svegliata, richiamata a tornare nel secolo, invicta amazzone per una città in ginocchio. È intorno alla Santa, depositaria del senso di appartenenza della comunità palermitana, che si cercherà di ricompattare la frammentarietà del tessuto sociale cittadino stremato dall’epidemia.
L’autore ringrazia per l’ampia disponibilità ed i numerosi consigli: Giuliana Algeri, Massimiliana Bugli, Paolo Calcagno, Don Stefano Curotto, Francesca De Cupis, Mons. Francesco Isetti, Rosalia Francesca Margiotta, Eliana Mattiauda, Giovanni Mendola, Salvatore Mercadante, Alessandra Molinari, Don Giulio Mignani, Anna Orlando, Magda Tassinari.
REFERENZE FOTOGRAFICHE
Foto 1, autore
Foto 2-7, autore su concessione dell’Ufficio per l’arte sacra e i beni culturali Diocesi della Spezia, Sarzana e Brugnato
Foto 8-10, Mons. Francesco Isetti, direttore Museo Diocesano di Chiavari
Foto 11, archivio fotografico della soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Genova e le province di Imperia, La Spezia e Savona
Foto 12-15, autore su concessione dell’Ufficio per l’arte sacra e i beni culturali Diocesi di Chiavari
Foto 16-17, autore
Foto 18, archivio fotografico A.S.P. Opere Sociali N.S. di Misericordia di Savona
Foto 19, autore su concessione dell’Ufficio beni culturali Diocesi di Savona-Noli (autorizzazione n. 13/19)
- Sulla svolta filoimperiale di Andrea Doria che, nel 1528, collocherà Genova nel sistema imperiale ispano-asburgico e sulla storia istituzionale ed economica della Liguria tra XVI e XVIII secolo si veda Storia della Liguria, a cura di G. Assereto – M. Doria, Roma 2007, pp. 161 – 192. Sulla Sicilia e i genovesi cfr. C. Trasselli, I Genovesi e la Sicilia durante la guerra dei Trent’anni: finanza genovese e pagamenti esteri (1629 – 1643) e M. Aymard, I genovesi e la Sicilia durante la guerra dei Trent’anni, in “Rivista Storica Italiana”, a. 84, fasc. 4, Napoli 1972, pp. 979 – 987, pp. 988 – 1021. [↩]
- Sul patriziato genovese si veda C. Bitossi, Patriziato e politica nella Repubblica di Genova fra Cinque e Seicento, in “Quaderni Franzoniani”, Genova 1992, pp. 21-27; G. Assereto, Il ceto dirigente genovese e la sua “diversità”, in Ceti dirigenti municipali in Italia e in Europa in età moderna e contemporanea, Pisa 1999, pp. 84-91; A. Lercari, La nobiltà civica a Genova e in Liguria dal comune consolare alla repubblica aristocratica, in Le aristocrazie cittadine: evoluzione dei dirigenti urbani nei secoli 15-18, atti del convegno a cura di M. Zorzi – M. Fracanzani – I. Quadrio, Venezia 2009, pp. 228-362. [↩]
- Sulla figura del card. Doria cfr. S. Pedone, Il Cardinale Giannettino Doria Arcivescovo di Palermo e Presidente del Regno di Sicilia, in Atti del III incontro Genova e i Genovesi a Palermo, Palermo 1982, pp. 111-125. Si veda anche M. Sanfilippo, Doria Giannettino, in Dizionario biografico degli italiani, XLI, Roma 1992, pp. 345-347; S. Grillo di Ricaldone, Doria Giannettino, in Dizionario biografico dei liguri dalle origini ai nostri giorni, VII, Genova 2008, con prec. bibl.; M.C. Di Natale, Orafi, argentieri e corallari tra committenti e collezionisti nella Sicilia degli Asburgo e R.F. Margiotta, Dizionario per il collezionismo in Sicilia, in Artificia Siciliae. Arti decorative siciliane nel collezionismo europeo, a cura di M.C. Di Natale, Milano 2016, pp. 46-47, 315-316. [↩]
