Rosalia Francesca Margiotta

rosaliafrancesca.margiotta@unipa.it

“Iugalia aurea et argentea et bona mobilia”. Postille documentarie sui Ventimiglia di Gratteri

DOI: 10.7431/RIV19022019

Dai numerosi inventari, atti dotali, testamenti e donazioni rintracciati presso l’Archivio di Stato di Palermo, ben si evincono la ricchezza e la varietà del patrimonio storico artistico della famiglia Ventimiglia del ramo di Gratteri1. Tra i più antichi documenti esaminati è il testamento di donna Maria Ventimiglia e Ruiz, sorella del Protonotaro del Regno Alfonso Ruiz2 e moglie di Carlo Ventimiglia, investito della baronia della cittadina madonita il 12 giugno 1551, per donazione propter nuptias fattagli dal padre Pietro3.

La nobildonna, baronessa di Gratteri e Santo Stefano, il 15 settembre 1598 (XII Ind.)4, ordina che il suo cadavere sia seppellito nella chiesa del convento di San Francesco di Paola extra moenia di Palermo nella cappella sub titulo di Santa Maria Annunziata, di fronte al sepolcro del defunto fratello Alfonso5.

La testatrice dichiara erede universale don Pietro Ventimiglia, barone pro tempore dello stesso centro, figlio primogenito. Agli altri eredi divideva equamente gioielli, argenti, tessili e alcuni mobili di famiglia. Ad Ettore lasciava «iugalia aurea et argentea et bona mobilia», tra cui «una gioia di oro grande», «due anelli d’oro con un rubbino et un diamante», «dui perni ingastati d’oro», «un braciali di profumo usato d’oro», «perli grossi ventiquattro», «un cinto d’oro smaltato», «uno scrignetto d’argento», «una medaglia di lucreti» e «un pendenti di smiraldo in oro con testi di serpi»6. Quest’ultimo, che doveva trarre ispirazione dai tanti gioielli dalla forma di sirene, serpenti marini, draghi, lucertole e animali fantastici i cui disegni circolavano in tutta Europa7, rimanda alla memoria la «yuia di oro smaltata con un balaxo et uno zaffirio con una perna grossa in mezo dui serpi» elencata tra i preziosi monili affidati nell’ottobre 1560 dai tutori di Giovanni III Ventimiglia del ramo di Geraci ai baroni Aloisio Bologna e Ludovico Alliata per essere venduti a Palermo8.

Il lungo elenco di beni mobili appartenenti alla baronessa di Gratteri prosegue con preziosi manufatti d’argento: «una quartaretta d’argento», «un piatto grande d’argento con l’arme di Ventimiglia», «due tazzoni», «una tazza», «dui bicchieri con l’armi di Ruis di argento», «un cato a crocchiola con l’armi di Ruis», «una salera e pipera d’argento con l’armi di Ruis», «sei cucchiarelli d’argento», «dui forcetti d’argento», «un fiaschetto et un paro di candileri d’argento con l’armi di Vigintimilia»9. Tra i tessili si elencano: «un cortinaggio di domasco verde guarnito d’oro et un paramento di seta verde», «una coltra di seta moresca», «li panni di razza, un cortinaggio di panno verde»10. Interessanti elementi d’arredo erano gli «otto quadri di Fiandra», «un quadro grande indorato della Madonna» e «un quatro di San Geronimo»11. Non mancavano oggetti ornati dall’apotropaico corallo: «una posta di coralli grossi», «una resta di coralli grosso a pero», «dui manichi di cucchiarelli di granfi di coralli»12.

Al figlio Sigismondo, abate di Santa Maria del Parto di Castelbuono13, la nobildonna lasciava «un paro di guanti di fiori», «una tazzetta d’argento», «un sicchetto d’argento con l’arme di Ruis», «una tovaglia lavorata d’oro con la magnificat quali tovaglia trovandosila detto don Sigismondo alla sua morte sia tenuto e debbia lasciare alla chiesa di Santa Maria di Gesù di Gratteri»14.

Il profondo legame della famiglia per la chiesa dei Padri Conventuali del centro madonita, ove purtroppo non è più custodito il parato d’altare segnalato, induce la testatrice a ordinare al figlio Pietro «at quam primum fieri facere sepulcrum unum marmoreum» del valore di onze trenta «in quo reponi debeant ossa ditti quondam don Caroli […] in esso loco in quo ad presens reperiuntur sepulta et in eo apponere arma de Vigintimiliis et Ruis»15. La chiesa, costruita fuori le mura del centro madonita verso la fine del XII secolo, affiancata già a metà del XVI secolo dal convento per volontà del citato don Carlo, custodisce ancora nel lato nord dell’abside il monumento funebre dei Ventimiglia, sormontato dallo stemma di famiglia (Fig. 1)16.

A don Giovanni, altro suo figlio, donna Maria lasciava «una croce di robbini», «uno smeraldo in oro con testi di serpi», ennesimo esempio della tipologia dei monili citati, «tre perli grossi con una alupina», «una rosa d’oro di profumo», «due pietre in oro», «una fortuna d’oro», «una catina d’oro», «un anello con un robbino», «un altro anello con un diamante», «un cinto di matriperla», «un cavaleri di paternostri di giacintho», «una cascetta d’avolio istoriata», «un occhiali grandi con il manico d’argento», «un piatto d’argento d’acqua à mano», «dui tazzoni d’argento», «dui sottocoppi d’argento», «dui vasi alla romana d’argento», «una salera con lo coverchio, pipera», «un paro di candileri d’argento»17.

Alle preziose gioie e suppellettili si aggiungono «un paro di forfoci d’argento», «un fiaschetto d’argento», «dui forcieri», «sei cocchiarelli d’argento», «una cocchiarella piccola indorata», «una giarrottina d’argento», «dui manichi di cucchiarelli di corallo», «dui resti di coralli»18. Seguono pochi mobili ed ancora «ventidue coralli grossi», «otto quatri di Fiandra», «una caxetta d’avolio piccola», «un quatro di San Christophalo in olio» e «la caxettina d’argento smaltata dove sono li Reliquie»19. Il riferimento è certamente alle preziose reliquie custodite ancora a Gratteri, in primis alle Sacre Spine della corona di Cristo, elencate assieme ad altre altrettanto sacre, in un inventario del 1597 stilato per la visita pastorale di Emanuele Quero Turillo20 della Chiesa Madre di Gratteri ove si legge «Reliquie […] tres spinae coronae Domini nostri Iesu Christi; Lignum Crucis eiusdem Domini nostri Iesu Christi; Reliquie Sancti Iacobi; Velum Sanctae Anne»21. Le prime, nel 1763-1764, furono poste nell’attuale reliquiario d’argento sbalzato e cesellato eseguito da argentiere palermitano, forse da identificare con Iacobo Damiano (Fig. 2)22, e prima conservate nella più preziosa cassettina d’argento smaltata, ora perduta. La venerazione di tali reliquie risale alla fine del XIV secolo quando giungono nel centro madonita dopo il furto perpetrato da Antonio Ventimiglia, come vendetta verso il vescovo pro tempore di Cefalù Nicolao de Burellis (1352-1359) che non aveva concesso il feudo della Roccella di proprietà ecclesiale23. Per vendetta di tale rifiuto il Ventimiglia sottrasse le Sacre Spine alla Cattedrale di Cefalù e «portato via con forza il vescovo lo fece morire nelle carceri del suo castello»24.

Altra reliquia ancora venerata nel centro madonita è un frammento del mantello di Gesù, inserito in un altro simile esemplare con cornice floreale caratterizzata da foglie d’acanto e tulipani pure dovuto ad artista siciliano ed ascritto alla prima metà del XVII secolo (Fig. 3)25. Si aggiunge ancora quella di San Giacomo, un frammento di osso del costato, donata secondo la tradizione da Ruggero il Normanno ai signori di Gratteri verso il 115026 a ricordo dell’aiuto che il santo diede al sovrano nel combattimento contro i Saraceni per liberare la cittadina «dalla odiata loro oppressione»27, e l’altra del legno della croce, inserite rispettivamente in un reliquiario d’argento non omogeneo con teca eseguita da argentiere palermitano nel 1731-1732 (Fig. 4)28 e in una stauroteca in argento sbalzato, cesellato e traforato e rame dorato, realizzata nel capoluogo siciliano intorno alla metà del XVIII secolo (Fig. 5)29.

Dall’analisi delle opere del centro madonita pare che l’unica reliquia non più rintracciabile sia quella del Velo di Sant’Anna. Alla madre della Vergine erano molto legati i Ventimiglia e già nel 1311-1312 Francesco I aveva fatto costruire la Cappella di Sant’Anna sulla rocca di Geraci per custodirvi il teschio della Santa30, arrivato dalla Liguria intorno al 1242, donato poco prima a Guglielmo Ventimiglia dal duca di Lorena31. Il resto mortale della Santa fu trasferito nel 1454 da Geraci a Castelbuono ad opera di Giovanni I Ventimiglia dopo «l’abbandono definitivo della vecchia capitale» in favore di quest’ultimo centro32. La reliquia veniva inserita nel 1521 nel reliquiario a busto commissionato da Isabella Moncada consorte di Simone I Ventimiglia33, come riporta l’iscrizione posta alla base dell’opera34. Si ipotizza però che la probabile perdita e successiva sostituzione dell’originario cartiglio che accompagnava la reliquia di Gratteri, o parte di esso, ha dato luogo allo scambio di identità del resto mortale e quella ormai conosciuta come il Velo della Vergine è da identificare verosimilmente con l’antica reliquia della madre di Maria. Il frammento è stato posto certamente dopo il 15 settembre 1598 (XII Ind.), data in cui è stato stilato l’inventario, non oltre comunque i primi decenni del XVII secolo, in un reliquiario con teca cilindrica realizzato da argentiere siciliano (Fig. 6)35.

Tornando alla ripartizione delle preziose gioie e suppellettili di donna Maria Ventimiglia Ruiz, la testatrice lega all’erede particolare, l’altro figlio don Francesco, «una croce di granati», «un crocifisso d’oro col crestallo con perni al pede», «dui pendenti d’oro con li bedemi e perni pendenti», «cauto perni boni», «uno anello rubinello col giro smaltato torchino» e «uno anello smeraldo»36. Lo smeraldo era molto richiesto come ornamento dei preziosi monili «si riteneva utile – scive Maria Concetta Di Natale – per rafforzare la vista, per debellare la peste, per combattere i veleni, per contrastare l’epilessia, nonché per aumentare memoria ed eloquenza o contro le tentazioni demoniache e i cattivi pensieri o contro i temporali e le avverse condizioni climatiche»37. L’elenco inventariale annota anche «una granfa di corallo»38, ricco ramo non lavorato o solo in parte scolpito, elemento prescelto per le Wunderkammern del periodo e pertanto frequentemente riscontrato in altri inventari dell’epoca, come in quello datato 2 marzo 1583 del Maestro Razionale del Regno di Sicilia Pietro Agostino39, amico di Alfonso Ruiz, o nell’altro del 1599 del tesoro della Madonna di Trapani40. Ancora caratterizzati dal pregiato materiale marino erano «dui resti di coralli» e «un’altra granfa serve per manico di cucchiarella»41. Sono inoltre annotati «una cucchiarella di porcelluzza ligata d’argento […] quattro cucchiarelli d’argento», «un bocceri d’argento», «un giarrotto d’argento», «una salera e pipera d’argento», «una busciuletta d’argento», probabilmente una preziosa scatola di piccole dimensioni, «due forcine d’argento», «un denticheri di corallo ingastato d’oro», «una pietra perciata di robbino», «un panno grande di razza figorato», «altri quattro pezzi di panni figorati et un portale», «un quatro della SS.ma Annunciata di vetro grande», «una figoretta delli tre rè», «venti paternostri di cornioli longhi col partimento a mostazzoli» e «una resta di paternostri d’ambra gialla grossi»42. «Con il termine paternostri – scrive Pietro Lanza Di Scalea – si soleva indicare le pallottoline maggiori della corona di rosario […] così comuni che in Parigi si crearono dei veri corpi d’arte, che sotto il nome di paternostrieri fabbricavano i grani e furono quei fabbricatori distinti in tre categorie, i paternostrieri d’osso e di corno, quelli di corallo e madreperla e quelli d’ambra»43. Tale diffusione, come quella della maggior parte dei gioielli, ebbe grande sviluppo dal Trecento «e come negli inventari stranieri, così in quelli siciliani si fa menzione di paternostri di corallo, d’ambra, di perle»44. Geneviève Bresc Bautier e Henri Bresc, dopo aver esaminato innumerevoli inventari siciliani, affermano che «Les grains des patenôtres et des reste sont quelquefois dénombrées, révélant une grande irrégularité: 209 grains de jais, 136 grains de cristal, 20, 40, 34, 72 et 74 grains de corail, 100 et 110 grains d’argent»45. Preziose corone di rosario venivano donate ai simulacri siciliani più venerati, interessanti esemplari sono ancora conservati, ad esempio, presso il Museo Regionale Pepoli, provenienti dal Tesoro della Madonna di Trapani, alcuni dei quali realizzati in corallo46. Per tornare in ambito madonita se ne ricorda traccia documentaria nei tesori delle chiese di Gratteri. Un inventario dell’ultimo quarto del XVI secolo relativo alla Chiesa Madre del centro siciliano, oltre a riportare interessanti suppellettili d’argento, annota «quattro para di patri nostra di coralli»47. Ancora fino al 1597, nella chiesa non più esistente della Madonna del Rosario di Gratteri, erano custoditi «tri paternostri di coralli et di ambra»48 e sino al 1621 nello stesso edificio chiesastico vi erano «quattro para di paternostri di coralli et di ambra quali su agi alla stessa imagini della Madonna»49.