- Interessanti testimonianze artistiche sul culto palermitano per Santa Rosalia sono state esposte alla mostra Rosalia eris in peste patrona, catalogo a cura di V. Abbate – G. Bongiovanni – M. De Luca, Palermo 2018, che ha messo ulteriormente in rilievo i legami tra Palermo e l’Alto Lario e la devozione verso la Santa patrona del capoluogo siciliano. In merito cfr. inoltre V. Abbate, Peste, peccato, penitenza e P. Albonico Comalini, Dall’Alto Lario a Palermo: emigranti, artisti, committenze dal Cinquecento al Settecento in “Altolariana”, n. 8 – 2018, pp. 7-42 e pp. 43-78. Ulteriore attestazione di questa devozione offre l’esposizione permanente inaugurata nel luglio scorso presso il santuario di Monte Pellegrino, curata da M.C. Di Natale, S. Mercadante, M. Vitella, che espone suppellettili liturgiche d’argento, ex voto ed altri interessanti manufatti, donati alla Santuzza da devoti, nobili, viceré, viceregine etc., la maggior parte dei quali già segnalati da Maria Concetta Di Natale. Si veda in proposito M.C. Di Natale, Santa Rosalia nelle arti decorative, Palermo 1991 e della stessa autrice S. Rosaliae Patriae Servatrici, Palermo 1994. Su Santa Rosalia in relazione alle arti decorative si veda inoltre Eadem, Santa Rosalia, in Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo, catalogo della Mostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2003, pp. 245-246; R.F. Margiotta, Una galassia seminata di stelle: il festino di Santa Rosalia in una cronaca del 1693, Palermo 2018. [↩]
- S. Cabibbo, Santa Rosalia tra terra e cielo. Storia, rituali, linguaggi di un culto barocco, Palermo 2004, p. 17. Sulla santa palermitana si veda anche Eadem, Rosalia, in Siciliane. Dizionario biografico, a cura di M. Fiume, Siracusa 2006, pp. 62-64. [↩]
- S. Cabibbo, Santa Rosalia…, 2004, pp. 196-209, 216-225. [↩]
- Sulla diffusione del culto di Santa Rosalia in Liguria cfr. G. Ferrero, Santa Rosalia. Una devozione venuta dal mare, Montebruno 2000; Tigullio antico alla riscoperta del culto di Santa Rosalia. Arte, storia, tradizioni, a cura di B. Bernabò, Genova 2002. [↩]
- J. W. Goethe, Viaggio in Italia, trad. E. Castellani, Milano 2008, p. 265. [↩]
- Il manufatto è stato indicato finora come opera di manifattura ligure dell’ultimo quarto del sec. XVII. Si veda P. Ribolla, scheda 51, in Apparato liturgico e arredo ecclesiastico nella riviera spezzina, La Spezia 1986, p. 84. [↩]
- E. Cozzani, Leggende della Lunigiana, Milano 1931, ris. an. Sala Bolognese 1986, pp. 47-54. [↩]
- Archivio Compagnia Immacolatella di Palermo (da ora in poi ACICPa), Rollo dei Confrati, serie I, n. 5. Sulla Compagnia cfr. P. Palazzotto, Una proposta interpretativa per l’iconografia della compagnia dell’Immacolatella di Palermo, in La Sicilia e l’Immacolata non solo 150 anni, atti del convegno (Palermo 2004 – 2006) a cura di D. Ciccarelli – M. Valenza, pp. 337-357 e E. Aronadio, Immacolatella. La Compagnia e l’Oratorio, Palermo 2015. Sull’oratorio si veda anche P. Palazzotto, Palermo. Guida agli oratori, presentazione di D. Garstang, Palermo 2004, pp. 178-183 con prec. bibl. [↩]
- Si indicano fra parentesi il numero dei componenti di alcune famiglie liguri legate fra loro da vincoli di parentela ascritti alla Compagnia nel XVII secolo: Benso (10), Besio (2), Brignone (15), D’Onofrio (17), Del Bono (8), Paganetto (5), Pertuso (1) cfr. ACICPa, Rollo dei Confrati, serie I, n. 5. [↩]
- Si ricordano Tommaso nel 1592, Paolo, da identificare forse con il padre, nel 1593, Angelo Maria, zio di Marcantonio, nel 1598. [↩]
- Elenco generale dei Confrati della Venerabile e Nobile Compagnia di S. M. della Consolazione sotto titolo della Pace dall’anno della fondazione 1580 al 1876, Palermo 1877, p. 158. Sulla figura di Paolo Paganetto in relazioni alle vicende della Compagnia della Pace cfr. F. Lo Piccolo, Strategie di potere nella Palermo spagnola: il caso della compagnia della Pace, in “Archivio Storico Siciliano”, s. IV, vol. XXXI, Palermo 2005, pp. 95-121. [↩]
- Sulla Compagnia della Pace si veda, Capitoli della venerabile e nobile Compagnia di Maria Ss. della Consolazione sotto il titolo della Pace, a cura di F. Lancia di Brolo, Palermo 1859; F. Lo Piccolo, Strategie …, 2005. [↩]
- Archivio di Stato di Palermo, Fondo dei notai defunti (da ora in poi ASPa, FND), Nr. F. Manso, st. I, vol. 8090, f. 320, capitoli matrimoniali fra Francesca Pertuso e Marcantonio Paganetto del 21.11.1616. [↩]
- A. Mongitore, Storia delle chiese di Palermo. I conventi, a cura di F. Lo Piccolo, I, Palermo 2009, pp. 342-354 e La Chiesa del Convento di Sant’Antonio da Padova di Palermo, a cura di A. Cuccia, Palermo 2002 a cui si rimanda per la storia della fabbrica. Come si vedrà le famiglie liguri, citate in questo testo, spesso imparentate fra loro o in società per fine commerciali, sembrano aver eletto la chiesa di Sant’Antonio fuori porta Vicari come nuovo luogo rappresentativo della loro comunità in alternativa alla chiesa di San Giorgio. Su S. Giorgio dei Genovesi cfr. R. Patricolo, San Giorgio dei Genovesi. Le fabbriche, le stirpi, i simboli, le epigrafi, Palermo 2006, pp. 104-115. [↩]
- Biblioteca Comunale di Palermo (da ora in poi BCPa), Villabianca, Opuscoli, ms. QqE83. [↩]
- ASPa, FND, Nr. D. Pinelli, st. III, vol. 624, f. 65. [↩]
- ASPa, FND, Nr. G.B. Brocco, st. II, vol. 1115, f. 518; testamento del 26.01.1634 di Francesca Pertuso moglie di Marcantonio Paganetto. [↩]
- G. Di Stefano, Pietro Novelli il Monrealese, catalogo delle opere a cura di A. Mazzè, Palermo 1988, p. 247 e M.P. Demma, scheda II.30, in Pietro Novelli e il suo ambiente, catalogo della Mostra, Palermo 1990, p. 242, ai quali si rimanda per la raffigurazione dell’opera. [↩]
- Lo stemma raffigurante due leoni controrampanti ed affrontati a un pino sradicato è stato erroneamente ricondotto alla famiglia Oneto, cfr. M. Girgenti, Gli stemmi araldici nella chiesa di S. Antonio da Padova a Palermo, in La Chiesa del Convento …, 2002, p. 125-126. [↩]
- G. Rotondi Terminiello – E. Gavazza, Pittori e committenti per una nuova immagine, in Genova nell’età barocca, catalogo della Mostra a cura di E. Gavazza – G. Rotondi Terminiello, Genova 1992, p. 49. [↩]
- ASPa, FND, Nr. P. Arrighi, st. II, vol. 4320, f. 664 v. [↩]