Simili manufatti si annoverano pure tra le gioie preziose della famiglia Ventimiglia del ramo dei marchesi di Geraci e principi di Castelbuono50, tra i monili di Giovanni III Ventimiglia51 si riscontrano «una coruna di paternostri di oro ismaltati consistenti in paternostri grossi trentatri et piccoli chinquantanovi con dui pendenti grossi di oro facti a conocchia, una coruna di paternostri de cristallo con septi partituri di oro smaltati ed un altra coruna di matri perni tundi con soi partituri et cruci del medesimo, vinti novi paternostri grossi de corallo, una coruna di oro ismaltata facta ad paternostri tondi cumsistenti in paternostri piccoli sissantadui et setti partituri grossi con sei granati per paternostro picolo in li quali mancano in tutti undici rubinetti»52.

Donna Maria Ventimiglia e Ruiz citando la figlia Elena riferiva che aveva una «cameram intus monasterium Sante Clare» di Palermo e ricordava anche la sorella, suor Clara Ruiz, alla quale lasciava onze venti comandandole di far realizzare dopo la sua morte due candelabri d’argento «pro servitio et usu altaris in quibus apponi debeat insigna et arma de Ruis hoc pro servitio della chiesa di detto monasterio»53.

Il 17 aprile 1575 Pietro Ventimiglia Ruiz, che sarà pretore di Palermo nel 1586-158754, si era investito della baronia e terra di Gratteri, come primogenito ed erede universale del suddetto Carlo. Il nobile sposò in prime nozze, Maria Grifeo ed in seconde Giulia Agliata di Gerardo, barone di Roccella55.

Donna Giulia Ventimiglia e Agliata, contessa di Collesano e baronessa di Gratteri e Santo Stefano, madre di don Alfonso Ventimiglia, dettando le sue ultime volontà nel testamento del primo febbraio 1607, pubblicato il 6 aprile dello stesso anno dal notaio Giuseppe Toscano di Palermo, sottolinea che vuole essere seppellita nella chiesa palermitana di S. Maria di Gesù fuori le mura, «nella cappella degli Agliati», al quale convento lega dieci onze per celebrazione di messe56.

La testatrice inoltre lasciava al convento di Santa Maria della Misericordia di Palermo del Terz’Ordine di S. Francesco «sub titulo di li Scalzi» onze duecento per celebrazione di messe che doveva pagare l’U.I.D. don Giovanni Garlano57, Protonotaro Regio, in debito con la suddetta58.

La nobile signora destinava inoltre altre cento onze «sibi debitarum per dictum de Garlano» al marito don Pietro Ventimiglia affinchè con i proventi «dictorum reddituum construi et edificari debeat per dictum baronem una cappella di li Santi Spini et sacrarum reliquiarum in ditta terra Gratteri pro quo effettu expendantur quolibet anno interusuria dittorum reddituum usque quo erit completa ditta cappella qua completa ditti redditus convertantur in celebratione missarum in iogalibus et pro luminaria ditte cappelle et casu quo non compleretur ditta cappella in vita ditti baronis que compleri debeat per infrascrittum don Alfonsium de Vigintimiliis eius filium erede universalem» o dai suoi eredi59.

Il marito Pietro e il figlio Alfonso verosimilmente dettero avvio ai lavori e mantenne ulteriormente fede alle volontà di donna Giulia il figlio minore don Lorenzo, che fece adornare tale cappella con un’edicola marmorea realizzata in marmi mischi, eseguita da un anonimo marmorario siciliano del 1648 (Fig. 7), su commissione del citato barone di Gratteri e Santo Stefano e della moglie Maria Filangeri, come si evince dall’iscrizione posta sulla stessa e dagli stemmi60.

L’opera, che custodisce al suo interno il citato reliquiario d’argento, è stata trasferita nella cappella delle Sacre Spine della Chiesa Madre nuova di Gratteri61, mentre nella cappella dell’antica chiesa del centro madonita è oggi posto il simulacro marmoreo cinquecentesco della Madonna del Rosario proveniente dall’eponima chiesa, ubicata nel piano della detta Matrice, consacrata «nel XII secolo con il titolo di Santa Maria di Castro» e citata nel 1597 come «ecclesia di Santa Maria del Rosario»62.

Nel testamento donna Maria istituisce eredi particolari l’omonima figlia Maria, donna Isabella sua figlia maggiore, donna Anna, donna Brigida, futura educanda nel monastero delle Vergini di Palermo63, e il citato figlio minore Lorenzo64.

A donna Maria lascia «una tocca seu banda65 di oro perni, petri e coralli consistenti in dudici peczi grandi et altri firnimenti minuti et dui rami di mortilla di oro et dudici perni grossi et uno paro di braczali di oro et petri fini consistenti in peczi 14 et uno cortinagio di tabì cangianti con li frinzi lavorati di diversi coluri di sita»66.

A donna Isabella «unus stractus di petri di novi fili conferenti a quelli di la tocca et uno paro di paternostri di oro et agati consistenti in pezzi 44 guarnuti et un altro cortinagio di domaschello gialno et bianco con li frinzi pieni di filo»67.

A donna Anna e donna Brigida «una catina di oro con perfumo», dalla quale pendeva probabilmente un pomander, sfera traforata in oro o altro metallo che conteneva essenze odorose, e una «posta d’ambra consistenti in peczi sei compliti et 3 rutti»68.

A Lorenzo destinava «una coruna di coralli con soi partituri et guarnationi di oro et uno cortinagio di capello consistenti in 11 peczi di oro et camei»69.

Un preziosissimo «cinto di oro consistenti in peczi 28.53.7 diamanti, 7 rubbini et 14 peczi di ingasti con quatro perni di ingasto» fu destinato a don Alfonso70. Simili opere, probabilmente da ascrivere al XVI secolo, come osserva Dora Liscia Bemporad, sono «ricchissime, incastonate di perle e pietre preziose, spesso strumento cui erano appesi sia oggetti di uso quotidiano (nettadenti, nettaorecchie, cesoie), sia contenitori per essenze, con i quali si profumavano le persone e si coprivano i pungenti odori corporei. In rari casi servivano a trattenere le pieghe degli abiti o a sottolineare il punto di vita, dal momento che a partire dalla metà del Cinquecento il corpetto degli abiti tendeva a stringersi in vita per poi scivolare verso l’inguine in un prolungamento appuntito […] Dunque essa si poneva sullo stesso piano d’uso degli altri innumerevoli gioielli che si distribuivano pesantemente sull’abito»71.

A don Pietro Ventimiglia spettarono inoltre «tutti li soi anelli con petri et senza per quelli distribuiri a cui vorrà di li ditti loro figli ecceptuato uno diamanti che resta in sua volontà et cossi la recuperactione di quelli soi ingastati in oro e argento lavorato li quali si hanno di recuperare dalli mani di diversi personis»72.

Il citato don Lorenzo il 7 ottobre 1624 sposerà in prime nozze donna Felice Margherita Rosselli e Belloc73. Il lungo e interessante elenco dotale riportato dal notaio palermitano Vincenzo Parabova annota le notevoli gioie portate in dote: «In primis una filsa di perni numero duimilia cento cinquanta dui»74. La perla, considerata tra le più perfette componenti del gioiello e carica di reconditi significati e nobili qualità, viene utilizzata con finalità a un tempo simboliche e ornamentali, socio-rappresentative e apotropaico-medicamentose. Veniva usata anche come dono per le spose, così che oreficeria sacra e profana venivano a fondersi e talora a confondersi insieme al loro significato simbolico75. L’elenco continuava con «Una gioia con diamante, rubini e perni et oro», stimata onze quaranta, «Un paro di pendagli di smeraldi et oro», «Una golera d’oro con diversi smeraldi grandi e piccoli», «Uno Agnus Dei di cristallo guarnuto d’oro», gioiello con funzione apotropaica, già diffuso nel XII, posto a protezione delle donne durante il parto76. Rappresentativo monile di tale tipologia è quello custodito presso il Museo Pepoli di Trapani, proveniente dal tesoro della Madonna di Trapani, inglobato in una cornice d’oro arricchita da smalti policromi, caratterizzato dalla scritta Ecce Agnus Dei qui tollit peccata mundi77. Tra i raffinati monili registrati nel documento del 1624 vi sono anche «Una fico di christallo guarnuta d’oro con smiraldi et granatini», «Un paro di pendagli di cristallo», sessanta «puntali di cristallo», «Una golera di corallo guarnuta d’oro et una gioia di corallo guarnuta d’oro», «dui stoccietti guarnuti d’oro con soi cutelli e manichi di curallo»78. Questi ultimi manufatti testimoniano la predilezione di nobili e alti prelati per il prezioso materiale marino, la cui produzione in Sicilia è legata alla maestranza trapanese dei corallari79. Nel 1637 ordinava coralli a Trapani pure l’arcivescovo di Praga Ernst Adalbert von Harrach, tra cui si annotavano pure manichi di coltelli80, tipologia esemplificata da quelli da caccia di collezione privata catanese della metà del XVII secolo81.

Si elencano ancora «una spada d’oro con tri diamanti e tri rubini», «una rosa d’oro con 17 diamanti», «Un paro di pendagli d’oro con 16 robini e tri perni», «Una golera d’oro con smeraldi falsi», «Un paro di manigli d’oro con diversi perni intagliati», «Un anello con uno smeraldo», «Uno anello con uno diamanti grandi»82. Seguono inoltre alcuni manufatti in argento, come «Un calamaro et rinaloro», «Dui sottocoppi d’argento dorati», «Un platto grandi et uno bucceri d’argento dorati», «Dui bruccetti e dui cucchiarelli», «Un bucceri d’argento dorato», quasi tutti esempi di suppellettili da tavola83.

Tali pregevoli manufatti furono stimati per parte di don Lorenzo da Pietro Riggio, maestro degli orafi e argentieri di Palermo attivo dal 1604 al 31 ottobre 162784, mentre donna Margherita affidava la valutazione degli importanti monili, per un valore di oltre quattrocento onze, a Giovanni Camillo Barbavara85, orafo di origine messinese da parte materna, attivo a Palermo, abile nella tecnica dello smalto, che nel 1627 realizzerà il reliquiario per i capelli della Vergine della Cattedrale di Piazza Armerina86.

Si valutavano inoltre «tre quatri di tela di fiandra», «un paramento di domasco virdi con suo passamano d’oro fino in diversi corpi per farda et una farda di murcatello et un’altra di domasco virdi con soi frinzi d’oro alli frinzi e passamano d’oro attorno detto frixio», stimato ben duecento trentasei onze, «una trabacca intagliata e dorata con soi pedi quatrati […] e detta trabacca tutta dorata e di sopra con li soi cornici», «quindici seggi di villuto carmixino con suoi frinzi», «un cortinaggio di domasco virdi con sua frinza d’oro ingradata al velo e tornialetto et à torno a tavoletta d’oro et sita verdi et con suoi chiavi grandi d’oro»87. Si annotano anche pochi quadri, «tre quatri cioè una di Santa Ninfa et un del SS. Rosario et un altro pinto di certi animali», un altro «della Madonna con Nostro Signore in brazza» e pochi mobili, tra cui «uno scrittorio d’ebbano lavorato d’avolio», «un altro scrittorio d’ebbano lavorato d’avolio et ebbano con suoi figuri», «una scrivania d’ebbano lavorata d’ebbano», «un scrittoretto di villuto carmixino», «tre scrittori di tenerci gioii et una caxetta, setti pezzi di quatri di diversi figuri di santi depinti sopra ramo con suoi cornici dorati et una Madonna di Trapani d’alabastro con suo tabernacolo nigro»88.

Quest’ultima opera è probabilmente da identificare con la Madonna con il Bambino dell’ultimo quarto del XV secolo, riferita alla bottega di Domenico Gagini, ancora custodita nella chiesa di Santa Maria di Gesù dei Padri Conventuali89, inventariata nel 1659 come «una Immagine della Beata Vergine di marmora piccola sopra l’altaro nella sua cappella»90, che attesta ulteriormente la diffusione del culto per la Madonna di Trapani, ormai venerata anche al di fuori della Sicilia91.

Tra le spese annotate si ricordano onze duecentocinquanta «per prezzo d’una catina d’oro» acquistata da Gabriele Mas, mercante attivo in Sicilia92.

Seguendo le sorti mortali dei membri della famiglia si rintraccia il testamento del citato don Francesco Ventimiglia, figlio di Carlo e Maria Ruiz93. Il testatore, che individuava come erede universale la sorella Elena, lasciava tutta la «libraria […] cossì fra libri stampati come in libri scritti a mano» alla Casa Professa della Compagnia di Gesù di Palermo94. Ai Padri Gesuiti trasferiva inoltre «un reliquiario d’ebbano grande di palmi tre e menzo in circa con ingasti di reliquii di ramo indorato con un figura della Natività di parcimino di miniatura di Paulo Brami et una custodietta di cristallo di rocca ingastato d’argento indorato con una crocetta di cristallo di rocca con sua reliquia d’argento indorata sopra una piramide d’agata tutto per ornamento del stesso reliquiario con la reliquia di S. Anna» e altre reliquie95. Tali annotazioni testimoniano la diffusione di simili opere in Sicilia e l’apprezzamento dei religiosi della Compagnia di Gesù per manufatti che presentavano una grande esuberanza decorativa e un connubio di materiali pregiati, quali il cristallo di rocca e l’agata. I Padri Gesuiti custodivano già vari esemplari ornati con cristallo di rocca, tra cui si ricordano le due pregevoli croci reliquiarie, una in cristallo di rocca, rame dorato e corallo (Fig. 8) e l’altra in cristallo di rocca, rame dorato e smalti, riferiti alla collaborazione dei tre artisti Marzio Cazzola, Andrea Oliveri e Thomas Pompeiano, eseguite tra il 1619 e il 1620, oggi esposte nel museo annesso alla chiesa del Gesù a Casa Professa96.

La predilezione per i cristalli di rocca della famiglia Ventimiglia si inserisce nel gusto collezionistico del tempo ricordando come esempio significativo in questa sede la quantità di cristalli di rocca lavorati elencati negli inventari madrileni di don Carlo D’Aragona, duca di Terranova e primo principe di Castelvetrano97.

Degli interessanti manufatti ricordati nel testamento di don Francesco si elencano ancora «due reliquiarie a modo d’Agnus Dei lavorati ad ottangulo d’ebano con suoi piedi contenuti li balaustri uno con uno Agnus Dei miniato e l’altro di metterci reliquie con una Madonna con le figure di Santa Elisabetta in oglio sopra ramo» e «un reliquiario d’argento con suoi piedi e delfini posano sopra un circhetto di ramo dorato», che viene destinato al convento di S. Francesco di Gratteri dedicato a Santa Maria di Gesù, contenente la reliquia di Santa Rosalia, opera che, come suppone Salvatore Anselmo, «potrebbe essere stata simile a quella della Santa Croce della Chiesa Madre di Cammarata, realizzata in Sicilia agli inizi del XVII secolo»98. A don Carlo Maria Ventimiglia, suo nipote, «dominus incontrastato della cultura palermitana del Seicento»99, lascia un «relogio di ramo indorato a turri» e tutti gli strumenti metamatici100.

Il testatore inoltre ordina alla sorella Elena «che delli frutti delli […] onze 60 di rendita del primo o secondo o terzo o quarto anno, dopo la morte d’esso testatore facci fare una cappella nella chiesa di detto convento di San Francesco di Gratteri sotto titulo del Crucifisso e che ella li facci seppellire li cadaveri delli loro antecessori, che sono sepolti in detto convento di San Francesco ed anco li facci mettere il corpo della quondam signora donna Eleonora madre che fu del quondam ill.re signor don Carlo nipote di esso conforme essa Donna Elena havea derterminato a caso che detto donna Elena questo non lo facesse fare in tempo di sua vita che la prima annata maturanda doppo sua morte di dette onze 60 si spendano per l’effetto predetto»101. Tale volontà fu rispettata e nel 1634 fu ultimato il ricordato sepolcro della chiesa di Santa Maria di Gesù come attesta l’iscrizione della lapide.

Si dispone inoltre che la «cassetta piccola d’un palmo e menzo incirca mursiata d’avolio con suo coverchio a monte anco si venda e del prezzo si faccino celebrare tante messe per l’anima di un defonto»102. Un’altra cassetta «con suo coperchio a tre facci d’un palmo in circa d’avolio con alcuni lavori di pittura con alcuni pezzi di reliquii dentro» è stata destinata invece alla Casa Professa della Compagnia di Gesù di Siracusa103.

Elena Ventimiglia e Ruiz, suora dell’Ordine di San Francesco, nel suo testamento dell’8 settembre 1644, depositato presso il notaio Francesco Maringo di Palermo e pubblicato dopo la sua morte, il 20 marzo 1646, dispone di essere seppellita nella chiesa di San Francesco di Palermo «nel Convento delli Padri della religione Francescana della Scarpa» nella sua sepoltura «al primo scalone dell’altare Maggiore dove al presente vi è la balata che ci ho fatto fare»104. La nobildonna istituisce suo erede il nipote, don Carlo Maria Ventimiglia, figlio del fratello Filippo105. La testatrice ricorda inoltre la sorella suor Maria Ventimiglia, monaca nel monastero di Santa Chiara di Palermo la quale poteva disporre di trenta onze di rendita annuale «da pagarseli ogn’anno dal mio herede  universale»106. Alla stessa destinava tutte le reliquie «con li reliquiarii quali stiano in potere suo mentre sara viva e doppo che sara morta succeda in quelli il detto monasterio ad effetto di tenerli nel oratorio che e (sic) dentro detto monasterio»107. A suor Maria lasciava inoltre la «scrivania di noce muzziata di bianco»108.

Nel monastero palermitano di S. Chiara erano pure monacate suor Stefana e suor Chiara Ventimiglia, nipoti della testatrice, alle quali riservava «dui quadri pari tutti indorati antichi d’altezza circa per palmi dui uno col Crocifisso depinto ed altro con diversi Santi109.

All’altro nipote Luigi, figlio di don Vincenzo Ventimiglia, destinava tra l’altro «cinque quadretti dipinti di mano di Paulo Brame con suoi cornici d’ebbano uno delli quali vi è dipinto Il sponsalizio di Santa Catharina Vergine Martire nell’altro S. Michele Arcangelo, nell’altro S. Giorgio, nel altro S. Anna, e nell’altro la SS.ma Madre di Dio con il figlio in bracia quale quadro tiene il piede d’ebbano di più dell’altri quattro»110. L’artista citato nel testamento, nato a Palermo da famiglia oriunda di Genova, era operoso soprattutto nel campo della pittura e della miniatura. Della sua attività si ricorda la miniatura con La decollazione del Battista o l’altra raffigurante I Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, utilizzata come frontespizio del volume manoscritto dei Capitoli dell’omonima Compagnia, e il dipinto attribuitogli da Vincenzo Abbate de La consegna dell’indulgenza della Porziuncola della chiesa dei Padri Cappuccini di Castronovo111.

A don Cesare Romano e Colonna, barone di Cesarò, altro nipote, Elena Ventimiglia e Ruiz donava «un quadro della SS.a Maria Vergine alla quale vi è una corona d’argento ed un quadricello di Maria Vergine SS.a con li presenti che soglio tenere al mio capizzo del letto»112.

Destinava inoltre a Domenico di Gratteri, religioso dell’Ordine di S. Francesco della Scarpa, suo confessore, «un quadricello dipinto con S. Rosalia con la cornice di legno ordinario negra e la cornice che mi diede il Padre Generale della sua Delazione»113.

Quest’ultima opera assieme al già citato reliquiario posseduto da don Francesco Ventimiglia attesta la devozione della nobile famiglia per Santa Rosalia il cui culto sarà sempre più diffuso non solo in Sicilia, ma anche al di fuori dall’Isola, come testimonia anche Casimiro di Santa Maria Maddalena che nel 1729 scriveva: «sin dal 1656 la Fidelissima città di Napoli travagliata da un fiero contagio era ricorsa non solo al Patrocinio del sempre glorioso S. Gennaio (sic) Protettore assai vigilante di questo popolo, ma all’intercessione della gran Vergine S. Rosalia, con tanto profitto, che in breve tempo si vide libera da un tale flagello»114.

A suor Antonia Bonelli, monaca terziaria di S. Francesco, donava un crocifisso di rame con la croce di ebano115. A un’altra monaca dello stesso Ordine, Felice Bergamino, destinava un altro crocefisso d’avorio posto pure su una croce di ebano «al quale si sono concesse l’indulgenze che sono concesse alla conette di S. Carlo»116.

Nella chiesa del convento di San Francesco di Gratteri, alla quale legò anche le sue vigne in quella terra, dopo il deposito presso la chiesa di Santa Maria degli Angeli di Palermo, dispose di essere seppellito presso la sepoltura dell’altare maggiore anche don Alfonso Ventimiglia, barone di Gratteri e Santo Stefano, figlio di Pietro e di Giulia Alliata, che nel suo testamento depositato agli atti del notaio Trabona istituiva erede universale il fratello Lorenzo Ventimiglia117. Nei codicilli  del 25 novembre V Ind. 1636 disponeva inoltre che «la sua argentaria dentro un bagulletto et onze 77 quas onze 77 […] voluit et mandavit quod expendantur et expendi debeant ut dicitur per farsi la sepoltura in detto convento Santi Francisci Gratterii e per portare il corpo del quondam Illustrissimo D. Petro XX.a suo patre sic voluit et non aliter» doveva essere custodita dal citato padre Domenico di Gratteri118. Tra i manufatti custoditi dal religioso veniva destinato a un tale Caracciolo «un tazzone di argento»119, a Joseph Magri «un piato di acqua in mano et puccere di argento»120, a don Francesco Ventimiglia suo nipote veniva riservata invece «tutta la cocina di argento con tutto lo stiglio di argento di cocina e tutto l’altro resto dell’argento»121.

Nelle aggiunte ai codicilli, il 9 dicembre 1636, don Alfonso specificava che tutte le opere d’argento che erano in potere del padre Domenico di Gratteri dell’ordine dei Minori Conventuali nella città di Palermo dovevano essere destinate a suo fratello, don Lorenzo Ventimiglia, cui raccomandava di «havere particolare cura di far portare lo corpo di detto ill.o signore et anco habbia di far fare la sepoltura» e ricordava ancora che l’«argentaria chiamata di cocina» doveva essere assegnata al citato don Francesco122.

Anche don Carlo Ventimiglia nel suo testamento dell’11 maggio 1626, pubblicato il 14 maggio,  presso il notaio Francesco Manso, nominando erede universale Alfonso Ventimiglia, fratello secondogenito, aveva ordinato che il suo cadavere fosse seppellito a Gratteri nel convento di Santa Maria di Gesù nella cappella nella quale sono sepolti i signori di Gratteri. Qualora la morte lo avesse colto a Palermo il suo corpo doveva essere depositato nella cappella di Santa Maria Annunziata esistente all’interno del convento di San Francesco di Paola fuori Porta Carini e poi trasferito nel centro madonita123.

Del 22 agosto 1650 (II Ind.), pubblicato il 25 settembre 1650 presso il notaio Antonino Gerardo di Santo Stefano, è il testamento di donna Maria Ventimiglia e Filangeri, baronessa di Gratteri e Santo Stefano, seconda moglie di don Lorenzo Ventimiglia124. La nobile consorte di don Lorenzo suggeriva che il suo cadavere venisse seppellito nella chiesa conventuale di S. Domenico di S. Stefano «in loco benvisto ven.li Patri vicario ditti Conventus et hoc loco depositi, qui cadaver possit trasportare ad electionem ditti Ill.is domini D. Laurentii de Vigintimiliis quandocumque et in huius Ecc.is terris et civitatibus ei benevisis»125. I suoi resti mortali saranno in seguito trasportati nell’antica Chiesa Madre di Gratteri ove sono ancora i monumenti funebri di Maria Filangeri e del figlio Gaetano, principe di Belmonte126, nella parte posteriore della citata cappella delle Sante Spine e dove vorrà essere seppellito anche don Lorenzo Ventimiglia, come si evince dal suo testamento del 7 ottobre 1675 (XIV Ind.) in cui dispone che il suo cadavere venisse deposto «in Ecclesia Patrum Clericorum Regularium sub titulo sancti Joannis evangeliste» e successivamente venisse trasportato «in maiore Ecclesia […] et in cappella Sanctarum Spinarum» di Gratteri127.

La testatrice dichiara suoi eredi universali i figli Elisabetta dell’età di 18 anni, cui destina «unum lectum di tila d’oro carmisino consistente in un cortinaggio tornialetto e cultra con suo frixio raccamato e dui tovagli una torchina e una carmixina raccamati pro bono amore et non aliter128, Carlo di dieci anni, Antonino di sette, divenuto all’età di quindici anni clerico regolare dei Padri Teatini129, Geronimo di sei anni, Giuseppe dell’età di quattro anni, Cesare di un anno. Erede curatore e amministratore dei suoi beni è  il marito don Lorenzo130.

La testatrice istituiva eredi particolari Caterina Lorenza Ventimiglia, suora nel monastero di Santa Chiara di Palermo, alla quale destinava dieci onze «semel tantum»131, e donna Domenica, altre sue figlie, quest’ultima data in sposa all’età di 24 anni a don Giuseppe Gallego marchese di Sant’Agata132.

Una preziosa gioia già riscontrata nel testamento di donna Giulia Ventimiglia e Agliata, contessa di Collesano e baronessa di Gratteri e Santo Stefano, madre di don Alfonso Ventimiglia, è citata nel documento di donazione di donna Maria Lercaro e Ventimiglia contessa di S. Carlo del 24 dicembre 1663 a favore del fratello don Lorenzo Ventimiglia133. La testatrice raccomanda che dopo la sua morte si consegni a don Geronimo Pavaro della Compagnia di Gesù, suo padre spirituale, «la catina d’oro perli e coralli d’essa donante ad effetto di quelle vendere ed il prezzo farni celebrare messi per l’anima d’essa Ill.ma donante» e lascia inoltre alla chiesa di Santa Maria del Rosario di Gratteri onze cento dai frutti provenienti della baronia della Roccella da spendere o in giogali «pro servitio ecclesie predicte o pro fabrica»134.

Pure legato al centro di Gratteri è don Francesco Ventimiglia, principe di Belmonte, figlio di don Lorenzo, che nel suo testamento redatto presso il notaio Vito Savona di Palermo e datato 3 settembre 1669, vuole che alla sua morte  il suo corpo sia trasportato nella chiesa di Santa Sofia, forse la chiesa palermitana di Santa Sofia dei Tavernieri, per essere successivamente sepolto nel cappellone delle Sacre Spine nella terra di Gratteri cui destina onze 28 per celebrazione di messe, «iugalia et ornamenta pro servitio di detta cappella maggiore»135. Il nobile istituiva erede universale don Gaetano, figlio primogenito, ed eredi particolari i figli don Pietro, don Felice, donna Margherita, donna Giovanna, donna Rosalia Ventimiglia e il nascituro ex ventre pregnante di donna Ninfa d’Afflitto, sua moglie136.

Nell’inventario ereditario di don Francesco, conservato agli atti del notaio Giuseppe Martino Moscata di Palermo in data 9 settembre 1669, si elencano i numerosi dipinti che componevano la quadreria del Ventimiglia stimata dal pittore Felice Riccobeni137.

«A Palermo, come a Messina e in qualsiasi altra città», scrive Vincenzo Abbate, «la collezione di dipinti di destinazione privata – la cosiddetta quadreria – con opere di piccolo, medio e grande formato, a soggetto ora sacro, ora profano» ha avuto probabilmente origine «dall’affermarsi della moda di disporre “a tappezzeria” i quadri alle pareti dei vari ambienti, specialmente in quelli di rappresentanza al piano nobile dei palazzi aristocratici, privilegiando da principio in maniera particolare la cosiddetta “sala” o anticamera»138. Oltre alle più interessanti opere pittoriche, spesso ornate da ricche cornici intagliate e dorate, arricchivano tali ambienti anche pregiati mobili e ricche cortine, come mostra il dipinto di Michele Regolia139. Veniva superata dunque la più antica usanza di addobbare le stanze più rappresentative con enormi arazzi, seppur ancora custoditi140, spesso provenienti da Bruxelles o Firenze.