- Il figlio del Marchese Del Viso sposa Maria Francesca Doria, primogenita di Carlo fratello dell’arcivescovo di Palermo, cfr. F. Casoni, Annali della Repubblica di Genova, V, Genova 1800, p. 112 e L. Volpicella, I Libri Cerimoniali della Repubblica di Genova, in “Atti della Società Ligure di Storia Patria”, XLIX, fasc. II, Genova 1921, p. 223. [↩]
- ASPa, FND, Nr. P. Arrighi, st. II, vol. 4320, f. 664 v. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Ibidem. [↩]
- M. Accascina, I marchi delle argenterie e oreficerie siciliane, Busto Arsizio 1976, p. 25. Sulle norme che regolavano la punzonatura delle opere si veda anche S. Barraja, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo dal XVII secolo ad oggi, saggio introduttivo di M.C. Di Natale, Milano 1986, II ed. Milano 2010. Non è da escludersi, inoltre, che la mancata apposizione della “bulla” possa essere connessa alla titolatura dell’argento impiegato. [↩]
- ASPa, FND, Nr. P. Arrighi, st. II, vol. 4297, f. 507 v. [↩]
- Cfr. S. Barraja, in Arti decorative in Sicilia. Dizionario biografico, a cura di M.C. Di Natale, II, Palermo 2014, ad vocem. [↩]
- ASPa, FND, Nr. G.B. Brocco, st. II, vol. 1136, f. 58 v. 20, «piatti piccoli, un lamperi e due sottocoppe […] due candeleri con sue forfici […] piatti reali […] otto piatti mezzani […] un cannistro lavorato di peso […]». [↩]
- Cfr. S. Barraja, in Arti decorative …, 2014, ad vocem. [↩]
- ASPa, FND, Nr. G.B. Brocco, st. II, vol. 1145, f. 244. [↩]
- Cfr. S. Barraja, in Arti decorative …, 2014, ad vocem. [↩]
- S. Barraja, in Arti decorative …, I, 2014, ad vocem, p. 213. [↩]
- S. Barraja, I marchi…, 1996, II ed. 2010, pp. 66-67. [↩]
- Il Museo Diocesano di Chiavari, a cura di G. Algeri, Genova 1986, p. 44 (scheda 23); A. Avena, scheda 11.1, in Tigullio antico …, 2002, pp. 85.86. [↩]
- F.M. Emanuele e Gaetani, Della Sicilia Nobile – continuazione della parte seconda, Palermo 1757, p. 582. [↩]
- P. Massa, L’arte genovese della seta nella normativa del XV e del XVI secolo, Genova 1970, Eadem, La fabbrica dei velluti genovesi: da Genova a Zoagli, Milano 1981, Eadem, Una economia di frontiera fra terra e mare, in Storia della Liguria, 2007, pp. 115-131; Velluti, damaschi e sete del Tigullio, catalogo della Mostra a cura di M. Zunino, Chiavari 1986; Arte e lusso della seta a Genova dal ‘500 al ‘700, catalogo della Mostra a cura di M. Cataldi Gallo, Torino 2000. [↩]
- F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, IV, Palermo 1941, pp. 246-249. [↩]
- ASPa, FND, Nr. L. Di Miceli, st. III, vol. 4444, f. 109. [↩]
- ASPa, FND, Nr. G.A. Priaruggia, st. IV, vol. 841, f. 161. [↩]
- ASPa, FND, Nr. L. Di Miceli, st. III, vol. 4446, f. 167. Il testamento viene pubblicato il 13.05.1683; con codicillo del 10.05.1683, nel medesimo notaio il Pescia aveva revocato il legato per la costruzione della cappella avendola già fondata. [↩]
- ASPa, FND, Nr. G.A. Priaruggia, st. IV, vol. 844, f. 755. [↩]
- ASPa, FND, Nr. G. Oliveri, st. I, vol. 10499, f. 102. [↩]
- ASPa, FND, Nr. L. Di Miceli, st. III, vol. 4445, f. 136. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Ibidem. [↩]