Il documento palermitano enumera prevalentemente dipinti a soggetto sacro cui apparteneva «il quadro della presa dell’Orto» dell’importante artista «Matteo Storno» (Matthias Stom) valutato 60 onze141. Il fiammingo attivo a Palermo dalla fine degli anni Trenta142 dipingeva nel 1640 per la famiglia Alliata di Villafranca due pregevoli opere ancora custodite e recentemente restaurate ed esposte nel palazzo di Piazza Bologni: Il tributo della moneta e La lapidazione di Santo Stefano , quest’ultimo successivamente lasciato per disposizione testamentaria (1657) dal principe Francesco II Alliata e Lanza alla moglie Margherita Colonna143.

Legati al culto mariano sono i due quadri del Ventimiglia raffiguranti la Madonna della Grazia, quello della «Madonnuzza pinta sopra nuci persico con cornice d’ebano» e ancora una «Madonna d’oro piccola»144.

Ricca è la galleria dei Santi, vi si elencano Santo Silviano, Santa Cecilia, San Giuseppe, San Sebastiano, Santa Teresa, Santa Maria Maddalena, S. Antonino, S. Biagio, S. Simone, San Francesco, S. Eustachio, S. Geronimo, S. Andrea, S. Lucia, S. Giovanni, cui si aggiunge pure la raffigurazione di Sant’Anna, che ricorda ancora una volta l’antico legame della famiglia con la madre di Maria145.

Non poteva mancare una tela effigiante la Vergine romita elevata a patrona di Palermo, Santa Rosalia, probabilmente eseguita dopo il ritrovamento delle sue ossa sul monte Pellegrino (12 luglio 1624)146. Anche se il documento non riporta i nomi dei pittori esecutori delle opere inventariate, doveva certamente trattarsi di importanti personalità artistiche. Tra i tanti capolavori della pittura siciliana del XVII secolo che raffigurano la vergine palermitana, si ricordano quelli raffiguranti Santa Rosalia che intercede per Palermo di Vincenzo La Barbera del Museo Diocesano del capoluogo siciliano147, Santa Rosalia coronata dagli angeli di Anton Van Dyck ora a Houston (The Menil Collection)148 e Santa Rosalia in gloria pure dell’artista fiammingo149 in origine nella collezione di Desiderio Segno, mercante genovese estimatore del pittore di Anversa, la cui madre Camilla era una Ventimiglia, dal 1649 nella preziosa quadreria di don Antonio Ruffo della Scaletta e oggi al Metropolitan Museum of Art di New York150.

La raccolta di argenterie ascrive quattro «bruccetti» e quattro «cucchiarelli d’argento», «quattro candileri d’argento», «una sottocoppa», «un bicchieri», «una salera», un «cucchiaruni», «una templadera»151, denominata anche cantimplora o bozza, ampio vaso refrigerante di diversa forma a seconda se utilizzata per bottiglie, per coppe o per caraffe, che si prestava a contenere la neve152.

Di proprietà della famiglia erano pure alcune interessanti gioie e pochi altri argenti elencati nel documento dotale di donna Ninfa Afflitto, datato 14 febbraio 1658153. In tale occasione don Francesco aveva ricevuto da donna Ninfa onze 498 e tarì 4 «in pretio infrascritti auri et argenti et gioiam» stimati da Pietro De Vita, importante gioielliere palermitano attivo dal 1604 al 1663154, da Giovanni Maiolino, certamente discendente dall’omonimo orafo palermitano documentato tra il 1534 e il 1550155, da Giuseppe Testa, argentiere attivo a Palermo tra il 1639 e il 1662, console nel 1660156, e da Michele Dato (Di Dato), argentiere attivo a Palermo dal 1629 al 1652157.

Tra i preziosi monili realizzati in oro, diamanti, corallo e cristallo di rocca probabilmente dai citati artisti si ricordano «una gioia grandi di diomanti», valutata onze 200, «una golera di diomanti», «una pennacchiera di diomanti», del valore di onze 120, «una golera di perni», «una filza di perni», «una golera di cristallo», «un reliquiario di cristallo», «un stuccio di cristallo», «una corona d’oro e corallo»158. In argento erano invece «dui grasti e soi fiori d’argento», i cosiddetti “vasi con frasche”, che adornavano anche gli altari di tante chiese siciliane159, «una salera d’argento», «tri quartarelli guarnuti d’argento», cui si aggiungevano «un quatretto di capizzo» e un «san Giovanne in grutta»160.

Il citato testamento di don Lorenzo Ventimiglia, oltre ad informarci del designato luogo di sepoltura, ricorda che il nobile istituisce eredi universali don Giuseppe e don Cesare Ventimiglia, figli del testatore e dalla quondam donna Maria Ventimiglia e Filangeri, ed erede particolare don Gaetano Ventimiglia, principe di Belmonte, figlio del quondam don Francesco Ventimiglia, primogenito di don Lorenzo, al quale aveva destinato nel suo testamento dato in custodia all’ormai defunto notaio Giovanni Luigi Panitteri di Palermo «un paramento e letto di domasco verde guarniti d’oro ed un paramento di panni di razza ed avendosi al suddetto don Francesco dato così da detto illustre testatore cioè il detto paramento di panni di razza come il sudetto letto di domasco pertanto vuole detto illustre testatore et espressamente comanda che li suoi heredi  siano solamente obligati a dare il paramento seu altra refettione»161.

Don Lorenzo Ventimiglia ordina che «tutto il mobile della sua casa […] resti per detto don Giuseppe e don Cesare eredi universali», che dovevano dividere equamente pure i gioielli e i manufatti in argento lavorato»162. Il testatore lega inoltre «all’illustre Donna Antonia Ventimiglia sua nora moglie dell’illustre Don Carlo Ventimiglia, conte di Prades, quel vaso grande a granato dorato pro bono amore»163 e istituisce erede particolare lo stesso don Carlo al quale vanno onze 1500 annuali donati dal testatore «propter nuptias» di don Carlo e donna Antonia Gravina, cui si aggiungono «due gotti d’argento»164. Alla figlia donna Domenica Ventimiglia, come da contratto matrimoniale con don Giuseppe Gallego, marchese di Sant’Agata, «dona un anello di rubbini con duodeci diamanti attorno»165.

All’abate don Cesare, altro suo figlio, assegna «un anello di smiraldo circumdato di diamanti» e a don Lorenzo Ventimiglia, figlio del predetto Carlo, «la catena d’oro a pampina»166, ornamento da collo a moduli ripetuti167.

Al citato nipote don Gaetano destina «la boffetta d’agata la quale vuole esso testatore che sia vincolata con detta baronia di Gratteri e non si possa vendere obligare pignorare per qualsivoglia causa etiam per restituzione di doti, ma sempre vada unita con detta baronia di Gratteri»168 e inoltre «un anello con un birillo circondato di diamanti»169. A donna Ninfa Ventimiglia, principessa di Belmonte, assegna invece «un anello con dui smiraldi» e a donna Laura Filangeri, marchesa di Lucca, un crocifisso d’avorio170.

Al testamento fa seguito il Repertorio di tutti li beni mobili remasti in casa del quondam Ill.mo Don Lorenzo XX.a barone di Gratteri, pesati ed apprezzati da vari artisti171. Gli argenti della «Bolla Nova», della «Bolla Vecchia» e «senza bolla» sono stati valutati dall’argentiere palermitano don Pietro Curiale172, mentre le «Cose d’oro et gioie» furono stimate dal gioielliere Melchiorre Bellino, forse da identificare con Melchiorre Mellino, attivo dal 1677 al 1703, console nel 1680173, la cui attività sarebbe dunque da spostare indietro di due anni174.

Il lungo ed interessante elenco degli argenti della «Bolla Nova» annota tra l’altro «dui tinelli con suoi stuppagli d’argento», «un altro tinello piccolo», «numero quattro grastetti piccoli con suoi fiori», «una buzzetta con suo coverchio», «un sputatore», «sei piatti mezzani», «sei piatti fiamingotti», «una salera piccola», «un cannistro straforato», «ventidue candileri», «una conca d’argento», «grasti d’argento con soi fiori d’argento» e «una boffittina»175.

L’elenco della Bolla Vecchia riporta ancora numerose opere d’argento: «dui piatti bastardi», «un bacile di radiri unnato», «un quadrangolo in pezzi n. sei», «quattro sottocoppe», «un infriscaturi funduto scaglionato d’argento», «una fruttera scaglionata funduta d’argento», «dui piatti d’acqua a mano piccoli d’argento», «dui altri piatti d’acqua a mano grandi», «dui piatti scaglionati d’argento», «dui sottocoppi funduti», «dui bucceri con soi coverchi grandi», «un parafumo con sua forbicia», «dui buccieri piccioli con suoi coverchi d’argento», «dui carraffini», «una confitteria», «un cannistrello», «un fiaschetto», «una campanella», «una busciula di sapone et un manico di scopitta», «un fonte di capizzo», «dui gotti senza piedi», «otto candileri», «una ciotula a navetta dorata con suo cristallo»176, «un triangolo dorato consistente in pezzi tre cioè spezzera zuccarera e salera e il pezzo del triangolo dove posano dette tre pezzi»177. L’opera doveva essere tipologicamente e stilisticamente simile al completo da tavola di argentiere palermitano della prima metà del XVII secolo di collezione privata trapanese, anche se più semplice178. Un analogo manufatto doveva essere pure il «quadrangolo, cioè salera, speziera, zuccarera, vaso d’olio, vaso d’aceto, quattro overa con suoi coverchi con un piatto quattro per poso di da salera con n. 9 bandiriglie» citato in un inventario dei beni mobili del principe di Butera pure del 1675179 o la «Salera dorata in sette pezzi» elencata tra le argenterie stimate da Francesco Bracco nel 1693, inventariate in occasione della consegna della dote in seguito al matrimonio di Felice Ventimiglia con Urbano Barberini principe di Palestrina180.

A queste opere si aggiungevano nel repertorio dei beni di don Lorenzo Ventimiglia pure altri manufatti d’argento senza bolla: «una tazza con suo pede intagliata», «una carraffina a carrabba», «un’altra a carrabba», «due carraffine una fungia e l’altra a Paternoster», «dui cucchiaroni», «dui carraffini fatti a canapicchio», «dui brichi con soi coverchi e manichi d’argento», «un tiganello», «una scotella di brodo», «quaranta setti piattigli», «un sicchitello d’argento con sua catinella», «un rinaloro et un calamaro», «tre brocche de quali si deve pagare il prezzo a Pietro Curiale che l’havea fatte ultimamente d’ordine di detto Ill.e D. Lorenzo Vigintimilia», «quattro cortelli con manichi d’argento pure novi il prezzo de quali si deve pagare a detto di Curiali», «una catena d’argento dorata a chiappa» e una «palla di ligno coperta di lama d’argento»181.

Le gioie stimate dal Mellino includevano «una catena d’oro fatta a fanfarricchia», «una catiniglia minuta d’oro con suo bottone di diamante […] n. 48 diamantini attorno detto buttone», «un anello con un smiraldo grosso […] sidici diamantini attorno detto smiraldo», «un altro anello con un smiraldo e diamantini smaltato», un «anello con un giacinto e diamanti», un «anello con la crisolica e rubbini», «un berillo ingastato senza il circolo dell’anello», «dui brazzoletti d’oro all’antica con petri diverse smaltati», «una guardia di spatino di petra che da detto quondam ill.o don lorenzo Vigintimilia si chiamava agata ingastata d’oro con numero 140 rubbini numero 60 diamanti piccoli un rubbino grande dui smeraldi un zaffiro un giacinto e questa con sua gaspa di detta pietra pure ingastata d’oro con tredici amatistiti piccoli dudici topatij piccoli et una torchina»182.

Si elenca ancora «un

reliquiario della Madonna di Montemaggiore d’ebbano ingastato di piancia d’argento e ramo con due statuetti di ramo dorati cioè San Lorenzo e Santo Stefano»183. La Vergine venerata sotto questo titolo nell’antica chiesa del centro siciliano (dal 1283 al 1324 e ancora dal 1409 tra i possedimenti dei Ventimiglia del ramo di Geraci e poi dei Migliaccio-Ventimiglia e dei loro eredi), cui era annesso un piccolo monastero dell’ordine dei Benedettini Cluniacensi, era denominata già nella seconda metà del XVII secolo Madonna degli Angeli per la collocazione sull’altare dell’edificio chiesastico di tale dipinto tuttora esistente184, la cui iconografia non segue quella diffusa in Sicilia dai Francescani, basata sui prototipi eseguiti da Scipione Pulzone per i Cappuccini di Milazzo (1584) e per i Francescani di Mistretta, ma lo schema compositivo della pala della chiesa romana di Santa Maria degli Angeli185.

Il documento prosegue con l’annotazione di «un paramento di velluto carmisino di Catanzaro menato consistente in fardi numero 39», cui fanno seguito interessanti «panni di razza», valutati da Francesco Alias: «In primis pezzi otto di panni di razza dell’istoria di Romulo vecchi», valutati onze 170, «cinque pezzi di panni da razza col Triunfo di Cesare vecchi», «sei pezzi di panni di razza chiamati li birrittelli vecchi», «cinque pezzi dell’istoria d’Hippolito vecchi» e «otto pezzi dell’istoria della venuta d’Enea vecchi»186, serie di antichi e ormai consunti arazzi, ispirati a varie “historie”, che nel XVI e nella prima metà del XVII secolo, com’era consuetudine tra la vecchia nobiltà terriera, dovettero addobbare le stanze maggiormente rappresentative delle dimore dei Ventimiglia, fatti realizzare verosimilmente nei più importanti centri manifatturieri, tra cui Bruxelles187.

I quadri vennero valutati da Carlo d’Anselmo, pittore palermitano attivo a Palermo e a Napoli188. Oltre a quelli già riscontrati nel citato inventario ereditario di don Francesco Ventimiglia del 1669 si ricordano: «La Carità Romana menza figura cornici indorata», «dui menzi figuri di filosofi», «una menza figura che sona li ciaramelli», «Lucretia Romana menza figura» e «una menza figura con una mascara»189. Degni di nota sono certamente i «Sei quatri grandi di palmi 9 e 7 con cornici nigri di mano di Nicolao lo Francisi», cui seguono «dui quatri di menzi figuri di palmi 6 e 8» dello stesso artista190, il quale potrebbe essere identificato con il pittore francese Nicolas Poussin (1594-1665). Segue inoltre l’annotazione delle tele custodite nell’antica chiesa del casale di Santa Eufemia: «Quatri tre uno della Madonna Sant’Anna e S. Giachino, uno di San Gaetano et uno di Santa Fimia tutti con cornice ordinaria»191.

Da quanto attesta un altro inedito documento ai manufatti in argento già stimati se ne aggiungono altri eseguiti dall’argentiere Pietro Curcale, certamente da intendersi con il suddetto Curiale, per don Lorenzo, ma che dopo la sua morte furono consegnati a don Carlo Ventimiglia, conte di Prades, procuratore e figlio del defunto192.

La quadreria della famiglia Ventimiglia risulta ulteriormente arricchita nel 1725, come si evince dall’elenco inventariale dei beni mobili di Gaetano193, figlio di Francesco e Ninfa Afflitto, nipote di Vincenzo Afflitto principe di Belmonte, titolo che in virtù di tale matrimonio passa all’importante casata originaria dalla Liguria194. Gaetano ereditò i beni paterni e prese l’investitura della Baronia di Gratteri il 22 gennaio 1677195.

Il nobile morì senza figli avendo designato come suo successore il «Principe Giuseppe Emmanuello Ventimiglia suo nipote figlio primogenito […] di Vincenzo Ventimiglia fratel secondogenito di detto don Gaetano maritato con la signora D. Maria Anna Statella premorto al detto D. Gaetano», che fu investito dello stesso stato il 15 luglio 1725196. Il documento stilato il primo marzo dello stesso anno, depositato pure tra le carte del Fondo Belmonte, elenca i numerosi dipinti che componevano l’interessante quadreria del Ventimiglia, stimata dal pittore Francesco Gianlumbanza (Giallumbardo)197.

Si ritrova nella collezione «il quadro della prega di nostro Signore all’Orto», certamente da identificare con la tela con lo stesso soggetto elencata nel citato inventario di don Francesco Ventimiglia del 1669 e ascritta allo Stom198, i cui dipinti si riscontrano in molti inventari siciliani, tra cui in quello del 1675 della quadreria del principe di Butera199. Alla quadreria dei santi già inseriti nella suddetta raccolta si aggiunge San Giacomo200, santo apostolo, molto caro alla famiglia Ventimiglia, venerato in tutto il territorio madonita da Geraci Siculo, ove è inserito nel trittico marmoreo della Madonna con il Bambino, riferito a Vincenzo e Fazio Gagini, eseguito a metà del XVI secolo per la chiesa di San Bartolomeo201, a Gratteri. Si annoverano pure le raffigurazioni di Santa Agrippina, venerata anche a Mineo nell’omonima chiesa, e di S. Leonardo, che attesta ancora la sensibilità dei Ventimiglia verso i culti locali. Un’altra raffigurazione del Santo, venerato in territorio madonita, è la scultura lignea della seconda metà del XVI secolo, proveniente dall’eponima chiesa, oggi custodita nella Matrice Nuova di Gratteri, riferita a Sebastiano de Auxilia202.

Alla tipologia di pittura sacra appartengono ancora i dipinti di «S. Pietro con moneta in mano e pesce di sotto», la «Natività del Signore», varie raffigurazioni della Sacra Famiglia, la «Flagellazione», l’«Epifania del Signore», la «Santissima Annunciata», «nostro Signore con la croce in collo», il «quadro del Crocifisso sopra tavola […] con cornice di legno vecchio» e quello del Volto di Cristo203, immagine talvolta combinata «con il Sudario della Veronica, dove compare la figura del Cristo incoronato di spine così come si è impressa sul velo della pia donna durante l’andata al Calvario»204, di cui un’altra copia donata da Papa Urbano VIII a fra’ Innocenzo da Chiusa, al secolo Vincenzo Caldarera (Chiusa 1557 – Roma 1631)205, molto stimato dai sommi pontefici Gregorio XV ed Urbano VIII, fu inviata alla chiesa dei Frati Minori Osservanti Riformati di Chiusa Sclafani, sua città natale206.

Si elencano ancora un quadro «della Susanna» con cornice dorata, un altro di David, un quadro «sopra piangia di ramo del passaggio del Popolo Ebreo di tre e due con cornice dorata», «altro della lotta di Pastori», «Cajno ed Abel», «Mojsè con il scaturimento dell’acqua», altro quadro «dell’Annuncio de’ Pastori», del «Sagrifizio d’Abramo» e «due sopra piangia di rame rappresentanti l’uno l’adorazione del Vitello d’oro del Popolo Ebreo e l’altro la condotta del Popolo di Mojsè di tre e due con cornici dorati»207.

Tra le raffigurazioni mitologiche si ricorda il quadro di Venere ed Adone probabilmente simile all’olio su rame dell’artista bolognese Francesco Albani dello stesso soggetto, ma di dimensioni ben più piccole, proveniente dalla collezione della duchessa Giulietta Lo Faso di Serradifalco, donato nel 1888 per lascito testamentario al Museo Nazionale della città siciliana, proveniente a sua volta dalla quadreria del duca Corrado Ventimiglia208.

Si annotano inoltre numerosi «Paesaggi», soggetto autonomamente riconosciuto dalla seconda metà del Cinquecento209, uno dei quali «con figura dell’Angelo di Tubbia», le «quattro staggioni dell’anno», «sei quatretti di Città Maritime del regno», «sei quadretti di Pajsaggi di fiori […] con cornici neri di cimasetti dorati», «altri quattro di fiori di tre e due con cornicetti dorati vecchi», queste ultime nature morte «tra le più ricercate e meglio pagate», la cui grande fortuna è dovuta all’importanza che la botanica assume a partire dal tardo manierismo e successivamente nell’età barocca210. Sono citati ancora un quadro «di frutti», un altro di battaglia e un «quadro con l’albero della Casa Afflitto vecchio senza cornice». Si ricordano, infine, il «ritratto di Filippo quarto […] con cornice dorata» e quello di Carlo II211.

Soggetti simili a quelli elencati tra i beni mobili dell’illustre don Gaetano si ripetevano spesso in varie collezioni siciliane, oltre alle raccolte già citate, si rammentano alcune ricche quadrerie palermitane di fine Seicento – inizi Settecento, tra cui quella di don Giuseppe Domenico Gallego, marchese di Sant’Agata e principe di Militello, la quadreria dei Branciforte di Leonforte Raccuia, quella di don Calogero Gabriele Colonna Romano, duca di Cesarò212, e le collezioni pittoriche di altri membri del ramo principale della famiglia Ventimiglia, quello dei marchesi di Geraci e dei principi di Castelbuono, tra cui i quadri di donna Felice Ventimiglia, già vedova di don Blasco Ventimiglia, figlia di Francesco Rodrigo e di Caterina Pignatelli Aragona, che assieme ai ricordati argenti, alle gioie e ai preziosi arredi, venivano inventariati il 25 agosto 1693 in occasione della consegna della dote in seguito al matrimonio con Urbano Barberini principe di Palestrina213.

Nonostante il silenzio della fonte archivistica in merito agli autori, oltre all’identificato Stom, la raccolta ereditata da Giuseppe Emanuele Ventimiglia Statella poteva custodire altre opere più antiche di rinomati maestri, che testimoniavano la cultura figurativa dell’area palermitana tra il Cinquecento e il Seicento, oppure poteva indirizzarsi agli artisti stranieri prediligendo i pittori francesi e soprattutto tedesco-fiamminghi o agli artisti bolognesi, tra cui i Caracci e il citato Albani, copie del quale erano conservate pure nella segnalata quadreria di donna Felice Ventimiglia, che possedeva pure due quadri del Monrealese, Pietro Novelli214, o ancora presentare opere del barocco romano.

Alla ricca quadreria segue un lungo elenco di opere in corallo, madreperla, osso, ambra, agata, lapislazzuli, velluto, broccato, seta, tartaruga e legno, stimate dal corallaro Marco Milioti, recentemente noto, dal gioielliere Domenico Magri e da Giuseppe Andaloro215. «La casa dei principi di Belmonte – scrive Salvatore Anselmo – era inoltre arredata da numerose “scaffalata”, ossia scarabattole realizzate con diversi materiali e arricchite con le più svariate composizione di figure religiose, profane e mitologiche»216. Seguono alcune cassettine, dette «cascitelle», che accoglievano varie figure di santi, tra cui si ricorda la santa protettrice di Palermo, Santa Rosalia, e San Michele Arcangelo in corallo, raffigurazione probabilmente simile alla «statua di San Michele Arcangelo di coralli sopra una basa di legno inargentato con cornici indorate con diverse rose e frasche di coralli» citata nell’inventario del 1696 dell’eredità del «fu Principe di Torella Don Marino Caracciolo»217.

Alcuni degli interessanti dipinti elencati nell’inventario del 1725 transitarono certamente nella famosa collezione d’arte dell’omonimo successore, Giuseppe Emanuele Ventimiglia (1776-1814), principe di Belmonte, Deputato del Regno, figlio di Vincenzo Ventimiglia e Alliata e di Anna Cottone, dei principi di Castelnuovo218, che donò cinquantatrè quadri «ornati delle più ricche cornici in oro ed intagli» e «una copiosa raccolta di disegni originali di vari rinomati pittori, fra i quali molti di Pietro Antonio Novelli detto il Monrealese, e tutte le sue numerose stampe»219 alla Pinacoteca della Regia Università di Palermo220.