- ASPa, FND, Nr. L. Di Miceli, st. III, vol. 4445, f. 113. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Testimonianze d’arte nella Diocesi di Chiavari: opere restaurate 1982 -1992, catalogo della Mostra a cura di G. Algeri, Genova 1993, pp. 141 -143, scheda 34. [↩]
- Il 1671 è qui considerato come termine post quem per la realizzazione dell’opera, in quanto Gervasio Pescia prende investitura della baronia d’Irosa il 23.01.1671; la data della donazione della reliquia del 6 giugno 1680 è qui indicata come termine ante quem; cfr. F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi …, IV, 1941, pp. 246-249; ASPa, FND, Nr. L. Di Miceli, st. III, vol. 4445, f. 113. [↩]
- M.C. Di Natale, S. Rosaliae…, 1994. [↩]
- S. Rizzo, scheda III.13, in Veni creator spiritus, catalogo della Mostra a cura di G. Ingaglio, Agrigento 2001, p. 81. [↩]
- M.C. Di Natale, scheda II,39, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della Mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 1989, p. 229. Si veda anche P. Palazzotto, scheda III,11, in Veni creator…, 2001, p. 79. [↩]
- Giacomo Amato i disegni di Palazzo Abatellis: architettura, arredi e decorazioni nella Sicilia barocca, a cura di S. De Cavi, Roma 2017. [↩]
- M.C. Di Natale, Frasche e fiori d’argento per gli altari, in Arredare il sacro: artisti, opere e committenti in Sicilia dal Medioevo al Contemporaneo, a cura di M.C. Di Natale – M. Vitella, Milano 2015, p. 72. [↩]
- M.C. Di Natale, Il tesoro della Cappella Palatina di Palermo. Gli argenti tra maestri e committenti e scheda 36, in Lo scrigno di Palermo. Argenti, avori, tessuti, pergamene della Cappella Palatina, catalogo della Mostra a cura di M.C. Di Natale e M. Vitella, Palermo 2014, pp. 40, 77-78. [↩]
- BCPa, F. M. Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca, Opuscoli palermitani, ms. QqE90, f. 43. Il marchese di Villabianca indica il Duro vissuto sul finire del XVII secolo, ma in realtà l’artista è attivo a Palermo tra il 1727 e il 1763. Cfr. S. Barraja, in Arti decorative…, I, 2014, ad vocem. [↩]
- ASPa, FND, Nr. L. Di Miceli, st. III, vol. 4446, f. 167 e ssg. Nel suo testamento Gervasio Pescia lega lire 30 annuali al convento di S. Francesco di Rapallo per il mantenimento della cappella di San Giovanni Battista della famiglia Pescia. [↩]
- L’opera è copia di un dipinto di Luca Cambiaso conservato nel Monastero di S. Chiara in S. Martino d’Albaro di Genova; cfr. A. Manzitti, scheda 45, in Luca Cambiaso: un maestro del Cinquecento europeo, catalogo della Mostra a cura di P. Boccardo – F. Boggero – C. Di Fabio – L. Magnani, Genova 2007, p. 294. Ringrazio Daniele Sanguineti per la segnalazione bibliografica. [↩]
- Sulla famiglia Gallesi o Gallesij, e di Giulio Gallese di La Spezia, si leggono brevi notizie in C. Garibaldi, Delle famiglie di Genova antiche e moderne, estinte e viventi, nobili e popolari delle quali si trova memoria negli annalisti storici, notarj e scrittori genovesi, ms. 229/II/45, f. 1322, Biblioteca della Società Economica di Chiavari. [↩]
- ASPa, FND, Nr. P. Arrighi, vol. 4338, f. 45, 51. [↩]
- ASPa, FND, Nr. P. Arrighi, vol. 4338, f. 52. Inventario del 12.05.1634. [↩]