  1. Notizie sui Ventimiglia di Gratteri riportano i documenti trascritti da B. De Marco Spata, Nota di gabelle diverse fatte dai giurati di Gratteri, in Arte e storia delle Madonie. Studi per Nico Marino, voll. IV-V, Atti della quarta e quinta edizione (Cefalù e Castelbuono, 18-19 ottobre 2014; Gibilmanna, 17 ottobre 2015) a cura di G. Marino e R. Termotto, Cefalù 2016, pp. 199-207. []
  2. Per il protonotaro del Regno in contatto con Carlo V, al quale donò una preziosa opera in rame dorato, coralli e smalti, si veda R.F. Margiotta, Dizionario per il collezionismo in Sicilia, in Artificia Siciliae. Arti decorative siciliane nel collezionismo europeo, a cura di M.C. Di Natale, Milano 2016, ad vocem, pp. 330-331. Per il pregevole manufatto, successivamente trasformato in reliquiario di Santa Rosalia, cfr. M.C. Di Natale, Orafi, argentieri e corallari tra committenti e collezionisti nella Sicilia degli Asburgo, in Artificia Siciliae…, 2016, p. 15; Eadem, Scheda 1, in  Splendori di Sicilia. Arti decorative dal  Rinascimento al Barocco, catalogo della Mostra (Palermo, Albergo dei Poveri 10 dicembre 2000 – 30 aprile 2001) a cura di M.C. Di Natale, Milano  2001, pp. 467-468 con prec. bibl. []
  3. F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dalla loro origine ai nostri giorni, vol. IV, quadro 467,  p. 176. []
  4. Archivio di Stato di Palermo (d’ora in poi ASPa), Fondo Belmonte, vol. 81, ff. 189-231. Il documento della testatrice, già deceduta il 19 settembre, data di pubblicazione del testamento, è pure depositato tra le carte del notaio palermitano Orazio d’Allegra. []
  5. Ibidem. Il magnifico Alfonso nel 1529 versava ai Padri di San Francesco di Paola di Palermo 60 onze per la costruzione di una cappella sotto il titolo della Vergine Annunziata (cfr. R.F. Margiotta, Dizionario…, in Artificia Siciliae…, 2016, p. 331). Si trattava della seconda cappella dalla parte sinistra venendo dall’altare Maggiore verso la porta principale, che il Mongitore ricorda dedicata a San Girolamo, con all’interno due sepolcri, uno in marmo rosso e l’altro in marmo verde (A. Mongitore, Storia delle chiese di Palermo. I conventi, I, edizione critica a cura di F. Lo Piccolo, Palermo 2009, p. 113) in uno dei quali il 13 agosto 1575 era stata fatta apporre una lapide dalla madre Elisabetta Sanchez in memoria del figlio, già defunto a quella data, la cui iscrizione è pure riportata dal canonico palermitano (ibidem). Alla morte della madre Elisabetta la cappella e i beni di famiglia furono ereditati da Maria Ruiz. []
  6. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 81, f. 194 v. []
  7. Si veda M.C. Di Natale, Il Tesoro di Sant’Agata. Gli ori, in Sant’Agata, a cura di L. Dufour, Roma-Catania 1996; Eadem, Gioielli di Sicilia. Gemme e ori, smalti e argenti, coralli e perle, uno scrigno preziosissimo ricolmo di monili, II ed., Palermo 2008, p. 43. []
  8. R.F. Margiotta, I gioielli di Giovanni III Ventimiglia, in Alla corte dei Ventimiglia. Storia e committenza artistica, Atti del convegno di studi (Geraci Siculo – Gangi, 27-28 giugno 2009) a cura di G. Antista, Geraci Siculo 2009, p. 163. []
  9. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 81, f. 195 r. []
  10. Ibidem. []
  11. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 81, f. 195 v. []
  12. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 81, f. 196 r. []
  13. Per l’abbazia di Castelbuono da dove proviene il pentittico quattrocentesco di San Guglielmo, oggi nella Matrice Nuova di Castelbuono, si veda R. Termotto, L’abbazia di Santa Maria del Parto a Castelbuono, in Alla corte dei Ventimiglia…, 2009, pp. 65-77. Il 15 gennaio 1607 don Sigismondo Ventimiglia registra il suo testamento ove dichiara tra l’altro che vuole essere seppellito nella cappella e sepoltura dei Padri Cappuccini di Castelbuono (ASPa, Fondo Belmonte, vol. 81, ff. 383-393). []
  14. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 81, f. 201 r. []
  15. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 81, f. 221 v. []
  16. S. Anselmo, Le Madonie. Guida all’arte, Palermo 2008, p. 117. []
  17. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 81, ff. 202 v. – 203 r. []
  18. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 81, f. 203 r. []
  19. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 81, ff. 203 r. – 205 r. []
  20. Sul presule, vescovo di Cefalù dal 1596 al 1605, si veda Serie dei vescovi di Cefalù con dati cronologici e cenni biografici, a cura di G. Misuraca, Roma 1960. []
  21. R.F. Margiotta, doc. II e S. Anselmo, Suppellettili liturgiche in argento tra culto, documenti e committenti, in S. Anselmo – R.F. Margiotta, I tesori delle chiese di Gratteri, “Quaderni di museologia e storia del collezionismo”, Collana diretta da M.C. Di Natale, n. 2, introduzione di V. Abbate, premessa di M.C. Di Natale, Caltanissetta 2005, pp. 81, 15, 16. []
  22. S. Anselmo, Scheda I.16, in S. Anselmo – R.F. Margiotta, I tesori…, 2005, p. 45. []
  23. I. Scelsi, Gratteri, storia cultura tradizioni, Palermo 1981, pp. 126-130; N. Marino, I Ventimiglia a Cefalù, I, in “Le Madonie”, a. LXXX, n. 5, 1-15, maggio 2000; S. Anselmo, Suppellettili…, in  I tesori…, 2005, p. 16. []
  24. Ibidem. []
  25. R.F. Margiotta, Scheda I,3, in I tesori…, 2005, p. 38. []
  26. I. Scelsi, Gratteri.., 1981, p. 124. []
  27. G. Pitrè, Feste patronali in Sicilia, Palermo 1881, passim; Guida alla Sicilia Jacopea, a cura di G. Arlotta, Pomigliano d’Arco 2004, ad vocem Gratteri. []
  28. R.F. Margiotta, Scheda I,12 e S. Anselmo, Suppellettili…, in S. Anselmo – R.F. Margiotta, I tesori…, 2005, pp. 43 e 16. []
  29. S. Anselmo, Scheda I,17, in S. Anselmo – R.F. Margiotta, I tesori…, 2005, p. 46. []
  30. A. Mogavero Fina, Profilo storico-genealogico dei Ventimiglia, Signori delle Madonie, Principi di Belmonte, Palermo 1973, p. 46; M. Giuffrè, Castelli e luoghi forti di Sicilia, XII-XVII secolo, Palermo 1980, p. 28; E. Magnano di San Lio, Castelbuono capitale dei Ventimiglia, Catania 1996, p. 23; M.C. Di Natale, Tesoro di Sant’Anna nel Museo del Castello dei Ventimiglia a Castelbuono, in M.C. Di Natale – R. Vadalà, Il tesoro di Sant’Anna nel Museo del Castello dei Ventimiglia a Castelbuono, Appendice documentaria di R.F. Margiotta, Palermo 2010, p. 11. []
  31. M.C. Di Natale, Tesoro…, in M.C. Di Natale – R. Vadalà, Il tesoro…, 2010, p. 11. Si veda anche C. Ciolino, Il tesoro tessile della Matrice Nuova di Castelbuono capitale e principato dei Ventimiglia, Messina 2007, p. 17; C. Morici, La gloriosa madre Sant’Anna, augusta patrona di Castelbuono. Breve guida e cenni storici del castello e della cappella palatina e della insigne reliquia del S. Teschio, Palermo 1935, p. 53; O. Cancila, I Ventimiglia di Geraci (1258-1619), “Quaderni – Mediterranea – Ricerche storiche”, Collana diretta da R. Cancila, t. I, Palermo 2016, p. 167. []
  32. O. Cancila, L’amato feudo dei Ventimiglia, in Castelbuono, “Kalós – Luoghi di Sicilia”, suppl. a “Kalós arte in Sicilia” , n. 4, a. 7, luglio-agosto 1995, p. 3. []
  33. Su Simone I Ventimiglia si veda O. Cancila, Simone I Ventimiglia, marchese di Geraci (1485-1544), in Memoria, storia e identità. Scritti per Laura Sciascia, Palermo 2011, pp. 113-144; R.F. Margiotta, Dizionario…, in Artificia Siciliae…, 2016, p.  339. []
  34. M.C. Di Natale, Tesoro…, in M.C. Di Natale – R. Vadalà, Il tesoro…, 2010, p. 29. Sul culto per la madre della Vergine si veda anche A. Di Giorgi, Culto e festa di Sant’Anna patrona di Castelbuono, in “Le Madonie”, 1-15 aprile 2004; S. Brancato, Sant’Anna, vita, culto, iconografia, Palermo 2004. []
  35. S. Anselmo, Scheda I,1, in S. Anselmo – R.F. Margiotta, I tesori…, 2005, p. 37. []
  36. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 81, ff. 210 r. e v. []
  37. M.C. Di Natale, Gioielli…, 2008, p. 16. []
  38. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 81, f. 210 v. []
  39. A. Giuffrida, La camera delle meraviglie di Pietro Agostino maestro razionale del Regno di Sicilia, in Artificia Siciliae…, 2016, pp. 81-89. []
  40. Inventario del 1599, trascrizione di A. Citino, in Il tesoro nascosto. Gioie e argenti per la Madonna di Trapani, catalogo della Mostra (Trapani, Museo Regionale “Agostino Pepoli”, 2 dicembre 1995 – 3 marzo 1996)  a cura di M.C. Di Natale, V. Abbate, Palermo 1995, p. 453, Si veda anche M.C. Di Natale, Orafi, argentieri…, in Artificia Siciliae…, 2016, p. 17. []
  41. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 81, f. 210 v. []
  42. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 81, ff. 210 v.  – 211 r. []
  43. P. Lanza di Scalea, Donne e gioielli in Sicilia nel Medio Evo e nel Rinascimento,  Palermo-Torino 1892, p. 103. []
  44. Ibidem. []
  45. G. Bresc Bautier – H. Bresc, Les bijoux à Palerme (XIVe – XVe siècle): les échos du luxe personnel dans les inventaires notariés, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale, Atti del convegno internazionale di studi in onore di Maria Accascina (Palermo-Erice, 14-17 giugno 2006) a cura di M.C. Di Natale, Caltanissetta 2007, p. 223. []
  46. M.C. Di Natale, Arti decorative nel Museo Pepoli di Trapani, in V. Abbate, G. Bresc Bautier, M.C. Di Natale,  R. Giglio, Museo Pepoli, Palermo 1992, p. 66. []
  47. Cfr. S. Anselmo, Suppellettili…, e R.F. Margiotta, doc. 1, in S. Anselmo – R.F. Margiotta, I tesori…, 2005, pp. 28, 81. []
  48. Cfr. S. Anselmo, Suppellettili…, e R.F. Margiotta, doc. 2, in S. Anselmo – R.F. Margiotta, I tesori…, 2005, pp. 28, 81. []
  49. Ibidem. []
  50. Sui Ventimiglia di Geraci cfr. O. Cancila, I Ventimiglia di Geraci (1258-1619), “Quaderni – Mediterranea – Ricerche storiche”, Collana diretta da R. Cancila, t. I, Palermo 2016. []
  51. Su Giovanni III Ventimiglia si veda O. Cancila, Alchimie finanziarie di una grande famiglia feudale del primo secolo dell’età moderna, in “Mediterranea. Ricerche storiche”, n. 6, aprile 2006, pp. 69-136; E. Magnano di San Lio, Castelbuono capitale…, 1996;  R.F. Margiotta, Dizionario…, in Artificia Siciliae…, 2016, pp.  337-338. []
  52. ASPa, Fondo dei notai defunti, Antonio Occhipinti, st. I, vol. 3767, ff. n. nn. Si veda anche R.F. Margiotta, I gioielli di Giovanni III Ventimiglia, in Alla corte dei Ventimiglia…, 2009, p. 164. []
  53. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 81, ff. 224 v. e 221 r. []
  54. F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dalla loro origine ai nostri giorni, vol. IV, quadro 467, p. 176. []
  55. F. Mugnos, Teatro genealogico delle famiglie nobili, titolate, feudatarie ed antiche del fedelissimo regno di Sicilia viventi ed estinte, vol. I, Palermo 1647, p. 23. []
  56. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 215 r. – 223 v. e in part. f. 216 r. []
  57. Giovanni Garlano, figlio di Giuseppe, ricco gabelloto, nativo di Corleone, ma cittadino palermitano, aveva comprato la carica di Protonotaro del regno di Sicilia per 15 mila scudi. Cfr. R.L. Foti, Tra regio demanio, politiche pubbliche e strategie private nella Sicilia moderna, in R.L. Foti –  I. Fazio – G. Fiume, L. Scalisi, Storie di un luogo. Quattro saggi su Corleone nel Seicento, Palermo 2004, pp. 14-15, nota 31. []
  58. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 216 r. []
  59. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 216 v. []
  60. Cfr. I. Scelsi, Gratteri…, 1981, p. 112, che «riporta la trascrizione della data incisa sullo stilobate sinistro come 1684», ma in realtà è da leggersi come 1648. Cfr. S. Anselmo, Suppellettili…, in S. Anselmo – R.F. Margiotta, I tesori…, 2005, pp. 16, 30. Sull’edicola marmorea si veda anche S. Anselmo, I Ventimiglia: committenti di sculture marmoree dal XV al XVII secolo, in Alla corte dei Ventimiglia…, 2009, p. 159. Un inedito documento evidenzia che quasi un decennio dopo, precisamente il 6 febbraio 1657, don Lorenzo sarà in contatto con Francesco Scuto, marmorario palermitano attivo nella seconda metà del Seicento, abile nella decorazione “a mischio” (I. Bruno, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, III, Scultura, a cura di B. Patera, Palermo 1994, ad vocem), che si obbligherà con il barone di Gratteri, per nome dell’illustre donna Francesca de Bononia e Grimaldi marchesa di Altavilla, per farci «una sepultura di marmura bona» secondo il disegno sottoscritto da don Lorenzo, da porsi nel convento di Santa Maria degli Angeli di Palermo nella cappella di detta marchesa, per il prezzo di onze 64. Si può solo ipotizzare, pertanto, in attesa di un ulteriore approfondimento archivistico, che lo Scuto potesse essere uno degli scultori di fiducia del Ventimiglia. Cfr. ASPa, Fondo dei notai defunti, G. L. Panitteri, vol. 2802. Il documento mi è stato segnalato da Claudio Gino Li Chiavi, che ringrazio. []
  61. S. Anselmo, Suppellettili…, in S. Anselmo – R.F. Margiotta, I tesori…, 2005, p. 16; Idem, I Ventimiglia…, , in Alla corte…, 2009. Sull’attuale cappella delle Sacre Spine si veda pure S. Scileppi, Teologia e iconografia. La Chiesa Madre di Gratteri e le sue opere, in Il Volto di Cristo nel Volto della Chiesa. La Chiesa Madre di Gratteri. Arte e fede, Atti del convegno (Gratteri, Chiesa Madre, 18 agosto – 9 settembre 2004) a cura di S. Scileppi, Roma 2005, p. 346. []
  62. S. Anselmo, Suppellettili…, in S. Anselmo – R.F. Margiotta, I tesori…, 2005, pp. 16, 30, nota 19. La chiesa oggi non più esistente era già danneggiata nel Settecento. In un documento dell’archivio della Chiesa Madre si legge «la venerabile compagnia del SS. Rosario della terra di Gratteri con tutto l’ossequio dovuto l’espone qualmente […] il vicario Gallo fa scoppiare i maschi tra il piano intermedio fra la madre chiesa ed oratorio di detta compagnia perché ciò nesce (sic) in grande pregiudizio delle fabbriche» (ibidem). []
  63. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 217 v. Il suo testamento è depositato tra le carte del notaio Gio. Antonio Chiarella in data 2 giugno 1632, ma si ritrova pure in ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 235 r. – 241 r. []
  64. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 217 v. []
  65. La banda è una fascia in materiale prezioso. Cfr. Cfr. P. Venturelli, Gioielli milanesi 1459-1631, premessa di M.C. Di Natale, Palermo 2019, p. 42. []
  66. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 221 r. e v. []
  67. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 221 v. []
  68. Ibidem. []
  69. Ibidem. []
  70. Ibidem. []
  71. D. Liscia Bemporad, Francesco Salviati e altri orafi per una cintura di collezione privata, in Storia, critica e tutela…, 2007, p. 242. []
  72. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 221 v. – 222 r. []
  73. ASPa, Fondo dei notai defunti, Vincenzo Parabova, vol. 1223, f. 81 e ss. []
  74. Ibidem. []
  75. M.C. Di Natale, Le vie dell’oro dalla dispersione alla collezione, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della Mostra (Trapani, Museo Regionale Pepoli, 1 luglio – 30 ottobre 1989) a cura di M.C. Di Natale, Milano 1989, pp. 25-26. Si veda anche Eadem, Un brano significativo dal testamento di Francesco II Ventimiglia, in Alla corte dei Ventimiglia…, 2009. []
  76. M.C. Di Natale, Gioielli…, 2008, p. 112. []
  77. Ibidem. []
  78. ASPa, Fondo dei notai defunti, Vincenzo Parabova, vol. 1223, ff. 102 – 103. []
  79. Per i maestri corallari trapanesi e la loro produzione si veda tra l’altro M.C. Di Natale, I maestri corallari trapanesi dal XVI al XVIII secolo, in Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo, catalogo della Mostra (Trapani, Museo Regionale Pepoli, 15 febbraio – 30 settembre 2003) a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2003; Eadem, Ars corallariorum et sculptorum coralli a Trapani, in Rosso corallo. Arti preziose della Sicilia barocca, catalogo della Mostra (Torino, Palazzo Madama, Museo Civico d’Arte Antica, 29 luglio – 28 settembre 2008) a cura di C. Arnaldi di Balme, S. Castronovo, Milano 2008; Eadem, L’arte del corallo a Trapani, in C. Del Mare – M.C. Di Natale, Mirabilia coralii. Capolavori barocchi in corallo tra maestranze ebraiche e trapanesi, Napoli 2009; Eadem, I coralli della Santa Casa di Loreto e R.F. Margiotta, La ricerca d’archivio 1. Note documentarie sulla produzione siciliana di manufatti in corallo, in Sicilia Ritrovata. Arti decorative dai Musei Vaticani e dalla Santa Casa di Loreto, catalogo della Mostra (Monreale, Museo Diocesano, 7 giugno-7 settembre 2012) a cura di M.C. Di Natale – G. Cornini – U. Utro, Palermo 2012, pp. 109-132, 169-178; M.C. Di Natale, Ad laborandum curallum, in I grandi capolavori del corallo. I coralli di Trapani del XVII e XVIII secolo, catalogo della Mostra (Catania, Palazzo Valle, 3 marzo – 5 maggio 2013) a cura di P. Li Vigni, M.C. Di Natale, V. Abbate, Milano 2013. []
  80. R.F. Margiotta, La ricerca d’archivio…, in Sicilia ritrovata…, 2012, p. 172. Cfr. inoltre Die diarien und tagzettel des kardinals Ernst Adalbert von Harrach (1598 – 1667), a cura di K. Keller – A. Catalano, Wien-Köln-Weimar 2010, p. 219. []
  81. M.C. Di Natale, Ad laborandum…, in I grandi capolavori…, 2013, p. 47. []
  82. Per il documento citato si veda pure ASPa, Fondo Belmonte, vol. 82, f. 47 v. []
  83. Ibidem. []
  84. S. Barraja, Gli orafi e argentieri di Palermo attraverso i manoscritti della maestranza, in Splendori di Sicilia…, 2001, pp. 676, 760. Sul Riggio si veda anche R.F. Margiotta, doc. I,17, in Artificia Siciliae…, 2016, p. 277. []
  85. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 82, f. 47 v. []
  86. Su don Camillo Barbavara e la sua produzione si veda tra l’altro M.C. Di Natale, Oro, argento e corallo tra committenza ecclesiastica e devozione laica, in Splendori di Sicilia…, 2001; Eadem, Montalbano, Barbavara e la produzione orafa a Palermo nella prima metà del Seicento, in La sfera d’oro. Il recupero di un capolavoro dell’oreficeria palermitana, catalogo della Mostra (Palermo, Galleria Regionale della Sicilia Palazzo Abatellis, 11 aprile – 20 luglio 2003), a cura di V. Abbate e C. Innocenti, Napoli 2003, pp. 61-76; M.C. Di Natale, Don Camillo Barbavara e gli orafi e smaltatori nella Sicilia barocca e Nuovi documenti a completamento della biografia di Don Camillo Barbavara, a cura di G. Travagliato, in La Madonna delle Vittorie a Piazza Armerina dal Gran Conte Ruggero al Settecento, a cura di M.K. Guida, Napoli 2009, pp. 123-132; M.C. Di Natale, Orafi, argentieri…, e R.F. Margiotta, doc. I,78, in Artificia Siciliae…, 2016, pp. 34, 40-42, 46-48, 287-288. Per l’elenco dotale cfr. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 82, f. 47 v. []
  87. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 82, ff. 48 r. e v. []
  88. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 82, ff. 48 v. –  49 r. []
  89. S. Anselmo, Suppellettili…, in S. Anselmo – R.F. Margiotta, I tesori…, 2005, pp. 24-25. []
  90. R.F. Margiotta, doc. n. 6, in S. Anselmo – R.F. Margiotta, I tesori…, 2005, p. 83. []
  91. Si veda tra l’altro B. Montevecchi, Note su alcune opere trapanesi nelle Marche, in Storia, critica…, 2007, pp. 253-260. []
  92. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 82, ff. 52 r. []
  93. Per il documento depositato il 20 luglio 1631 presso il notaio Baldassare Zamparrone cfr. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 235-247. []
  94. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 244 r. []
  95. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 245 v. []
  96. M.C. Di Natale, Un orafo lombardo attivo a Palermo: Marzio Cazzola, in Itinerari d’arte in Sicilia, a cura di G. Barbera e M.C. Di Natale, Napoli 2012, pp. 106-110, che riporta precedente bibliografia. []
  97. Per il duca di Terranova si veda M. Aymard, Une famille de l’aristocratie sicilienne au XVI et XVII siècles: les ducs de Terranova, in “Revue Historique”, 1972, pp. 22-66; Idem, Don Carlo d’Aragona, la Sicilia e la Spagna alla fine del Cinquecento, in La cultura degli arazzi fiamminghi di Marsala tra Fiandre, Spagna e Italia, Atti del convegno internazionale di studi (Marsala, 7-9 luglio 1986), Palermo 1988, pp. 21-38. Si veda anche R.F. Margiotta, Dizionario…, in Artificia Siciliae…, 2016, p. 306. []
  98. S. Anselmo, Suppellettili…, in S. Anselmo – R.F. Margiotta, I tesori…, 2005, p. 17. Per il manufatto di Cammarata cfr. G. Ingaglio, Scheda 53, in Splendori di Sicilia …, 2001, pp. 391-392. []
  99. V. Abbate, La grande stagione del collezionismo. Mecenati, accademie e mercato dell’arte in Sicilia tra Cinque e Seicento, Palermo 2011, p. 63. []
  100. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 245 v. []
  101. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 246 r. []
  102. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 246 r. e v. []
  103. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 246 v. []
  104. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 266 r e v. []
  105. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 266 v. []
  106. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 267 r. e v. []
  107. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 267 v. []
  108. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 267 v. – 268 r. []
  109. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 268 r. []
  110. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 268 r. e v. []
  111. V. Abbate, La citta aperta. Pittura e società a Palermo tra Cinque e Seicento, in Porto di mare. Pittori e pittura a Palermo tra memoria e recupero, catalogo della Mostra (Palermo, chiesa di San Giorgio dei Genovesi, 30 maggio – 31 ottobre 1999) a cura di V. Abbate, Napoli 1999, p. 25. []
  112. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 268 v. []
  113. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 268 v. – 269 r. []
  114. Casimiro di Santa Maria Maddalena, Cronica della provincia de’ Minori osservanti Scalzi di S. Pietro d’Alcantara, 1729, pp. 22-23. «Per gratitudine di un tanto favore, stabilirono gli Eccellentissimi Eletti chiedere alla città di Palermo una Reliquia autentica d’essa Santa, acciocchè in rendimento di grazie potessero ogn’anno celebrarne la solennità con tutta la possibile sagra pompa. Non trovarono ostacolo all’inchiesta: anzi godendo li Signori Palermitani, che la loro santa miracolosa fusse venerata con culto speciale in una città così cospicua, come Napoli, mandarono una Statua della Santa d’argento alta tre palmi, nel cui petto stava riposta un’insigne Reliquia della medesima con sua autentica». La santa palermitana era invocata anche contro i terremoti. Si ricordano in proposito i festeggiamenti tributati alla Santuzza per la protezione salvifica dal catastrofico sisma che colpì soprattutto la Val di Noto e la Valdemone nel gennaio 1693. Cfr. R.F. Margiotta, Una galassia seminata di stelle. Il festino di Santa Rosalia in una cronaca del 1693. Apparati effimeri e arti decorative, “Frammenti”, Collana diretta da A. Giuffrida e P. Inglese, Palermo 2018. []
  115. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 269 r. []
  116. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 269 v. []
  117. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 251-255. []
  118. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 252 r. []
  119. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 252 r. e v. []
  120. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 252 v. []
  121. Ibidem. []
  122. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 82, f. 323. []
  123. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 82, ff. 80 r. – 81 v. []
  124. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 277 r. – 298 v. Si veda anche ASPa, Fondo Belmonte, vol. 82, ff. 348-358 v. []
  125. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 278 r. e v. []
  126. I. Scelsi, Gratteri…, 1981, pp. 96-97; S. Anselmo, Suppellettili…, in S. Anselmo – R.F. Margiotta, I tesori…, 2005, p. 16; S. Anselmo, I Ventimiglia…, , in Alla corte…, 2009, p. 159. []
  127. ASPa, Fondo dei notai defunti, Panitteri Pietro, st. I, vol. 2822, ff. 23 r. 24 v. []
  128. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 281 v. []
  129. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 303. []
  130. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 279 r. e v. []
  131. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 280 r. []
  132. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, f. 281 r. Per il contratto matrimoniale del 26 aprile 1666, depositato presso il notaio Aloisio Panitteri di Palermo, si veda lo stesso volume 133, f. 327. []
  133. Per il documento rogato presso il notaio Crisostamo Barresi il 24 dicembre 1663 si veda ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 311 r.  – 318 v. []
  134. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 314 v. e 315 r. []
  135. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 84, ff. 359 – 371 v. cfr. inoltre ASPa, Fondo Belmonte, vol. 133, ff. 333-339. []
  136. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 84, f. 360 v. []
  137. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 84, ff. 373 r. – 380 r. []
  138. Cfr. V. Abbate, La grande stagione del collezionismo…, 2011, p. 73. []
  139. V. Abbate, La grande stagione del collezionismo…, 2011, pp. 74-75. []
  140. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 84, f. 379 v. []
  141. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 84, f. 375 r. []
  142. Sul soggiorno siciliano dello Stom si veda A. Zalapì. Il soggiorno siciliano di Matthias Stom tra neostoicismo e «dissenso». Nuove acquisizioni documentarie sull’ambiente artistico straniero a Palermo, in Porto di mare…, 1999, pp. 147-155. []
  143. A. Zalapì – S. Caramanna, Matthias Stom. Un caravaggesco nella collezione Villafranca di Palermo, “Museo Diocesano di Palermo. Studi e restauri”, Collana diretta da P. Palazzotto, n. 4, Palermo 2010, che riporta ampia bibliografia sul pittore. Sulle collezioni d’arte custodite nella nobile dimora palermitana si veda anche G. Travagliato, Palazzo Alliata di Villafranca. Le collezioni, in “Kalós. Arte in Sicilia”, a. 19, n. 1, gennaio – marzo 2007, pp. 8-12; Idem, Il palazzo dei principi Alliata di Villafranca a Palermo: per secoli monumento e documento di vita quotidiana, in Abitare l’arte in Sicilia. Esperienze in età moderna e contemporanea, a cura di M.C. Di Natale e P. Palazzotto, Palermo 2012, pp. 23-38. []
  144. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 84, ff. 376 v., 377 v., 378 r. []
  145. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 84, ff. 375 v. – 377 r. []
  146. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 84, f. 376 r. []
  147. Cfr. M.C. Di Natale, Il Museo Diocesano di Palermo, Palermo 2006, pp. 90, 96. []
  148. Cfr. E. Larsen, L’opera completa di Van Dyck (1613- 26), presentazione e apparati critici e filologici di E. Larsen, Milano 1980. Si veda pure G. Mendola, Un approdo sicuro. Nuovi documenti per Van Dyck e Gerardi a Palermo e V. Abbate, La stagione del grande collezionismo, in Porto di mare…, 1999, pp. 101, 113. []
  149. Ibidem. []
  150. V. Abbate, La stagione…, in Porto di mare…, 1999, pp. 111, 113. Sulla collezione dell’importante famiglia si veda pure V. Ruffo, La galleria Ruffo in Messina nel sec. XVII, in “Bollettino d’arte”, a. III, 1916, fasc. I-XII; M.C. Calabrese, Nobiltà, mecenatismo e collezionismo a Messina nel XVII secolo. L’inventario di Antonio Ruffo, principe della Scaletta, Catania 2000; R. De Gennaro, Per il collezionismo del Seicento in Sicilia: l’Inventario di Antonio Ruffo principe della Scaletta, Pisa 2003. []
  151. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 84, f. 379 v. []
  152. L. Romana, Neviere e nevaioli. La conserva e il commercio della neve nella Sicilia centro-occidentale (1500-1900), Petralia Sottana 2007, pp. 75-76. []
  153. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 84, ff. 143 – 145. []
  154. Si veda S. Barraja, in Arti decorative in Sicilia. Dizionario biografico, a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2014, ad vocem. M.C. di Natale, I monili della Madonna della Visitazione di Enna, con un contributo di S. Barraja, Appendice documentaria di R. Lombardo e O. Trovato, Enna 1996, p. 40. []
  155. G. Travagliato, in Arti decorative…, 2014, ad vocem. []