- Il monastero, fondato nel 1593, sorgeva a La Spezia sulle pendici della collina del Poggio, tra il castello di S. Giorgio ed il convento degli Agostiniani; cfr. E. Di Marino, Un alito della nostra civiltà, in “Rassegna Municipale – Nuova Serie”, a. IX, n. 1, La Spezia 1990 e F. Lazzari – E. Scappazzoni, La Spezia nel Seicento: la ricostruzione del borgo murato della caratata del 1646, storia del Monastero della Clarisse, La Spezia 2012. Ringrazio Claudio Falchi per le notizie e per l’indicazione bibliografica. [↩]
- M. Tassinari – S. Pagano, L’Arciconfraternita della Santissima Trinità di Savona, Savona 2018, p. 17. Il documento, indicato alla nota 39 del medesimo testo, è conservato in ASDSv, sala 1, scaffale 10, faldone Savona Santuario 2, fasc. 1. [↩]
- Si veda M. Girgenti, Gli stemmi araldici …, in La Chiesa del Convento …, 2002, p. 122-123 e p. 134 nota 17 in cui è segnalato il riferimento archivistico al testamento di Giacomo Besio. [↩]
- Per il testamento cfr. ASPa, FND, Nr. F. Manso, st. I, vol. 8130 f. 1075, per l’inventario dei beni si veda f. 1188 e stesso notaio vol. 8131 f. 107, 124, 555 (inventari della bottega). [↩]
- Nel 1612 Giacomo Besio stipula una società «ad manutenendum […] apoteca pannerij» con Bartolomeo d’Onofrio fratello di Luca e figlio di Antonio. Cfr. ASPa, FND, Nr. F. Boccalandro, st. I, vol. 17086 f. 91 e Nr. I. Spanò, st. I, vol. 3453 f. 645. [↩]
- G. Mendola, Dallo Zoppo di Gangi a Pietro Novelli. Nuove acquisizioni documentarie, in Porto di mare 1570-1670: pittori e pittura a Palermo tra memoria e recupero, catalogo della Mostra a cura di V. Abbate, Palermo 1999, p. 73. Il quadro di altezza «palmorum undecim et un dito» e larghezza «palmorum sex et un quarto» in ragione delle dimensioni poteva essere stato commissionato per un altare, forse per la cappella dedicata a San Giacomo Apostolo che il Besio aveva ottenuto nel 1624 nel Santuario di Nostra Signora di Misericordia di Savona cfr. G. Picconi, Storia dell’apparizione e de’ miracoli di Nostra Signora di Misericordia di Savona, Genova 1760, p. 71. [↩]
- G. Mendola, Il cantiere della chiesa di San Giuseppe dei Teatini, in Chiese barocche a Palermo, Caltanissetta 2015, p. 83. Si veda anche ASPa, FND, Nr. A. Santangelo, st., vol. 5490, f. 33. [↩]
- Ibidem. [↩]
- È inventariata «una Sancta Rosolea con sua reliquia nel petto relevata» che però si discosta dalla descrizione del Picconi cfr. supra, nota 46 e ulteriore inventario a. 1638, ASPa, FND, Nr. P. Candone, st. II, vol. 3670. Ringrazio Giovanni Mendola per la segnalazione del documento. [↩]
- G. Picconi, Storia dell’apparizione …, 1760, p. 76. [↩]
- Per la raffigurazione dell’opera si rimanda a La Chiesa del Convento …, 2002, tavola fuori testo. [↩]
- S. Grasso, in Rosalia eris …, 2018, pp. 61-63, cui si rimanda per la raffigurazione dell’opera. [↩]
- La presenza dello stemma dei d’Onofrio inquartato con quello del Besio mi porta ad affermare che la madre di Giacomo Besio fosse una d’Onofrio. Si veda ASPa, FND, Nr. F. Manso, st. I, vol. 8130 f. 1091 codicillo di Giacomo Besio per legato di maritaggio a favore dei consanguinei di cognome Besio e d’Onofrio. [↩]
- Biblioteca Civica Berio di Genova, La università delle insegne ligustiche delineate da Giovanni Andrea Musso, m.r.Cf.2.22, a. 1680, stemma n. 1797. [↩]