  156. S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad vocem; Idem, Gli orafi…,  in Splendori di Sicilia…, 2001, p. 677; Idem, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo dal XVII secolo a oggi, saggio introduttivo di M.C. Di Natale, Palermo 1996, II ed. 2010, p. 66. []
  157. S. Barraja, Gli orafi…, in Splendori di Sicilia…, 2001, p. 671. []
  158. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 84, f. 145 r. []
  159. M.C. Di Natale, Frasche e fiori d’argento per gli altari, in Arredare il sacro. Artisti, opere e committenti in Sicilia dal Medioevo al Contemporaneo, a cura di M.C. Di Natale, M. Vitella, Milano 2015, pp. 63-80. []
  160. Ibidem. []
  161. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, ff. 21 r. – 58 v. []
  162. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, ff. 38 r. e v. []
  163. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, ff. 38 v. – 39 r. []
  164. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, f. 39 r. []
  165. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, f. 39 v. []
  166. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, ff. 44 v. – 45 r. []
  167. Cfr. P. Venturelli, Gioielli milanesi…, 2019, p. 52. []
  168. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, ff. 48 r. e v. []
  169. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, f. 55 v. []
  170. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, f. 56 r. []
  171. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, ff. 67 r. – 76 v. []
  172. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, ff. 67 r. – 69 v. Per l’artista si veda S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad vocem. []
  173. S. Barraja, I marchi…, 1996. []
  174. S. Barraja, Gli orafi…, in Splendori di Sicilia…, 2001, p. 674; Idem, in Arti decorative…, 2014, ad vocem. []
  175. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, ff. 67 r. e v. []
  176. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, ff. 67 v. – 68 v. []
  177. A margine sinistro del documento si annota: «la spezzera è bolla nova e si deve pagare il prezzo a mastro Petro Curiali a cui s’era data a fare dal detto quondam […] D. Lorenzo XX.a per haversi perduto» (ibidem). []
  178. M.C. Di Natale, Scheda II, 58, in Ori e argenti…, 1989, pp. 228-229. []
  179. V. Abbate, Il “Repertorio” dei beni mobili del Signor Principe di Butera, in Ricerche sul Seicento napoletano, Milano 1986, p. 37. []
  180. Per il documento, trascritto parzialmente da Loredana Bertolino (Argenti e gioie in un inventario seicentesco della famiglia Ventimiglia, in Ori e argenti…, 1989, p. 390), si veda M.C. Di Natale, Tesoro…, e R.F. Margiotta, Appendice documentaria, in M.C. Di Natale – R. Vadalà, Il tesoro…, 2010, pp.  24-26 e doc. II, p. 96; R.F. Margiotta – M.C. Di Natale, Il nobile casato dei Ventimiglia e Felice Ventimiglia Barberini, in Gli Orsini e i Savelli nella Roma dei Papi. Arte e mecenatismo di antichi casati dal feudo alle corti barocche europee, Atti del convegno internazionale di studi (Università di Salerno, 27 aprile 2016; Università di Chieti, 3 maggio 2016; Archivio di Stato di Roma e Archivio Storico Capitolino, 9-10 giugno 2016) a cura di C. Mazzetti di Pietralata e A. Amendola, con premesse di M.G. Aurigemma e M.A. Pavone, Cinisello Balsamo (MI), 2017, pp. 493-507. []
  181. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, ff. 68 v. – 69 r. []
  182. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, f. 70 r. []
  183. Ibidem. []
  184. G. Mendola, Il paese dei Migliaccio. Montemaggiore Belsito dall’età normanna all’Unità d’Italia, s.l.  2010, pp. 15-17, 20,  289-305. []
  185. Ibidem. Per le tele del Pulzone si veda R.F. Margiotta – G. Travagliato, “…Lo quale pittore si domanda Sipione Cartaro Gaitano…” Scipione Pulzone, i Colonna e novità sulla committenza per le chiese cappuccine di Sicilia, in Opere d’arte nelle chiese francescane tra conservazione, restauro e musealizzazione, a cura di M.C. Di Natale, Quaderni dell’Osservatorio per le arti decorative in Italia “Maria Accascina”, Collana diretta da M.C. Di Natale, Palermo 2013, pp. 91-106. []
  186. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, f. 74 v. []
  187. V. Abbate, La grande stagione del collezionismo…, 2011, p. 78. []
  188. R. Scaduto, in L. Sarullo, Dizionario…, vol. II, Pittura, a cura di M.A. Spadaro, Palermo 1993, ad vocem. []
  189. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, f. 75. []
  190. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, ff. 75 v., 76 v. []
  191. Dall’eredità suddetta gli eredi devono defalcare l’importo della restituzione della dote della citata prima moglie di don Lorenzo e quelle della seconda moglie donna Maria Filingeri (ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, ff. 67 r. – 76 v.). Nel 1700 Gaetano Ventimiglia diede avvio alla costruzione di un nuovo nucleo abitato attorno all’antica torre del feudo “Carbone” in prossimità del casale di Sant’Eufemia ove nei primissimi anni del XVIII secolo fu costruita la nuova chiesa dedicata a S. Francesco, nel sito dell’attuale centro di Lascari (C. Piazza, Lascari nella storia, Cefalù 2011, p. 25; Idem, Lascari e la sua fede. Memorie ricordi e immagini, Bagheria 2013, p. 33). La chiesa custodisce ancora due pregevoli paliotti in commesso marmoreo riproducesti scene urbane, ascritti alla committenza di don Gaetano, uno dei quali realizzato nel 1707 da Domenico Magrì. Si veda R.F. Margiotta, I Ventimiglia e le arti decorative a Lascari, in Arte e storia delle Madonie. Studi per Nico Marino, Atti della quarta e quinta edizione (Cefalù e Castelbuono, 18-19 ottobre 2014; Gibilmanna, 17 ottobre 2015) a cura di G. Marino e R. Termotto, voll. IV-V, Cefalù 2016, pp. 289-306. Successivamente don Giuseppe Emanuele donò alla nuova parrocchia, oggi dedicata a S. Michele Arcangelo, alcuni oggetti preziosi per il culto, come un ostensorio, un secchiello con aspersorio, un mestolo battesimale, i vasetti per gli oli santi, un turibolo ed una navetta, commissionati all’argentiere Gaspare Cimino (ibidem). []
  192. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 85, f. 122 r. []
  193. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 367, ff. n. nn. Si veda anche R.F. Margiotta, I dipinti ereditati nel 1725 da don Giuseppe Emanuele Ventimiglia, principe di Belmonte e S. Anselmo – R.F. Margiotta, Inventario dei beni mobili di Giuseppe Emanuele Ventimiglia, principe di Belmonte, in Cinquantacinque racconti per i dieci anni. Scritti di storia dell’arte, a cura del Centro Studi sulla civiltà artistica dell’Italia meridionale “Giovanni Previtali”, Collana “I racconti di Efesto”, n. 1, Rubettino Editore, Soveria Mannelli (CZ) 2013, pp. 363-371, 383-399. []
  194. Cfr. A. Mogavero Fina, I Ventimiglia: conti di Geraci e conti di Collesano, baroni di Gratteri e principi di Belmonte. Correlazione storico-genealogica, Palermo 1980, pp. 79-82. []
  195. F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi…, vol. I, 1924. []
  196. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 367, ff. n. nn.; R.F. Margiotta, I dipinti ereditati… e S. Anselmo – R.F. Margiotta, Inventario dei beni…, in Cinquantacinque racconti…, 2013. []
  197. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 367, ff. n. nn.; R.F. Margiotta, I dipinti ereditati… e S. Anselmo – R.F. Margiotta, Inventario dei beni…, in Cinquantacinque racconti…, 2013. Il pittore citato potrebbe essere Francesco Gianlombardo, che nel 1739 ridimensionava la pala di S. Eligio dell’altare maggiore dell’eponima chiesa palermitana eseguita ante 1624 dallo Zoppo di Gangi (cfr. G. Travagliato, I capitoli della Congregazione di Sant’Eligio di Palermo (1844) e un inedito disegno di Valerio Astorini, in “OADI. Rivista dell’Osservatorio delle Arti decorative in Italia”, n. 3, giugno 2011 (www.unipa.it/oadi/rivista). []
  198. Vedi supra. []
  199. V. Abbate, Per il collezionismo siciliano del Seicento: la quadreria mazzarinese dell’Ecc.mo Signor Principe di Butera, in L’ultimo Caravaggio e la cultura artistica a Napoli, in Sicilia e a Malta, a cura di M. Calvesi, Siracusa 1987, pp. 293-311. []
  200. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 367, ff. n. nn.; R.F. Margiotta, I dipinti ereditati… e S. Anselmo – R.F. Margiotta, Inventario dei beni…, in Cinquantacinque racconti…, 2013. []
  201. Cfr. M.C. Di Natale, San Giacomo, protettore di Geraci Siculo. Percorsi di devozione e arte nelle Madonie, in Geraci Siculo arte e devozione. Pittura e santi protettori, a cura di M.C. Di Natale, Geraci Siculo 2007, p. 56. Per l’opera cfr. Decorazione e scultura marmorea, in Forme d’arte a Geraci Siculo, dalla pietra al decoro, a cura di M.C. Di Natale, Geraci Siculo 1997, pp. 58-62 e più recentemente S. Anselmo, Ancona d’altare, in Itinerario gaginiano, Gangi 2011, pp. 106 – 107. []
  202. Cfr. S. Anselmo, Pietro Bencivinni “magister civitatis Politii” e la scultura lignea nelle Madonie, Palermo 2009, p. 44; Idem, Le Madonie. Guida all’arte, Palermo 2008, p. 112. []
  203. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 367, ff. n. nn.; R.F. Margiotta, I dipinti ereditati… e S. Anselmo – R.F. Margiotta, Inventario dei beni…, in Cinquantacinque racconti…, 2013. []
  204. D. Thiébaut, Dagli Ecce homo al Cristo alla Colonna, in Ecce homo. Antonello da Messina. Genova e Piacenza: due versioni a confronto, a cura di F. Simonetti, Genova 2000. []
  205. S. Gori, Innocenzo da Chiusa, venerabile, in Bibliotheca Sanctorum, vol. VII, Roma 1966, coll. 836-837; C. Gregorio, I Santi siciliani, Messina 1999. Si veda anche P. Tognoletto, Vita del gran Servo di Dio fra Innocenzo da Chiusa detto comunemente lo scalzo di S. Anna dei minori osservanti della provincia di Sicilia nel Val di Mazara, Palermo 1655. Una riduzione dell’opera è stata recentemente eseguita da fra Ludovico Mariani O.F.M., vice postulatore per le cause di canonizzazione, con il titolo Biografia di Fra Innocenzo da Chiusa, frate minore detto comunemente lo Scalzo di S. Anna, Palermo 2000; R. Bacile, Cenni storici sulla vita del venerabile Servo di Dio Fra Innocenzo da Chiusa, Chiusa Sclafani 1992; A.G. Marchese, Il venerabile Innocenzo da Chiusa ovvero la santità negata, in Idem, Il convento di Sant’Anna di Giuliana e il Santo Nero di Palermo, Palermo 2001, pp. 96-111. []
  206. Si veda in proposito A.G. Marchese, Cristo a Chiusa Sclafani. L’immagine-reliquia del Santo Volto e il Venerabile Innocenzo, Palermo 2009; Idem, La chiesa di San Nicola di Bari Matrice di Chiusa Sclafani, Palermo 2007; R.F. Margiotta, Opere d’arte francescane dall’alto Belice corleonese alla valle del Sosio, in Opere d’arte…, 2013, p. 78. []
  207. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 367, ff. n. nn.; R.F. Margiotta, I dipinti ereditati… e S. Anselmo – R.F. Margiotta, Inventario dei beni…, in Cinquantacinque racconti…, 2013. []
  208. R. Delogu, La Galleria Nazionale della Sicilia, Roma 1962, ed. cons. 1977, pp. 51-52; M.G. Aurigemma, Scheda 1, in Pittori del Seicento a Palazzo Abatellis, catalogo della Mostra (Palermo, Galleria Regionale della Sicilia, 31 marzo – 25 ottobre 1990) a cura di V. Abbate, Milano 1990, pp. 67-71. []
  209. E.H. Gombrich, La teoria dell’arte nel Rinascimento e l’origine del paesaggio, in E.H. Gombrich, Norma e forma. Studi sull’arte del Rinascimento, Torino 1973. []
  210. G.C. Sciolla, Studiare l’arte. Metodo, analisi e interpretazione delle opere e degli artisti, Torino 2001, p. 48. []
  211. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 367, ff. n. nn.; R.F. Margiotta, I dipinti ereditati… e S. Anselmo – R.F. Margiotta, Inventario dei beni…, in Cinquantacinque racconti…, 2013. []
  212. V. Abbate, La stagione…, in Porto di mare…, 1999, pp. 125-140. Sul collezionismo in Sicilia si veda pure Idem, Quadrerie e collezionisti palermitani del Seicento, in Pittori del Seicento…, 1990, pp. 13-57; Idem, Il collezionismo e le quadrerie dal Cinquecento al Settecento, in Storia della Sicilia, vol. IX, Roma 1999; La Sicilia dei Moncada. Le corti, l’arte e la cultura nei secoli XVI-XVII, a cura di L. Scalisi, Catania 2006. []
  213. Cfr. R.F. Margiotta, Appendice documentaria, Doc. III, in M.C. Di Natale – R. Vadalà, Il Tesoro di Sant’Anna…, 2010, pp. 101-105. []
  214. L’inventario riporta anche l’indicazione di alcune copie dal Bassano, da Pietro da Cortona, dal Reni e de Lo Spasimo di Raffaello (ibidem). []
  215. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 367, ff. n. nn.; R.F. Margiotta, I dipinti ereditati… e S. Anselmo – R.F. Margiotta, Inventario dei beni…, in Cinquantacinque racconti…, 2013. []
  216. ASPa, Fondo Belmonte, vol. 367, ff. n. nn. Per la dettagliata analisi del documento si veda S. Anselmo, Le opere d’arte decorative nell’inventario dei beni ereditati nel 1725 da don Giuseppe Emanuele Ventimiglia, principe di Belmonte e S. Anselmo – R.F. Margiotta, Inventario…, in Cinquantacinque racconti…, 2013. []
  217. R.F. Margiotta, La ricerca d’archivio, in Sicilia Ritrovata. Arti decorative dai Musei Vaticani e dalla Santa Casa di Loreto, catalogo della Mostra (Monreale, Museo Diocesano, 7 giugno-7 settembre 2012) a cura di M.C. Di Natale, G. Cornini, U. Utro, Palermo 2012, p. 173. []
  218. A. Mogavero Fina, I Ventimiglia…, 1980, p. 82. Si veda anche F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi…, vol. I, 1924, p. 258. []
  219. Pitture, disegni e stampe donati dal Principe di Belmonte all’Università degli Studi di Palermo, in “Calendario per l’anno 1816”, Palermo 1816, p. 5. []
  220. Cfr. M.C. Di Natale, Dal ‘meraviglioso’ alla scienza del vedere. Il regio Museo dell’Università di Palermo, in Organismi. Il sistema museale dell’Università di Palermo. Percorsi. Saggi. Schede, a cura di A. Gerbino, Palermo 2012, pp. 80-81, che riporta precedente bibliografia. Si veda anche Eadem, La Pinacoteca del Regio Museo dell’Università e M. Livaccari, Giuseppe Emanuele Ventimiglia Principe di Belmonte, in Il Museo dell’Università. Dalla Pinacoteca della Regia Università di Palermo alla Galleria di Palazzo Abatellis, a cura di G. Barbera – M.C. Di Natale, Palermo 2016, pp. 13-23, 29-35. []