- ASPa, FND, Nr. I. Spanò, st. I, vol. 3418, f. 201. [↩]
- Nel 1640 la cappella risultava già in possesso di Luca d’Onofrio cfr. A. Zalapì, doc. n. II.134, in Gli archivi per le Arti Decorative in Sicilia, a cura di G. Travagliato e D. Ruffino, in Splendori di Sicilia: arti decorative dal rinascimento al barocco, catalogo della Mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001, p. 772. [↩]
- ASPa, FND, Nr. I. Spanò, st. I, vol. 3419, f. 483 ed ancora per il testamento del 1657 di Giovanni Francesco Del Bono figlio di Francesca d’Onofrio ASPa, FND, st. I, vol. 3422 f. 61. [↩]
- Il Museo del Santuario di N.S. di Misericordia, a cura di G. Rotondi Terminiello, Savona 1999, p. 71 (scheda 53). [↩]
- Il tramite è stato Giovan Battista Benelli degente a Palermo cfr. Archivio Storico Diocesano di Savona – Noli (da ora in poi ASDSv), sala 1, scaffale 9, Fondo Documentazione della Curia – Parrocchie, Valleggia, faldone 2; nel medesimo faldone negli inventari relativi alla chiesa del Ss.mo Salvatore risulta annotato un reliquiario d’argento di S. Rosalia. [↩]
- G. Ferrero, Santa Rosalia …, 2000, pp. 70-72. [↩]
- ASDSv, sala 1, scaffale 9, Fondo Documentazione della Curia – Parrocchie, Valleggia, faldone 2 e Fondo Vescovi di Savona, F.M. Spinola, faldone 2. [↩]
- M. Tassinari, La chiesa di S. Salvatore e S. Giuseppe e l’oratorio di S. Sebastiano, Savona 1983, pp. 19-20. [↩]
- D. Sanguineti, Anton Van Dyck e Santa Rosalia: fortune e diffusione di una nuova iconografia fra Palermo e Genova, in Tigullio antico …, 2002, p. 106. [↩]
- Sulle raffigurazioni pittoriche della Santa si veda tra l’altro P. Collura, Santa Rosalia nella storia e nell’arte, Palermo 1977; V. Abbate, Il ‘600: Santa Rosalia nella rappresentazione pittorica, in La Rosa dell’Ercta, a cura di A. Gerbino, Palermo 1991, pp. 91-107; P. Palazzotto, La patrona contesa. L’iconografia di Santa Rosalia e le dispute della committenza religiosa a Palermo da Van Dyck a De Matteis, in Rosalia eris…, 2018, pp. 61-71. [↩]
- S. Cabibbo, Santa Rosalia …, 2004, p. 294. [↩]
- Si veda G. Mendola, Un approdo sicuro. Nuovi documenti per Van Dyck e Gerardi a Palermo, in Porto di Mare …, 1999, pp. 88-106 e G. Mendola, Pittura e pittori fiamminghi a Palermo (1550 – 1650) e D. Scandariato, Geronimo Gerardi a Trapani: brevi note aggiuntive, in Sicilië: pittura fiamminga a Palermo, catalogo della Mostra a cura di V. Abbate – G. Bongiovanni – M. De Luca, Palermo 2018, pp. 47- 59 e pp. 61-67. [↩]
- Si veda R. Giuffrida, I Pallavicino e le Isole Egadi, in “La Fardelliana”, n. 1-5, Trapani 1982, pp. 45-57; Gli Archivi Pallavicini di Genova, vol. I, a cura di M. Bologna, Genova 1994, pp. 169-170. [↩]
- G. Fiume – M. Modica, Il santo patrono e la città, a cura di G. Fiume, Palermo 2000, p. 4. [↩]
- E. D’Amico, in Rosalia eris …, 2018, pp. 142-43 e M.C. Di Natale, Il Museo Diocesano di Palermo, Palermo 2006, pp. 90, 96-98. Su Vincenzo La Barbera, architetto e pittore di origini genovesi, si veda fra l’altro A. Contino – S. Mantia, Vincenzo La Barbera architetto e pittore termitano, presentazione di M.C. Di Natale, Termini Imerese 1998. [↩]